Anno 2013
Indice
Gennaio 2013
Lettere in redazione
…o pane e cipolla?
Febbraio 2013
Inserire in Lettere in Redazione
SOTTOVOCE di Giovanni Rosa
Buscema, un “Podesta” senza scorte di olio di ricino
Marzo 2013
Elezioni comunali. Grillini! avanti tutta!
Aprile 2013
Verso l’ultimo sindaco
Maggio 2013
Del conflitto e della violenza
Novembre 2013
La struttura burocratica al servizio della politica e non del cittadino
A chi il cannolo di ricotta? A noi!
Dicembre 2013
La politica Mestiere
Lettere in redazione
…o pane e cipolla?
Carissimo direttore, è da più di 12 anni che collaboro a DIALOGO, mese dopo mese, nessuno escluso. Grazie per avermi consentito di continuare la mia battaglia politica utilizzando la penna anziché lo scanno di Palazzo S. Domenico dopo che restando fermo dov’ero, guardandomi attorno constatai che il mio Movimento era andato altrove.
Questa costante presenza, significa, anche responsabilità e, quindi, mi consentirai, per fatto personale, di replicare a “Il pane e le rose” del nostro lettore Giovanni Rosa, che in maniera garbata fa delle osservazioni che seppure indirettamente riguardano anche me.
Non occorre essere permaloso, malattia che abborro, per dirla alla Mughini, che amo come scrittore ma non sopporto come juventino, per sentirmi destinatario dell’uso del vetriolo con articoli oceanici che giungono alle medesime conclusioni, magari intrisi di pessimismo saccente e catastrofico che rischia di ammorbare di disfattismo i tessuti vitali della nostra Comunità cittadine rischiando di gettare il bambino con l’acqua sporca e che per tale motivo non è possibile leggere un DIALOGO migliore.
La mia non é coda di paglia ma consapevolezza di poter suscitare questi giudizi: scrivo non concedendo nulla alle teatrali finezze, preferisco il parlare diretto, guardando negli occhi e poiché non sono un buonista, non li temo (i giudizi) perché sarebbe da dementi scrivere in maniera schietta e severa e pretendere risposte “gentili”.
Tutto questo ha però un limite: dobbiamo stare nel tema; e per stare nella sostanza, occorre dare un senso a tutto e, quindi vocaboli come saccente, catastrofico, disfattismo, tessuti vitali ed altro, devono essere relazionati a contenuti chiari, altrimenti rimangono espressioni generiche, luoghi comuni inconcludenti e, questi si, gratuiti esiti di inespressi sillogismi aristotelici, perché il sillogismo non può essere semplicemente postulato “discutibile” nell’esito senza dimostrare infondati quei singoli passaggi che, concatenati, vogliono dimostrare una verità finale.
Ogni raffronto impone una unità di misura, quindi, ad esempio, per definire i miei interventi puro “pessimismo” è necessario dimostrare che il Comune di Modica soffre davvero di una semplice e modesta orticaria e non di un male che, invece, richiede la cobalto terapia (al vetriolo?).
Ciascuno di noi propone ricette che ritiene adeguate all’infezione culturale che vuole curare, quindi dovrebbe essere normale discutere della malattia prima che dell’adeguatezza della medicina, e mi sembra che c’è molto da discutere tra un’orticaria ed un tumore. Solo con tale successione si potrà appurare se il sacco di Buscema contiene buona farina con “Crisci ranni” e “Nel solco della tradizione” oppure queste sono ben poca cosa rispetto alle inchieste che ho condotto sul festival delle contaminazioni e sulla mancata relazione al Consiglio comunale, sulla violazione dello Statuto della fondazione Ente liceo convitto, sulla visione degli atti del settimo centenario della Contea e sulle 106 richieste di rinvio a giudizio per assenteismo.
In pochissimi casi il nostro Direttore ha dovuto evitare possibili polemiche personali e lo ha fatto così bene che non si è mai andato oltre la presa d’atto di due posizioni inconciliabili, ma non capisco il perché del pregiudizio nei confronti del “botta e risposta” in generale che pur può essere l’inizio di un confronto, come questa mia risposta alla “botta” de “Il pane e le rose”.
Per quanto mi riguarda se i miei interventi vengono considerati “botte” vi è chi ha rinunciato alle risposte, le uniche che avrebbero potuto, dimostrare il loro carattere di saccente disfattismo al vetriolo; nel silenzio delle risposte ho il diritto di definire tali giudizi semplice propaganda o mancanza di argomenti.
Ma chi fa osservazioni a questo tipo di giornalismo ha il dovere di giudicare anche l’attività intellettuale dei giullari del sistema in cui pare si voglia far sembrare “marziano” un Sindaco che oltre la normalità non riesce, ed in certi casi non può andare, preferendo l’itinerario di pura propaganda politica che vuole attribuire il dissesto di Modica a Torchi che in sei anni avrebbe distrutto la “Belle époque” realizzata in 17 anni di governo social-comunista.
Non è sostanza fare riferimento agli oceanici miei articoli essendo evidente, almeno per un lettore attrezzato, che io non ho il passo del giornalista; già mi sono definito giornalista di complemento, non so scrivere a comando, ho necessità che qualcosa mi indigni; non mi interessa la notizia, il fatto, il provvedimento politico adottato, ma la “cultura” che li sostiene.
Dal provvedimento cerco di trarre la visione del mondo che lo ha originato e chiedo aiuto alla Ricerca, ai libri dei Maestri ma anche ai semplici canoni del buon senso e della coerenza politica ed intellettuale, il tutto in un quadro tendente all’organico, al progetto, agli effetti futuri e stabili.
Sono libero ed indipendente, scrivo per me e non sono angustiato dalla rinunzia perché fuori di me non esiste nulla cui debba rinunziare e, rinunzio volentieri ad avere come possibili miei interlocutori coloro che in un giornale saltano le pagine culturali e che leggendo solo i titoli e quando sono in vena i sottotitoli, sono costretti a curare poi con una pillola l’immancabile mal di testa che ciò procura loro.
Solo la propaganda politica considera possibili rapidi passaggi tra un “Panem et circenses” e un “Il pane e le rose”; i processi sono, invece, molto più lunghi; ecco perché sopravvive ancora “l’arco costituzionale” nel quale io, con estremo orgoglio, mi onoro di non aver mai militato perché non ho posseduto, ed è un secondo mio orgoglio, come i professionisti della “demo”-crazia, quell’altissimo tasso di democraticità che consente di operare ghettizzazioni culturali di questo tipo. (Dialogo Gennaio 2013)
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Lettere in Redazione
SOTTOVOCE
Carissimo Direttore,
permettimi di rivolgermi direttamente al tuo collaboratore di Redazione Carmelo Modica, per parlarci (si fa per dire) guardandoci negli occhi a proposito della risonanza critica che ha offerto alla mia lettera del dicembre scorso.
Non so quale appellativo usare per testimoniarLe, da un lato, stima ed apprezzamento, senza essere giudicato compiacente; e dall’altro un sincero atteggiamento amichevole e “dialogico”, permettendomi però di essere franco e mai formale e distaccato.
Non ho pregiudizi sul “botta e risposta”, ma solo quelle riserve indicate a suo tempo, anche perché (al di là dell’appello al dovere democratico) ogni “botta” chiama “risposta”, tendenzialmente all’infinito. Così Le rispondo non tanto per impedirLe di sentirsi autorizzato a giudicare a suo piacimento le mie precedenti espressioni a causa del mio successivo silenzio, quanto per quell’invito all’”inizio di un confronto” da Lei offerto. Cosa che certamente mi fa piacere, tenuto conto dello spessore della Sua persona. Tuttavia preferirei uno scambio epistolare privato via mail (il mio indirizzo è: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) o magari una chiacchierata personale davanti ad un caffè o in altri luoghi meglio deputati.
Se comunque il Direttore e/o la Redazione decidessero di pubblicare la mia presente, non ho nulla in contrario.
