Gennaio
Nannino Ragusa: un anarca. modicano
Febbraio
Chi ha fatto la storia di Modica: Avola e Terranova …contro la Politica
Denuncia contro la mancata “Relazione annuale” del Sindaco di Modica (RG).
Quando una mancata “Relazione” è assenza di metodo
aprile
Risposta a Terranova
“Ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta” (Platone)
Atti del settimo centenario della contea: Antonello “ma quannu crisci!”
maggio
‘Lamento’ della lapide che ricorda l’eccidio di Modica del 1921
Cuore modicano: Quando Mussolini impedì ai fascisti di Modica di essere modicani
giugno
A colloquio con un paracarro modicano di via San Marco Mista
Ottobre
Ultimo “atto” degli atti del Settimo Centenario della Contea di Modica
Dicembre
Assenteismo fisico e culturale nel “regno della quantità”
Si accolga l’invito del prof. Giuseppe Barone (A margine del ricordo del prof. Enzo Sipione)
Nannino Ragusa: un anarca. modicano
Non ebbi possibilità di conoscere a fondo Nannino Ragusa. Ricordo solo lo scambio di qualche idea sul problema della toponomastica della città. In quel periodo, che non riesco a posizionare nel tempo, Egli era, infatti, presidente di una commissione che avrebbe dovuto riorganizzare proprio la toponomastica cittadina. Non so cosa produsse quella commissione ma che io ricordi non risulta che a Modica alcuna delle tante commissioni istituite abbia mai provocato un qualche risultato, anche quando le stesse hanno redatto studi seri.
Il riferimento alla sua onestà ed al suo profondo sentimento di modicanità, comunque, è ciò che veniva riconosciuto in maniera unanime da compagni di partito ed avversari, in ogni occasione in cui si discuteva di lui. Queste due qualità erano talmente forti che la sua appartenenza partitica sembrava sfumarsi anche perché, per l’idea che mi son fatto dagli aneddoti che mi hanno raccontato, egli credo che utilizzasse il partito come strumento dell’agire politico preferendo come ispirazione ideale il forte senso di giustizia e della libertà, modicanità e tanto, tanto buon senso.
Le relazioni svolte dal prof. Giancarlo Poidomani ed i ricordi raccontati dal prof. Giovanni Avola. (non ho ascoltato la relazione del prof. Antonio Sichera) il 16 dicembre scorso, presso il palazzo Grimaldi, in occasione della commemorazione del centenario della nascita di Nannino Ragusa, pur avendomi fornito una sufficiente biografia a me sconosciuta, non hanno aggiunto nulla all’opinione che mi ero già fatta del suo modo di essere e pensare.
Le sue battaglie prima che il politico mi definiscono il fiero modicano ecco perché mi sembra davvero riduttivo e strumentale questo voler mitizzare l’antifascista, il comunista ed il socialista. Lo stesso Giovanni Avola ha detto che in Nannino Ragusa era presente un fortissimo spirito di contestazione che lo poneva alla testa delle grandi manifestazioni, vedi in particolare la costituzione dell’Azasi, per poi divenire il più forte censore di chi era chiamato a governare il risultato ottenuto senza alcuna indulgenza neanche per i compagni di partito.
D’altra parte un Nannino Ragusa, che con il metro in tasca andava in giro per misurare il lavoro che il Comune doveva pagare a qualche ditta, non poteva certo avere molta simpatia per coloro i quali, mortificando il suo senso di giustizia, per l’Azasi applicavano la regola del 2-1-1 che non fu una strano modulo calcistico bensì la regola che, in sede di assunzione di personale, due posti dovevano essere assegnati ai democristiani (perché due erano i moschettieri di questo partito), uno terzo ai socialisti ed un quarto alla camera del lavoro (comunisti).
Lo spirito libero di Nannino Ragusa si sarà opposto inutilmente a questi nuovi “podestà bianco rossi”; a quanto ci è dato sapere dai racconti tramandataci dai nostri padri, così come inutile fu ogni opposizione al podestà nero.
Ecco io ritengo che Nannino Ragusa possa essere considerato un “anarca”, ovvero un ribelle cui è cara, sopra ogni cosa, la libertà e per affermarla si comporta diversamente da altre figure, come il “Partigiano”. Nannino Ragusa è l’anarca di Ernst Jünger, il ribelle singolo che non si muove come il “Partigiano” all’interno del partitismo sociale o nazionale o al servizio delle grandi “potenze”, che lo hanno equipaggiato di armi nella guerra e nella politica di “idee” e di parole d’ordine”. Nannino Ragusa è fuori da tutto questo perché, malgrado la costante tessera socialista, egli non ebbe la necessità di sorreggere su stampelle ideologiche il suo innato sentimento della libertà e dell’individualità.
Nella mostra che vuole commemorarlo, l’anarca Ragusa diviene l’icona di un destino.
Nessuna delle battaglie politico-modicane che egli intraprese ebbe buon esito:
la battaglia per la costituzione della provincia di Modica che non riuscì neanche a sollecitare l’allora governo della città a tentare di ottenere la realizzazione di enti statali, regionali o provinciali che potevano essere oggettivamente riconosciuti all’antica importanza della nostra città, propiziando, per esempio, un non difficile allargamento territoriale del Tribunale di Modica che avrebbe eliminato i ricorrenti progetti di soppressione oppure il rendere autonomo l’archivio di Stato di Modica; l’Azasi che nacque e visse da carrozzone politico; l’abbattimento della chiesa S. Agostino; il dissesto urbanistico.
Con questa commemorazione pare che il destino si compia in un rito antico: la cultura originaria della malapolitica, quella che abbatté la chiesa di S. Agostino e creò il carrozzone Azasi, alimentando la giusta reazione dell’anarca Nannino, come in una beffa ora ricorda come successi propri “gli insuccessi” di Nannino ma non può impedire all’anarca Nannino di testimoniare la via; nobile funzione che nessuno gli potrà togliere.
La commemorazione di Nannino Ragusa si è conclusa con un fragoroso ed unanime applauso a chi aveva proposto la intitolazione di una strada.
Se la classe politica attuale vuole dimostrare un valore pari a quello di questo nostro caro modicano trovi, fosse anche un isolato lampo di dignità, la forza di rendergli onore considerandolo ciò che effettivamente era e tutt’ora è, suo avversario: non imbrigli il pensiero e l’agire di Nannino Ragusa in schemi partitici che egli in vita rifiutò. Sono certo che Nannino Ragusa non sopporterebbe dal cielo un eccesso di attenzioni partitiche da parte di chi in terra ne osteggiò spesso, molto spesso, il suo spirito libero.
Per tali motivi io intitolerei la strada a “Nannino Ragusa, un anarca modicano”
Gennaio 2012
Carmelo Modica
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Buscema è uguale a Monti oh no?
Il modo in cui il cittadino modicano “sente” Mario Monti a Roma ed Antonello Buscema a Modica, segna in maniera evidente i limiti della democrazia parlamentare o meglio il livello di degradazione della democrazia.
Entrambi vengono avvertiti come corpi estranei ma necessaria espressione di uno stato di necessità che sembra piovuto chissà da dove nonostante sia lampante che esso è totalmente frutto di questa democrazia.
Il governo Monti pur decisamente diverso, anche nelle forme, nel tratto, nello stile e nella misura delle parole da tutti i precedenti governi, è armato di grossi “vasi di vasellina” e trasmette anche al Parlamento, che abbaia con la coda in mezzo alle gambe e del quale ipocritamente si dichiara esserne l’espressione, la certezza di un epilogo che deve avvenire.
E’ il Parlamento di quella maggioranza che, se avesse adottato il 10% dei provvedimenti di Monti, avrebbe provocato morti nelle piazze da parte di quella “opposizione senza progetto”, che vede in Monti il loro possibile traghettatore al potere quando i banchieri, esercitata la loro “azione di ripristino”, torneranno, dall’ombra, a dirigere, come hanno sempre fatto, il governo dell’Italia “democratica”.
E se nella forma il governo Monti non è l’espressione di libere elezioni, come la democrazia avrebbe voluto, Antonello Buscema, pur essendo l’espressione di libere elezioni, con il suo totale fallimento, con la sua completa estraneità ai problemi della gente, dimostra che la democrazia non si realizza solo con le elezioni (anche nel paradiso dei lavoratori sovietico si votava) ma occorre altro; ed è su questo “altro” che occorre indagare.
E’ più democratico un Monti che, non eletto, pone il problema degli indicibili privilegi dei parlamentari e la diminuzione dei costi attraverso una visione manageriale dell’attività amministrativa o un Antonello Buscema che, eletto a furor di popolo, è incapace di un minimo provvedimento per diminuire i costo della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani trovando, invece, più “democratico” ripescare i canoni dei varchi delle strade ex provinciali applicandoli dopo averli aumentati in maniera spropositata?
Sia Mario Monti che Antonello Buscema hanno un fortissimo alleato: una sorta di “stato di necessità” con la differenza: il primo agisce su una realtà creata da altri il secondo su una realtà che in buona parte poteva:
- essere mutata con il più che decennale governo delle sinistre dal 1985 in poi;
- poteva essere contrastata a Torchi con la forza dei suoi consiglieri comunali che il popolo modicano ha da sempre dato alla sinistra;
- con una saggia politica in quest’ultimi tre anni di contenimento dei costi dei servizi e di recupero dell’evasione fiscale comunale.
Tutto ciò non è avvenuto e perciò diviene difficile sostenere che inserire nella superficie di un fabbricato, ai fini dell’applicazione della Tassa sui rifiuti solidi urbani, anche lo spessore dei muri anziché la superficie calpestabile, appare più un vessatorio ed intempestivo “balzello nel balzello” che una giusta operazione di recupero dell’evasione fiscale.
La verità è comunque che il non eletto Monti è l’icona di una democrazia che non esiste perché espressione del potere economico, mentre Buscema è l’icona di una democrazia senza qualità, tanto insignificante da non essere.
Ed è in questo clima che una cittadina modicana, della quale volendola identificare come simbolo non facciamo il nome, ha consegnato la sua scheda elettorale a Comune di Modica.
E’ in questo clima che nasce il “Movimento dei forconi” mentre tanti, specie nei blog cittadini, si ostinano a guardare il dito della Tarsu senza osservare il cielo di una democrazia da rifondare ponendo come elementi da porre in circolo la qualità e non solo la quantità di voti elettorali.
Carmelo Modica
Dialogo gennaio 2012
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Chi ha fatto la storia di Modica
Avola e Terranova …contro la Politica
Qualcuno dei miei quattro Lettori conoscerà la tecnica della compilazione delle “Schede di lettura”, che Umberto Eco suggerisce a chi si appresta ad organizzare il materiale utile per la stesura di una tesi di laurea. E’ ciò che sto facendo per scrivere il libello “Storia nascosta di Modica” che penso di pubblicare in concomitanza con le lezioni del 2013.
In questa mia “Storia” ho assunto i modi e le tecniche del viandante che, osservata la realtà politica modicana, percepisce di trovarsi presso la foce, devastata, del fiume della storia modicana e, incuriosito, decide di risalirlo per cercare le fonti di inquinamento, ma anche per trarre da esse gli elementi culturali idonei ad avviare un nuovo ciclo.
Tra le “Guide” che mi accompagnano in questa risalita non poteva mancare il prof. Saverio Terranova che voglio privilegiare pubblicando una delle tante schede di lettura che ho redatto leggendo il suo “Contributo alla storia di Modica”, che sarà presentata nel libello come una delle tante “Infezioni culturali” alle quali sono riconducibili le devastazioni materiali, culturali ed economiche della nostra Modica.
Questa mia anticipazione, inoltre, vuole anche essere un mio primo contributo alla campagna elettorale del 2018 considerato che sono convinto che il prossimo sindaco del 2013 non può non essere che “Peppi Cuoppula”, ovvero la sublimazione della malapolitica.
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Nella graduatoria dei Sindaci di modica, il prof. Saverio Terranova è il primo avendo ricoperto la carica per circa 3.450 giorni; seguono Gaspare Basile e l’avvocato Carmelo Ruta. Rispetto a quest’ultimo che ha realizzato il terzo posto con due elezioni dirette, Saverio Terranova, però, è stato svantaggiato avendo dovuto guadagnarsi ben otto elezioni a Sindaco dal Consiglio comunale, barcamenandosi, cioè, e vincendo dentro un partito in cui il potere si otteneva con il tesseramento degli amici, “degli amici degli amici”, con defunti degli amici degli amici e con quante tessere fossero necessarie tratte “arruolando” alla Democrazia Cristiana inconsapevoli persone che di democratico cristiano avevano solo l’ordine alfabetico degli elenchi telefonici.
Queste qualità personali e di partito ci hanno indotto a sceglierlo come Guida nella nostra risalita del fiume della storia modicana. Per tale scopo abbiamo utilizzato il suo “Contributo alla storia di Modica” nel quale egli non fa alcuno sforzo per superare la naturale tendenza all’autoreferenzialità che ha sempre chi racconta una storia in cui ha svolto un ruolo importante e decisivo. Lo scopo autoreferenziale alcune volte appare chiaramente voluto, come nella descrizione dei suoi rapporti con Nino Avola o quando il Terranova scrittore elogia un Terranova raccontato che “non conosceva l’arte non nobile del doppio gioco” (vol. I pag. 136) e che “si gettò nella mischia con il suo solito impegno” (vol. I pag. 92).
Ogni libro contiene sempre un’idea di fondo che domina su tutto, su cui tutto converge e che per tale motivo lo caratterizza.
Il filo conduttore che domina i due volumi del prof. Terranova, “Contributo ad una storia di Modica”, è la lotta serrata tra Saverio Terranova e Nino Avola, ed è riflettendo sui loro comportamenti, atteggiamenti e dichiarazioni che è possibile ricostruire la storia della Democrazia Cristiana e trarre inequivocabili ed inconfutabili giudizi di valore della qualità politica.
Nella Democrazia Cristiana modicana, esclusi l’on. Guerrieri ed il prof. Triberio che primeggiarono in tutti sensi, esistettero molti altri attori che però non riuscirono mai a superare la qualità di comprimari all’asse Avola-Terranova.
Dalla descrizione di questa lotta politica ciò che prevale su tutto è il clima di una gigantesca e permanente rissa di potere dentro la Democrazia Cristiana; disputa senza regole, spregiudicata e senza concessioni al buon senso e senza pudori, ovvero nella piena consapevolezza che nella rissa risiedeva l’essenza del fare politica.
Consapevolezza che può anche trarsi da quanto il prof. Terranova scriverà dopo, a bocce ferme: “cominciò anche la caccia al tesseramento falso, cioè amici, o nomi desunti dagli elenchi telefonici. Non risulta che a Modica si sia ricorsi a iscrivere anche i morti, come si disse che succedeva in altre parti d’Italia” (nota n. 120 pag. 140 Vol.1). E’, infatti, sintomatico questo voler precisare che a Modica non succedeva di tesserare i defunti per acquisire il potere sul Partito, come se tale pratica fosse meno truffaldina di quella che ricorreva al tesseramento di persone tratte dall’elenco telefonico.
