La Pagina
1° chiodo
Il sindaco dalle guance rosse..
pubblicato su “La Pagina del 14 dicembre 2009
Il potere è necessario. Vi fu chi lo assunse con la forza delle armi. Vi fu chi disse di assumerlo in nome di Dio. Il potere aveva la funzione di trasformare una moltitudine in Popolo ponendo ordine la dove esisteva il caos. Poi il popolo divenne stabile destinatario della missione salvifica del potere. Poi si scoprì che era più giusto che il potere ricevesse il consenso del popolo e da elemento esterno divenisse espressione interiore del popolo e... si parlò di democrazia.
Per primo ne parlò Platone ma 2400 anni non sono stati sufficienti per definirne una forma, tanto che anche l'unione delle repubbliche sovietiche, quelle dei gulag, quelle dei milioni di morti ammazzati si definirono, e, dove sopravvivono, si definiscono democrazia. La democrazia più accreditata sembra quella parlamentare:il popolo elegge il suo Parlamento e poi questo sceglie chi come e perchè deve governarlo.
Questo si disse, ma questo non si fece perchè il potere consentì i parlamenti del bla bla ma non quelli del governo. Prima lo fece con parlamenti a suffragio limitato ed ora?
Nelle ultime elezioni dei 34.444 concittadini del corpo elettorale modicano, ben 23.523 voti si sono espressi a favore della intellighentia politica che ha distrutto Modica e poco più della metà (17.009) (nel ballottaggio) hanno eletto Sindaco l'oppositore di tale intellighentia con il compito di ricostruire quanto essa stessa ha distrutto: veleno ed antiveleno nelle stesse mani.
In pratica il popolo modicano voleva la moglie ubriaca e la botte piena. Non voleva perdersi i piaceri che sempre spera gli può concedere la denarocrazia ma neanche il buon governo che gli poteva garantire una persona per bene come Antonello Buscema, anche se ora comincia a constatare che si sta rivelando una illusione.
Democrazia o paranoia politica? No nulla di tutto questo: siamo in presenza di incaprettamento, asservimento, annullamento del popolo modicano. Il male è al potere ed è forte, tanto forte che non ci accorgiamo che riesce ad utilizzare anche il "Bene" per i suoi scopi malefici.
Si però – si dirà - i rapporti di forza in consiglio comunale dicono che la maggioranza dispone di 18 consiglieri contro 12. E' vero ma, anche a non esprimere giudizi di valore su quelli del centrosinistra, non dobbiamo dimenticare che nove della maggioranza appartengono alla intellighentia che ha demolito Modica.
Antonello Buscema è la prova provata che, se questa città si vuole governare il messaggio del Vangelo va applicato alla lettera nel senso che “l’altra guancia” è una sola e, quindi, si può porgere una sola volta, anche quando lo schiaffeggiatore è devoto di San Pio da Pietrelcina.
Antonello Buscema non può stravolgere le dinamiche naturali: non è mai successo che nello stesso canestro le mele buone abbiano mai avviato un processo di risanamento delle mele marce. E' avvenuto sempre, davvero sempre, il contrario... e ciò sta già avvenendo nel palazzo San Domenico.
Ma poi... sono davvero tutte mele buone?
Carmelo Modica
2° chiodo
Cuori modicani… attenti!
pubblicato su “La Pagina del 28 dicembre 2009
Trentaquattro “imprenditori ed uomini di cultura” costituitosi in Comitato, hanno annunciato l’idea di avviare le procedure per creare “Modica città giardino”: un Comune autonomo rispetto a Modica.
La nuova città comprenderebbe i seguenti territori: Frigintini, Maganuco, i quartieri San Giuliano, Tirella, Caitina, Treppiedi e Rocciola e le contrade Aguglie, Albarcara Badiola, Baravitalla, Beneventano, Cannizzara, Cappuccina, Catagirasi, Catanese, Catanzarello, Cava dei Servi, Cava Ispica Ciacera, Ciarciolo, Cisterna Salemi, Cozzo Rotondo, Crocevia, Fondo Marta, Fondo Mosche, Fosso Tantillo, Fondo Longo, Famagiurgia, Fargione, Fargionello, Fasana, Ganzeria, Giganta, Gisana, Gisanella, Gisira, Gisirella, Gisirotta, Graffetta, Cianciò, Graffolongo,Montesano, Musebbi, Calicantone, Michelica, Miglifulo, Milicucco, Minciucci, Pietre Nere, Pirato Cava Gucciardo, Pirato Cava Maria, Pirato Lombardo, Pozzo Cassero, Povere Donne, Prainito, Rocciola, Sant'Elena, San Filippo, Passo Parrino, Pezza, San Giovanni Pirato, San Giuliano Macallè, Santa Rosalia, Serrapero, Serrauccelli, Torre Cannata, Tre Cosucce, Torre Rodosta, Trebalate Vanella Amuri, Vanella Balli, Zappulla.
Se si tracciano, sulla scorta di tali indicazioni, i confini di “Modica città giardino” si ricava che “Modica antica”, così potremmo chiamare quanto rimarrebbe dell’attuale Modica, comprenderebbe solo il centro abitato di Modica con la esclusione del quartiere sorda, San Giuliano e Tirella e dovremmo ringraziare i magnifici 34 perché ci lascerebbero con Marina di Modica lo sbocco al mare e, limitandosi alla via Tirella, ci lascerebbero la Fontana della decadenza.
Nonostante la ormai solare mediocrità politica della nostra classe dirigente non mi faccia meravigliare di nulla, questa idea mi ha profondamente ferito nell’orgoglio di modicano.
Immaginare di intaccare l’integrità del nostro territorio che i nostri avi ci hanno consegnato Polis e noi siamo riusciti, prima con lo scippo fascista e poi con la malapolitica ad umiliare pesantemente, è da scellerati.
Ma se la classe dirigente fascista modicana fu tanto vile da sopportare, senza una minima resistenza lo scippo dei loro camerati ragusani, ora non esistono alibi per non opporsi ad ogni fellonia.
E’ una idea politicamente così balorda, matta, sconclusionata, capricciosa, eccentrica, sballata, stramba, strana, insensata, pazza, bizzarra, strampalata, stravagante, pazzoide, squilibrata, svitata, squinternata, suonata, balzana e folle che impone di chiedersi: perché? chi sono costoro?