Lei non ha nessuna coda di paglia, ma un’intelligenza viva e… bellicosa, che in ogni caso Le fa onore, perché ha letto bene i riferimenti impliciti riferibili anche al tono di alcuni Suoi scritti (ma non solo e dunque non ho ritenuto il caso fare elenchi di nomi e cognomi). Lei me li ha virgolettati con energico disappunto e, se nella foga espressiva sono stato ridondante in immagini, verbi e aggettivi, Le chiedo scusa. Mi permetto, però, di replicare sottovoce, che si tratta di un sentire, di un disagio, di “un retrogusto amaro”. Non di un’invettiva, per cui avrei sperato che Lei avesse colto, come potrebbe farlo chiunque, la motivazione di fondo senza isolarne, esasperandoli, gli aspetti polemici. Ho detto anche altre cose, nella mia lettera. In positivo. Avrei preferito che Lei avesse scommesso qualcosa in questa direzione.
Lei ha redatto uno scritto vibrato e ricco di incisive affermazioni a tutto tondo, che denotano una forte personalità. Non capita spesso di trovarsi di fronte a tanta chiarezza, così, sempre sottovoce, vorrei rinviarLe l’immagine (e non un sillogismo, né un’analisi scientifica) che Lei mi offre e che mi ha stupito: è quella di una persona che ha un’alta considerazione di sé e del proprio ruolo, libero e indipendente, che pone fortemente e ripetutamente l’accento sull’orgoglio (anche quello di non aver mai militato all’interno dell’arco costituzionale), che disdegna interlocutori da sottotitoli, che parla schietto e severo e per questo non si aspetta risposte “gentili”, che non trova nulla di irrinunciabile al di fuori di sé (ho capito bene?), che scrive solo per se stesso, che non teme giudizi di chicchessia e, per soprammisura, non è un buonista.
Siamo molto diversi! Io, a partire da quest’ultimo connotato, sono buonista (con tendenza all’ingenuità), non ho una grande opinione di me e, se anch’io scrivo per me stesso, soffrirei e sarei molto angustiato a dover rinunciare a moltissime cose al di fuori di me. Per quel che riguarda i giudizi altrui, se sono cattivi mi intristiscono un po’, ma trovo del buono anche in quelli.
A proposito delle Sue osservazioni sulla visione del mondo che determina i provvedimenti empirici, per cui Lei scrive solo quando qualcosa La indigna, aggiungo sottovoce che neanche io ho il passo da giornalista, ma scrivo anche quando qualcosa mi entusiasma e per questo mi esprimo meglio con la poesia e la narrativa, non per divagare, ma per posare uno “sguardo affettuoso” sul mondo, sempre meraviglioso, nonostante la sua estrema problematicità.
Rispetto la Sua diversa sensibilità, ma sia un po’ più “benevolo” nel considerare che esistono punti di vista diversi, senza obbligo di serrate dimostrazioni giustificative. Perfino nel valutare l’Amministrazione di Antonello Buscema! Proprio perché, in linea con la Sua corretta tesi sulla cultura di fondo che determina il pensare e l’agire, gli individui valutiamo eventi e persone anche a partire dal nostro “codice personale”, fatto di formazione pregressa, esperienze, scelte, convincimenti, valori e così via. Ma onesti, sinceri. Che sono diversi e vanno rispettati, senza angustiarsi. Altrimenti, se ci appelliamo, sul terreno politico-sociale, a teoremi infallibili e a sillogismi ineluttabili, ci toccherà lanciare il guanto della sfida a chiunque osi contraddirci. C’è ben altro in gioco! Il vero problema è non isolarci e non isolare, perché da soli non andiamo lontano.
Chiudo con una nota di colore “poetico”. Quando ero piccolo tanto da aver sfiorato la civiltà contadina nel suo inevitabile tramonto, osservavo con stupore quel cagnolino assicurato talvolta con un guinzaglio sotto l’asse delle ruote del carretto, affannarsi a spingere come se fosse lui il propulsore del convoglio. Lo vedevo sudare e ansimare con eroico generoso slancio, consapevole che da lui e da lui solo dipendessero le sorti del cammino e del raggiungimento della meta.
Nell’ingenua fiducia di quel cagnolino rivedo la mia del ’68 (avevo 20 anni! Il tempo de “Il pane e le rose”). Ora che gli anni della mia vita hanno fatto da parecchio il giro di boa, sento che c’è qualcosa di più grande, che non posso controllare da solo e per la quale posso solo dare un contributo appassionato sì, ma spassionato per quel che riguarda l’esito immediato e individuale.
Per tale motivo (perdoni la mia ricetta “buonista” di politica), torno a riproporre lo spirito di collaborazione costruttiva di cui al mio primo scritto, perché le rondini, da sole, non fanno primavera. Bisognerà fare uscire dal tepore dei nidi tutte le rondini della Città per rappresentare nel nostro cielo (magari in anamorfosi, come le luminarie dello scorso Natale) un progetto di bene comune. Una nuova primavera.
Diversamente, io, o chiunque altro, come quel cagnolino o come la classica unica rondine, saremmo solo patetici.
Non Le pare?
Giovanni Rosa
(Dialogo Febbraio 2013)
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Buscema, un “Podesta” senza scorte di olio di ricino
Il 27 giugno scorso ho protocollato, al numero 36154, in ingresso al Comune di Modica la lettera che trascrivo integralmente, indirizzata al Signor Sindaco di Modica.
<<Al Signor Sindaco di Modica
Oggetto: Richiesta visione atti
Lo scrivente Carmelo Modica, nato a Modica il 22 febbraio 1945 ed ivi residente in C.da S. Antonio Streppinosa 2/A, fa presente alla S.V. che, autorizzato a visionare gli atti del “1° Convegno internazionale di studi sulla Contea di Modica”, realizzato nell’ambito dei festeggiamenti del settimo centenario della fondazione della Contea nel 1996, l’unico fascicolo che gli è stato possibile visionare è stato un faldone contenente solo le relazioni svolte dai relatori del convegno (non tutte) di contenuto esclusivamente culturale. L’unico documento catalogabile amministrativo è stato un appunto che accompagnava ciascuna relazione, riportante le coordinate bancarie dei singoli relatori: null’altro!
Rovistando tra le proprie carte lo scrivente ha trovato un documento (n.17642 del 9 giugno 2004) con il quale il prof. Giuseppe Barone, nella qualità di direttore del DAPPSI dell’università di Catania in data 25 maggio 2005 ha chiesto all’assessore del Comune di Modica di “anticipare al DAPPSI la metà del contributo previsto, così da potere trasferire la somma all’editore” Bonanno e procedere nella pubblicazione degli atti.
Nonostante, per facilitare la ricerca dei documenti, lo scrivente avesse mostrato tale documento all’archivista, questi non è riuscito a rintracciare i documenti collegati per comprendere la natura e la entità del contributo, né il contratto di edizione.
Nella complessità della ricerca è comunque certo che:
la pubblicazione dei due volumi “La contea di Modica (secoli XIV-XVII)” avvenne con il contributo del Presidente della Regione siciliana, lo dice il prof. Barone nella sua presentazione;
che il Comune ha stilato un accordo con la DAPPSI che prevedeva un contributo per la pubblicazione degli atti;
che il copyright è dell’editore Bonanno;
che il Comune ha comprato 100 copie (determina n. 36 41 del 29 dicembre 2009) dell’opera per la quale aveva previsto un contributo;
la ricerca è complessa perché l’archivio comunale non appare molto organizzato.
Tutto ciò premesso lo scrivente
Chiede formalmente a Lei
se il regolamento e la legge di accesso ai documenti amministrativi devono avere un senso, di sapere cos’altro deve fare per ricostruire interamente la vicenda della pubblicazione dei due volumi.
Nell’attesa di un cortese riscontro, magari via e-mail, riceva i più cordiali saluti
Modica 27 giugno 2012
f.to
(Modica Carmelo)
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Sette mesi pieni di silenzio del Sindaco Buscema, più del ritardo con il quale paga gli stipendi agli impiegati comunali, mi fanno pensare che è inutile aspettare una sua risposta, speriamo che non accada la stessa cosa agli impiegati comunali con i loro stipendi.
Nonostante la esistenza di una legge nazionale e del relativo regolamento comunale il risultato è che non ho potuto ricostruire la vicenda della pubblicazione degli atti del settimo centenario della Contea e che ho dovuto sopportare l’arroganza del potere.
In pratica mi è accaduta la stessa cosa che mi sarebbe accaduta se la stessa lettera l’avessi indirizzata al Podestà fascista di Modica, anche se devo ammettere che quest’ultimo oltre a non farmi visionare gli atti, come ha fatto Buscema, certamente mi avrebbe gratificato, non con il confino, checché ne possano dire i “fascisti professionisti dell’antifascismo”, ma certamente con qualche bicchierozzo di olio di ricino: alla luce dei fatti questa mi sembra l’unica differenza, nello specifico, tra il Sindaco Buscema ed un Podestà fascista e di ciò gliene sono comunque grato.