Ma se questo riferimento si può, con molta buona volontà, declassare da sintomo di malapolitica in semplice specifica di un chiarimento sul ricorso ad iscritti fasulli per dominare il Partito, più significativi ci sembrano due vicende raccontate con dovizia di particolari dal prof. Terranova.
Le elezioni regionali del 7 giugno del 1963 furono caratterizzate dal tentativo della direzione della D.C. di far pagare all’onorevole Avola il presunto suo tradimento che aveva determinato, pochi mesi prima, la mancata rielezione dell’onorevole Guerrieri.
Ecco cosa ci racconta in proposito Saverio Terranova (vol. I pag.138):
«L'inizio della campagna elettorale per Avola non poteva essere più disastrosa. Per la città correva, senza che ci fosse una regia, una frase: (Avola, n.d.R.) fece cadere Guerrieri, deve cadere anche lui!
Una mattina Giovanni Di Raimondo chiese al sindaco (Saverio Terranova, n.d.R.) di partecipare a una riunione che si sarebbe tenuta nel pomeriggio nell'ufficio del cav. Innocenzo Pluchino. C'erano tutti i grandi della Democrazia Cristiana, salvo le tre B, come venivano chiamati Basile, Barone e Borrometi. Il discorso era semplice. Avola non li rappresentava e non rappresentava la città, e dopo quello che aveva fatto contro Guerrieri non poteva neppure rappresentarla a Sala d'Ercole. Bisognava presentare un altro candidato e sostenerlo fortemente […] volevano Terranova. […] Il giovane sindaco rispose: "Sono molto onorato che voi mi abbiate in così grande considerazione […] Ma non me la sento […] io vi assicuro che non mi impegnerò contro di voi. Resterò a guardare". […] Malgrado le insistenze Terranova non cedette di un centimetro dalle sue posizioni. Assicurò però che nessuno mai avrebbe saputo di quella riunione. […] Al comizio di apertura, Avola chiese al sindaco di parlare assieme a lui, Terranova rifiutò gentilmente, ma con fermezza. Dopo il comizio, freddo e senza entusiasmi, Avola gli telefonò chiedendogli un appuntamento. Nel salotto dell'abitazione di Terranova si svolse un incontro drammatico (sic). Avola lo pregò di aiutarlo. Terranova ribadì che stava facendo il suo dovere al di sopra di quello che lui stesso immaginava. Fu tentato di rivelargli la riunione e la sua posizione. Non lo fece: aveva dato la sua parola. Ma, insistette, […] "Oggi devi fare dimenticare la pugnalata alla schiena dell’on. Guerrieri". Avola giurò che era all'oscuro di quello che faceva Scalia. […] Il giovane (Saverio Terranova n.d.R.) insistette che l'avrebbe aiutato, ma non con un impegno che lo esponesse all'esterno: la gente gli avrebbe "mangiato la faccia". Fu a questo punto che Avola prese le mani del giovane e gli mormorò con tono disperato: “Non posso tornare alla CISL con 150 mila lire al mese. Aiutami, ti ricambierò". Terranova, commosso del gesto, lo abbracciò ricambiato: "Va bene. Ci batteremo come sappiamo. Però, per favore, non lo dimenticare"».
Non è nota la durata del colloquio dell’on. Avola con Saverio Terranova, è certo, invece, che quest’ultimo nell’arco, si suppone, di pochissime ore se non di minuti, in soli tre passaggi ha, prima, abbandonato la parola data ai maggiorenti della DC che non avrebbe favorito Avola, per poi passare al sostegno di Avola in maniera nascosta ed infine, incurante della fine che avrebbe fatto la sua faccia, ad un appoggio totale: “Va bene. Ci batteremo come sappiamo”. Davvero un bel risultato per chi era uso dare “la parola” e “non cedere di un centimetro”.
Saverio Terranova quando definisce l’incontro “drammatico” ovviamente si riferisce al valore che assieme ad Avola davano all’oggetto della discussione: la prosecuzione dello stipendio di parlamentare per l’on. Avola e la speranza di un futuro aiuto elettorale per il Terranova. Questioni politiche? Per la Comunità modicana potrebbe essere definito, al limite, solo romanzesco.
Il Terranova “che non conosceva l’arte non nobile del doppio gioco” (pag.136 Vol.1) non chiarisce il perché del rapido cambiamento di fronte elettorale e lascia ai suoi eventuali biografi l’onere di indagare in questo senso; chi come noi, però, è alla ricerca “storica” dell’origine della mediocrità politica come causa della degradazione attuale, dal resoconto di tale incontro rileva che alla lacrimevole commozione indotta da Avola ad un tenerissimo e buono Terranova per farsi appoggiare, si affianca un patto di mutuo soccorso tra l’“Aiutami, ti ricambierò" di Avola ed il “Va bene. Però, per favore (sic), non lo dimenticare” di Saverio Terranova, che, si converrà, non ha nulla a che vedere con il bene della Comunità modicana e che ben rappresenta la qualità politica di un vertice della Democrazia Cristiana che da quel periodo in poi, per molti lustri, avrebbe governato Modica impregnando con la sua cultura tutta intera la classe politica modicana.
Di questo drammatico incontro Terranova scrive anche che “Riportò però una triste sensazione che lo perseguiterà sempre: c'era anche chi faceva politica per avere un mestiere più remunerato! Quello che oggi è la norma, allora faceva ancora impressione, soprattutto a chi era stato abituato a considerare la politica come un dovere civile per la società. Non ci si libera dalla propria cultura! Come non ci si libera dal proprio DNA”.
Forse Terranova preferisce farsi giudicare ingenuo piuttosto che altro? Tale è, infatti, il voler far trascurare, con coscienza o meno poco importa, il diretto rapporto di consequenzialità culturale che esiste tra il “patto di mutuo soccorso” tra Avola e Terranova nel salotto di quest’ultimo e la malapolitica attuale. Come è culturalmente e politicamente assurdo, ed una offesa alla comune intelligenza, sostenere che un simile patto di mutuo soccorso possa essere realizzato da chi “considera la politica come un dovere civile per la società”.
Altro fatto significativo ed illuminante si può trarre dal racconto che il prof. Terranova fa di un suo comizio in Piazza S. Giovanni durante la campagna elettorale per le comunali del novembre del 1964 quando egli capeggiò una lista civica in contrapposizione alla Democrazia Cristiana che, per ordine dell’on. Avola, lo aveva escluso dalla lista elettorale della Democrazia Cristiana.
Scrive il prof. Terranova (pag.146 Vol.1): “L'ultima domenica (Saverio Terranova n.d.R.) parlò a piazza S. Giovanni, ove aveva deciso di non andare poiché non voleva approfondire i solchi già profondi con Avola. Ma la minaccia di alcuni amici del deputato regionale, solennemente portata alle sue orecchie, lo scosse e lo convinse ad accettare la sfida: "Se viene a Modica Alta, scorrerà il sangue!". Ci andò e parlò. […] non ci furono disordini.
La sera si riunirono i maggiorenti del partito: Avola accusò i nuovi alleati di incapacità e assicurò che adesso sarebbe sceso in campo personalmente. In realtà a scendere in campo fu il cav. Pluchino. Il suo prestigio di grande imprenditore e i mezzi di cui disponeva crearono alquanto scompiglio nelle file soprattutto dei candidati. Tre di essi firmarono le dimissioni dalla lista (del Terranova n.d.R.) che furono stampate in migliaia di manifestini distribuiti in tutta la città. Per otto giorni si recò da quelli che erano considerati grandi elettori e li indusse ad abbandonare la lista di Terranova […]. Raccontò Luigi Pisana […] che davanti al suo rifiuto gli pose sul tavolo il blocchetto degli assegni, lo aprì e gli disse: "Scrivi la cifra tu stesso".
I due brani si prestano ad importanti valutazioni di carattere generale. Essi sono capaci di ricostruire il DNA sia delle persone che quello della Democrazia Cristiana e, quindi, del potere modicano e della qualità politica e culturale della sua classe dirigente.
Questo è solo un piccolo assaggio del clima in cui la nostra città è stata costretta per decenni dalla Democrazia Cristiana, il resto potrà essere meglio apprezzato leggendo direttamente il testo del Professore.
E’ in tale periodo che si possono rintracciare le radici di tangentopoli e del berlusconismo. Riesce difficile sostenere che non vi sia continuità tra gli assegni bancari che vide volare Saverio Terranova “per i corridoi del teatro La Pergola” al Congresso democristiano di Firenze del 1959 (pag. 85 Vol.1) o tra lo stipendio di un anno che veniva richiesto come tangente, secondo “Radio latteria” di quei tempi a Modica a chi voleva essere assunto al Comune ed i democristiani (e socialisti) berlusconiani della cosiddetta seconda repubblica che hanno costruito una corposa fedina penale della classe politica modicana dell’anno 2011.
Per completezza vogliamo ricordare che non furono estranee nella Democrazia Cristiana di allora neanche pruriti di bunga bunga berlusconiani. Chi frequentava i bar del centro storico apprese che uomini di vertice democristiani, dopo aver fatto una cortesia, fecero capire alla umile signora che lo aveva chiesto che ella aveva un modo semplice per disobbligarsi …visto che il marito era emigrante all’estero.
Carmelo Modica
Febbraio 20012
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Dialogo marzo 2012
Alla Regione Siciliana
Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica
Viale Regione Siciliana - 90135 PALERMO
e, per conoscenza
Al Sindaco di Modica
Al Presidente del Consiglio Comunale di Modica
Oggetto: mancata “Relazione annuale” del Sindaco di Modica (RG).
Lo scrivente Carmelo Modica, nato a Modica il 22 febbraio 1945 ed ivi residente in c.da S. Antonio Streppinosa 2/A,
Premesso che l’art. 17 comma 1° della L.R. 7 del 26 agosto 1992, recepito in maniera integrale dall’art. 80 dello Statuto comunale di Modica (RG), modificato dall’art. 33 della legge del 17/09/2004 prescrive al Sindaco l’obbligo di presentare ”una relazione annuale scritta al Consiglio comunale sullo stato di attuazione del programma e sull'attività svolta nonché su fatti particolarmente rilevanti”;
Premesso che l’art. 27 comma 2° della medesima legge, poi, elenca la violazione di tale disposizione quale una delle ragioni “…per l’applicazione dell'art. 40 della legge n. 142/1990 così come recepito e modificato dall'art. 1, lettera g) della legge regionale n. 48/1991”, recante norme sulla “Rimozione e sospensione di amministratori di enti locali”;
Constatato che l’attuale sindaco di Modica, dott. Antonello Buscema, dal suo insediamento, avvenuto il 16 luglio 2008, in violazione della legge citata ebbe, già a suo tempo, a presentare la prevista “Relazione sullo stato di attuazione del programma” dopo ben 18 mesi dal’insediamento, anziché i 12 previsti e poiché a quest’ultima “Relazione”, alla data odierna, dopo altri 20 mesi, non ha fatto seguire alcun’altra “Relazione annuale”;
Preso atto che il Sindaco si ostina a violare la legge, approfittando del disinteresse del Consiglio comunale e di una inesistente opposizione politica;
Ritenendo come cittadino modicano di avere il diritto che nella propria città la democrazia non venga denigrata con atti di arroganza politica, chiede l’intervento di codesto Assessorato per l’adozione dei provvedimenti di competenza.
Distinti saluti.
Carmelo Modica
Modica, 15/03/2012
Carmelo Modica
Contrada S. Antonio Streppinosa 2/A
97015 Modica (Ragusa)
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0932-947619 3385726577
Nota della Redazione: Carmelo Modica ha prodotto una denuncia contro il Sindaco di Modica per violazione della legge regionale che prevede l’obbligo del Sindaco a presentare “Relazione al Consiglio comunale”. Per meglio motivare l’iniziativa abbiamo chiesto ed ottenuto dal nostro collaboratore un articolo che chiarisse meglio i motivi dell’iniziativa.
Quando una mancata “Relazione” è assenza di metodo
Una esegesi delle dichiarazioni programmatiche dei sindaci di questo dopoguerra potrebbe dimostrare che i termini più abusati sono: programmazione economica, strategie di pianificazione, programmazione strategica e via… pianificando.
Sono questi i termini che i politici ritengono più efficaci per lanciare, nell’immaginario collettivo del proprio bacino elettorale, l’icona di uomo di governo capace e proiettato in scenari senza confini.
“L’agire con metodo” e la ricerca di modelli organizzativi efficaci sono temi culturali che hanno origini militari. Fu nel settore militare, prima che negli altri, che le Comunità dovettero organizzare modi, tempi e procedure per sopravvivere alla violenza dei più forti. Inoltre, furono i processi decisionali militari che per primi ebbero la necessità di dominare moltissime variabili e procedure in cui ogni errore poteva essere causa di grandi perdite umane.
Ma il “decidere a ragion veduta” dopo aver fatto “mente locale”, ovvero dopo essersi immedesimati nel problema da risolvere, non è prerogativa militare tanto che la cultura manageriale ne ha assorbito i principi che sono divenuti fondamentali nella conduzione delle grandi strutture di produzione di beni e di servizi ma anche nell’attività di studio e ricerca scientifica, insieme allo studio dei modelli organizzativi più efficaci, nelle più prestigiose università del mondo.
La cultura manageriale, però, nelle parti periferiche delle strutture organizzative dello Stato, è divenuta spesso solo sfoggio di un andare di corsa con la valigetta 24 ore completa di iPad, computer, cellulari con cuffie e microfoni stilizzati ed …intonati alla camicia.
Nel politico dell’era ‘Berlusconi’ prendeva il sopravvento l’immagine del manager in carriera, tutto fichino giacca e cravatta che arriva in pompa magna con l’auto blu o con la “scorta di sicurezza” (1), non a quella “conferenza di servizio” dove avrebbe esposto la tanto attesa sua rivoluzionaria formula per trasformare la struttura burocratica del Comune da macchina elettorale in “Azienda Comune”, ma ad un semplice ed imbecille comizio elettorale: ovviamente con la classica mezz’ora di ritardo, più tante altre mezz’ore quanti sono i galloni acquisiti con il proprio pacchetto di voti.
In questi scenari di politici che si muovono con strumenti e codazzi idonei a trasmettere immaginifici segni di potenza, determinazione e competenza (2), si materializza, invece, l’angosciante verità di politici responsabili di una burocrazia comunale priva di autorevolezza e di prestigio, specializzata in procedure lente, svogliate, pedanti, farraginose e caratterizzata dal timore della responsabilità diretta.
Per una migliore struttura burocratica, sarebbe necessario che il Sindaco possedesse i più elementari rudimenti del “decidere a ragion veduta”, solo allora comprenderebbe che non esiste possibilità di realizzare nulla senza una struttura burocratica efficiente, motivata e professionalmente competente.
Questa premessa serve per affermare che quando un Sindaco non dà alcuna direttiva alla direzione burocratica del Comune, nonostante le evidentissime carenze procedurali ed organizzative (3) e non produce la sua “Relazione annuale” obbligatoria per legge, vuol dire una cosa sola: non governa con metodo; o meglio, le sue decisioni non sono a ragion veduta.