Sono così lucidi che sanno che ormai esiste la legge Basaglia che li pone al riparo da qualsiasi azione?
Sono tanto ingenui da non intuire che la loro idea è decisamente più bislacca della istituzione dell’Azasi, del corso di laurea di “Scienze del Governo e dell'Amministrazione” e della multi servizi?
Quando conosceremo i nomi forse potremo intuire cosa davvero nasconde questa iniziativa.
Ho la presunzione di ritenere che l’idea non può assolutamente proporre argomentazioni minimamente accettabili, ecco perché mi insospettisce questa coincidenza con la definizione del piano regolatore.
Staremo a vedere, è certo che, se necessario, inviteremo i veri modicani a mobilitarsi. Vedremo quali forme ed iniziative politiche e dialettiche, anche durissime, adottare nei confronti di costoro.
Per onestà intellettuale devo dire che questa idea un effetto buono lo provocherebbe: io e moltissimi modicani potremmo avere il piacere e l’onore di non essere più concittadini di questi signori.
Carmelo Modica
3° chiodo
I Tre pesci modicani
pubblicato su “La Pagina del 28 aprile 2010
Mao Tse Tung amava in ogni occasione scrivere o dire che l’esercito doveva calarsi fra le masse contadine e operaie come i pesci nell’acqua, che equivale a dire che l’efficacia di ogni azione dipende dalla capacità di adattarsi al clima culturale generale (acqua), attivando nel contempo un processo di creazione e modifica del clima stesso.
Egli diceva a tal fine che “…che bisogna raccogliere le idee delle masse (frammentarie, non sistematiche), sintetizzarle (attraverso lo studio trasformarle in idee generalizzate e sistematiche) quindi portarle di nuovo alle masse, diffondere e spiegare queste idee finché le masse non le assimilino, vi aderiscano fermamente e le traducano in azione, e verificare in tale azione la giustezza di queste idee. Poi sintetizzare ancora una volta le idee delle masse e riportarle quindi alle masse perché queste idee siano applicate con fermezza e fino in fondo. E sempre così, ininterrottamente, come una spirale senza fine; le idee, ogni volta saranno più giuste, vitali e ricche …questa è la teoria marxista della conoscenza''.
Anche nella scena modicana esistono tre “pesci culturali” che hanno la medesima acqua dove nuotano tranquillamente: il mondo industriale, il mondo mafioso ed il mondo dei voltagabbana. Essi sono accomunati da una sostanziale apoliticità, nel senso che a ciascuno non gliene frega più di tanto della politica, della visione del mondo e della cultura politica.
Nuotando nella stessa acqua possono trovare forme di pacifica convivenza, punti di efficace alleanza e comunque un armonico equilibrio dovuto alla genetica culturale comune.
La connotazione comune ai tre pesci è costituita dal’incessante ricerca di un collegamento con i pubblici poteri; con le sue strutture amministrative e burocratiche e poi con il potere politico.
Sul piano politico tre pesci utilizzano le stesse tecniche: fanno proselitismo con il clientelismo, con il fare favori, risolvere problemi, magari artatamente creati per creare riconoscenza. Giocano spregiudicatamente con più mazzi di carte, senza scrupoli di coerenza fiutando con intelligenza i mutamenti non marginali della situazione politica cui si adeguano tempestivamente.
Ovviamente i tre pesci nuotano nello stesso mare ma non sono di ugnale stazza. E’ certo però che hanno una comune origine culturale. Il pesce più povero di certo è il voltagabbana; povero ma funzionale e necessario agli altri due.
La storia ci racconta che i mafiosi passarono da una formazione politica all'altra, abbandonando il separatismo non appena il separatismo fu alla fine, voltando le spalle alla monarchia subito dopo che la repubblica risultò vincente, e inserendosi via via nei partiti democratici di governo e nella Democrazia cristiana, in particolare, che di quei partiti era il centro di aggregazione, allorché apparve evidente che il potere si stava consolidando stabilmente nelle loro mani. Se per fermarci alla nostra Modica, si analizzano le transumanze di alcuni nostri politicanti dal 1985 in poi si possono scrivere le stesse cose.
Quale è il compito delle forze antagoniste: rendere impossibile la vita nell’acqua ai tre pesci, agitandola, introducendo elementi dannosi alla loro sussistenza, o pesci più aggressivi che li attacchino, li perseguano e li obblighino a sparire.
Carmelo Modica
4° chiodo
Ai margini della querelle Chiaula-Poidomani
Pubblicato in La Pagina del 12 ottobre 2010
Il 12 giugno ed il 28 luglio scorsi il dott. Giuseppe Chiaula con due articoli su questo quindicinale ci ha raccontato che il giorno 11 maggio 2010, in occasione di una trasmissione rievocativa dei sindaci di Modica nel secondo dopoguerra, uno storico avrebbe offeso la memoria dello zio acquisito, avv. Giorgio Cannata che fu sindaco di Modica dal 16 dicembre 1948 al 6 novembre 1949.
La diffamazione consisteva nel fatto che lo storico aveva, in tale circostanza, detto che il Cannata “dopo poco meno di un anno dalla nomina non si era dimesso ma era stato dimissionato dal Prefetto. Ciò per fatti dai quali sarebbe risultato poi del tutto estraneo”.
Con il numero del 12 settembre il lettore de “La pagina” apprende che lo storico in argomento è il prof. Giancarlo Poidomani, perché reagisce ai due articoli del Chiaula con una lettera al Direttore.
Andando oltre il giusto risentimento dei nipoti del Cannata, dalla lettura dei tre interventi citati si rileva che il lettore de “La pagina” ha appreso:
· che “Giancarlo Poidomani è uno storico di professione e il dott. Chiaula è uno storico dilettante”;
· che il dott. Chiaula pregò il prof. Poidomani “vivamente e per vari mesi di presentargli un suo piccolo saggio, cosa che il Poidomani fece con grande piacere nonostante i mille impegni”: ingratitudine ed importanza?!;
· tutti i riferimenti giuridici sulla elezione dei sindaci:estremamente necessari per capire tutta la vicenda;
· che gli storici assicurano informazioni esaustive e valutazioni obiettive: il che ci consente di dire che tutti gli storici che hanno parlato di Foibe, di triangolo della morte e di Risorgimento da riscrivere sono degli eversivi.