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Ho finito di leggere, per la seconda volta, il libro di Claudio Bonvecchio “Apologia dei doveri” (Editoriale Asefi Milano 2002) e mi chiedo cosa sarebbe accaduto, a livello culturale, se tutte le organizzazioni internazionali e le Costituzioni democratiche avessero proclamato, a suo tempo, la “Dichiarazione dei doveri fondamentali dell’uomo” anziché la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”.
Certamente fu quella un’epoca in cui il potere si manifestava in termini così assoluti, violenti ed arroganti, cessata che fu ogni visione aristocratica del potere stesso, che sembrò più naturale rendere solenne la prevalenza dei diritti sui doveri.
Un riferimento ai doveri, in un clima di quel tipo, avrebbe favorito ulteriormente la violenza del potere ormai incapace di proporsi in termini aristocratici e nobili.
Nei tempi attuali, però, si va sempre più prendendo atto che la pretesa dei diritti si è talmente sganciata da ogni riferimento ai doveri da rendere impossibile la loro compiuta realizzazione proprio perché non si percepisce che il diritto di ciascuno è l’effetto diretto dell’adempimento del dovere dell’altro.
In tale situazione di fatto si verifica un atteggiamento passivo di attesa del diritto e non attivo di adempimento di un dovere, un ricevere, quindi, anziché una dare (meglio un donare) quanto dovuto.
Da un lato l’attesa del diritto che postula l’inerzia e l’essere destinatario di un’azione esterna e dall’altro, il dovere che implica un fare che produce azione verso altri ed inevitabilmente diviene onore, impegno, compito e responsabilità.
Una inerzia quella dei diritti che non fa avvertire le difficoltà dell’agire cosicché spesso si pretende a sproposito, una copertura totale dei diritti senza alcuna propria collaborazione, il che consente di trovare sempre fuori di se ogni responsabilità.
Questa situazione forse sta facendo maturare anche i tempi perché con altrettanta solennità si proclamino quelli che sono i doveri dell’uomo, non perché sia scomparsa l’arroganza del potere ma proprio perché solo quando il cittadino avrà interiorizzato il senso del dovere allora sarà possibile estenderlo anche al potere ed in particolare alle persone che in un sistema di potere diffuso ne costituiscono la struttura e ne rappresentano il modo di essere.
E’ questo che penso quando mi chiedo perché un Sindaco animato da fede cristiana, che ostenta democrazia un minuto si e l’altro pure, non senta il dovere di consentirmi di visionare gli atti della Contea
Il nostro sindaco se avesse fatto riferimento al suo dovere di consentirmi di visionare gli atti, anziché al mio diritto di ricevere l’informazione, avrebbe dovuto dare conto alla propria intima qualità di intendere il significato di dovere.
In pratica egli avrebbe dovuto chiedersi: Antonello hai il dovere di informare costui oppure no? E per darsi una risposta sarebbe stato costretto ad emettere un giudizio su di se e del proprio modo di intendere il significato di dovere.
Egli ha preferito e preferisce invece porsi la seguente domanda: Costui ha il diritto di ricevere questa informazione? E si vede che ha trovato mille motivi fuori di se per tacitare il suo dovere.
Tutto più semplice se non ha avuto il problema di tacitare un inesistente senso del dovere: sarà felice sempre.
PS.
Analoghi risultati il “Podestà Buscema” li ha ottenuti quando:
- violando lo Statuto dell’Ente Liceo convitto e senza il minimo rispetto del suo presidente, tra revoche di delibere cui l’ho costretto e sue democratiche interpretazioni e stratagemmi burocratici finì per imporre la stessa persona che aveva dato inizio alla querelle, nel direttivo dell’Ente;
- da me denunciato per aver violato la legge che prevede, da parte del Sindaco, l’obbligo della relazione annuale al Consiglio comunale (ne ha prodotte due anziché 5) l’unica cosa che ho ottenuto è stato l’invito da parte della Regione Sicilia, a rispettare i termini “rammentando che le ripetute e persistenti violazioni (cioè mai) degli obblighi previsti saranno determinanti per l'applicazione dell'art. 40 della Legge n. 142/90, così come recepito e modificato dall'art. 1, lettera g) della L.R. n. 48/91..” [L’art. 40 della Legge 142/90 (Rimozione e sospensione di amministratori di enti locali]
Come a dire che cambiando l’ordine dei sistemi, comunisti, fascisti e democratici, con le persone “giuste” al governo, il prodotto non cambia. (Dialogo febbbraio)
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Elezioni comunali
Grillini! avanti tutta!
Dalla padella democristiana alla brace socialcomunista e poi dalla padella di Torchi alla brace di Buscema, ed ora? Vediamo di ragionare per punti.
Solo che ci si soffermi a riflettere su quanto hanno cominciato a dichiarare i candidati sindaci di Modica, nella schermaglia che è iniziata in vista delle prossime elezioni comunali del prossimo mese di maggio, appare fin troppo evidente come a Modica non ci si allontani dalle forme stereotipate che ci hanno annoiato negli ultimi vent’anni.
Il fatto più sconfortante è costatare la perseveranza con la quale, nonostante la sciagurata situazione in cui è stata ridotta Modica, in ogni tornata elettorale si replica il rito della proposizione di programmi e ricette, prelevate con il “copia ed incolla” da quanto, negli anni, è stato scritto nei programmi elettorali, nelle dichiarazioni programmatiche e nelle relazioni al Consiglio comunale dei vari Sindaci.
L’attenzione dei politicanti, con la complicità di un elettorato certamente disattento o costretto perché incaprettato dal Don Calogero di turno, è rivolta a proclamare quanto sarà fatto e non a spiegare, in termini credibili, quali sono i segni che possano evidenziare le loro capacità di governo e dimostrare così infondato il legittimo rilievo che è stata la loro cultura politica e quella dei partiti ed aggregazioni dalle quali provengono ad aver distrutto Modica.
L’elemento che risalta è la sproporzione tra la grandiosità dei progetti che il politicante, in forma solenne afferma che realizzerà da sindaco e la solare pochezza che scaturisce dalle loro qualità culturali, politiche e dai risultati ottenuti e capacità dimostrate nel campo politico, amministrativo e non solo.
Questa pochezza si riscontra anche nel linguaggio da loro utilizzato così inadeguato alle loro qualità da offrire l’immagine di persone che quando parlano di programmi non sanno di cosa parlano.
Da qui l’uso di termini come “rimodulazione […] rimodulazione sinergica […] Costruire il proprio domani […] sistema economico euro mediterraneo […] Modica merita il ruolo di capofila nel Sudest e non solo […] una città a costo zero […] passare dalla “Protesta” alla “Proposta” […] Sono queste le “parole magiche” di una sfida vincente […] l’inclusione nel corridoio di cooperazione Helsinky-Malta […] verso importanti obiettivi strategici”.
Ma questo è un solo assaggio di quanto hanno dichiarato, su www.radiortm.it, Giorgio Cerruto, Mommo Carpentieri, Ignazio Abbate, che allo stato attuale sono gli unici candidati sindaci, ecco perché consigliamo la lettura integrale dei loro interventi per poterne meglio constatare la evanescenza e la grandiosa inconsistenza di chi ha solo voglia di “enormità”.
Alle “dichiarazioni programmatiche” di questi, “cani sciolti della politica modicana”, sempre che qualche “accalappiacani” prima delle elezioni non li riconduca nell’ambito della “Confraternita”, (1) occorre aggiungere il primo “annuncio” del PD di un percorso programmatico aperto ed innovativo (2) dopo il miracoloso quinquennato Buscemiano, tanto miracoloso che si è, però deciso di licenziare l’autore di tanti miracoli invitandolo a miracolare altrove. (3).