Anche nel mondo del pizzicagnolo, ogni decisione che coinvolge più figure, di massima, si realizza con una riunione operativa che fissa modi, risorse, tempi e responsabilità e con un coordinatore che, fino a risultato conseguito, ne segue la realizzazione con solleciti, controlli e riunioni periodiche di verifica.
Questa è la cultura di chi sa che governare non significa solo decidere, ma anche e soprattutto accompagnare la realizzazione di quanto deciso, che può anche richiedere la rimozione di ostacoli sopravvenuti o non prevedibili o la rimodulazione di nuovi obiettivi.
Quando il legislatore si accorse che il Sindaco era più scarso del pizzicagnolo, prima citato, con la legge regionale n. 7 del 26 agosto 1992 ha obbligato il Sindaco a rendere al Consiglio Comunale una relazione semestrale “sullo stato di attuazione del programma e sull'attività svolta nonché su fatti particolarmente rilevanti”. Constatato che il Sindaco faceva orecchi da mercante, ma anche per diminuirne la fatica, con la legge regionale n. 33 del 17 settembre 2004 ha reso tale relazione da semestrale ad annuale.
Scrivere la “Relazione” significa fare il punto, operazione possibile solo se in ogni settore si raccolgono i dati per confrontarli con i precedenti e, quindi, controllare quanto è stato realizzato; significa costringere ogni ingranaggio della struttura burocratica a programmare il proprio lavoro; significa tenere sempre le redini in mano ed avere consapevolezza della situazione anche quella che non si riesce a modificare.
Il nostro Sindaco ha prodotto una “Relazione” dopo diciotto mesi dall’inizio del suo mandato ed adesso ne ha fatto trascorrere inutilmente altri venti. Ad un Sindaco che predica il bene, ma viola la legge corrisponde anche un Consiglio Comunale che non si preoccupa di farsi rispettare.
I provvedimenti che l’Assessorato regionale vorrà adottare a carico del Sindaco di Modica, ci lasciano indifferenti considerato che non è la persona di un Sindaco che è in discussione ma un modo di essere. Il nostro Sindaco non riesce a comprendere il perché quelle strutture che funzionano fanno delle riunioni periodiche, dei consuntivi, della costante raccolta e monitoraggio dei dati, l’essenza fondamentale del governo dell’azienda.
Buscema vive nel caos. Non è padrone del suo tempo e si fa “fotografare” su problemi che competono a livelli più bassi della struttura di governo; un po’ come il Sindaco Alemanno che con la pala in mano ha fatto sapere che Roma era dotata di un provetto spalatore di neve, mentre in qualche sala del Municipio di Roma era assente uno spalatore di neve che svolgesse le funzioni di Sindaco.
Il Sindaco di Modica non ha proposto la sua “Relazione” perché probabilmente la considera un gravame inutile, una imbecille zavorra, ma anche perché la propria segreteria è stata impegnata nell’alta funzione di correggere 50 manifesti nei quali occorreva cambiare la data della commemorazione di nove villani uccisi presso il cimitero di via Loreto, avendo ritirato i manifesti dalla tipografia due giorni prima del programmato evento; non ha potuto contare neanche sull’aiuto del suo Assessore alla Cultura impegnato a comunicare alla stampa il corretto numero telefonico della biblioteca comunale ed atteso che il suo Assessore alla Pubblica istruzione era impegnato a guidare un Fiorino della FIAT per trasportare gli alunni a scuola.
Particolarmente sintomatici, in questo senso, sono i numerosi provvedimenti di annullamento in autotutela di deliberazioni redatte senza alcuna riflessione sulla loro effettiva portata o con imperdonabile ignoranza delle norme; tra i tanti ricordiamo quelli relativi alla nomina di un componente del Liceo Convitto, quello relativo all’affidamento del servizio di assistenza a persone diversamente abili e quello relativo al pagamento dei canoni riferiti ai varchi già censiti lungo le strade ex provinciali. Tutto ciò indica un clima di lavoro e di direzione molto approssimato, un vivere alla giornata ed una propensione ad “agire prima di riflettere” anziché “agire a ragion veduta”.
Se il nostro Sindaco volesse obiettare che anche i suoi predecessori hanno violato la legge in argomento, significherebbe che è identico ai suoi predecessori anche in questo.
Questa nostra azione vuole avere una valenza decisamente politica e confermare quanto andiamo scrivendo ormai da alcuni anni a questa parte: piaccia o non piaccia, un ciclo si sta compiendo ed in Antonello Buscema ha trovato il suo incolpevole profeta.
Senza rancore, ci creda Signor Sindaco, davvero senza rancore.
Carmelo Modica
Note:
(1) A Modica ancora si deve verificare se quei due carabinieri che “inseguivano”, in servizio di scorta di sicurezza, un nostro onorevole furono gli stessi, alcuni anni dopo ad arrestarlo per associazione per delinquere, truffa aggravata, malversazione ai danni dello Stato.
(2) Ricordiamo che l’on. Nino Avola, presidente dell’AZASI in liquidazione, andava in giro con un’auto munita di radiotelefono, certamente per potere assumere con prontezza ogni decisione in merito ai debiti del ‘carrozzone politico’ da lui creato insieme ai maggiorenti della Democrazia Cristiana.
(3) Non sappiamo se Antonello Buscema ha dato direttive ai vertici della struttura burocratica; è certo che non ha prodotto alcuna “carta dei servizi” e se ha dato direttive nessuno se n’è accorto.
Marzo 2012
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Dialogo-aprile2012-RispostaAterranova
“Ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta” (Platone)
In ordine alla lettera del prof. Saverio Terranova (DIALOGO 2012), per non alimentare una storia infinita, ci limitiamo ad esporre solo considerazioni generali e di metodo che consentano di meglio valutare quanto entrambi abbiamo scritto, chiudere nel dominio giornalistico la questione rimandando alla pubblicazione del libello che raccoglierà l’esito di questa nostra ricerca, una risposta organica ai tanti argomenti toccati dal Prof. Terranova anche con questa “Lettera al direttore”.
Siamo grati al prof. Terranova per questo altro suo apporto alla storia di Modica (DIALOGO marzo 2012) che dopo il suo libro, “Contributo alla storia di Modica”, ci sollecita nuovi spunti e considerazioni che riteniamo fondamentali nella ricerca sulla qualità “culturale” della classe politica modicana che stiamo sviluppando.
I vincitori non confermeranno mai, o almeno non lo sbandiereranno fino a quando supporranno di essere tali, l’antico detto secondo cui "la storia la scrivono i vincitori". Essi, infatti, per legittimare discutibili comportamenti, o per utilizzare la storia come arma politica, approfittando del loro status di “vincitori” e\o detentori del potere, sono portati ad interpretare gli eventi in maniera distorta.
Questo atteggiamento pur spesso evidenziato da tutti, raramente viene inserito dallo “storico” tra i criteri di valutazione di quanto il vincitore stesso scrive o dichiara.
Il vinto, di contro, è portato ad esagerare il valore dei “nascondimenti” del vincitore perché attratto dall’altro assunto, consolidato dalla tradizione popolare, secondo il quale "la realtà supera il racconto che se ne fa”.
Se conveniamo che entrambe le affermazioni sono, ragionevolmente vere si deve ammettere che può verificarsi che la storia è solo ciò che chi la scrive vorrebbe fosse realmente accaduto, ovvero una falsificazione dei fatti.
Ne consegue che il fatto esiste solo se è riportato dai media e viene acquisito nella documentazione del “sapere comune", altrimenti non risulta mai accaduto, non è successo, non è vero: per questo, almeno per quanto ci riguarda, si scrive e si pubblica.
Questo scenario culturale ci sembra capace di ricondurre i nostri giudizi sulla qualità della classe politica modicana democristiana (DIALOGO febbraio 2012) e le relative osservazioni del prof. Saverio Terranova (DIALOGO marzo 2012) nei due archetipi del “vincitore”, Saverio Terranova e del vinto, Carmelo Modica.
Proponiamo tale scenario anche per sollecitare i nostri lettori al metodo del “valutare diffidando” nella consapevolezza che la verità personale scaturisce sempre dalla conoscenza dei fatti e delle opinioni espresse, anche delle parzialità, setacciate dal proprio libero arbitrio, convinti come siamo che ha ragione Platone quando afferma che “ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzionee la soluzione giusta.”
Rileggendo il nostro pezzo e la relativa risposta del prof. Terranova appaiono chiari due mondi e due criteri di valutazione completamente diversi.
Per individuare in maniera chiara questi due mondi crediamo sia utile ricordare un aneddoto che ci vide entrambi protagonisti.
Nei primi mesi della seconda sindacatura del socialista Ignazio Agosta (9 aprile 1988- 4 agosto 1989), nella nostra qualità di consigliere comunale, al Sindaco che condivideva le nostre motivazioni sull’ennesimo nostro richiamo per aver iniziato in ritardo i lavori del Consiglio comunale, chiedemmo che, poiché ciò dipendeva esclusivamente da lui, desse la propria parola d’onore che da allora in poi avrebbe ordinato l’inizio dei lavori con la massima puntualità.
Intervenne il consigliere Saverio Terranova affermando che il Sindaco non poteva assumere impegni di questo tipo ma solo doveri di carattere amministrativo. Per concludere ci limitammo a trarre la scontata deduzione che, secondo tale visione la politica, la democrazia in quella circostanza non si associava con l’onore.
Ora, come allora, riteniamo che quella posizione del prof. Terranova è perfettamente legale, nella piena consapevolezza, però, che è legalmente lecito tutto ciò che è aderente alla legge ed è aderente alla legge, di fatto, tutto ciò che non è in grado di provocare sentenze di condanne penali ed amministrative.
Ciò non toglie, quindi, che è anche legittimo chiedersi se una richiesta di serietà nella conduzione dei lavori del consiglio comunale sia o no un criterio per misurare la qualità politica e se l’assenza di tale qualità politica possa influire sui risultati dell’azione governativa. Per esempio, la demolizione della chiesa di S. Agostino, unanimemente attribuita alla responsabilità politica del Prof. Terranova non fu affatto illegale ma nell’immaginario collettivo modicano è presente, e crediamo lo sarà per sempre, come atto di malapolitica.
Due mondi diversi, dicevamo, al punto che lo scritto del prof. Terranova quasi non appare essere una risposta al nostro articolo pur riferendosi ad esso:
al nostro individuare la rivalità con l’on. Avola, quale filo conduttore del suo libro, egli oppone quello dello “sforzo compiuto dalla classe politica modicana per risollevare la città, letteralmente devastata dal fascismo, per essere stata privata della sua posizione storica di capoluogo”;
al nostro riferimento sulla “qualità politica” del colloquio nel salotto di casa sua, con l’on. Avola egli oppone il “regno della quantità”, delle opere realizzate dalla Democrazia Cristiana senza indicare il contesto generale ed epocale, il solo che consentirebbe di misurarne l’effettivo valore.
Un riferimento alla qualità lo fa solo demolendo, ai limiti dell’offesa, il prof. Salvatore Triberio, andando oltre la necessità di confutare il nostro semplice accenno ad un Prof. Triberio che primeggiò in quel periodo, quando raccontando un aneddoto lo definisce un “maximus in minimis e minimus in maximis” e poi un vicesindaco come ce ne erano “[…] stati molti, da Arturo La Monica a Piero Biscari, da Angelo Implatini a Giovanni Rubera; da Saro Belluardo a Nino Sammito; e a Carmelo Carpentieri. Comunque: non era democristiano né amico di Guerrieri.” Come dire che …
Questo aneddoto da lui raccontato evidenzia come quel “voglio essere libero fuori dalla gabbia e non dentro la gabbia” che il prof. Triberio pronunciò, mal si concilia con i contraddittori riferimenti che il prof. Terranova ha fatto adesso a Machiavelli prima per ripudiarlo a favore di una politica intesa come un “capire i problemi della polis, pensare le soluzioni migliori e attuarle” e poi per rimproverarci perché noi non riusciamo a comprendere che “certe pratiche sono legate all’esercizio del potere” compresi gli assegni che volavano alla Pergola nel 1959.
Ciò fa comprendere che il prof. Terranova si distingue da noi anche perché appare un seguace di Leibniz che definisce la politica come l'arte di ciò che è possibile mentre noi siamo sulle orme di Maurras che ci dice che la politica è l'arte di rendere possibile ciò che è necessario.
Concordiamo, invece,perfettamente con quando afferma il prof. Terranova che “la furbizia è come il coraggio di don Abbondio: se uno non ce l’ha non se lo può dare. Come l’intelligenza”. Siamo certi addirittura che anche il compianto prof. Triberio sarebbe d’accordo e forse anche Arturo La Monica, Piero Biscari, Angelo Implatini, Giovanni Rubera, Saro Belluardo, Nino Sammito e Carmelo Carpentieri. (Dialogo-aprile2012-Risposta A terranova)
Antonello “ma quannu crisci!”
Poniamo che siete orgogliosi perché nel vostro comune si sia festeggiato il “Settimo centenario della Contea di Modica” e perché in più giorni di quel 1996, si sia tenuto un importantissimo convegno storico con relatori di livello internazionale;
Poniamo che dal 2003 e per ben sei anni, con ben due sindaci e due Assessori alla cultura, in tutti i modi, avete chiesto che si realizzasse la possibilità per gli studiosi di potere visionare gli atti del convegno in attesa della programmata pubblicazione;
Poniamo che per ben sei anni i governanti pro-tempore vi abbiano preso per i fondelli dicendovi che non avevano i soldi per pubblicare gli atti;
Poniamo che il vostro psichiatra vi abbia tranquillizzato non addebitando a discrasie del vostro cervello la paranoia riscontrata tra la vostra richiesta di visione degli atti e la loro risposta che non avevano i soldi per la pubblicazione;
Poniamo che nel 2010 dopo ben 14 anni avete chiesto al Sindaco di poter visionare gli atti originali del settimo centenario e che egli non vi abbia neanche risposto;
Poniamo che nell’ottobre 2011, alla ennesima richiesta di poter visionare gli atti del settimo centenario, sempre lo stesso sindaco, vi abbia detto che gli atti sono depositati in due copie presso la Biblioteca comunale;
Poniamo che riuscite a superare, senza danni, lo stupore di verificare che il vostro sindaco, facendo confusione tra atti pubblicati ed atti originali, si sia riferito a due copie del volume pubblicato nel 2010 a cura di un nostro accademico;
Poniamo che nel 2012 lo stesso sindaco, impiegando cinque mesi per farsi spiegare la differenza tra atti originali ed atti pubblicati, vi comunichi, finalmente, che gli atti originali sono visionabili presso la biblioteca comunale;
Poniamo che quando vi recate presso la Biblioteca comunale, per chiedere come e quando è possibile visionare gli atti originali, vi sentite dire dal direttore della biblioteca che gli atti sono disponibili presso il caposettore “Cultura” in altro plesso comunale;
Poniamo che quando, per telefono, cercate di fissare un appuntamento per visionare gli atti, vi sentite dire che il caposettore “Cultura” ha trasmesso il giorno stesso gli atti alla Biblioteca comunale;
Poniamo che quando chiedete, per telefono, al direttore della Biblioteca comunale, di visionare gli atti vi sentite dire che dovete inoltrare richiesta scritta al Sindaco;
Poniamo che riuscite a scacciare l’idea che costoro facciano confusione tra visione di atti amministrativi e visione di materiale bibliotecario e culturale;
Dite la verità, dopo tutto questo, non siete dispiaciuti dal fatto che sabato 14 aprile 2012 durante il rito “crisci ranni”, svoltosi nell’area attrezzata Padre Basile di Modica, nessuno abbia lanciato in aria il vostro sindaco dicendogli “ma quannu crisci!”.