A noi interessa l’aspetto della storia politica della nostra città e pertanto, applicando la regola giornalistica del “chi, dove, come, quando e perché”, notiamo che nei tre pezzi manca la risposta ad un perché: qualcuno vuole raccontare quali furono i “fatti giuridico-amministrativi dai quali il Cannata fu ampiamente dichiarato estraneo” e, aggiungiamo noi, da chi?
Solo con questa risposta i tre pezzi possono da querelle privata divenire piccolissimo tassello di conoscenza della storia patria.
Carmelo Modica
5° chiodo
I modicani figli di un dio distratto da… Saverio Terranova
Pubblicato nel numero del 28 ottobre 2010
Il professor Saverio Terranova ha scritto un piccolo saggio, pubblicato in due puntate su questo quindicinale, dal titolo “Chi vuole la morte di Ragusa”. In esso egli evidenzia un riconosciuto suo senso di umiltà, egli, infatti, in ordine al tentativo di identificare chi vuole la morte della provincia di Ragusa, si è limitato ad elencare, con grandissima competenza, solo ed esclusivamente i meriti attuali della sovrintendente ai beni culturali, architetto Vera Greco.
Per innata modestia il prof. Terranova ha evitato con cura una ricostruzione storica dei meriti sulla morte della provincia di Ragusa perché avrebbe strapazzato tutti avendo egli ricoperto la carica di Sindaco di Modica per circa 3450 giorni: primo indiscusso nella graduatoria dei sindaci di questo dopoguerra dopo Basile Gaspare e l’avvocato Ruta rispetto al quale, però, bisogna riconoscere ha agito in condizioni di netto svantaggio.
Infatti, rispetto all’avvocato Ruta, che ha realizzato 3260 giorni circa di sindacatura, essendo stato eletto Sindaco due volte direttamente dal popolo con un lungo mandato di cinque anni, Saverio Terranova ha dovuto guadagnarsi ben otto elezioni a sindaco dal consiglio comunale, barcamenandosi e vincendo dentro un partito in cui il potere si otteneva con il tesseramento degli amici, “degli amici degli amici” e, quando era necessario, anche dei defunti amici degli amici oppure delle inconsapevoli persone che di democratico cristiano avevano solo l’ordine alfabetico degli elenchi telefonici.
In tale articolo il professore Terranova racconta anche che un papa che aveva deciso di collegare il Vaticano al Laterano venne da Dio chiamato a se perché aveva deciso di buttare giù il Colosseo in quanto impediva di fare una strada perfettamente diritta. Fu chiamando a se il papa che Dio salvò il Colosseo.
Con questo racconto Saverio Terranova, forse perché cattolico, vuole dare un giusto merito della distruzione della provincia di Ragusa anche ad un Dio modicano che anziché chiamare a se chi voleva distruggere il Colosseo, forse distratto, nel 1964 non chiamò a se chi permise di demolire l’Hotel Bristol (già convento agostiniano) e la secentesca chiesa di sant'Agostino.
Con una lettera al direttore Antonio Guerrieri, ne “La Pagina” del 12 ottobre fa alcune considerazioni di carattere ecologico che però rapportate al pensiero del prof. Terranova peccano di ingenuità: infatti, in un processo di distruzione di una provincia per il Terranova cosa vuole che sia l’impatto ambientale di una pala eolica in aperta campagna rispetto alla sostituzione della chiesa di Sant’Agostino con un colosso di cemento di molti piani in pieno centro storico?
E’ un processo lento ma ricco di prospettive. Prima o poi i modicani non rifiuteranno neanche la sostituzione dell’orologio del Castello dei conti con una grande Pala eolica, così come non si sono accorti che Modica è senza un sindaco.
Chi volesse trovare in questo nostro dire qualcosa di negativo o di pessimismo o peggio di nichilismo, rifletta sul significato di bello e di giusto ma anche di felicità e di armonia, si accorgerà di quanta superflua ansietà borghese esse siano inutile manifestazione… imbecilli sovrastrutture, direbbe Marx, che dobbiamo eliminare; il processo è in atto: davvero, più consideriamo valide le teorie di Saverio Terranova più è possibile avviarsi verso una vita felice.
***
“A ciascuno il suo” direbbe un certo personaggio, anzi “suum inicuique tribuere” (con il latino non riusciamo ad andare oltre il Rosa Rosae ma per l’occasione l’abbiamo copiata perché è fico scrivere citazioni in latino) ecco perché non bisogna demordere ed al prof. Terranova occorre attribuire tutti i meriti che ha conseguito nella sua lunga attività di amministratore e politico. Siamo convinti che ogni analisi sulla decadenza di Modica e della provincia di Ragusa passa attraverso la radiografia dell’agire politico della democrazia cristiana terranoviana. Lo faremo chiosando organicamente il suo agiografico (tipo santo subito) “Contributo alla Storia di Modica dal 1945 al 2006” con il libello “Storia nascosta di Modica” sul quale stiamo lavorando.
Carmelo Modica
6° chiodo
Il giuramento dei consiglieri comunali
Pubblicato il 28 novembre 2010
Pur ricorrendo a migliaia e migliaia di leggi, norme, ordinanze e direttive di tutti i generi che emana per organizzare al meglio la convivenza civile, fino a regolamentare anche i più, a volte, ovvi comportamenti dell'uomo, lo Stato, anche il più ateo e materialista, chiede ai suoi funzionari e cittadini impegni che vanno oltre il semplice dovere di adeguare il proprio comportamento alla fattispecie modellata dalla legge.
In altre parole, spesso, molto spesso, si avverte la insufficienza della legge e si chiede all'uomo un impegno più alto e più profondo.
Per quanto ci riguarda noi da allievo ufficiale e da sottotenente abbiamo giurato di "...essere fedeli alla Repubblica Italiana e...." e, con diversa formula, anche da consigliere comunale.
Anche il testimone in tribunale giura di dire "...la verità tutta la verità..." siccome il Presidente della Repubblica, Il presidente del Consiglio, i Ministri e così via.