Procedendo con il metodo deduttivo appare banalmente consequenziale che se da vent’anni, candidati e partiti ripetono le stesse cose è perché esse non sono mai state affrontate e risolte. (4)
Se poi ci si sofferma sulla natura e qualità dei problemi dei quali si propone la soluzione e sull’arco temporale in cui essi sono rimasti in evidenza, si ricava un secondo dato di fatto: siamo in presenza di problemi tanto sistematicamente trascurati da essere divenuti “obbligatori” perché vitali, ma anche prova della persistenza di un malgoverno di lunga durata indicante la responsabilità di tutta la classe politica modicana che almeno dal 1985 ai giorni nostri si è avvicendata al governo della città; nessun partito escluso, e meno che mai quella Democrazia Cristiana che al culmine della sua politica clientelare, caratterizzata da miasmi interni di partito, ebbe, prima (1985), a consegnare Modica ad un lunghissimo governo social comunista, per poi (2002) metabolizzare tangentopoli riciclandosi prevalentemente nel grande contenitore del cosiddetto centrodestra che ha inquinato con la cultura della peggiore democrazia.
Adesso, nel momento in cui si avverte, chiara, la sensazione di aver raggiunto il punto più basso della nostra storia è d’obbligo porsi una domanda: perché il modicano ora, nel 2013, dovrebbe ritenere credibile un’offerta di governo da parte di una cultura politica che di affidabili e certi ha solo i fallimentari e devastanti risultati ottenuti?
Una risposta spontanea sarebbe quella che i politici che la propongono sono diversi dai precedenti.
Ma è un problema di diversità di persone che dobbiamo verificare, oppure la presenza di una diversità di cultura e di modo di essere?
Sono riscontrabili anche labili segni perché Giorgio Cerruto, Mommo Carpentieri, Ignazio Abbate, possano essere indicati come espressione di una cultura politica diversa da quella che ha già distrutto Modica?
E’ certo, invece, che siamo nel vecchio sia in termini di uomini che di culture e di programmi. E’ questo il mondo consunto, incapace e politicamente mediocre che ha fatto esplodere anche a Modica il fenomeno dei grillini come unica reazione possibile, benefica e risolutiva rispetto ai risultati del sindaco peggiore, Torchi, e del sindaco insignificante Buscema, per limitarci agli ultimi dieci anni.
Come è solo la Juventus che può perdere il campionato, così è solo il Movimento 5 stelle che può perdere il Sindaco di Modica. Ma se nel livello nazionale, Grillo è ottimo garante, nel livello comunale, a Modica, solo un candidato sindaco che garantisca di interpretare alla perfezione il clima antagonista dei “Grillini” può davvero mandare a casa questa ignobile classe politica.
E questo candidato sindaco non avrà necessità di mettere insieme tante belle parole come hanno fatto Giorgio Cerruto, Mommo Carpentieri, Ignazio Abbate; per mettere su un progetto di governo, sarà sufficiente far comprendere ai modicani di essere in perfetta sintonia, in termini di qualità caratteriali e culturali, con questo vento di rivolta che si rivolge, senza violenza apparente, contro questo potere, contro questa mediocrità politica che in questi ultimi anni ha dimostrato la sua totale inettitudine e che ancora si attarda a difendere, dai torrioni della “Cittadella” che in questo secondo dopoguerra ha costruito per proprio uso, gli interessi economici, personali, di clan e di congrega.
Questo candidato sindaco deve dire poco, meglio, deve tacere, ma deve avere un curriculum caratteriale tale che ogni modicano possa dire: questo non scherza.
E’ maturato finalmente un clima che noi, sin dai tempi del “Sindaco peggiore”, avevamo propiziato e sperato che si avverasse. Adesso si può essere ottimisti; è solo questione di tempo perché ci si avvii verso un nuovo mattino.
Ci siamo, a nulla varrà l’attività subito avviata per demolire Grillo sparlando di conti all’estero, non escludendo che inventeranno magari l’esistenza di 252 sue amanti sparse nel mondo, oppure faranno riferimento alla sua origine di comico che invece farà apprezzare quanto demenziale e subdolo è l’assunto dei difensori della “Cittadella della vergogna” secondo i quali i “Grillini” non hanno esperienza di governo; e lo dicono loro, stiamo pensando ai vari senatori Scivoletto, Peppe Drago, Carmelo Ruta, Piero Torchi, Antonello Buscema, Saverio Terranova, Riccardo e Nino Minardo e tanti altri la cui “grande capacità di amministratori” ha distrutto la nostra città.
Il modicano dovrà, quindi scegliere tra la “impreparazione amministrativa” dei “Grillini”, si quella ingenua, innocente “impreparazione”, che è bellissima perché essendo radicata nella consapevolezza del sublime ed umile “io so di non sapere” realizzerà un’azione di governo disincantata certamente foriera di risultati amministrativi onesti e pieni di buon senso, oppure potrà insistere a votare la “marpiona capacità amministrativa” della classe politica uscente della quale sono certi e collaudati i risultati negativi e devastanti.
Grillini! avanti tutta!
(1) Sempre che non si tratti di auto-candidature di una iniziale bagarre, organizzata da chi ogni modicano conosce per tirare la voltata ad altri che usciranno fuori nel momento della volata.
(2) Buscema non è stato aperto ed innovativo a sufficienza?
(3) Oppure Buscema ha obbedito alla logica “no Roma?.... no Modica!”
(4) Per constatare questa monotonia disarmante si legga “Ieri assemblea del PD. Analizzate recenti consultazioni elettorali e lanciate priorità per la città” in www.radiortm.it del 11 marzo 2013
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Verso l’ultimo sindaco
Tutta la storia della Modica repubblicana, ma anche quella fascista, è caratterizzata da qualità politiche, progetti, atteggiamenti mentali, grumi di interessi privati e di clan, personaggi, eventi, comportamenti politici e culturali che sono legati da un chiaro e diretto rapporto di causa ad effetto con le devastazioni presenti nella Modica Antonelliana del 2013.
Con questi riscontri si assume la consapevolezza che il periodo Antonelliano vede compiersi ciò che Evola diceva nel 1950 “Devesi riconoscere poi che la devastazione che abbiamo d'intorno è di carattere soprattutto morale. (...) il cedimento del carattere e di ogni vera dignità, il marasma ideologico, la prevalenza dei più bassi interessi, il vivere alla giornata, (...) È inutile crearsi illusioni con le chimere di un qualsiasi ottimismo: noi oggi ci troviamo alla fine di un ciclo.(…) Ciò che solo conta è questo: noi oggi ci troviamo in mezzo ad un mondo di rovine.. (…)
Il problema da porsi è: esistono ancora uomini in piedi in mezzo alle rovine? E che cosa debbono, che cosa possono essi ancora fare? (…) Riconoscere questo, significa anche riconoscere che il problema primo, base di ogni altro, è di carattere interno: rialzarsi, risorgere interiormente, darsi una forma, creare in sé stessi un ordine e una dirittura.”(1)
Servirà un “ricominciare da capo, tornare indietro e recuperare ciò che si è perduto. Perciò oggi il progresso può significare solo reazione. L'unico modo di essere progressisti è di essere reazionari. (3)
Perché tutto ciò accada occorre del tempo: occorre che l’attuale percezione di decadenza si trasformi in consapevolezza della fine, stato culturale necessario per individuarne natura e responsabilità e, quindi, poter avviare processi rigenerativi che consentano di distinguere il mediocre dal normale.
La riflessione sulle qualità politiche dei candidati sindaci, (Carpentieri, Cerruto, Giurdanella, Pitino, Giunta, Abbate) che quando non sono direttamente responsabili delle devastazioni della nostra città, vantano risultati, nel governo della cosa pubblica, meno che normali, risibili ed inconsistenti, ci fa pensare che forse neanche questa sindacatura sarà sufficiente per far maturare il risveglio. E se non ci meraviglia la grossolanità, superficialità e la inadeguatezza dei propositi annunciati e del modo di porsi dei candidati sindaci politici di lungo e breve corso (Carpentieri, Cerruto e Giurdanella) dobbiamo purtroppo riscontrare che i restanti candidati evidenziano, nelle loro dichiarazioni, modi e criteri di ragionamento che appartengono alle categorie dello spirito che hanno determinato la devastazione morale, economica e culturale della nostra città; in alcuni di quest’ultimi sono presenti anche inquietanti antiche e poco politicamente raccomandabili amicizie “Riccardiane”, più recenti devastanti propensioni “Montiane” ed infine la presenza del partito che batte tutti gli altri solo per i precedenti penali. Né può far sperare di meglio la eventuale candidatura a sindaco del Pdl di Giovanni Migliore, le cui qualità di persona per bene, impegnata e capace, verrebbero a trovarsi in un incapacitante conflitto con la mediocre qualità politica ed i consolidati grumi di interesse di clan e clientelari del potere economico modicano.