Carmelo Modica
Nota
Appena possibile andremo a visionare, presso la biblioteca comunale, gli atti originali che l’attuale Caposettore cultura gli ha trasmesso, rimuovendoli dall’armadio del suo ufficio, li depositati chissà da quando. Dobbiamo trovare, però, lo spirito giusto e dovendo ancora smaltire il nervosismo accumulato dall’essere stati sballottati da un ufficio all’altro per un problema così semplice, non vorremmo aggiungerne dell’altro essendo possibile che alla già inconsueta istanza al Sindaco, richiestaci per visionare dei normali documenti bibliotecari, la collaudata “stupidità burocratica” del Comune non aggiunga altre e più stravaganti procedure.
I nostri 67 anni ci impongono qualche cautela e soffrendo di gastrite vogliamo prenderci del tempo perché facendo mente locale a possibili incontri con tale “stupidità burocratica” potrà intervenire una qualche forma di immunizzazione buona per evitarci qualche sempre dannosa dose di Maoolox. Perché avere fretta? E’ dal giorno di San Martino del 2003, data della prima richiesta scritta di visionare gli atti, che due Sindaci ci hanno addestrato a non avere fretta. (Dialogo-aprile 2012-)
Dialogo aprile 2012
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Cuore modicano
Quando Mussolini impedì ai fascisti di Modica di essere modicani
E’ stato, ed è, abusato strumento dialettico, della classe politica modicana post fascista, a corto di argomenti, ricondurre ogni critica a loro rivolta, in ordine alla decadenza della nostra città, allo “scippo fascista” del capoluogo di provincia del gennaio 1927.
Il prof. Saverio Terranova (DIALOGO marzo 2012) addirittura, in maniera solenne, indica come scopo del suo “Contributo alla storia di Modica” lo “sforzo compiuto dalla classe politica modicana per risollevare la città, letteralmente devastata dal fascismo, per essere stata privata della sua posizione storica di capoluogo”.
Eppure è possibile devastare solo l’esistente: la piena di in fiume può distruggere un ponte che esiste non quello che non si sa neanche se sarà progettato. In questo senso rimane un mistero dialettico, sostenere che la mancata elevazione a capoluogo di provincia, che poteva anche non essere attuata, abbia devastato Modica, più di quanto possa averlo fatto la politica fascista generale. Sembra ineccepibile dire, invece, che fu un atto che certamente favorì Ragusa ma che non poteva “devastare” gli altri.
Questo non vuole essere un gioco di parole per minimizzare il vero, storicamente e culturalmente violento ed incancellabile oltraggio che il Fascismo operò alla nostra Comunità, alla storia ed alla giustizia, ma giudichiamo, questa enunciazione, di violenza pari a quella subita dai modicani nel 1927: politicamente spregevole esibizione di modicanità per nascondere una pura ed intrinsecamente propria mediocrità politica.
Noi stiamo indagando la qualità della classe politica modicana, che nella storia repubblicana di Modica, ha visto l’era democristiana succedersi a quella social-comunista, berlusconiana e Antonelliana strettamente legate da un rapporto diretto di causa ad effetto.
In tale nostro cammino rileviamo che lo "scippo fascista” del capoluogo non è la causa del declino di Modica, bensì la prova della continuità della mediocrità della sua classe politica.
Noi, nonostante la nostra notissima collocazione politica, non poniamo confini alla nostra indagine; questo disincanto ci consente di individuare, nel periodo fascista, uno dei peggiori momenti di qualità della classe politica modicana. Infatti, mentre il fascista Pennavaria di Ragusa faceva carte false per ottenere la elevazione a capoluogo di provincia della sua città, i fascistelli modicani facevano altro e non trovarono tempo e motivazioni per opporsi alla assurda pretesa, mentre i fascisti modicani-doc, erano tutti intenti ad ottenere il "Brevetto della Marcia su Roma".(1)
Ma neanche gli antifascistelli dello stesso periodo seppero balbettare un pur timido dissenso contro l’abuso che il Fascismo stava operando. Dubitiamo che il regime di Mussolini potesse impedire ai fascisti di Modica di essere modicani, ed ancor meno che gli antifascisti modicani, che avessero manifestato il loro dissenso, sarebbero stati olioricinati. (2)
E che dire degli antifascistelli del 1945 che, a democrazia ripristinata e, quindi, al riparo da purghe e confino, non tentarono di ottenere un benché minimo riconoscimento per risarcire, per quanto era possibile, l’abuso subito dal fascismo.
Alla caduta del Fascismo il sentimento dominante era certamente quello della riparazione dei suoi abusi come un desiderio di azzeramento e di ripristino di una legalità giuridica e culturale sospesa per un ventennio.
In tale ottica vennero revisionati anche i processi di assoluzione celebrati in odor di parzialità fascista, compreso quello per l’eccidio di Modica del 1921 che riconfermò l’assoluzione ad esponenti fascisti che erano stati imputati. Esistevano, quindi, i presupposti per rimettere in discussione, se non la ormai acquisita qualità di capoluogo di Ragusa, almeno la possibilità di creare una provincia “Modica e Ragusa”, un po’ come “Massa e Carrara”, ma anche un ripiegamento su posizioni più praticabili come la istituzione in Modica di un unico Tribunale, un unico Archivio di Stato, una biblioteca provinciale, un sistema di studi più esclusivo e di eccellenza e quant’altro, un clima pacato e deciso di riordino istituzionale, avrebbe potuto suggerire ad una classe politica che fosse stata animata da un forte, sano e determinato sentimento di appartenenza alla Comunità modicana.
Ciò premesso non ci meraviglia che il Professor Terranova, come chiunque voglia riservare al proprio partito una caratura salvifica, posiziona (come una eroica cittadella assediata dal male), l’era di “quel grande partito che fu la Democrazia Cristiana” (DIALOGO marzo 2012) tra le devastazioni del Fascismo e quelle dell’alternativa social-comunista. Né ci meraviglia che egli trascuri la qualità politica di quei sei consiglieri comunali che, evidenziando pura qualità democristiana (potere per il potere), consegnarono la città ad un lungo periodo di governo social comunista, qualità politica che poi presiederà con i suoi migliori esponenti, come una metastasi, la direzione politica di entrambi gli schieramenti dell’era Berlusconi.
Ed è seguendo i dettami del modernismo di ridurre ogni cosa al solo punto di vista quantitativo, che egli contro le “devastazioni fasciste”, ci propone un consistente elenco delle opere realizzate dal governo democristiano. (3) E lo fa pretendendo di fare accettare tale elenco in maniera acritica non rispettando neanche, come impone il “regno della quantità”, la regola di indicare una unità di misura. Infatti egli evita di descrivere i contesti generali in cui tali opere furono realizzate e con quali risorse; insomma, non opera i raffronti adeguati per poter distinguere il molto dal poco, il bello dal brutto, il vitale dal meno necessario.
Accettando il criterio quantitativo del prof. Terranova, ovvero, se il valore di un governo si dovesse far dipendere solo dalla quantità di opere realizzate i ragusani avrebbero buoni motivi per fare una statua a Pennavaria alta 20 metri e, addirittura, potrebbero non essere considerate tanto irrilevanti le opere che lo stesso Fascismo realizzò a Modica nonostante tutto. (4). Ma anche i borbonici ed i governanti di Modica della ultima parte del‘800 possono ben vantare una opera monumentale, specie se rapportata ai contesti generali dell’epoca, se è vero che i lavori di copertura degli alvei da San Francesco La Cava a Piazza San Domenico e da qui fino alla chiesa di S. Maria vennero iniziati nel 1841 e nonostante il trapasso dal Regno Borbonico a quello Sabaudo vennero ripresi ed ultimati negli ultimi quattro lustri del secolo. (5)
Ma il criterio quantitativo scelto dal prof. Terranova è insufficiente a misurare qualità politica anche perché potrebbe essere possibile che un’opera pubblica si programmi, si progetti e si realizzi per conseguire tangenti e favoritismi elettorali, come il potenziamento della struttura burocratica comunale può realizzarsi per rendere servizi efficienti al cittadino oppure per fare clientelismo e realizzare un potente strumento elettorale.
Con questo non vogliamo inquinare l’elenco del prof. Terranova con congetture: ogni cittadino che ha parenti impiegati nel comune, oppure che ha avuto contatti con la sua struttura burocratica può farsi una propria libera opinione. Né risulta che le “risse” interne alla Democrazia cristiana avvenissero sulla quantità di posti letto dell’ospedale, sulla larghezza del ponte Guerrieri o sulla larghezza delle strade di Marina di Modica.
Ovviamente il prof. Terranova ha il diritto di definire congettura la regola del 2-1-1 che si applicava all’Azasi per l’assunzione di personale: due posti dovevano essere assegnati ai democristiani, un terzo ai socialisti ed un quarto alla camera del lavoro (comunisti); ma noi abbiamo il diritto di considerarla verità confortati dal dato di fatto che solo un simile “arruolamento” può spiegare il senso di una Azasi la cui nascita, morte ed organigramma provano come quella che aveva tutti i requisiti dell’ottima iniziativa politica in effetti maturò solo ed esclusivamente come carrozzone politico, tanto che chiuse i battenti solo per consunzione della missione clientelare.
Ma anche dal semplice elenco delle opere indicate dal prof. Saverio Terranova è sempre possibile trarre segni qualitativi, fosse anche il solo riferirsi al modo in cui furono realizzate.
Non ci riferiamo, per esempio, alla copertura con mattonelle bituminose di ampi piazzali, già ben pavimentati con piccole basole di pietra modicana, che può attribuirsi ad una comprensibile ansia nell’impiego di materiali nuovi più rapidi da realizzare e più pratici da utilizzare che solo col senno del poi è possibile criticare; allo stesso modo con cui forse sarà criticato, in un più o meno prossimo futuro, l’attuale proliferare di muri a secco “bastardi” inseriti in ogni dove ed in contesti che li banalizzano: tutto ciò richiederebbe giudizi di bellezza e di estetica che sono personali e che sono legati a mode e spirito dei tempi.
Meno opinabile è, però, riferirsi alla qualità delle opere realizzate anche da un punto di vista tecnico perché quand’anche, per esempio, non si volesse assegnare alla dirigenza della classe politica modicana la responsabilità della mancata realizzazione a regola d’arte della copertura del corso nella zona dell’ex Motel Agip, come ha ben messo in evidenza l’inchiesta condotta dall’ing. Giovanni Savarino e da Paolo Oddo (DIALOGO marzo 2012), in quanto aspetti puramente tecnici non immediatamente riconducibili al politico (6), non vi è dubbio che Marina di Modica tramanderà ai posteri il modo democristiano di concepire la città fino a quando una provvidenziale ruspa non ne cancellerà la memoria: a livello simbolico ci auguriamo che, come in un fantastico rito liberatorio, venga utilizzata la stessa ruspa che demolì la chiesa di S.Agostino e l’albergo Bristol perché anche alle incolpevoli macchine sia data l’occasione per redimersi.
Le devastazioni procurate a Modica “per essere stata privata della sua posizione storica di capoluogo”, tanto care al prof. Terranova, invece possono avere una loro validità argomentativa solo sul sorpasso storico subito da Modica da parte di Ragusa, essendo oggettivamente evidente il vantaggio di quest’ultima, ma anche in questo ci si dovrebbe chiedere quale altro Mussolini l’11 aprile 1981 impose a Nino Avola, modicano, onorevole regionale di “quel grande partito che fu la Democrazia Cristiana” di votare la legge n.61 “Norme per il risanamento ed il recupero edilizio del centro storico di Ibla e di alcuni quartieri di Ragusa” senza pretendere che venisse estesa al centro storico di Modica e, se avesse posseduto una visione politica di Circondario, a quello di Scicli?
Sono dei novelli Pennavaria i Chessari e gli esponenti di tutta la classe politica ragusana, senza distinzione di colore partitico, che hanno creato la moderna Ragusa?
Quello che rimane della classe politica modicana che gestì il primo dopoguerra, accompagnati dal senatore superproletario Scivoletto, dall’on. Drago, dall’on Minardo e famiglia e da tutti gli assessori e vicesindaci che si sono avvicendati nel governo della nostra (non loro) Modica si facciano una passeggiata nella Ragusa nuova, nei vicoli di Ragusa Ibla e dalla chiesa di San Giorgio all’ingresso della villa comunale, percorrino il lungomare di Marina di Ragusa; allunghino il passo in quello che porta verso il porto e qui trovino un cantuccio isolato per riflettere e… vergognarsi.
Carmelo Modica
(1) Il Popolo d'Italia, 14 Gennaio 1937, pag. 6 riporta l’elenco dei fascisti che avevano chiesto ed ottenuto il "Brevetto della Marcia su Roma". Su un totale di 162 richieste provenienti da tutti i comuni della provincia, ben 53, pari ad un terzo del totale, venivano da Modica.
(2) Il 21 aprile scorso il prof. Giuseppe Barone ha svolto una conferenza dal titolo “Modica nel ventennio: una storia dolceamara” con la quale è stato presentato il volume, scritto da Mario Nobile e Giuseppe Calabrese, “Al di sopra delle Aquile” che racconta la nascita della provincia di Ragusa. L’aggettivo “dolceamaro” utilizzato per qualificare questa storia ci lascia perplessi, perché ci sembra banale e scontato se riferito alla storia di per se, mentre essendo maturato nell’ambito modicano ci viene difficile immaginare cosa potrebbe esserci di dolce per un modicano in tale vicenda. Ciò che, invece, ci ha davvero gratificato è stata la ricostruzione storica del prof. Barone, come sempre sublime nell’esposizione e completa e stimolante nella esegesi dei fatti. Non condividiamo, però, la teoria che la classe politica fascista modicana non avrebbe potuto fare null’altro per opporsi alla erezione a Capoluogo di provincia di Ragusa perché impedita dall’autoritarismo spietato del regime fascista. Tutte le dichiarazioni o meglio le suppliche vergognosamente lacrimevoli a Mussolini ed ai vertici del partito fascista, in occasione della istituzione del circondario di Ragusa e, poi, al primo Prefetto di Ragusa De Blasio, lasciano intendere che i fascisti modicani che strapparono le tessere forse furono gli unici ad avere quel comportamento “virile” che il Fascismo predicava e praticava anche nelle beghe interne al partito. Dire che Pennavaria sfruttò le debolezze della classe politica fascista modicana spiega i fatti, ma non impedisce di definire quest’ultima politicamente mediocre, anzi ne è la prova assoluta.