Perché, ci si chiede, questo coinvolgimento dello spirito per tentare di ottenere dei comportamenti che poi tra l'atro sono chiaramente puniti con pene amministrative e/o penali? La stessa accusa di tradimento o di attentato alla costituzione o di violazione degli obblighi assunti con il giuramento di fatto poi sono ricondotti alla norma di diritto.
Bene, queste "pretese" della legge di che natura sono?
Inoltre, molto spesso, questi momenti vengono inseriti in rituali che assumono particolari forme, più o meno solenni che a volte sono delle vere e proprie iniziazioni (insieme di riti e di prove attraverso le quali si è ammessi in ambienti particolari) e nei casi più blandi, comunque appaiono della stessa natura e finalità.
Riflettendo su questi aspetti della vita dell'uomo non si può fare a meno di rilevare similitudini evidenti tra il rito del giuramento di un reparto in armi ed il giuramento nei tribunali di testimoni e di periti. Similmente non possono non avvertirsi le chiare somiglianze tra i riti descritti dai manuali massonici e quelli degli altri riti di ogni religione. Le forme solenni dei matrimoni civili, l'unione dei polsi incisi per scambiarsi il sangue nei patti matrimoniali o di reciproca fedeltà. Tutto appartiene ad un mondo altro che molti vedono "alto" ed altri vedono stupido ma sempre caratterizzato da una carica esoterica coinvolgente non facilmente definibile considerato che viene utilizzata anche dalle famiglie malavitose, da maghi e fattucchiere.
Per quanto ci è dato trarre dalla cronaca giudiziaria delle varie mafie risulta evidente che “il picciotto” purtroppo, mantiene gli impegni presi mentre valutando i risultati catastrofici del consiglio comunale risulta evidente che il consigliere comunale, purtroppo non li mantiene, anzi non ha neanche la consapevolezza di avere assunto un impegno con la Comunità o meglio non ha le qualità culturali per possedere un senso del dovere e dell’onore più forte dall’imperativo categorico di farsi i fatti suoi.
Ovviamente non si può escludere neanche l’ipotesi del consigliere comunale che fa prevalere su quello solennemente enunciato nell’aula consiliare il giuramento enunciato con una semplice strizzatina d’occhio al Don Calogero di turno.
Carmelo Modica
7° chiodo
Dalla parte dei villani modicani
Pubblicato in La pagina del 28 dicembre 2010
La elaborazione di un libello attorno a nove villani fucilati alle ore 14 del 24 settembre 1860, fuori dall’abitato di Modica, presente un magistrato, responsabili di un furto con violenza alle cose e minaccia a mano armata, ci ha costretti ad indagare la qualità politica e morale della governo che rese possibile tale carneficina giudiziaria. (1)
Non è difficile verificare la perfetta sintonia di intenti della componente politica e di quella giudiziaria dei governanti di allora, nel determinare l’eccidio.
Questa indicata e fondamentale riflessione, penetrando negli anfratti del nostro più profondo essere, forse raggiungendo quello stadio ancestrale che appalesa in forma irresistibile la nostra vera natura, ci ha fatto scoprire che siamo decisamente, senza se e senza ma, dalla parte dei villani.
Davanti ad un simile evento è divenuto naturale riflettere sul significato dell’agire nobile visto che quel potere era espressione di una comitiva di famiglie signorili che ci avrebbero inseguito fino ai nostri tempi con ritratti appesi nell’aula del consiglio comunale, con busti nelle pubbliche piazze e nella toponomastica cittadina.
Abbiamo ripercorso l’itinerario della regressione delle caste convincendoci che dopo il Primo Stato (clero), il Secondo (l'aristocrazia), il Terzo (la borghesia) ed il Quarto (il proletariato) sta emergendo il quinto Stato che molti definiscono quello dei "mendicanti, dei banditi e dei dementi".
Ciò consiglia di verificare se la qualità umana, culturale e politica di questo emergente “Quinto Stato” è merito di quel “volgo” che l’Abate De Leva definì con queste parole, ”Guai se il volgo si immischia e vuol prendere il posto e far la parte dell’Uomo pensante, allora ogni buon dritto va alla malora,[…].”, (2) oppure è qualità consolidata della casta cortigiana: insieme indistinto di notabili, indolenti principi, baroni, arrampicatori, giuriconsulti, mercanti, alti dignitari della struttura burocratica con rispettive mogli ed amanti che affollavano le corti dei monarchi dell’ottocento e dei loro attuali discendenti, ulteriormente degradati nei tanti cavalieri del lavoro, alte cariche e dignitari dello Stato che vogliono dare sostanza, di una non altrimenti riconoscibile nobiltà, nei “rituali del potere” che si esibiscono nelle varie inaugurazioni di anni giudiziari e accademici o nei lussuosi saloni centrali e periferici per la festa della repubblica.
E’ in questi ambienti che, con la r moscia e con manifesti segni di indignazione e di superiorità, si parla di avvento del “Quinto Stato”. Sono le stesse “auguste” persone, che con vestiti gessati caracollano con la spalla cadente, su guide di velluto rosso cardinale; imbellettati con toghe buttate sulle spalle e copricapo cadenti ma con quella “nobile trasandatezza” di chi vuole intendere che egli vale a prescindere degli orpelli che l’alta carica rivestita, suo malgrado, gli impone di indossare.
Sono riconoscibili anche dal bigliettino da visita dove esibiscono tutti i titoli, anche il diploma della Scuola radio elettra, ma poi, prima di porgertelo lo sbarrano con un breve segno della penna per dirti ché, poi tutto sommato ed in particolare con te, non ci tengono. Parafrasando Hans Magnus Enzensberger verrebbe da dire che con riferimento ai tempi attuali qualcuno dirà “ai tempi dei "mendicanti, banditi e dementi" non sapevamo di vivere i tempi dei "mendicanti, banditi e dementi".
Ci siamo anche chiesti: chi sono i “villani”? Ed abbiamo trovato anche una risposta.