In altre parole se è vero che siamo alla fine è altrettanto vero che non è possibile immaginare quanto durerà questa fine. Le elezioni comunali del prossimo giugno posizioneranno la nostra città in quel luogo politico culturale in cui devono maturare i tempi e le condizioni per il risveglio.
I modi, le alleanze ed i programmi che annunciano il nuovo governo della città non contengono alcun segno di discontinuità con le qualità politiche che hanno creato le devastazioni attuali. La stessa grandezza di Modica che viene evocata, nella già iniziata campagna elettorale, è solo una operazione di marketing elettorale secondo lo stesso schema millantatore che utilizzò Piero Torchi Lucifora (2002), esaurendolo nell’immagine del “Sindaco peggiore” ed in quello di Antonello Buscema la cui qualità di governo, subito dopo la sua elezione (2008), manifesterà una incredibile insignificanza e (forse inconsapevolmente) arrogante e fondamentalista imposizione del modello della “Domus Sancti Petri”.
Oswald Spengler sostiene, completando il concetto di Evola, che ogni civiltà è paragonabile ad un organismo vivente e come tale nasce, vive e muore. (3)
Questi candidati sindaci, rimasuglio di una cultura politica morente, si attardano a presidiare i camminamenti, tra un torrione ed un altro, del fortilizio modicano che in questo dopoguerra è stato costruito dall’intreccio di interessi economici, personali, di clan e di congrega.
Ma come ogni organismo malato anche a Modica (come in Italia) si sono attivati gli anticorpi in quel tentativo di ripristinare le devastazioni procurate dalla malattia e tali sono i grillini modicani che stanno appoggiando, per un decisivo assalto, scale al fortilizio della “Cittadella municipale”, e con cavalli di Frisia hanno già cominciato a picchiare contro il portone di Palazzo San Domenico; hanno pure scelto come guida e candidato sindaco Andrea Sansone, più vittoriese che modicano, ma è difficile prevedere il risultato dei grillini, perché tali processi sono una incognita considerato che l’efficacia dell’azione degli anticorpi dipende dallo stato generale dell’organismo malato e noi temiamo che i “filistei” che osservano dall’alto dei torrioni sono talmente malati d’aver prodotto anticorpi inadeguati.
I grillini devono dimostrare di essere un progetto antagonista rigeneratore, un progetto altro e non il frutto naturale di un organismo in decomposizione; non dobbiamo dimenticare che siamo in presenza di uno schieramento politico che solo quando ha sentito i morsi della crisi economica sulla sua pelle, si è accorto che gli onorevoli erano troppi, scialacquavano denaro pubblico e percepivano stipendi e rimborsi e prebende incredibili, privilegi criminali che hanno esercitato indisturbati per decenni.
A loro la storia, come accadde con l’Uomo qualunque, assegna il compito, comunque utile, di far maturare prima la fine: il risveglio è altra cosa.
Note
(1) Evola J., Orientamenti. Prefazione di Marcello veneziani, edizioni Settimo sigillo, Roma 1987
(2) Panfilo Gentile, Prefazione a “Apologia della reazione”, di J. P. D’Assac, edizioni Il Borghese, Roma 1970
(3) Oswald Spengler, Il tramonto dell’occidente, Guanda editore, Parma, 1995
(Dialogo aprile 2013)
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Del conflitto e della violenza
E’ dal febbraio 2013 che cerco di organizzare uno scritto capace di fare chiarezza dentro di me agli interrogativi che Giovanni Rosa è riuscito a scatenarmi dentro con lo scritto “Sottovoce”, (DIALOGO Febbraio 2013) con il quale ha risposto (...per le rime) ad una mia “Lettera” [“... o pane e cipolla?”, in DIALOGO gennaio 2013] che a sua volta era stata una mia, lo ammetto, stizzita reazione ad alcune sue critiche al mio modo di interpretare la realtà politica modicana [“Il pane e le rose”, in DIALOGO Dicembre 2012]. (1)
Egli, con tale scritto, ha riesumato in me un antico e mai risolto “conflitto” interiore, che ha accompagnato (ed accompagna) il mio modo di essere cristiano, tra il fondamentale messaggio del Maestro “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 44-47); e:
- "Sia il vostro linguaggio: sì, sì; no, no; il superfluo procede dal maligno" (Mt 5,37);
- “Poi Gesù entrò nel tempio e ne scacciò tutti quelli che vendevano e compravano nel Tempio, rovesciò i tavoli dei cambiamonete e i seggi dei venditori di colombe, …”; (Mt 21, 12-13)
- "Razza di vipere, scribi e farisei, sepolcri imbiancati!" (Mt 23, 25, 27, 29, 33).
La realtà, e la storia della Chiesa, ci dicono che "Sia il vostro linguaggio: sì, sì; no, no” è divenuto un ‘luogo limite’ per due schieramenti, culturalmente pigri: il primo lo rifiuta perché comprometterebbe l’obiettivo di utilizzare l’amore per distruggere l’odio, ovvero far prevalere un amore più forte della forza dell’odio; più ardente, più implacabile, più fedele; il secondo, invece, per farne vessillo di ingiustificabile intransigenza. Entrambe le posizioni, quindi, nonostante la evidenza, non avvertono, oppure negano, la esistenza del ‘Conflitto’, con il concreto rischio di creare due “fondamentalismi”.
In tale, a prima vista inconciliabile contrapposizione, pur con moltissimi dubbi, io vedo, invece, che l’orizzonte generale e primario dell’amore per il prossimo e per il nemico viene temperato da una decisa severità, che dà a tale principio un senso ed uno spessore e permette al dovere di perdonare il fratello che pecca contro di noi non sette “ma settanta volte sette” (Mt 18, 21) di armonizzarsi con l’altro dovere di porgere l’altra guancia (Mt 5,39), senza però, proprio per la determinazione con la quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio, assegnare al cristiano anche il “dovere” di farsi schiaffeggiare eternamente.
Pur immaginando la sublime bellezza (santificante) che può provocare nell’uomo il praticare quello che appare l’impossibile dovere cristiano di amare non solo il prossimo ma addirittura il nemico, io non riesco ad andare oltre l’umana eliminazione totale, senza se e senza ma, di ogni forma di odio avviandomi in sentimenti in cui l’amore, quando diminuisce va sfumando su posizioni di totale indifferenza, distanza e distacco.
Ciò non toglie che io non apprezzi o non abbia addirittura “nostalgia” e forse invidia dei sentimenti buonisti di Giovanni Rosa capaci di “posare uno “sguardo affettuoso” sul mondo, sempre meraviglioso, nonostante la sua estrema problematicità”. Ma in tutto ciò io vedo solo ed esclusivamente dei percorsi individuali che mi sembrano incapaci, però, di provocare palingenesi culturali nel sistema di potere, quando addirittura l’atto di amore non viene utilizzato dal sistema come utile atteggiamento di rassegnazione per consolidare sistemi generalizzati di sopraffazione.
Giovanni Rosa mi propone un modello interpretativo della realtà che si rifà ad una diversa sensibilità e mi invita ad essere “più “benevolo” nel considerare che esistono punti di vista diversi, senza obbligo di serrate dimostrazioni giustificative. Perfino nel valutare l’Amministrazione di Antonello Buscema!” Ma per verificare la benevolenza occorre che sia chiaro l’oggetto della benevolenza ed è pur vero che per rimproverare alle mie analisi il ricorso “a teoremi infallibili e a sillogismi ineluttabili” sarebbe stato necessario un qualche tentativo di confronto.
Nonostante lo sforzo di definire la qualità politica attraverso l’analisi dei fatti amministrativi, politici e di governo da essa prodotti mi sono visto criticare solo ed esclusivamente per gli aggettivi utilizzati (2) senza mai confutare l’essenza delle analisi. Siamo nel dominio di chi non riesce ad alzare lo sguardo oltre il dito che indica il cielo, atteggiamento culturale tipico di chi ritiene che per analizzare e valutare lo Stato sociale realizzato dal regime fascista occorre prima, necessariamente, dichiarare guerra alla Francia, all’Inghilterra, agli Stati uniti d’America ed approvare le leggi razziali.