(3) “[…] scomparsa totale degli aggrottati con la costruzione di un grande numero di case popolari, costruzione di scuole e di impianti sportivi; costruzione del mercato ortofrutticolo e del mercato zootecnico; realizzazione di un agglomerato industriale e di una zona artigianale; fondazione di Marina di Modica; introduzione del turismo; scoperta e utilizzo dell’acqua di Cafeo; realizzazione della zona 167 con quasi dieci cooperative edilizie; realizzazione di un giardino pubblico in via Silla; creazione di un grande e moderno ospedale; il viadotto sulla Fiumara, quello di Modica Alta; la elettrificazione di tutto il territorio; la copertura degli alvei dello Stretto, di via Tirella, di via Marchesa Tedeschi, e dell’alveo retrostante il Motel; la illuminazione della città.”
(4) Furono costruiti alcuni importanti edifici scolastici e scuole rurali, ampliato il Cimitero; costruito il nuovo macello; fu pavimentato in asfalto Corso Umberto e avviate opere di consolidamento di frane per la difesa dell’abitato e per la sistemazione dei torrenti per proteggere gli abitanti dei quartieri Lavinaro, San Paolo e Liberale; iniziarono i lavori di sistemazione del torrente San Francesco, sempre per proteggere gli abitanti di Modica dalle alluvioni, e fu progettato l’acquedotto di Modica Alta e la fognatura. Inoltre il Ministero delle Comunicazioni eseguì diversi importanti lavori nella Stazione ferroviaria, come il miglioramento dei fabbricati, l’impianto dell’acqua, la sistemazione dei locali, i binari per scarico e carico, l’illuminazione elettrica, la costruzione di un albergo diurno e di un orologio monumentale (La Nuova Ragusa e opere del Regime in Provincia – Numero speciale. Rivista mensile, aprile 1932)
(5) Giorgio Cavallo, Androcronomachia, Ideamente editore, Modica 2005
(6) Appare essere compito della politica lo stabilire i giusti criteri perché i lavori vengano assegnati alla ditta giusta, non prevedendo eventuali tangenti capaci di non emergere, magari sotto forma di contributi alle campagne elettorali e realizzando severi criteri di controllo in sede di collaudo ed esecuzione dei lavori.
maggio 2012
‘Lamento’ della lapide che ricorda l’eccidio di Modica del 1921
E' maturato il tempo per fare e dire qualcosa. Visto che nessuno trova il tempo per dedicarci qualche riga, quest'anno, prima dell'annuale ricordo del 29 maggio 1921, che è stato segnato dalla Storia come l'"Eccidio di Modica", ho deciso di liberarmi di un “grumo culturale” che molte lapidi, come me, conservano da moltissimi anni nel loro cuore.
E’ vero che è proprio nella nostra natura di lapide dire qualche piccola bugia, enfatizzando qualità oppure esagerando orrori, basta dare un'occhiata alle lapidi del cimitero; è vero anche che quelle di noi che riproducono messaggi impegnativi e ricordi pregnanti più delle altre sono costrette dall'uomo alla insincerità.
Spesso molto spesso, ed è la storia a confermarlo, svolgiamo la funzione di testimoniare la stupidità umana, specie quando ad ogni cambio di regime, quasi sempre, persone democratiche e civilissime vengono a frantumarci con quel maledetto martello pensando di distruggere con i segni anche la storia.
Se potessi, farei preparare una lapide per ricordare quelle mie tre antenate che, come documenta Giovanni Maria Pisana nel suo "La visita a Modica delle LL. MM: Ferdinando II e Maria Teresa di Borbone nel 1844" [edizioni «Associazione culturale "Dialogo''», Modica 2008], realizzate per ricordare la visita dei sovrani borbonici nella nostra città, dagli ingressi delle chiese madri di San Pietro e San Giorgio e da quello del Palazzo di Città (Palazo Salemi), dopo una annosa corrispondenza tra casa reale e comune di Modica per definirne il contenuto non si sa che fine fecero anche se è facile immaginare che furono raggiunte dal solito sciocco martello che distrugge lapidi e manifesta imbecillità.
Non meno traumatica fu la fine di quell'altra mia più recente parente che intorno al 1910 il Comune di Modica fece fissare sulla facciata dell’attuale Palazzo della cultura che con i versi del Prof. Mario Rapisardi dell’Università di Catania, in occasione della morte dell’anticlericale spagnolo Francisco Ferrer , esortò: “Contro l’idea levò il pugnale la setta che non perdona. Contro la setta, levi il popolo la fede.”
La “lapide Ferrer”, secondo i più normali riti della idiozia umana, nata dalla furia anticlericale doveva essere frantumata dalla rabbia fascista contro l’attentato al Duce da parte Zaniboni del 1925.
Circa 10 anni dopo, il fascistissimo avvocato Stefano Rizzone Viola, sulla stessa facciata poggiava una lunga scala di legno e sollevato in alto dagli “eia eia alalà” di una folla plaudente che attorniava la base della scala, fissava al muro una lapide per dichiarare al mondo il disprezzo dei modicani all’Inghilterra ed alla “Società delle Nazioni” che avevano imposto le sanzioni economiche contro l’Italia.
E li rimase, tranquilla, fino a quando nel 1943 con il rombo dei carri armati degli “Alleati” avvertì i segni della fine, infatti, di li a poco, sembra che il commerciante Vasco, che per tutti questi anni forse l’aveva sopportata dal suo negozio di fronte, l’abbia distrutta insieme a quella della casa del fascio nello stesso fabbricato.
Rispetto a questi precedenti io, tutto sommato, sono tranquilla: non vedo all'orizzonte presupposti sociali e politici che possano fare avvicinare martelli che mi possano distruggere. Penso che morirò di oblio; è dal 1951 che ogni anno, puntuale è sempre arrivato un corteo con la corona che però ho visto, nel succedersi degli anni, sempre meno numeroso e partecipe, segno che sparirà.
E sarà un bene: niente corone meglio qualche persona commossa che avendo letto qualche libro si fermerà un attimo, appena un attimo, per ricordare il sangue versato da nove figli del popolo modicano per costruire la storia della nostra città e si segnerà con il segno della croce.
Sarà, allora, anche per me il tempo dei ricordi e, quando mi rileggerò, ritornerò a chiedermi perché, nonostante ben due processi in cui furono assolti i fascisti, politici ed eminenti sedicenti storici mi hanno costretto alla bugia, quantomeno giuridica, di definirla "strage fascista".
Verrà comunque il tempo in cui alla gratitudine per la testimonianza resa da questi nostri umili padri si affiancherà la compassione malinconica per quanti, anno dopo anno, con corone, comizi infuocati e cerimonie più ieratiche che di riconoscente silenzio, per più di sessant’anni hanno, senza scrupoli, strumentalizzato il sangue di nove umili lavoratori per tornaconti di greve ideologismo e di proprie carriere politiche ed accademiche.
Maggio 2012
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A colloquio con un paracarro modicano di via San Marco Mista
Mi ero fermato in un’ampia curva, della ripida via San Marco Mista, per osservare dall’alto l’alveo coperto del torrente Pozzo dei pruni a ridosso del quale è progettata la realizzazione di sette palazzi di sei piani.
Avevo appoggiato il piede sul paracarro, per riannodare i lacci di una scarpa, quando sentii una voce che mi chiamava per cognome. Girai lo sguardo attorno ma non vidi nessuno ed allontanato il ricordo di alcuni miei amici che hanno problemi con l’udito, ripresi ad interessarmi dei miei legacci ricorrendo al doppio nodo per facilitarmi un più agevole camminare sul terreno sconnesso che dovevo attraversare per raggiungere, oltre il paracarro, il ciglio dell’altura dalla quale era possibile osservare meglio tutta l’area adiacente all’ex foro boario in cui, l’annunciata mala-urbanistica Antonelliana vorrebbe “fari crisci(ri) ranni palazzi” e distruggere definitivamente gli scenari delle mie interminabili partite a pallone con ginocchia rotte e tuffi nelle acque della “Fontana grande” che solo l’incoscienza di ragazzo mi consentì di fare.
Nell’atto di scavalcare il paracarro mi risentì richiamare e solo dopo aver verificato che ero solo e pensato che forse era davvero giunto il momento di chiedere ai miei amici coetanei con problemi di udito chi fosse il loro medico migliore, venni raggiunto, da una voce, che questa volta con tono quasi stizzito mi disse:
- dottor Modica non si guardi inutilmente attorno, sono qui, si giri, mi guardi sono davanti a lei, sono il paracarro.
Superato lo stupore rinunciai a scavalcarlo e mi allontanai da esso quanto bastava per poterlo guardare meglio, quasi a cercarne gli occhi.
- Non si meravigli- aggiunse – mi capita di rado che qualcuno si fermi a chiacchierare qui vicino, ma è in tali occasioni che ho saputo qualcosa di lei e del suo impegno politico. Avevo provato a rivolgermi a qualcuno per chiedere un incontro con lei, visto che non mi sognerei mai di lasciare questo dirupo senza protezione, ma è stato inutile: alcuni si sono allontanati di fretta, perché non capivano da dove provenisse la voce, altri, increduli, hanno balbettato incerte parole.
- comprenderà il mio imbarazzo, signor Paracarro- risposi titubante e guardando nella direzione dalla quale sentivo arrivare la voce con il disagio di chi non sa con chi incrociare lo sguardo - ma perché voleva incontrarmi?
- E’ noto che Lei sia un esperto di voltagabbanismo, che ne ha scritto in tutte le salse, specie negli anni passati. Mi risulta che lo ha fatto con metodo ed anche se non ha mai riferito i nomi dei voltagabbana modicani non esiste lettore di DIALOGO che non abbia, attraverso i suoi riferimenti, dato un volto preciso ed una chiara identità a costoro.
- Ma Lei perché è interessato a questo problema, che per certi versi io ritengo superato? Infatti, io considero il voltagabbanismo una qualità pre-politica e, quindi, capace di condizionare in termini negativi ogni atto politico nei soggetti che la posseggono. Io non ne scrivo più perché essa è stata assorbita da una mediocrità politica più generalizzata e diffusa. Se vi è un periodo che più degli altri può essere meglio storicizzato nella storia della Modica repubblicana è certo quello che è passato come il tempo dei voltagabbana. E ciò è possibile perché tale ‘qualità’ è stata così ben metabolizzata dal processo di decadenza da divenire essenza stessa dell’avvenuta decadenza e, qualità indiscussa e “normale” del nuovo politico tanto da non essere più avvertita.
- E’ pur vero però che costoro mal sopportano di essere definiti voltagabbana. E ciò mi lascerebbe indifferente considerandola una loro legittima difesa se non fosse che, per favorire quello che lei definisce “processo di metabolizzazione”, costoro, con grande spregiudicatezza, buttano fango su noi paracarri.
- In che senso?
- Veda, noi paracarri siamo molto legati fra noi, a volte lo siamo per chilometri e chilometri e con tanto tempo disponibile per chiacchierare e scambiarci opinioni e siamo concordi nel sostenere che non è giusto che costoro debbano rintuzzare la disistima che viene loro rivolta riversandola su di noi dicendo quasi sempre in forma solenne che …” solo i paracarri non cambiano idea” indicando la nostra immobilità, e quindi la nostra funzione, come qualcosa da disprezzare. Costoro vogliono far divenire senso comune che il cambiamento di idea è segno di intelligenza e capacità di assecondare il mutamento del pensiero lasciando a noi paracarri la funzione di rappresentare la stupidità dell’immobilismo.
- Si ricordo che l’ha pronunciata addirittura il Presidente della Camera, la seconda carica dello Stato… colui che ha quasi completato il suo giro da destra a sinistra…
- … se per questo a Modica abbiamo un personaggio che lo ha completato da comunista a berlusconiano… lei se ne è interessato in maniera insistente; ma questo interessa solo per la storia.
- Non posso negare di essermi interessato di questa categoria di politicanti modicani che ho definito una vera e propria “genia”. Ma lei perché mi fa questo discorso?… perché le interessano i voltagabbana? In quale maniera Le posso tornare utile?
- Approfitto di averla casualmente incontrata, per chiedere qualche suo articolo perché noi tutti paracarri di Modica siamo convinti che solo lei può ben illustrare la funzione del paracarro e di quanto incredibilmente ridicolo sia il voler paragonare la incoerenza del voltagabbana con la eccezionale funzione del paracarro che ha impedito, forse anche a qualche voltagabbana, di rotolare con la sua macchina materialmente in qualche burrone mentre non esiste paragone sul piano culturale tra il paracarro che indica il confine tra i mondi, disegna la via, indica le direzioni e le mete e quel girovagare caotico e senza senno del voltagabbana.
- In pratica lei vorrebbe impedire con una “apologia del paracarro” che il voltagabbana possa far assimilare alla cultura politica l’accettabilità morale ed etica del voltagabbanare.
- Ha colto nel segno. Noi paracarri ne abbiamo discusso a lungo, e ci chiediamo perché i voltagabbana, per difendersi non debbano ricorrere ad un più flessibile significato del concetto di coerenza anziché ricorrere a rovesciare fango sui di noi paracarri, come se non ci bastasse quello che ci buttano addosso le macchine in transito nelle giornate piovose. Potrebbero, per esempio, cercare di difendersi citando don Milani che mise in guardia dalla coerenza assoluta considerandola assurda e stupida ".
- Spero non voglia chiedere proprio a me di sostenere un elogio della incoerenza? Veda io ho un vero rispetto per Don Milani, ma ritengo che egli fu molto più rigido in termini di coerenza di quanto andava dicendo e credo indicasse questa sua avversione nei confronti della “coerenza assoluta” solo come necessità di non essere prigionieri di niente, neppure dei ‘principi’ quando si elabora il pensiero, ma non che escludesse la esistenza di funzioni e confini rigidi oltre i quali vi è solo il baratro. Non voglio scoraggiarla ma la vostra battaglia contro i voltagabbana è difficilissima perché per un voltagabbana difendersi con un solenne …” solo i paracarri non cambiano idea” è semplicemente sublime. Si metta nei loro panni, e apprezzi la potenza mediatica della frase. Ma state tranquilli perché questa loro azione ha successo solo in un mondo dominato dalla superficialità dei luoghi comuni e dalla mediocrità morale e culturale. La gente sufficientemente saggia avverte la differenza ed il valore di chi cambia semplicemente idea e chi si trasferisce, armi e bagagli in altre postazioni culturali ed altre visioni del mondo che richiederebbero vere e proprie conversioni. Pensate che non vi sia differenza tra un politico che nel prosieguo del suo, a volte travagliato, percorso culturale arriva a conclusioni nuove e diverse, seguendo un cammino culturale in cui si intravede con chiarezza la evoluzione del pensiero e la coerenza tra una fase e l’altra, e l’itinerario del voltagabbana che inviperito reagisce all’accusa di voltagabbana invocando la fissità del paracarro come paravento culturale di un loro altrettanto ‘fisso’ mutamento di idea ed un loro sempre ‘fisso’, costante e scontato movimento che ha il ‘fisso’ risultato di farlo trovare costantemente sempre là dove si sposta il potere o quantomeno nel punto più propizio per agguantarlo?