(1) Per saperne di più si suggerisce “G. Chiaula, Il mistero dei nove, edizioni Setim Modica 1998, che può essere letto presso qualsiasi biblioteca o archivio della nostra provincia dove, come tributo solo ai nove villani, noi stessi abbiamo provveduto a distribuirlo. Il titolo provvisorio del nostro libello è, invece, “Cuoppuli e cappedda” individuando nella protervia di quest’ultimi la risoluzione del “Mistero”.
(2) Archivio De Leva-Corrispondenza De Leva - Agnello, b 6/4, Lettera del 5 XII 1847 in Archivio di Stato di Modica.
Carmelo Modica
8° chiodo
Diciamocelo… il Municipio è nostro amico.
Pubblicato in La Pagina del 12 gennaio 2011
Quasi tutti abbiamo vissuto l’esperienza di telefonare ad un ente per chiedere una delucidazione e siamo stati costretti ad interloquire con una voce digitalizzata che con interminabili attese, allietate da consigli per gli acquisti ed antipatiche musichette, ci ha fatto digitare un numero dopo l’altro fino a quando, in vista dell’agognata meta dell’operatore disponibile, abbiamo sentito il micidiale tho tho tho rapido che ci diceva di cominciare daccapo perché era caduta la linea.
Solo questo ricordo ci può rendere lieta una telefonata al comune di Modica dove, perbacco!... almeno ti risponde una voce umana che dopo che ti sei presentato ti dice “scusi un attimo” poggia il telefono sulla sua scrivania e per dieci minuti senti i rumori della stanza: un impasto di incomprensibile chiacchiericcio con rumori di sedie che si trascinano, oggetti che cadono e lontane grida, fino a quando ti scocci e chiudi il telefono. Perbacco almeno senti, seppure per un attimo, la voce umana, ma anche il vocio ed i rumori della stanza sono pur sempre rumori naturali, umani anch’essi e comunque, sempre meglio dei consigli per gli acquisti e delle antipatiche musichette.
Certo il servizio si potrebbe migliorare inserendo una musichetta gradevole e spensierata; chissà perché per il nostro comune mi viene in mente quella di Orietta Berti che fa “finché la barca va lasciala andare”.
In verità tutto questo è l’esito di una precisa scelta politica della sinistra: il contatto umano è uno degli obiettivi di fondo che questa amministrazione persegue con determinazione, ecco perché preferisce che il cittadino si rechi personalmente presso gli uffici del Comune. Così a chiunque digiti il numero telefonico della biblioteca comunale indicato dal sistema Opac, per chiedere una informazione, la vocina digitalizzata ti dice “Telecom Italia informazione gratuita, attenzione il numero selezionato è inesistente”; un modo moderno per far capire che il Municipio vuole vederci di persona e realizzare quel contatto umano che è davvero gratificante, la cui mancanza, peraltro a detta degli esperti, è una delle cause del logorio della vita moderna e, quindi, della qualità della vita che da sempre è stato il primario obiettivo della sinistra.
Il contatto con il personale del comune da umano diviene addirittura familiare se dovesse capitare di chiedere la visione di alcuni atti.
Una esperienza irripetibile: essa ti consente di conoscere prima l’impiegato che ti dice “torni domani” perché manca la persona giusta, poi l’indomani, la signora che ti protocolla la richiesta e poi quella che ti dice che devi fare un versamento. E poi, finalmente quando ti mettono a disposizione i fascicoli per visionarli hai le stesse probabilità del gratta e vinci che ti possa sbrigare in una mattinata. Per quanto mi riguarda accertato che quelli non erano i fascicoli che mi serviva visionare sono stato inviato prima allo sportello unico, e con questa scusa ho conosciuto meglio un mio cugino acquisito, che avevo perso di vista, che mi ha spedito all’ufficio ecologia che dichiaratosi incompetente ad esaudire la mia richiesta mi faceva chiudere il cerchio suggerendomi di tornare all’ufficio urbanistico da dove ero partito.
Carmelo Modica
9° chiodo
‘Ca nisciunu è fessu
Non vi è dubbio che ogni giornalista professionista, pubblicista (come lo fummo anche noi) o di complemento (come lo siamo adesso), nel proporre commenti, riflessioni o fatti che interessano l’opinione pubblica cui si rivolge il giornale in cui scrive, ha il vantaggio di potersi togliere, anche, qualche sassolino dalle scarpe.
Quando vuole farlo lancia messaggi criptati per tutti i lettori tranne che per il destinatario che diviene l’unico in grado di capirne il significato, perché unico a conoscere i fatti.
Queste considerazioni ci sono state sollecitate dalla lettura della lettera al Direttore del dott. Giuseppe Chiaula pubblicata ne “La Pagina” del 12 dicembre scorso quando scrive: “Al prof. Poidomani espressi il "mio grazie" in termini pari a quelli seguiti per i primi due docenti intervenuti (Giacomo Pace Gravina e Luciano Nicastro)”.
Abbiamo fatto qualche lettura in materia di propaganda e pubblicità e quel “mio grazie” virgolettato lo riteniamo un messaggio criptato per la generalità dei lettori de “La Pagina”, un po’ meno per noi che qualche cosarella la conosciamo.
Per tutti gli altri lettori de “La Pagina” il messaggio assume, però, la qualità di subliminale perché fa percepire “un qualcosa” senza però che se ne possa comprendere a pieno il significato: Per Giacomo Pace Gravina e Luciano Nicastro, invece sarà chiarissimo.
In verità tutta la corrispondenza del dott. Chiaula relativa alla vicenda delle dimissioni dell’avv. Giorgio Cannata è criptata (“La Pagina” del 12 giugno e del 28 luglio 2010) se è vero che solo quando ha reagito il prof. Poidomani (“La Pagina” del 12 settembre 2010) abbiamo appreso che era lui lo storico “imputato” di scorrettezza.
Ciò che, invece, non è nè criptato né subliminale è il silenzio assoluto opposto da tutti alla nostra richiesta di conoscere quali furono i “fatti giuridico-amministrativi dai quali il Cannata fu ampiamente dichiarato estraneo”. (La Pagina del 12 ottobre 2010); nessun problema, la vita continua lo stesso.