Ovviamente le mie argomentazioni o deduzioni sono opinabili ed è per questo che hanno inventato il contraddittorio, senza quest'ultimo le cose rimangono come sono ed ogni accusa di "preconcetta ostilità" ed ancor meno, di non benevolenza, per chi come me si ritiene un libero pensatore, hanno la identica valenza delle mie ‘categoriche’ e mai contraddette deduzioni. E’ Antonello Buscema che pur trovando il tempo ed il modo di chattare nei blog cittadini su insignificanti (confermo: insignificanti!) argomenti di bassa politica non ha trovato il tempo di proporsi se non con repliche estranee alla sostanza delle critiche avanzate. (3)
Se Antonello Buscema il 13 aprile scorso, anziché presentarsi alla fine del convegno organizzato da ‘I ricostruttori’ di Modica presso la Domus S. Petri, avesse assistito a tutte le relazioni sul tema : “Il conflitto e le sfide della non violenza. Un itinerario dalla natura all’arte allo spirito”, avrebbe appreso che la violenza nasce anche nel momento in cui si nega il conflitto che si materializza non permettendo agli altri di essere se stessi perché è dove non c’è parola che risiede la violenza perché il riconoscimento dell’altro è sempre terreno di lotta e perché il pensiero separa al contrario dell’emozione che unisce. Prendere atto che esiste un “conflitto” significa già contrastare la propria superbia, il resto verrà da se. Antonello Buscema ha negato il conflitto e, sarò irrecuperabile, ma devo dire che non ho il timore di essere isolato perché ritengo vero quanto ho letto da qualche parte, tempo fa, (Bino Sanminiatelli?) “non si è mai soli quando si ha per compagnia il silenzio, soli si è solo quando la nostra anima ci ha abbandonato”.
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Giovanni Rosa in maniera efficace con le sue parole disegna uno scenario che pur provocando in me una profonda attrazione e desiderio di realizzazione, supera anche la venerazione che io nutro per l’utopia come “concreto” orizzonte che costringe a pensarla alla grande, per finire in un mondo in cui si mira a percorsi di crescita spirituale individuale incapaci di produrre effetti sulla società. Così le stesse considerazioni espresse sul mio non essere un buonista e sulle mie note caratteriali, possono essere solo buone per individuare le nostre diversità ma non certamente per confutare l’oggetto delle mie analisi che Dio solo sa quanto mi piacerebbe venissero contestate nella loro essenza.
Anche il “Convegno” che ho citato, davvero importante e ben organizzato, ha fornito moltissimi spunti di meditazione e di riflessione che, però appaiono indicare solo dei percorsi individuali o di gruppi ristretti, spesso molto ristretti, che sembrano soddisfare la pur utile crescita spirituale di ciascun membro della Comunità senza mirare all’obiettivo fondamentale in cui ogni trasformazione interiore deve costituire il presupposto necessario per ogni azione rivolta all’esterno, perchè prioritario deve essere l’ambiente comunitario perchè gli scopi della Comunità sono più penetranti, soprattutto in riferimento ai destini ultimi dell’uomo e dell’universo.
E’ per quest’ultime valutazioni che un simile convegno andrebbe aperto ai sociologi, anche per indagare le relazioni, accennate nel “Convegno”, dell’uomo con il cosmo cui gli animali provvedono con codici di autoregolamentazione e che, invece, l’umano pur essendone in possesso, trova difficoltà a riconoscere e realizzare.
Cosicché ci si muove tra il totalitarismo “ideologico” di chi affida alla maturazione di comportamenti consapevoli in ciascun individuo i problemi della Comunità, trascurando per cecità culturale, i fondamentali aspetti antropologici dell’uomo associato connessi alla sua natura e chi, di contro, preso atto della scarsa efficacia dei processi di crescita individuali sul governo delle masse, per fini di dominio, ricorre all’utilizzo delle ormai collaudate tecniche di manipolazioni e condizionamento collettivo.
Si avvia così un processo in cui i primi diventano utili idioti dei secondi, potendo la storicamente dimostrata, e dimostrabile, sterilità pratica dei percorsi individuali di avviare processi virtuosi e determinanti nel sociale, posizionare i secondi su atteggiamenti mentali di disprezzo delle masse abbandonando ogni ansia di difesa della Comunità intesa come parte di un tutto, unico luogo in cui la crescita spirituale della persona può esplicare le sue enormi potenzialità.
E così mentre Antonello Buscema aspetta che maturi, dolcemente, nei cinquantamila cittadini modicani la consapevolezza che i rifiuti devono essere differenziati e l’auto non deve essere lasciata in doppia fila, il disordine del traffico aumenta, l’immondizia riempie le strade, la relativa tassa incide maggiormente sulle finanze delle famiglie modicane che cristianamente possono morire di fame.
(1) Avevo concepito questo scritto come risposta privata all’invito che mi aveva fatto Giovanni Rosa nel febbraio scorso attraverso le colonne di DIALOGO. Poiché le argomentazioni mi sembrano di interesse generale e non inconcludenti botte e risposte, ho pensato di pubblicarlo.
(2) Rileggendo quanto ho scritto nel tempo mi rendo conto che il linguaggio da me utilizzato può essere percepito come violento, anche se per essere tale dovrebbe essere dotato di una cattiveria che non ha, come non ne aveva il rimbrotto seguito da un “le farò avere tutti miei libri in merito” che p. Giovanni Salonia, nel convegno citato, ha rivolto, facendolo arrossire, al Prof. Giuseppe Barbiero dell’Università della valle d’Aosta che aveva espresso qualche riserva sulla “Gestalt Therapy” della cui scuola il Salonia è membro del Comitato scientifico. Ma anche un mio aggettivare la tesi di p. Giovanni Salonia secondo il quale rispetto ai matrimoni del passato, combinati dai genitori e che si mantenevano sulla paura, la situazione attuale sarebbe migliore perché le separazioni avvengono perché i coniugi assumono la consapevolezza di non poterlo vivere in Dio, potrebbe provocarmi qualche accusa di violenza. E’ vero, invece, che la violenza intellettuale è certamente un argomento complesso sia perché, pensandoci bene, la violenza potrebbe essere figlia della mancanza di contraddittorio sia perché essa dipende dal carattere di chi la porrebbe in atto e dalla sensibilità e dal comportamento del destinatario.
(3) Per avere consapevolezza di cosa stiamo parlando si veda l’ampia documentazione che riguarda il rapporto DIALOGO-Antonello Buscema che ho raccolto in www.labibliotecadibabele.net
Carmelo Modica
(Dialogo Maggio 2013)
La struttura burocratica al servizio della politica e non del cittadino (*)
La evoluzione quantitativa dell’organico del personale in forza alla struttura burocratica del Comune di Modica, ci indica che esso, più o meno costante nei primi decenni del secondo dopoguerra, dal 1980 inizia una rapida salita ed in appena 12 anni (1992) si raddoppia, passando da 434 a 875.
Riconosciamo che il grafico qui riportato è solo indicativo perché privo dei dati necessari per uno studio approfondito, al quale abbiamo rinunciato per non compromettere la salute del nostro fegato già messa a dura prova, per ricerche di minore complessità, da una scassatissima struttura burocratica del Comune.
Uno studio accurato avrebbe richiesto anche riferimenti alla esternalizzazione o gestione diretta dei servizi comunali, ma anche se esso presenta queste carenze i dati raccolti ci appaiono sufficienti per farsi una solida idea circa la funzione che la direzione politica, nel tempo, ha assegnato alla struttura burocratica. Infatti, il grafico dà sostanza all’idea che la struttura burocratica è stata considerata, da tutte le forze politiche, strumento fondamentale di clientelismo. Non può essere un caso che le impennate più vistose dell’organico del personale avvengono nel 1980, nel 1993 e nel 2009 come a ‘timbrare’ l’inizio di ben determinati periodi storici: il Terranoviano, il socialcomunista ed il Buscemiano.
E se queste impennate dell’organico sono evidenti, altrettanto non è stato per la qualità dei servizi resi dal Municipio alla Comunità che non ha avvertito alcun miglioramento.
A disastro finanziario del Comune realizzato, ciascuna delle forze politiche storiche della città ha cercato di attribuire a quelle avversarie le responsabilità del disastro stesso con argomenti stucchevoli ed inconsistenti da un punto di vista argomentativo.