- quindi ci dobbiamo rassegnare…
- Non siate molto tristi di questo. Sappiate di contro che vi sono tanti, forse i molti, forse gli stessi che votano i voltagabbana perché la mediocrità della democrazia attuale li costringe a farlo, che, invece, stimano il paracarro perché rappresenta il ‘principio’ che spesso proviene dalla Tradizione, cultura stratificata dai nostri padri che rappresenta il punto in cui il principio viene violato, il punto inequivocabilmente limite oltre il quale vi è solo ed esclusivamente il burrone.
- Dopo questo colloquio, comunque, pur avendo capito non riesco a non essere triste..
- La capisco e lo sarà il prossimo anno ancor di più, quando vedrà costoro, nelle prossime elezioni comunali nascosti in tante liste civiche di tutti i colori ad esibire “rottura con il passato” sbandierare nuove posizioni, nuove forme politiche, nuove alleanze, nuovi patti, nuove alchimie… nuove… nuove… nuove…
Carmelo Modica
giugno 2012
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Ultimo “atto” degli atti del Settimo Centenario della Contea di Modica
Nel libello “Storia nascosta di Modica”, che stiamo scrivendo, abbiamo indagato la “Politica culturale” dei governi della nostra Modica repubblicana, volendo anche trarre delle indicazioni sul contributo degli intellettuali modicani su tale attività di governo.
In tale contesto abbiamo individuato alcuni provvedimenti di governo che hanno evidenziato atteggiamenti, comportamenti atti e processi mentali che sembrano essere la diretta espressione di una “Infezione culturale”, ovvero di una malattia culturale della politica ben più grave di quella che appare.
Anticipiamo, la vicenda che riguarda gli atti del “Convegno internazionale di studi sulla Contea di Modica” perché, più di altri esempi che riporteremo nel citato libello, meglio si presta a considerazioni generali, ed anche perché, raccolti gli ultimi elementi, chiude una discussione che su DIALOGO è aperta da molti anni.
Nel 1996, la sinistra al governo della città realizzò il “1° Convegno internazionale di studi sulla Contea di Modica”, evento davvero di altissimo valore culturale che superava, finalmente, la ordinaria mediocrità alla quale l’attività di governo nella Modica repubblicana (1) ci aveva abituato nel campo culturale. Come l’importanza dell’evento imponeva, si previde la pubblicazione dei relativi atti, che avvenne però a distanza di ben 12 anni (2008) in due volumi con il titolo “La contea di Modica (secoli XIV-XVII)” curati da Giuseppe Barone, docente universitario, già assessore alla cultura del Comune di Modica e politico del Partito comunista e delle varie successive sue mutazioni.
Già i 12 anni fatti trascorrere per la loro pubblicazione è indicativo, ma ciò che più appare significativo ai fini di emettere un giudizio di valore culturale sulla classe politica che ha governato Modica dopo quel convegno, sono gli atteggiamenti ed i comportamenti espressi da tale classe politica e culturale in ordine alla possibilità, per gli studiosi, di poter visionare gli atti originali del convegno. Tema particolarmente significativo perché attraversando sia i governi di sinistra che di destra evidenzia come i due schieramenti possono differenziarsi in mille cose, ma non nella mediocrità di certi atteggiamenti e risultati.
Il “Convegno” venne ideato e realizzato dal governo della sinistra (Sindaco Carmelo Ruta) che però, dal 1996 al 2002, quando, sconfitta elettoralmente, dovette cedere il governo all’era Torchiana, non trovò il tempo di pubblicare gli atti; sei anni che, secondo il segretario dei democratici di sinistra Giancarlo Poidomani, furono un lasso di tempo inferiore ai cinque che Torchi, aveva anch’egli lasciato inutilmente trascorrere se è vero che lo stesso con un comunicato stampa del 2 ottobre 2007 ne rimproverò al sindaco Torchi l’inerzia.
Furono pubblicati nel dicembre del 2008 e presentati il 26 giugno successivo nell’aula consiliare. In tale occasione il prof. Giuseppe Barone, certamente sollecitato dalla nostra presenza, ha raccontato che qualcuno in maniera pretestuosa avrebbe avanzato l’ipotesi che gli atti erano stati da lui “nascosti” per renderne impossibile la consultazione. Così egli pensava di dare una risposta a noi che ne avevamo chiesto invano la visione sin dal novembre 2003, ma anche al “Gruppo Terzo Occhio” che in un piccolo libello aveva espressamente scritto “…è d’obbligo chiamare in causa il professor Uccio Barone il quale, […] con la sua scelta di rendere impossibile visionare gli Atti della Contea, in attesa della loro pubblicazione in degno volume su carta patinata, rappresenta una linea di continuità con i predecessori e, per come purtroppo si prospettano le cose, con i successori”. (2)
Giustificazione inconsistente, perché nel 2002 la Sinistra, sconfitta, cedette al centrodestra il governo della città ma non la gestione della pubblicazione degli ‘Atti’ tanto che l’Assessore alla cultura del nuovo governo Torchi non seppe mai indicare a chi scrive dove materialmente fossero custoditi gli originali degli atti stessi tanto, che lo stesso Assessore alla cultura Giorgio Cavallo ebbe a ricevere la nota di un suo dirigente che gli riferiva che “da un esame, non molto agevole, dei fascicoli d'archivio non risultano depositati gli atti di che trattasi, mentre da informazioni assunte pare (sic) che i suddetti atti siano depositati presso l'Università di Catania che dovrebbe provvedere alla pubblicazione degli stessi […]” (3).
Per meglio comprendere gli atteggiamenti “culturali” di quella classe politica occorre ricordare che alla oggettiva violenza ed arroganza (attuata non rispondendo mai né alle formali interrogazioni né alle insistenti richieste attraverso la stampa locale) essa affiancò, per le vie brevi, la stizzita scusa che l’Amministrazione non aveva i soldi per pubblicare gli atti: paranoica confusione tra possibilità di visionare gli atti originali e pubblicazione degli stessi.
Dicevamo che destra e sinistra non si differenziano negli atteggiamenti, cosicché quando a pubblicazione degli ‘atti’ avvenuta, abbiamo chiesto la possibilità di visionare gli atti ‘originali’ del ‘Convegno’, il governo Antonelliano - sulla scia della paranoica impossibilità di visionare gli atti fino a quando non fossero pubblicati - fece seguire la nuova “trovata” consistente nella ‘geniale’ confusione tra atti pubblicati a cura del prof. Barone ed atti ‘originali’. (4)
Sarebbe un errore liquidare questi atteggiamenti come semplice espressione di superficialità, stupidità burocratica o mancanza di metodo (5), perché dalla lettura degli “atti originali” si rileva come la classe politica di sinistra alla genialità della iniziativa accostò una mediocrità senza pari in ordine alla sensibilità di rendere patrimonio della Comunità degli studiosi il risultato di quel convegno e ciò conferma come sia patrimonio genetico dell’intellighenzia comunista e postcomunista accompagnare al solenne obiettivo politico dell’acculturamento delle masse la propria superbia di ritenersi modello e sostanza della vera ed unica “Cultura”.
Ma vediamo perché.
Dal giorno di San Martino del 2003, data della prima richiesta, sono trascorsi nove anni quando il 17 marzo 2012, finalmente, nei locali della Biblioteca comunale, ci viene consentito di visionare gli “Atti originali”. Essi hanno le sembianze di un faldone che raccoglie tante carpette quante sono le relazioni fatte pubblicare dal prof. Barone. Ciascuna carpetta contiene la rispettiva relazione in lingua italiana; non sono presenti cassette audio o video né due floppy disk che pur sono menzionati come allegati da due relatori.
Comparando il contenuto del faldone con le relazioni presenti nel programma del 1996, risulta che quattro relazioni non sono state pubblicate dal prof. Barone. E’ certo che tre di esse furono svolte, una di esse in lingua francese con traduttore a fianco del relatore; della quarta non abbiamo notizie né saperne di più può incidere sulle conclusioni.
Questo ci basta per potere scrivere che a valle della pregevole, molto pregevole, definizione del tema e dei relatori, si manifesta colpevole superficialità, disorganizzazione ed assoluta assenza della volontà di produrre un atto che avesse valore anche culturale.
Eppure nel governo dell’evento vi è la presenza, con incarichi di responsabilità, di uomini di cultura anche accademica per i quali dovrebbe essere una “deformazione professionale” il predisporre ed organizzare le cose per la corretta raccolta e custodia del documento, dell’appunto, della nota a margine, della indicazione dei climi, dei contesti e dei profili che danno sostanza al desiderio ed ai canoni della ricerca.
Il ‘Convegno’ si annunciò come una vera svolta nella politica culturale modicana (6): l’eccezionale scelta dei relatori dava vera sostanza alla internazionalità dell’evento che proposto come ’1°’, inoltre, lo indicava come progetto da istituzionalizzare e proiettare nel tempo.
I risultati, invece, sostanziano l’assunto che sin dall’inizio si mirò solo ad esibire una immagine di grandezza in uno scenario di ostentazione di supercultura accademica.
E’ sufficiente analizzare i criteri di organizzazione di celebri “convegni internazionali”, o quelli richiesti da alcune università o prestigiose fondazioni per ottenere il loro patrocinio ed estrarre, dalle più autorevoli raccolte di atti di convegni internazionali, i criteri per la cura della sua pubblicazione, per convincersi che già nell’immediato non vi fu l’elementare impegno di raccogliere e fissare in supporti durevoli quanto i relatori avrebbero donato al convegno del loro sapere. Se chi organizza un convegno non considera lo stesso come strumento per soddisfare la missione principale di diffusione del sapere e delle conoscenze andando oltre il pubblico presente alle singole relazioni, per rivolgersi anche alle generazioni future si può dire che ha organizzato un evento ma non stabilizzato una sostanza culturale. Stiamo parlando di conservazione dei risultati culturali del convegno, non di pubblicazione degli atti che sono altra cosa, importante ma successiva che se non dovesse avere luogo nulla toglierebbe, in termini di valore ed utilità, alla possibilità di alimentare ulteriormente la ricerca così come avviene con la cosiddetta “documentazione grigia”.
E se le conferenze non vennero registrate né acquisite nella lingua straniera, vuol dire che sin dall’inizio poco importò di soddisfare l’esigenza culturale di indagare efficientemente e senza diaframmi i singoli autori.
La pubblicazione degli atti del convegno curata dal prof. Giuseppe Barone è figlia naturale di queste carenze tra le quali spicca la mancata pubblicazione delle relazioni in lingua originale. E’ sufficiente analizzare altre pregevoli raccolte per, comparativamente, rilevare che in essa è assente l’ansia di accompagnare il lettore non specialista nei tantissimi percorsi culturali che un insieme di piccoli saggi consente, con indice dei nomi, riferimenti bio-bibliografici di ciascun relatore e mappe concettuali che consentono di cogliere le reciproche assonanze, collegamenti o contrasti che i singoli relatori possono mettere in campo.
Alla luce di queste considerazioni non meraviglia che il Sindaco Buscema abbia considerato le relazioni di importantissimi storici, dei puri atti amministrativi, ed in armonia con questa visione burocratica della cultura, per consentirci di visionare gli atti abbia preteso l’adozione della normativa che disciplina l’accesso agli atti amministrativi (istanza al Sindaco di Modica con relativa autorizzazione) e non quella per la visione del materiale bibliotecario. Detti atti sono talmente amministrativi che oltre alla semplice annotazione delle coordinate bancarie di ciascun relatore non contengono nulla che consenta di ricostruire quali fossero i termini del “contratto” con ciascun relatore e poi i contratti di edizione.
E’ altrove e con grande fatica che abbiamo potuto rintracciare qualche documento. Per la pubblicazione degli atti sappiamo di certo che il prof. Barone nella qualità di direttore del DAPPSI dell’Università di Catania in data 25 maggio 2005 ha chiesto all’assessore del Comune di Modica di “anticipare al DAPPSI la metà del contributo previsto, così da potere trasferire la somma all’editore” Bonanno (7). Segno che vi era stato in precedenza un accordo in tal senso del quale l’archivista non è stato in grado di rintracciare il relativo documento. Altro fatto certo è che il prof. Barone nella sua presentazione scrive che è stato possibile editare gli atti “grazie al generoso [(sic) con i soldi suoi?] e determinante contributo del presidente della Regione on. Dott. Raffaele Lombardo” (8).
Certo che leggere che il Comune si era impegnato a pagare un contributo e che il determinante dott. Lombardo ha provveduto al resto lascia perplessi in ordine alla proprietà dell’opera stampata dall’editore e, quindi, al copyright trattenuto dall’editore. Ma chi ne è il proprietario se il Comune di Modica ha acquistato 100 copie dell’opera? (9)
Davvero singolare è il ruolo che in tutta la vicenda svolge il prof. Barone che per la pubblicazione degli atti è presente in tutti i ruoli possibili:
- nella qualità di Assessore alla cultura di Modica scrive al proprio dirigente per impegnare la spesa per la pubblicazione (10);
- su carta intestata Università di Catania Corso di Laurea in Scienze del governo e dell’amministrazione scrive all’assessore alla cultura del Comune di Modica per confermare l’interesse dell’Università di Catania alla pubblicazione degli atti per il costo di 12 mila € (11);
- su carta intestata Università di Catania DAPPSI scrive all’assessore alla cultura del Comune di Modica per chiedere metà del contributo da girare all’editore Bonanno (12).
La pur precaria documentazione che la scassatissima macchina burocratica del Comune ha consentito di visionare, è comunque sufficiente per giudizi definitivi perché ciascuno degli interessati potrà spiegare il come, il quando ed il perché di tutto questo, ma non potrà mutare la qualità cervellotica di un agire non chiaro e disordinato che di per sè non poteva produrre nulla di buono.
Tale è il verificare che le previsioni di spesa per la pubblicazione degli atti lievitano dai 12 milioni di lire del 2000 ai 17 milioni del 2001, ai 12 mila € (pari a circa 24 milioni di lire) del 2003). (13)
Solo l’effetto alone del Barone ‘professore di valore’ può consentire espressioni di benevolenza sulla indubbia sua decisiva determinazione nel volere la pubblicazione degli atti, che pur rimane espressione di indicibile caos decisionale, confusione di ruoli e di uno spaventoso decidere senza ragionare (oltre che di ‘dubbia trasparenza’, alla luce del fatto che i due volumi – stranamente non riportanti alcun prezzo di copertina – vengono venduti nelle librerie iblee ad 50 Euri, N.d.R.).
Noi non siamo responsabili di questa carenza di documentazione e, quindi, neanche di certi cattivi pensieri che da essa possono scaturire e sorgere; gli attori di tale caos potranno eliminare i cattivi pensieri, ma non dimostrare infondato ciò che appare evidente e cioè che la classe politica e culturale della Modica repubblicana non ha mai avuto una politica culturale.
Carmelo Modica
Ottobre 2012
Note
(1) Tale giudizio si può anche estendere alla Modica fascista ed anche ai periodi precedenti.
(2) Gruppo Terzo occhio, Cultura e salsiccia, Modica 2007.