Ovviamente si può pure andare oltre per chiedersi come tutto questo possa conciliarsi con la correttezza sembrandoci un “disordine” lo scrivere senza franchezza, senza “guardare” il destinatario negli occhi oppure l’affidare alle pagine di un giornale questioni che andrebbero taciute, perché private, o analizzate con lo scopo di enuclearne l’aspetto politico, culturale o di costume, unici motivi per motivare la loro presenza su un giornale, tanto che alla fine, su tutta la questione, sembra più prevalere l’aspetto privato su quello sacrosanto di una maldicenza nei confronti di una persona.
Se noi abbiamo parlato di queste cose è perché abbiamo cercato di trarre da una vicenda marginale strumenti per una più consapevole lettura dei giornali in generale e, pertanto, avendo fra l’altro indicato con nomi e cognomi i destinatari delle nostre osservazioni nessuno ci può accusare di linguaggio criptato e tanto meno subliminale.
…ma …è proprio così?
Carmelo Modica
Pubblicato ne La Pagina del 28 gennaio 2011
10° chiodo
Del nobile agire
Vincenzo Civello nella sua “Lettera al direttore” - La pagina del 28 gennaio 2011 - sulla querelle Chiaula-Poidomani, coglie, a ragione, un mio riferimento al concetto del “nobile agire”.
Il tema mi interessa ecco perché accolgo io l’invito del direttore a parlarne perché sono sempre più convinto che, ridotta la politica ad inconsistente, chiassoso, volgare ed inutile cortile di due tifoserie, ogni azione degna deve partire da riflessioni pre-politiche.
Da “villano” preferisco avviare il discorso ricordando che la politica è cultura come visione del mondo ed è, quindi, anche, manifestazione della vita spirituale di un popolo che costringe a parlarne nei termini con i quali si definisce e si caratterizza la sua Tradizione.
Un tempo, in questa nostra Patria modicana, tutto era condizionato e dettato dalla natura e dai suoi ritmi, a partire dall’alimentazione e dall’accorto e migliore uso delle risorse. E ancor quando queste fossero poche, il che avveniva molto spesso, quel mondo funzionava, perché le maggiori disponibilità improvvise non facevano mutare l’atteggiamento culturale.
Nulla era affidato al caso e tutto si svolgeva secondo regole fissate nella mente ed oralmente tramandate. Ogni appartenente alla famiglia aveva un ruolo preciso.
La domenica tutti si radunavano in piazza per incontri di amicizia o di lavoro e i “contratti” venivano firmati con un bicchiere di vino ed un pezzo di bollito. Se i contratti erano molti si diventava “allegri di vino”, e l’ubriacatura non inficiava minimamente la parola data e siglata con una stretta di mano, anche se veniva data barcollando e strascicando le parole.
“A putia ro vinu” era una sorta di luogo sacro, nel quale si consolidavano le amicizie, ed era anche l’ufficio notarile che, senza carte e scartoffie, registrava le volontà espresse e le conciliava fino a quando non venivano innaffiate dal sangue della vite che le trasmutava in patto. La piazza domenicale affollata materializzava il popolo. Ed anche quando il lunedì mattino la sobrietà ripristinata evidenziava un assurdo contratto la parola data non era più, per entrambe le parti, ridiscutibile.
Poteva questo rientrare in un “nobile agire”? No non era possibile perché a quei villani mancava il sigillo del marchese, del barone, del don o del voscenza.
Nei tempi attuali l’agire nobile è attribuzione del colonnello, del notabile, del professore, del “grado terzo”, dell’onorevole, del medico o del magistrato; il sigillo è, però, la puzzetta al naso che nella sua antropologica essenza non fa distinguere il ricevuto e spontaneo rispetto dato dal servilismo preteso. Una visione aristocratica che si manifesta con cene che sono veri e propri riti di ostentata munificenza per pagare ritenuti servi, incapace com’è, per sua intrinseca natura, di riconoscere il vero rispetto, il disinteresse ed il distacco.
Nel settembre del 1860 nove delinquentelli, villani modicani non poterono impedire ad esponenti di una comitiva di famiglie signorili di fucilarli (1). Ora abbiamo un grande vantaggio esistono più strumenti per opporsi a chi pensa di calzare “cappedda”. E questo “10° chiodo” è uno dei tanti possibili.
Questo, caro Vincenzo Civello, mi sembra l’origine di un itinerario che possa consentire di riconoscere i “cappedda” dal “nobile agire”, stigmatizzandone i comportamenti.
Bisogna culturalmente agire perché il lignaggio della carica non sia la maschera della mediocrità morale e politica di chi la ricopre ma viceversa sia la qualità della persona a nobilitare la carica ricoperta.
Carmelo Modica
(1) Per saperne di più vedi www.labibliotecadibabele.it
Pubblicato ne La Pagina del 12 febbraio 2011
11° chiodo
Si chiama Sindaco, fa il Commissario
L’intervento del Sindaco, pubblicato da La Pagina del 28 gennaio scorso, è un documento essenziale per ricavare un suo profilo politico-culturale.
Io, a differenza del prof. Giuseppe Ascenzo, non faccio riferimento al fatto che egli sarebbe succube di Riccardo Minardo, perché quando si fa un’alleanza si devono rispettare i patti e l’alleanza si mantiene in piedi nei limiti in cui ognuno dei contraenti la considera utile al proprio progetto politico. E’ anche normale che esista un manuale Cencelli cui adeguarsi e che tra le due parti si verifichi quella dialettica, con momenti anche di particolare rissosità e minacce, più o meno esplicite, in cui si tenta di far valere le proprie ragioni. Una parte può anche cedere su un provvedimento perché vuole bilanciare altri obiettivi. Il problema semmai è verificare se tali ragioni corrispondano al bene della Comunità modicana considerato che non esiste posizione politica o provvedimento di governo che non venga ostentato, dichiarato e gridato come necessario ai bisogni della “cara Comunità modicana … ed al bene della città” e bla, bla, bla.
Coerentemente, non mi sogno di ritornare a rimproverare ad Antonello Buscema di non “aver corso” da solo. Lo feci, in tutte le salse, prima del ballottaggio e ne presi atto, rispettandone la scelta, tanto che addirittura gli diedi anche il mio voto perché pensavo che “non esiste persona interiormente forte che possa essere inquinata da una mediocrità politica pur granitica, quell’MPA che, salvo qualche rara eccezione, è il peggio che la politica modicana abbia generato in questo secondo dopoguerra”.