Illuminante, ai fini di verificare la reale funzione che la classe politica modicana ha assegnato alla struttura burocratica, è uno scambio tra due esponenti politici che appartengono ai due schieramenti politici che si sono alternati nel governo della Modica repubblicana: Il prof. Saverio Terranova ed il dott. Franco Di Martino. Discutendo delle cause del disastro economico del nostro Comune, l’esponente social comunista attribuisce lo stesso ai governi a guida democristiana che, alla fine degli anni ’70, con una serie di concorsi incrementò l’organico del personale fino a fare incidere i relativi costi nella misura dell’80% sulle spesa corrente iscritte a bilancio.
Precisa Di Martino: “Verso la fine degli anni ‘70 lo Stato bloccò, attraverso il decreto “Stammati”, le assunzioni di personale di ruolo. Gli Enti potevano solo assumere personale precario trimestralmente. Nel 1981, durante l'Amministrazione Terranova (DC) la situazione delle assunzioni fu sbloccata e il Comune di Modica mise mano all'elaborazioni della dotazione organica.[…] La dotazione organica doveva prevedere un dipendente ogni 100 abitanti. Tuttavia la Regione consentiva l'assunzione del personale per i servizi di nuova istituzione. Per questo l'Amministrazione Terranova elaborò una pianta organica di oltre 1000 dipendenti (500 in più, dato che la popolazione di Modica era di circa 50.000) raddoppiandone il numero. […] nel periodo ‘89-‘90 la spesa per il personale ammontava a circa l'80% della spesa corrente. […] è stato assunto un numero eccessivo di personale anche in settori dove obiettivamente non c'era bisogno. Per esempio, il Comune ha assunto cuochi pur non avendo le cucine, guardarobieri piscina, quando la piscina nemmeno c'era, meccanici senza avere l'autoparco. Si pensava all'assunzione prima ancora della creazione della struttura. In definitiva si è trattato di assunzioni clientelari funzionali a interessi di partito. […] il blocco delle assunzioni avvenuto nuovamente alla fine degli anni ‘80 ha costretto, per alcuni settori, ad affidare a terzi la gestione del servizio, come la nettezza urbana. Naturalmente l'esternalizzazione ha comportato ulteriori costi e ha favorito l'attività clientelare. […] (1)
Franco Di martino è abbastanza esplicito anche sui veri scopi dell’aumento dell’organico “Non ci sono dubbi che la politica sia stata di tipo clientelare. La Democrazia Cristiana, partito di maggioranza assoluta, doveva assumere personale per favorire il consenso del partito. L'operazione fatta sostanzialmente dalla giunta Terranova ha avuto il merito - spiega - di sistemare il personale precario e di sopperire alle carenze in alcuni settori; ma spesso, si è andati oltre le reali necessità. […] Il personale ha avuto anche una funzione politica perché in base al posto occupato ed in rapporto al tipo di amministrazione ha creato problemi o ne ha favorito la soluzione. Il corpo del personale ha avuto storicamente un peso. All'epoca della DC c'erano, per esempio, alcuni dipendenti che facevano riferimento all'On. Nino Avola, altri al prof. Saverio Terranova. C'erano dipendenti che erano anche nel direttivo di partito. Questo sul piano teorico è accettabile, scandalizza per l'influenza che aveva sulla gestione dell'ente”. (2)
In effetti Di Martino conferma ciò che ci ha tramandato la vox populi; Il clientelismo della democrazia cristiana è stato epico, ne erano piene le discussioni che avvenivano mentre si sorbiva un caffè nella storica “latteria” di Corso Umberto ed in particolare sui concorsi realizzati nel periodo Terranoviano; ne bisbigliavano alcuni amici di cordata di questa o quella corrente democristiana; a volte si sparava grosso nei continui litigi fra avoliani e terranoviani. Ed è contro questa leggenda metropolitana che il prof. Terranova Saverio mostra di essere preoccupato quando cerca di argomentare il suo contestato corretto agire con un apodittico: “Ho fatto tutto in regola.[…] I concorsi banditi dall’amministrazione DC furono molti in esecuzione di un preciso disposto della Regione […] La pianta organica fu approvata dalla Commissione di controllo e dalla Commissione regionale di finanza locale.”(2)
Poi il suo ‘maldestro argomentare’, invece, a noi sembra alimenta i dubbi che l’immaginario collettivo ci ha tramandati. Egli, infatti dice che “ci furono molti concorsi. C'era gente della mia corrente e di quella di Nino Avola, ma non so cosa si facesse nelle altre segreterie. Avevo di sicuro un occhio di riguardo ma - precisa - mai ho violato la serietà dei concorsi. Basti vedere i vincitori del concorso per vigili urbani: non è entrato l'autista di Nino Avola; e in quello di dattilografi non è entrata la mia segretaria.” (2)
Questa ‘difesa’, a noi pare evidenzi una tara ‘culturale’ di fondo che consiste nel voler considerare alcuni metodi adeguati e giusti alle esigenze della politica. Infatti, sarebbe davvero interessante sapere in quale maniera il Nostro attuava “un occhio di riguardo” senza violare la serietà dei concorsi: si limitava ad asciugare il sudore dei concorrenti cui destinare il suo occhio di riguardo?
Poi, forse percependo la non linearità del suo ragionamento, aggrava lo stesso affermando in pratica che il metodo dell’”occhio di riguardo” era un metodo normale poiché “le commissioni erano formate da membri della maggioranza, dell'opposizione e dei sindacati, per cui c'era un'ampia vigilanza. Sicuramente anche questi avevano le mani in pasta nei concorsi, cercando di inserire chi potevano.” (2)
Attenzione particolare merita quel “c'era un'ampia vigilanza” tra i membri delle Commissioni di concorso perché tale allocuzione autorizza a pensare che si realizzava fra loro una forma di reciproca ‘indulgenza’ (o spartizione?) mentre quel “Ma, ripeto, mai, che io sappia, vi furono irregolarità” a noi appare come il ‘difensivo rafforzativo’ ad un’accusa che egli teme potrebbe essere percepita come vera, tanto che come a volerne sminuire il valore conclude con un evasivo “Ma l’amico Di Martino lasci questa giustificazione ai politici del PCI, che, non capendo nulla di finanza pubblica, possono dire tutte le sciocchezze che vogliono” (3), lasciando a noi il grande dilemma su come si possa “capire di finanza” e ridurre Modica in queste condizioni.
Da un lato una Democrazia Cristiana che attribuisce le responsabilità del disastro all’allegra gestione finanziaria dei governi social-comunisti e berlusconiano (torchiano), ovvero ai governi Post-democristiani (dopo di me il diluvio), e dall’altro l’incremento democristiano del personale degli anni ’70 ‘80 che ha ingessato il bilancio comunale.
Questo spiega perché Di Martino non fa alcun riferimento alle impennate dell’organico nel periodo social-comunista, indicate dal grafico, mentre il Prof. Terranova preferisce evidenziare le spese folli accennando solamente e, quasi benevolmente, agli aumenti di personale in periodo Post-democristiano sostenendo che “durante la sindacatura di Torchi i lavoratori socialmente utili assunti dalla Regione furono stabilizzati dal Comune che adeguò gli stipendi alla mansione ricoperta […] Buscema confermò la scelta per motivi di carattere umano […]. a questo va aggiunto il personale assunto nella Multiservizi e nella Rete servizi: oltre 100 unità.” (4)
Noi siamo tra coloro che non capiamo nulla di finanza ma ‘a fimminina’ intuiamo che bloccare l’80% delle spese correnti di un bilancio con gli emolumenti al personale è politica folle, anche rispetto alle spese allegre, perché quest’ultime incidono nell’istante e, quindi, possono essere rimodulate ed eliminate nei tempi brevissimi, mentre quelle del personale incidono nei tempi lunghi ed irrigidiscono il bilancio impedendo qualsiasi iniziativa di buon governo.
Entrambi i politici, poi, fanno un continuo riferimento alla esistenza delle leggi che davano la possibilità di indire i concorsi o stabilizzare il personale. Un riferimento proposto come se tali leggi imponessero concorsi e stabilizzazione del personale e non fosse stato possibile, invece, ricorrere ad altre modalità più economiche e più flessibili per espletare i servizi comunali nell’ambito di una sana ed organica politica di bilancio.