(3) Archivio del Comune di Modica, documento n.17352 del 7 giugno 2004.
(4) Il sindaco Buscema in un incontro con la Redazione del mensile ‘DIALOGO’ dell’ottobre del 2011, mostrò stupore per la richiesta dello stesso mensile di poter visionare gli atti ‘originali’ visto che nella biblioteca comunale erano state depositate due copie dei libri contenenti gli atti pubblicati a cura del prof. Giuseppe Barone; impiegherà ben cinque mesi (21 marzo 2012) per comunicare che gli atti richiesti erano stati depositati presso la biblioteca comunale.
(5) Per averne una idea leggere il nostro articolo “Antonello ma quannu crisci?” in DIALOGO aprile 2012.
(6) Ridicolo il tentativo in Consiglio comunale (13 marzo 1996) del prof. Saverio Terranova, di paragonare l’evento in programma con quanto aveva realizzato lui da sindaco negli anni sessanta.
(7) Archivio del Comune di Modica, documento n.17642 del 9 giugno 2004.
(8) Giuseppe Barone op. cit.
(9) Determinazione dirigenziale n. 36 del 29 dicembre 2009.
(10) Archivio del Comune di Modica, documento n. 34355 del 14 dicembre 2000 e n. 5885 del 31 dicembre 2001.
(11) prot. n. 7020 del 10 marzo 2003.
(12) prot. n. 17642 del 9 giugno 2004.
(13) Archivio del Comune di Modica, documento n. 34355 del 14 dicembre 2000, determinazione dirigenziale n. 2470 del 31 dicembre 2001, determinazione dirigenziale n.1114 del 4 marzo 2003.
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L’incontaminabile “Domus Sancti Petri”: discorsi fuori dal cerchio di fuoco
Come prima conclusione pensiamo si possa dire che le forze politiche che si sono susseguite alla guida della Modica repubblicana, fino a quando il governo della città non è stato conquistato dal partito della ‘Domus Sancti Petri’, non ha avuto alcuna politica culturale in nessuno dei modi possibili compresi tra il Minculpop e la pura democrazia.
La stessa cosa non può dirsi del governo di Antonello Buscema che ha organizzato una serie di iniziative culturali che supera il regno della quantità ovvero della semplice elencazione di eventi culturali lasciando intravedere un progetto culturale e, quindi una politica culturale.
Questo filo conduttore, in particolare, si manifesta in tutta la sua portata con il grande contenitore estivo “Modica Miete Culture” istituito nel 2011 nell’ambito del quale si svolge il “Festival Contaminazioni”.
Il prof. Antonio Sichera, nella sua qualità di coordinatore scientifico del progetto in argomento, (1) affida a “Mieti culture” l’obbiettivo di creare un’agorà in cui “…culture diverse, saperi diversi si possono incontrare… questa è un po’ l’idea di contaminazione … ecco il sapere che una cultura di una Comunità non si preserva se non si contamina […] (2). Questa dichiarazione è di per se la indicazione di una politica culturale perché è progetto, un progetto di grandissimo spessore che tra l’altro è perfettamente in linea con la già citata “Dichiarazione universale dell'Unesco sulla diversità culturale, Parigi, 2 novembre 2001” in cui “la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita.”.[…] Inscindibile da un quadro democratico, favorisce gli scambi culturali e lo sviluppo delle capacità creative che alimentano la vita pubblica”.
Occorre dire che tale dichiarazione e la necessaria e diametralmente opposta reazione al Minculpop totalitario che però ha un senso solo se essa si vive e si tenta di realizzarla nella costante consapevolezza che la vera battaglia è quella interiore dell’intellettuale e del politico di resistere alla fortissima attrazione da Minculpop, responsabile dei processi degenerativi che, lo dice la storia, ha distrutto le democrazie.
E’ da questo pericolo che Pier Paolo Pasolini intende mettere in guardia i suoi ‘compagni’ quando scrive:
«Noi intellettuali tendiamo sempre a identificare la “cultura” con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l’ideologia con la nostra ideologia. Questo significa: 1) che non usiamo la parola “cultura” in senso scientifico, 2) che esprimiamo, con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un’altra cultura. Per la verità, data la mia esistenza e i miei studi, io ho sempre potuto abbastanza evitare di cadere in questi errori. Ma quando Moravia mi parla di gente che vive a un livello pre-morale e pre-ideologico, mi mostra d’esserci caduto in pieno, in questi errori. […] Come mai scelte giuste – per esempio un marxismo meravigliosamente ortodosso – danno risultati così orribilmente sbagliati? Esorto Moravia a pensare a Stalin…».(3)
Queste tendenze ci inducono alla cautela perché se è vero che lo spettro qualitativo della politica culturale si muove tra il Minculpop del totalitarismo ed i canoni di pura democrazia sanciti dalla “Dichiarazione universale dell'Unesco sulla diversità culturale” è altrettanto vero che un’analisi sulla qualità politica deve operare delle verifiche sulla sostanza delle cose.
La disponibilità al “contagio” del prof. Sichera è certo indicazione di apertura al confronto e quindi espressione di democrazia ma è pur vero che essa rimane una indicazione, una nobilissima enunciazione; se si vuole, anche ansia di un progetto che, però, per divenire sostanza ha bisogno anche di altro specie se ci si ricorda che essa è strettamente organica ad un mondo culturale che fino a pochi decenni fa si era fatto talmente contaminare, a livello ideologico, da accettare la qualità democratica delle repubbliche socialiste sovietiche.
Inoltre, se si vuole essere più concreti e vicini alla realtà modicana appare necessario riflettere in questo senso sulla qualità degli altri provvedimenti culturali che hanno caratterizzato l’Amministrazione Buscema al fine di verificare la loro armonia con l’enunciato del prof. Sichera. E qui nascono i primi fortissimi dubbi non potendosi considerare in armonia la chiara politica di occupazione (4) dei luoghi della cultura ed il modo di porsi, silenzio e reazioni, del Sindaco nei confronti della critica ricevute dalla stampa locale. (5)
Se la “cultura di palazzo” si oppone alla democrazia culturale come il tentativo di imporre un modello culturale è contrastato dalla tutela della diversità culturale, a noi sembra che la politica culturale dell’Amministrazione Buscema è più Minculpop che voglia di farsi contaminare. Se si analizzano i singoli eventi culturali inseriti nel contenitore “Festival contaminazioni”, ovvero, con un linguaggio nuovo, il palinsesto del “Festival”, non si può non cogliere, infatti, come in esso non sia presente confronto ma uno scontato dialogo, certo di alto livello ma su posizioni culturali che non possono contaminarsi perché possedute dallo stesso dna.
Siamo nella logica che fece esplodere il compianto prof. salvatore Triberio contro la cappa ‘culturale’ democristiana di Terranoviana caratura che lo costrinse a gridare “Aria! aria! voglio essere libero fuori dalla gabbia non dentro la gabbia”.
Per gli ideatori del “Festival contaminazioni”, il problema appare essere non quello della complessa e problematica ansia di farsi ‘contaminare’ ma quello di ben scegliere ciò da cui farsi contaminare, ben curando di alimentare il cerchio di fuoco creato per impedire accessi indesiderati: è in questa attività e modo di essere che occorre inserire il farsi cancellare da indirizzari e-mail per non discutere critiche antagoniste poste in essere da esponenti della classe culturale di questa maggioranza, (6) ma anche la tranquilla tracotanza con la quale esponenti della stessa maggioranza ritengono normale, da professori, indicare ai propri discenti lo studente gradito al professore da votare negli organi di democrazia studentesca. (7)
Un po’ come Alessandro Baricco che dal personale e ‘democratico’ cerchio di fuoco annuncia al mondo democratico “Per molti anni non ho nemmeno preso in esame l’eventualità di leggere Malaparte: era fascista. Lo dico senza particolare fierezza, ma anche senza alcun complesso di colpa. L’antifascismo è un modo di stare al mondo che val bene il prezzo di certi svarioni. Il privilegio di aver ereditato la capacità di riconoscere i fascismi e l’istinto a combatterli vale largamente qualche scaffale vuoto, e un po’ di bellezza o intelligenza persa per strada. Detto questo, ci si ammorbidisce col tempo, e quando Adelphi ha deciso di sdoganare Malaparte, io ero pronto.” (8)
Al quale Marcello Veneziani obietta che “Per Baricco, ultima versione di una setta dominante, l’antifascismo precede l’intelligenza e la verità, la bellezza e la qualità. E interi scaffali della sua biblioteca sono vuoti per questa indecente censura o riempiti di roba scadente al posto della grandezza proibita. L’ignoranza come virtù antifascista.
Non ci sono i più grandi poeti del Novecento, Pound, D’Annunzio, Marinetti, Ungaretti; i più grandi filosofi, Gentile e Heidegger, e grandi scrittori come Céline, Drieu, Pirandello, Papini, Hamsun, Junger e mi fermo... E se lo stesso criterio vale per i grandi che hanno elogiato o servito tiranni, schiavitù e razzismi, la biblioteca di Baricco è priva pure di Platone e Aristotele, Seneca e Dante, Shakespeare…” (9) Appare davvero singolare, inoltre come si cerchino benefiche contaminazioni esterne, trascurando contaminazioni culturali che potrebbero provenire da nostri illustri studiosi come Ottaviano, Campailla per i quali appena appena si trova il tempo di ricordare la data di nascita e non il pensiero, per radicarlo ed istituzionalizzarlo in percorsi formativi.
Ma questi sono discorsi fuori dal cerchio di fuoco in cui la domus Sancti Petri ha da sempre realizzato le proprie trincee. Discorsi fuori dalla gabbia che già si era costretti a fare anche nella Modica democristiana ed in quelle social-comunista e torchiana. Tutto questo era (ed è) legittimo perché è naturale che un partito codifichi in una ideologia il suo sistema di pensiero ed in un’ottica di microfisica del potere cerchi di utilizzarle per raggiungere il potere e tentare di inverarlo e mantenerlo; ma ciò appartiene al mondo della politica non della cultura, al mondo del minculpop e non della democrazia culturale.
Quando tutto ciò si vuol far passare come democrazia culturale siamo in presenza di tecniche manipolative oppure si è vittima, anche inconsapevole, della fortissima attrazione che il minculpop esercita nei confronti della democrazia culturale.
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In tutti i campi la qualità degli avversari condiziona grandemente la qualità della propria azione.
Solo il riferimento all’assoluto può sollecitare i migliori obiettivi ed i più efficaci provvedimenti.
E’ in questa logica che al nulla della politica culturale dell’era democristiana la classe social-comunista ritenne sufficiente opporre, per essere migliore, grandi ed immaginifici eventi senza sostanza culturale. Ma anche a Torchi sembrò sufficiente nei suoi sei anni, sempre per apparire migliore, applicare ad un nulla simile a quello democristiano il lifting di buone tecniche pubblicitarie.(10)
Concludiamo il capitoletto con il giudizio del prof. Giorgio Colombo uomo di profonda cultura e, principalmente, di riconosciuta saggezza, disincanto e fortissimo amore per la nostra città; un giudizio che pur ispirato dalla politica culturale del governo di Antonello Buscema è certamente valido e riassuntivo della politica culturale della Modica Repubblicana:
“ […] restano encomiabili le tante iniziative oggi pullulanti in Città, purché si abbia consapevolezza della necessità che le Istituzioni culturali operino non "per fare qualcosa" o esclusivamente per il richiamo turistico, spettacolare e commerciale nonché sprecando denaro e lasciando […] "il tempo che trovano" bensì, con diuturno lavoro, in vista della maggiore incisività possibile per una vera crescita culturale, e perciò civile, della Popolazione. […] a seguito del mareggiare di gruppi con velleità culturali; né la "cultura" è un ameno passatempo bensì - se si vuole lavorare non secondo "mode" culturali, peraltro non sempre "costruttive" per i contenuti veicolati […]il ' problema non è quello di assecondare mire di "Amici di squadra del momento", ma di rispettare e valorizzare natura e compiti di una nobile Istituzione "Culturale" […] ci pare di dovere cogliere "attese" di non più una decina di Cittadini "novitate gaudentes" e forse "aspiranti" a ruoli nell'attuale tumulto culturalistico […] circolante in Città” (11)
Ecco perché si può ben dire che la politica culturale della Modica repubblicana non presenta caratteristiche diverse in ordine ai risultati: mai un progetto di crescita ma sempre e solo progetti di asservimento alle logiche elettorali.
Carmelo Modica
Novembre 2012
(1) già il prevedere un coordinatore scientifico è segno di serietà, metodo e, quindi, segno della esistenza di un progetto culturale.
(2) intervista a Enrica Bonaccorti in “Tornando a casa” Rai uno 5 giugno 2012.
(3) Giovanni Pasolini, Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica in Italia, Mondo del 11 luglio 1974 intervista raccolta da Guido Vergani.
(4) Ci riferiamo alle polemiche che hanno accompagnato la nomina del presidente della Fondazione Grimaldi e di un membro della Fondazione “Ente liceo convitto”.
(5) Per tutte vogliamo ricordare la lettera al direttore del Sindaco Buscema e la risposta del nostro Direttore pubblicate in DIALOGO del giugno 2011
(6) Il riferimento è al rifiuto legittimo ma sintomo di superbia intellettuale, di ricevere il foglio di battaglia “Terzo occhio”]
(7) Terzo Occhio in Dialogo marzo 2009. “Quale sermone di etica democratica può dispensare dal suo pulpito alle masse depresse un professore che invia ad un nutrito gruppo di suoi studenti la seguente e-mail: "Per le elezioni del rappresentante degli studenti al Consiglio di Facoltà, che si terranno giorno 16 ottobre: nella Facoltà di Scienze Politiche a Catania e nella Facoltà di LIngue aRagusa per quelli di Modica, mi permetto di segnalarvi la candidatura di i un ragazzo in gamba: [omissis]. Grazie e saluti a tutti."(Abbiamo trascritto l’e-mail come ci è pervenuta, compresi gli errori di digitazione; della serie: quando il dito è più veloce della mente. L’omissis invece è nostro)
(8) Alessandro Baricco, La pelle di Curzio Malaparte, La Repubblica 24 giugno 2012.
(9) Marcello Veneziani, Le miserie di Baricco Se l'ignoranza è una virtù antifascista, Il giornale 26 giugno 2012.
(10) Per diretta esperienza di chi scrive risulta che il dott. Giorgio Cavallo, nella sua qualità di Assessore alle politiche culturali della prima Giunta Torchi, dopo aver annunciato pubblicamente la costituzione presso la Biblioteca Comunale di un centro di raccolta e di documentazione di tutte le Tesi di Laurea su Modica e su temi che riguardassero la città, non risulta che abbia prodotto alcun provvedimento o direttiva affinché tale centro si realizzasse. Durante la sua gestione, avendo, chi scrive visto libri antichi della libreria Polara “buttati” dentro alcune casse di legno depositate nei locali del Castello, propose con una Associazione Culturale, a titolo assolutamente gratuito, per il solo piacere di farlo, di catalogare tutti i volumi (digitalizzandole in catalogo), trasferirli presso la Biblioteca comunale a disposizione degli studiosi. La proposta venne accettata ed inserita come già realizzata nella relazione semestrale del Sindaco fra gli atti di promozione culturale, ma nulla venne realizzato.