Mi illudevo che “la politica del manuale Cencelli”, nelle mani di Antonello Buscema sarebbe stata, comunque prigioniera dei bisogni della Comunità modicana. Me lo garantiva il ricordo di Buscema depositario dello spirito della “sala del granaio” (1993) che vide quel tentativo, quello si di vera svolta culturale e politica, di portare Giorgio Colombo alla sindacatura: si rifletta su cosa avrebbe provocato quell’evento se si fosse verificato. Purtroppo quell’evento venne sconfitto dalla sinistra (Ruta) e sono certo che Antonello Buscema (sia e) sarà affossato definitivamente dalla sinistra che ha nel suo interno, più che dall’alleato MPA o dall’azione dell’estrema sinistra. Nulla di straordinario, quindi, l’MPA sta facendo il suo mestiere, quello della malapolitica unica e sola qualità politica rilevabile dal suo dna.
E’ Antonello Buscema che non ha fatto quanto ci si aspettava: egli non sta governando Modica l’ha sta solo amministrando. Governare significa scegliere tra più opzioni, amministrare significa applicare procedure tecniche, dovute ed a volte uniche, come, per sintetizzare, il mettere in fila le fatture da pagare: per governare ci vuole il Sindaco per amministrare basta il Commissario.
La mancanza di risorse economiche può bloccare, nell’immediato, la realizzazione di opere, rendere difficile la fornitura di servizi, ma la severità dei numeri facilita anche la imposizione di provvedimenti impopolari perché chiunque si rende conto che sono gli unici possibili. Si pensi alla lievitazione dei costi della raccolta e smaltimento dei rifiuti che pur creata dal malgoverno generale degli ultimi vent’anni ora è resa necessaria dai numeri.
In questo scenario, l’amministratore pianifica ed organizza quanto deve per forza fare, recupera crediti ed effettua economie; il politico, invece, coinvolge la Comunità nelle scelte, provoca mutamenti culturali nella organizzazione del servizio manutenzione, nella struttura burocratica, realizza tutte quelle riforme e tutte quelle cose che non richiedono soldi ma solo amore per la città, passione civile e fantasia.
La mancanza di risorse economiche di solito provoca l’effetto di meglio razionalizzare l’esistente ricercando nuovi modi di coinvolgere e di agire. Non è l’alleanza con l’MPA, quindi, che può essere censurata, bensì il tradimento di un’attesa e di una speranza.
Non temo di essere annoverato tra “i ‘saggi’ che - sfotte Antonello Buscema - si distinguono per la ritrosia a misurarsi direttamente con i problemi (vuoi perché non hanno avuto mai il coraggio di sporcarsi le mani esponendosi al giudizio degli altri, vuoi perché i cittadini stessi non hanno mai avuto il ‘coraggio’ di affidar loro la cosa pubblica)”.
Anche il giornalista, come il Sindaco, si espone al giudizio degli altri ed inoltre non ha neanche la possibilità di scaricare le proprie responsabilità all’MPA o all’inefficienza di questo o di quello. Mi sorprende e meraviglia che il Sindaco esponga, come suo paradigma culturale, la becera e berlusconiana idea che la quantità di voti elettorali sia misura di qualità culturale e politica equiparando così i non eletti a Cicciolina, Genco Russo, Cuffaro, Drago ed i tanti delinquenti politici che occupano le istituzioni che pur presero più voti, per esempio, di me.
Mi stupisce e mi rattrista quel suo pigro e culturalmente banale uso dell’epiteto di “qualunquista” contro chi lo critica.
Al mio voto è seguita prima la speranza poi la delusione ed infine la certezza che Antonello Buscema è stato eletto da Saro Minardo. Non stupitevi! Non occorreva l’investitura ufficiale, non serviva neanche l’accettazione o l’assenso di Antonello Buscema: è sufficiente solo essere strumentale a Saro Minardo per prendere tanti voti ed essere saggio senza virgolette.
Carmelo Modica (11° chiodo)
Modica 20 febbraio 2011
Pubblicato 28 febbraio 2011
12° chiodo
Il sindaco Buscema contro il fronte “…di tutti coloro che…”
Qualcuno potrebbe definire generici i rimproveri che ho mosso al Sindaco. Un po’ come quel “qualunquisti” che il Sindaco, con crassa ignoranza del suo significato letterale lancia ad alcuni “saggi” che lo criticano.
Con il suo intervento il Sindaco riconosce la esistenza di un fronte formato dal gruppo di “…tutti coloro che…”.
Se il Sindaco trova il tempo di interessarsi di “…tutti coloro che…” i quali sono elettoralmente inesistenti, vuol dire che egli non ha alcuna opposizione. D’altra parte, chi dovrebbe farla questa opposizione? Quel Pdl e quell’Udc che qualsiasi rimprovero volessero rivolgere accadrebbe loro quanto succede a coloro che sputando in alto si vedono tornare addosso lo sputo?
Infatti, il centrodestra non può andare oltre la sceneggiata di una opposizione perché sa di essere direttamente responsabile del disastro del nostro comune e, quindi privo di argomenti che non gli si ritorcano contro. E’ questo ciò che garantisce la tanto ostentata stabilità amministrativa.
Questa opposizione, infatti, non chiederà mai al Sindaco:
- Cosa ha fatto, o fa, di ciò che è possibile realizzare anche senza soldi?
- Dove è quel gruppo che proveniente dalla Domus S. Petri ed arrivata dopo “la lunga marcia” alla guida (si fa per dire) di Palazzo S. Domenico, non si cura dell’attuazione dello statuto comunale impedendo l’uso di forme di partecipazione democratica?
- Cosa ha fatto per utilizzare per fini di trasparenza e partecipazione democratica il sito del Comune?
- Cosa ha fatto per coinvolgere il popolo modicano in alcune scelte urbanistiche come quella di via (s)Conceria?
- Ma di quale “efficienza ed economicità” parla il Sindaco?
Quella di una scassatissima macchina burocratica le cui principali vittime sono gli stessi impiegati comunali, costretti a muoversi in un ambiente caotico e disorganizzato?