Tutto ciò dimostra l’ansia della classe politica della Modica repubblicana al clientelismo. Compresa quella social comunista che nel 1985 dovette combattere contro una consolidata struttura burocratica amica e porta-voti della Democrazia cristiana. e lo fece come potette; ma è pur vero che essa aveva, negli anni precedenti co-applicato la “regola 2-1-1”; in virtù di tale regola l’assunzione di personale all’Azasi prevedeva che si assegnassero due posti ai democristiani, uno ai socialisti ed uno alla camera del lavoro (comunisti). Questa regola che la voce del popolo ci ha tramandata non può essere liquidata come congettura perché solo un simile ‘arruolamento’ può spiegare il senso di una Azasi la cui nascita, vita e morte provano come quella che appariva un’ottima iniziativa di sviluppo in effetti maturò solo ed esclusivamente come carrozzone politico, tanto che chiuse i battenti solo per esaurimento della missione clientelare che le era stata assegnata dalla politica.
Il Comune è Istituzione protetta dalla nostra Costituzione altrimenti avrebbe fatto la stessa fine.
Carmelo modica
(*) Il Clandestino nei numeri di maggio ed ottobre 2013 pubblica una inchiesta di Piero Paolino e Rossana Spadaro, nella forma di interviste ed articoli nella quale raccoglie il pensiero del Prof. Saverio Terranova esponente della Democrazia cristiana e del dott. Franco Di Martino, esponente del fronte social comunista in merito alle responsabilità sul disastro finanziario che si è venuto a determinare nel Comune di Modica. Da essi noi abbiamo tratto gli elementi utili ad illustrare la funzione che la classe politica ha attribuito alla struttura burocratica nella Modica repubblicana, ma ne suggeriamo l’attenta lettura perché risulta davvero illuminante anche per quanto riguarda il modo di governare di una classe politica che definire mediocre appare riduttivo.
(1) Dipendenti e politica. Due ambiti da non mescolare. Dai primi anni ‘80 alla situazione attuale, il parere di Di Martino (Clandestino maggio 2013)
(2) Dietro le casse in rosso spunta il clientelismo (Clandestino maggio 2013)
(3) Saverio Terranova: ecco la mia versione sui dipendenti. L’ex sindaco risponde a Di Martino (Clandestino ottobre 2013)
(4) Saverio Terranova, sulla questione dei dipendenti comunali (Clandestino maggio 2013)
(Dialogo novembre 2013)
Pani caliatu
A chi il cannolo di ricotta? A noi!
L’analisi davvero disincantata e responsabile del prof. Giovanni Di Rosa sul perché il PD ha perso le elezioni, pubblicata sullo scorso numero di DIALOGO, non si è sufficientemente soffermata sui vizi di origine del governo di Antonello Buscema nei quali risiedono le ragioni vere del suo fallimento.
In verità i responsabili del PD hanno sempre nascosto che il governo Buscema è una creatura voluta dal centrodestra che, sin dall’inizio della campagna elettorale, ha rinunciato a vincere le elezioni; ne è prova il fatto che le forze di centrodestra, le stesse che avevano retto i due precedenti governi Torchi, nel primo turno delle elezioni del 2008 (dato politico vero rispetto a quello del ballottaggio) hanno ottenuto il 74,4% dei voti.
Dalla visione dottrinaria del Fascismo rosso del mussoliniano “proletari e fascisti in piedi”, ciò che rimane del PCI modicano esprime, una mediocre qualità politica nei risultati di governo, naturale effetto dell’interiorizzato berlusconismo culturale.
Al modicano rimane il ‘cannolo alla ricotta cuffariano’ che il nostro sindaco Ignazio, il suo segretario politico Lavima ed il suo onorevole di riferimento, Ragusa, hanno cominciato a distribuire nei corridoi del Municipio, ovviamente fino a quando non finiranno i soldi che Buscema ha ottenuto in prestito dalla ‘Cassa depositi e prestiti’. E poi? Poi nessun problema, ci pensa Ignazio: facciamo un altro prestito. E poi? Poi ancora cannoli palermitani.
Carmelo Modica
(Dialogo novembre 2013)
Pani caliatu
La politica Mestiere
Nel dibattito svoltosi in Consiglio Comunale il 27 novembre scorso, propedeutico all’approvazione del bilancio di previsione dell’anno 2013, sono presenti tutti i segni politico-culturali che caratterizzano la decadenza in atto.
Rissa dialettica, luoghi comuni, accuse e risposte banali e scontate secondo un copione ormai consunto e duro a morire. Argomentazioni schizofreniche ed assenza di ogni riflessione. Sembra che le Fazioni clan, ‘famiglie ’ (non meritano altra denominazione) presenti in Consiglio Comunale stiano continuando la campagna elettorale o ne abbiano iniziata un’altra.
La ‘rissa’ più interessante riguarda il ripristino degli emolumenti per gli amministratori, interpretata dal Sindaco e dal Consigliere d’Antona, perché oltre la natura delle reciproche ripicche si presta a considerazioni di fondo.
Emolumenti, stipendi, salario retribuzione sono termini che fanno rima con prestazione e, principalmente con Mestiere. Emolumenti nella politica significa, quindi, qualificare la politica un Mestiere, ovvero prestazione e… soldi e possibilmente molti benedetti e subito.
Dov’è, quindi, lo scandalo se si chiede che la prestazione di Sindaco e Assessore venga pagata?
Se la politica è un mestiere, appare naturale che l’interessato si comporti come il pizzicagnolo cercando di trarre dal suo mestiere la massima quantità di soldi e vantaggi, compresi gli accessori di carica come la possibilità di accelerare l’iter di una pratica, nello stesso modo in cui la maschera di una sala cinematografica cerca di favorire un amico e lo fa entrare senza pagare.
D’Antona, perché Abbate dovrebbe tener conto dell’emergenza sociale di Modica e rinunciare allo stipendio? Emergenza che, fra l’altro non può essere imputata a lui ma, al limite, ai suoi ‘compagni’, ‘amici di cannoli di ricotta’ e ‘camerati’, che lo hanno preceduto: sono loro che hanno distrutto le nostre finanze; di lui ancora nessuno può dire nulla, tranne i ‘sinistri’ che beati loro già lo hanno condannato al fallimento.
E che colpa ha lui se adesso può disporre di una liquidità di cassa dovuta al prestito fatto dall’Amministrazione precedente?
D’Antona, lei chiede ad Abbate di governare in maniera diversa rispetto a quanto gli hanno insegnato politici e politicanti di destra e di sinistra di questa ‘Modica repubblicana’ in questi quasi settant’anni?
Lasci perdere, il problema degli emolumenti si gioca attorno alla distinzione tra la Politica intesa come mestiere e la Politica intesa come servizio. La prima richiede di essere pagata la seconda, in termini economici, richiede solo il rimborso spese, comprendendo in esso anche il mancato guadagno nella propria attività lavorativa: il risultato deve essere che con la Politica non ci si deve perdere ma neanche guadagnare.
Quindi, finiamola con la demagogia! Se qualcuno vuole obiettare lo faccia, ma, per favore, non nomini la eticità, la morale e la correttezza che esplicano la massima potenzialità solo quando la Politica si intende come servizio alla Comunità e non come Mestiere, Commercio o Impresa.
Ma poi occorre stare attenti perché se si parla di eticità e morale si corre il rischio di prendere delle cantonate anche quando si incassa il gettone di presenza, peggio quando si prende solo per avere ascoltato l’appello o quando si convoca la Commissione consiliare in giorno diverso dal Consiglio comune per prenderne due.
Ma si corre anche il pericolo di qualificare come pura demagogia anche l’abbassamento degli emolumenti operata dalla Giunta Buscema (1) che a forza di sentircelo ripetere, in ogni occasione ci ha convinto che tale rinuncia appartiene più al regalo interessato che al dono.
Si vuole cambiare strada? Si inizi una grande battaglia in cui si affermi che con la politica non si deve guadagnare nulla. Apriamo un dibattito su questo argomento, proviamo a mettere alla prova i grillini modicani, guardiamoli in faccia, anzi negli occhi questi numi tutelari del ‘bene della città’.
Carmelo Modica
(1) Memorabile una sua lettera a DIALOGO del dicembre 2010con la quale raccontava che ‘per causa di servizio’ ebbe a subire anche i danni economici di un incidente stradale
(Dialogo dicembre 2013)