(11) Prof. Giorgio Colombo, lettera al Sindaco di Modica, nella sua qualità di Presidente dell’Ente liceo convitto. Archivio comune di Modica, documento N. 58184 del 25 -10 - 2011.
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Dialogo Dicembre 2012
Assenteismo fisico e culturale nel “regno della quantità”
Se l’ingresso del Municipio è il luogo in cui il dipendente comunale che entra in ritardo si incontra con quello che esce in anticipo, le stanze del primo piano del Municipio sono il luogo in cui il potere politico ed il “Potere degli uffici” si combattono, si contrastano, si fronteggiano, si fiutano, si sniffano, si annusano, e si fondono.
Non si può discutere o scrivere delle richieste di rinvio a giudizio di 106 dipendenti comunali per assenteismo (Truffa aggravata e falso ideologico) se prima non si chiarisce che i livelli del governare sono due: quello politico, che sceglie gli obiettivi, e quello burocratico che li realizza sia rispetto alle direttive ricevute dalle Istituzioni democratiche (Consiglio comunale, Sindaco e Giunta di governo), sia rispetto al sistema giuridico che in uno Stato di diritto sovrasta entrambi i livelli di governo.
La conseguenza è che la qualità complessiva dell’azione di governo della Comunità, è fortemente condizionata dalla determinazione del “burocrate” a rispettare i propri doveri senza, quindi, invasioni nelle competenze del politico, e nell’altrettanto severa difesa della dignità della propria funzione, disegnata dalla legge, nei confronti del politico che volesse mortificarla, facendo straripare le proprie prerogative.
La struttura burocratica modicana è stata, ed è, il luogo in cui avviene l’incontro del “Potere politico” e del “Potere degli uffici”, ed è qui, quindi, che le due schegge di potere, attraverso dinamiche di scontri, chiarimenti e cedimenti tendono all’assolutezza con processi di fusione oppure di equilibri o compromessi.
Noi abbiamo la consapevolezza di vivere tempi ultimi, ecco perché non ci meraviglia che in ogni provvedimento o iniziativa del governo cittadino l’aspetto quantitativo prevale su quello qualitativo.
Per la richiesta di rinvio a giudizio di 106 dipendenti del comune di Modica per assenteismo, lo scontro fra le due parti, che come sempre si formano nel dibattito politico modicano, ha riguardato la quantità in termini di percentuale dei dipendenti indagati:
da un lato l’85% del personale oggetto del controllo (106 su 126) e, dalla parte del Sindaco il 19% dell’intero organico (106 su 542).
In assenza di assennatezza, circostanza tipica nelle risse dialettiche, nessuno ha rilevato che la percentuale può essere realizzata tra elementi omogenei e, quindi, quel “106 indagati per assenteismo” rapportato all’organico complessivo (19%) o alla parte di uffici monitorati (85%), senza la documentata conoscenza delle “ore truffate”, non può essere, in termini scientifici, la percentuale di nulla.
Certo, è una dato allarmante, ma è pure vero che 106 dipendenti potrebbero essere rinviati a giudizio anche solo perché ciascuno di loro, durante i 100 giorni in cui si è svolto l’accertamento, ha truffato un’ora delle 600 circa dovute.
Ma questa mediocrità di ragionamento copre quella politica perché l’accaduto non viene visto come un sintomo di mali peggiori della struttura burocratica cui occorrerebbe porre rimedio, ma solo come fatto che può essere sfruttato nella battaglia politica(nte), da qui il ballo dei numeri tra l’85% ed il 19% tra chi ha interesse a diminuire e chi ad aggravare l’episodio per “utilità politicante”, come se poi il 19% fosse una quantità accettabile.
Non vogliamo minimizzare l’importanza del rispetto dell’orario di servizio, specie per quei servizi che di per se sono presidio di posizioni di lavoro la cui inosservanza provoca un immediato disservizio (centralinisti, sportelli a contatto con il pubblico ecc), ma è pur vero che tale genere di problemi richiama pesantemente quello che riteniamo ancora più importante: l’assenteismo della qualità. Infatti, il non richiamare in questa vicenda, quest’ultimo fa passare l’idea che la struttura burocratica è fatiscente perché gli impiegati non sono presenti in ufficio come dovuto, facendo passare in secondo ordine il fatto che esiste anche la possibilità di stare in ufficio e non lavorare oppure stare in ufficio e lavorare male oppure stare in ufficio e lavorare bene… per altro..
Già in alcuni nostri articoli su DIALOGO abbiamo indicato esempi che possono contribuire a farsi un’idea sulla qualità fatiscente della struttura burocratica con procedure amministrative che sono un’offesa alla intelligenza comune ed orientate a trattare il cittadino non soggetto di un diritto ma destinatario di una concessione per grazia ricevuta.
L’assenza di una carta di servizi, la esistenza di un archivio generale così disorganizzato da svuotare il tanto esibito metodo della trasparenza, della democrazia e del diritto di visione degli atti, sono poca cosa rispetto ai tantissimi mesi necessari per ottenere la banale autorizzazione ad installare l’insegna di un lavaggio e quant’altro potrebbe essere rilevato se questo nostro Sindaco, tutto trasparenza e democrazia, ci mettesse nelle condizioni, per esempio, di capeggiare una “Commissione di indagine sulla qualità dei servizi resi dalla sua Amministrazione”. Questa è una sfida” Signor Sindaco.
D’altra parte per verificare gli standard di qualità occorre qualità politica e gestionale di chi deve controllare. Ed è in un’ottica di assenza di qualità che le 106 richieste di rinvio a giudizio per assenteismo fisico dal posto di lavoro non hanno determinato alcuna inchiesta amministrativa sulla qualità della funzione di controllo della catena di comando. Eppure appare fin troppo evidente che l’assenteismo fisico è strettamente legato all’assenteismo di una funzione di controllo male esercitata ed alla carenza di una efficace azione “educatrice” anche attraverso l’esercizio dell’azione disciplinare (1) e la eliminazione di tutti gli ostacoli alla realizzazione di un clima di lavoro sereno e motivato.
Assenteismo culturale, quest’ultimo, che seppure irrilevante da un punto di vista penale, rispetto a quello fisico del dipendente comunale, è più capace di pregiudicare l’efficienza, l’efficacia e la impersonalità dell’azione amministrativa che sono l’obiettivo vero ed ultimo nel governo della cosa pubblica.
Il problema che poniamo è tanto vero che il Sindaco ha affidato a due comunicati stampa (2) la personale linea di difesa in tal senso; linea che, è davvero illuminante per definire le qualità politiche che stiamo indagando.
Il Sindaco, infatti, “a buoi già scappati”, premesso che la sua Amministrazione “sin dal primo momento è voluta intervenire sulla gestione del personale, lavorando per eliminare malcostumi acquisiti negli anni in termini di inefficienza e soprattutto di irresponsabilità”, indica i provvedimenti adottati per “chiudere la stalla”.
Con la decisione di allocare all’esterno di ogni stanza il nominativo dei dipendenti che vi prestano servizio (3) e con l’obbligo del cartellino identificativo per ciascun dipendente il Sindaco mette a dura prova l’intelligenza di chi volesse capire come possano, tali provvedimenti, incidere sull’assenteismo, mentre mostra di non avere idea di cosa significhi “governo del personale” quando, tra i chiavistelli della stalla, tira fuori che la sua amministrazione ha adeguato “il codice disciplinare e del regolamento per i procedimenti disciplinari”, come se prima di tale adeguamento non esistesse uno stato giuridico chiaro ed inequivocabile che indicasse doveri e diritti di tutti i dipendenti comunali.
Ma ciò che è preoccupante, sintomatico e deprimente è pensare che il Sindaco tra i provvedimenti a suo discarico racconti che a carico di dipendenti “per inosservanza dell’orario di lavoro e assenza ingiustificata dal servizio”, in venti mesi (settembre 2008 – maggio 2010, mese del bliz) “sono stati avviati e conclusi svariati provvedimenti disciplinari”.
Indovinate quanti ? …tre! Cacchio! Verrebbe da dire d’istinto, ma non possiamo dirlo perché in quattro dei 20 mesi prima indicati (febbraio - maggio 2010), le forze di polizia hanno raccolto materiale sufficiente per chiedere il rinvio a giudizio 106 persone, su 126, per violazioni della stessa natura se non più gravi. Se poi aggiungiamo che nei sette mesi successivi al bliz (maggio 2010 - dicembre 2010) furono istruiti 15 procedimenti disciplinari, chiunque potrà prendere atto che senza il bliz delle forze dell’ordine non sarebbe mai successo nulla.
Ma ciò che rende sublime il comunicato del Sindaco è la sua parte finale quando definisce “enorme” il lavoro fatto dalla sua Amministrazione, che accompagnato dalla raccomandazione che non dobbiamo “attendere stravolgimenti repentini né esiti miracolosi”, ci fa assumere la consapevolezza di come egli abbia la necessità di recuperare il senso del normale e della misura, perché se pur disponendo dell’autorità necessaria, che gli deriva dal sistema giuridico considera enorme l’obiettivo di ottenere la presenza del personale negli uffici, ovviamente c’è da chiedersi quale è per lui il significato di “normale”.
L’assenteismo fisico dal posto di lavoro e quello culturale, intendendo quest’ultimo come carenza dell’azione di controllo, possono anche essere un accidente della storia dell’azione di governo della città, ma non vi è dubbio che ne deriva in termini globali un caos amministrativo che anche se non effetto di un’azione voluta e perseguita, diviene, nei fatti, un eccezionale strumento di lotta politica.
L’inerzia nei confronti del caos burocratico non è dovuta a semplice incapacità perché, se così fosse, basterebbero corsi di formazione, ritocchi organizzativi e procedurali ed attenzione ai profili professionali. La struttura burocratica manifesta una stupidità amministrativa che, anche quando non fosse pianificata e voluta, è certamente utilmente trascurata, sfruttata e mantenuta perché favorisce gli obiettivi di clientelismo del politico; di contro il burocrate sa che in simili condizioni è molto difficile che si possa dimostrare il dolo in caso di infortuni di carattere giudiziario.
In questo contesto dobbiamo aggiungere che il risultato pratico è che l’impiegato è costretto ad agire e lavorare nel caos generale, nelle incerte relazioni gerarchiche dovute a confusione sulle competenze ed a sacche di assenza di unicità di comando dovute a devastanti invasioni di ruoli tra potere politico e potere burocratico.
Una confusione quest’ultima che destabilizza la struttura organizzativa che deve fare i conti con un potere complessivo inadeguato e senza autorevolezza. Una struttura in cui spesso, molto spesso, nel lavoro di tutti i giorni, l’impiegato comunale non sente l’orgoglio di essere attore di quella nobile azione impersonale dell’attività di governo della Comunità ma strumento di una evidente e bassa azione clientelare.
In termini di sociologia delle organizzazioni, una situazione complessiva di questo genere si incontra con il modo di essere dei singoli impiegati comunali generando comportamenti individuali che vanno:
- dall’impiegato che per l’alto senso del dovere e della dignità posseduti non si fa minimamente influenzare, nel corretto adempimento dei doveri connessi al suo stato giuridico, dalle negatività che gli provengono dall’ambiente di lavoro, né per tale comportamento chiede particolari riconoscimenti perché distingue ciò che è normale e doveroso;
- all’impiegato che commisura il suo comportamento a tutte le discrasie dell’organizzazione, alla stupidità burocratica, alla eventuale incompetenza dei “superiori” trovando sempre, anche quando non esistono, buone motivazioni per giustificare il semplice e formale adempimento di quanto basta per non essere punito;
- all’impiegato burocrate patologico che fa della cavillosità, del formalismo di facciata, della burocratizzazione eccessiva dei rapporti tra cittadino e istituzione, l’arma per darsi un valore: una vera e propria piaga sociale con i suoi effetti deleteri nell'ambito della Comunità;
- all’impiegato anch’esso burocrate patologico che, invece, completamente privo di scrupoli di ogni genere, con la sua cavillosità si inserisce in maniera attiva negli spazi in cui potere politico e potere burocratico si annusano, si contrastano o si fondono per fini clientelari da un lato e di altro genere dall’altro, per trarre una “rendita di posizione” commisurata alla sua posizione gerarchica.
Anche i più sprovveduti in materia di sociologia delle organizzazione ma dotati di normale buon senso, comprendono che la prevalenza di ciascuna delle quattro tipologie di comportamenti prevale sulle altre in funzione della qualità dell’azione di controllo.
Ma tutto ciò non può meravigliare essendo la normale conseguenza di una cultura politica che viene da lontano; demenziale sarebbe il pensare che è una caratteristica recente: tutti i governi locali della Modica repubblicana hanno dato il loro contributo.
Emblematico è stato, in un recente passato il caso di un “dirigente” che esercitava la sua funzione, la mattina nel suo ufficio al Municipio e la sera accoglieva i “questuanti per necessità”, presso la segreteria politica del parlamentare che lo aveva promosso o fatto promuovere, “dirigente” per meriti…speciali.
Il clientelismo è la prova del come un agire politico deviante, utilizzato per troppo tempo come strumento per ottenere il consenso corrompe anche chi resta lungamente spettatore senza reagire con tutte le sue forze, fino a percepirlo come comportamento innocuo con il quale convivere; un espediente censurabile sì, ma necessario “strumento” del far politica. Sono note le violentissime accuse di clientelismo dei comunisti, prima del 1985, alla “corrotta” Democrazia cristiana al governo, ma è anche noto come, conquistato il potere, loro identici comportamenti, vennero spacciati per “democratica ed umana assistenza burocratica alla classe operaia”.
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Si parla di imputare agli assenteisti anche il reato di danneggiamento dell’immagine del Comune. Noi consideriamo la configurazione di tale reato molto complessa. Per potere definire tale imputazione sarebbe, infatti, necessario quantizzare il danno e prima ancora il valore dell’immagine del Comune di Modica: perizia che riteniamo molto difficile e complicata. Inoltre ulteriori indagini, su questo argomento, comporterebbero di analizzare il contributo che ciascun ente, modicano ed in primis la classe politica ed i governanti hanno dato al formarsi dell’immagine della nostra città.
Signor Sindaco siamo certi che tale imputazione non potrebbe essere estesa anche alla classe politica modicana che ci ha ridotto in questo stato?
Carmelo Modica
Dialogo Dicembre 2012
Note
(1) Azione disciplinare nel senso generale non significa solo regolamento di disciplina e punizioni ma anche motivazione del personale, azione di orientamento, indicazione di comportamenti, analisi dei risultati, giusto utilizzo delle risorse, coinvolgimento negli obiettivi di efficienza, efficacia e qualità dei servizi, ecc
http://www.comune.modica.gov.it/content/indagine-sullassenteismo-del-personale-palazzo-san-domenico)
(3) Forse il Comune vuole affidare alla delazione del cittadino che non trova l’impiegato nella stanza il compito di denunciarne l’assenza?