Oppure quella di un ufficio tecnico comunale che intima ad una emittente locale di demolire un manufatto abusivo da esso stesso autorizzato nel suolo pubblico di Monserrato?
Oppure quella che non consente la tumulazione del defunto perché la tomba che da vivo aveva strapagato ad una ditta accreditata dal comune era abusiva?
Oppure è quella che nonostante l’abuso fosse così pericoloso, ed in un settore notoriamente permeabile ad interessi malavitosi non ha avviato quella normale indagine interna, storica, per accertare la eventuale presenza di altri abusi?
Si aspettano altre ambulanze incendiate o qualche morto ammazzato e chiudere con la privatizzazione dei servizi cimiteriali per potere dire al cimitero accada quanto accada è un problema della polizia e non del Sindaco?
Ed in questa ottica cosa è questa strombazzata collaborazione del Comune in materia di ordine pubblico, in occasione di incontri con i vertici delle forze dell’ordine?
Il nostro direttore ha scritto (La pagina del 12 febbraio 2011) che il nostro Sindaco con il suo intervento “…ha scelto di mettersi in discussione e (…) dato prova di democrazia…”.
Ma qualcuno ha chiesto al Sindaco quali criteri democratici utilizza nella scelta delle critiche cui rispondere?
Appare fin troppo evidente che egli sceglie solo ciò che gli consente, torchiane, banalissime e politichesi considerazioni, oppure di esibire eroici sacrifici economici per incidenti stradali occorsigli con auto privata “per motivi di servizio”. Poi non risponde, neanche per rispetto, ad un’associazione che gli ha proposto di pubblicare gratis (Ottobre 2008) una “Raccolta in unico volume dei regolamenti e delle direttive comunali”. Né sembra mettersi in discussione quando trasforma un proposto e collaborativo bimestrale incontro con la stampa locale in settemestrali ed inconcludenti passerelle autoreferenziali. Né si azzarda a chiacchierare del Concorso di idee per partecipare al bando regionale di sviluppo di servizi culturali al territorio e alla produzione artistica e artigianale…” della quale aspettiamo di conoscere l’esito.
Nel citato articolo, il sindaco ci dice che tre persone suggerite da Riccardo Minardo avrebbero fatto miracoli; ma è colpa nostra se di questi miracoli abbiamo tanta consapevolezza quanta ne ha il motore di ricerca del sito del Comune? cioè zero!
Potremmo leggerli nelle quattro (?) relazioni semestrali che per legge (non) ha divulgato oppure traendole da una caotica struttura burocratica, palla al piede dello sviluppo?
Queste nostre osservazioni sono qualunquismo? Oppure si dirà “ma quale importanza possono avere queste pur incredibili deficienze con il disastro economico del nostro Municipio?”
Proviamo a pensare alla loro capacità di essere sintomi e segni. Il medico, spesso, osservando il bulbo oculare, piccole macchie e leggeri arrossamenti, individua malattie gravissime. Il mio è un discorso pre-politico dove il disastro burocratico e culturale sono i segni evidenti di assenza di valori politici e/o di capacità di direzione, presupposti necessari del buon governo che non possono essere mimetizzati calzando un elmetto ed impugnando un piccone come faceva Mussolini. Si vorrà ammettere che queste esibizioni evocano scenari falsi ed identici a quelli rimproverati a Torchi.
Quale direzione politica può mai realizzare quanto necessario per ben amministrare se gli strumenti operativi sono di questa qualità?
Quando l’assessore firma una lettera per il “giusto telefono” della biblioteca comunale, vuol dire che questo è il problema più importante che ha; quando il disordine del traffico, da parte di autorevoli amministratori, viene attribuito alla maleducazione degli utenti della strada ed a “le stellette stanno a guardare” di un Corpo dei Vigili urbani, senza curarsi delle loro responsabilità sull’evidentissima carenza dell’organico e della confusione ordinamentale di una struttura in cui sono tutti ispettori; quando lo scarso successo della raccolta differenziata viene attribuito alla scarsa educazione ecologica della cittadinanza; quando tutto ciò avviene manca metodo, direzione, coordinamento, programmazione, valutazione delle risorse umane, ordine, formazione, governo dei problemi: non esiste una direzione politica degna… oppure essa ha altri interessi... oppure non è adeguata.
Carmelo Modica (12° chiodo)
Modica 8 marzo 2011
P.S. Dimenticavo… a quanto pare gli addetti alla biblioteca comunale non sanno che nella rete internet per raggiungere la Biblioteca comunale di Modica tuttora tra le tante vie, ne esiste una che suggerisce il numero telefonico 0932-943841 che opportunamente digitato con la melodica voce digitale recita: “Informazione gratuita, attenzione il numero selezionato è inesistente”. Spero che dopo avere informato i lettori de “La pagina” con la sua lettera al direttore del 28 gennaio scorso, l’Assessore al ramo (secco?) trovi il modo (ci vuole denaro?) di informare i restanti italiani che la nostra biblioteca dispone di un telefono.
Pubblicato 14 marzo 2011
13° chiodo
Il “Mistero” dei nove poteri
In questa overdose di “Unità d’Italia” in cui mi ha immerso chi da giovane e maturo aveva bruciato in piazza tanti Tricolori che allora, anni ’60, impedirono il trionfo della bandiera rossa con falce e martello, vilmente sostenuta dal dolcissimo Bianco Fiore democristiano, ho riservato un angolino del mio tempo per rivedere il film di Florestano Vancini “Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato” del 1972.
Il rogo dei libri è noto a tutti; la democrazia del terzo millennio lo ostenta come icona irripetibile di un mondo ormai libero dalle dittature tutto impregnato di consenso, solidarietà, rispetto dei diritti civili e vero trionfo della democrazia.
Questa overdose è il rogo del terzo millennio: tutta una letteratura storica è stata messa all’indice e bruciata in quel grandissimo falò della retorica patriottarda; overdose non dissimile da quelle celebrate dai regimi totalitari.
Nel Nino Bixio di “Bronte”, ho visto il volto del potere; quello uguale sempre a se stesso, allora come ora, così percepito anche da Vincenzo Civello, nella sua “Lettera al direttore” pubblicata in questo quindicinale del 28 febbraio 2011, quando si chiede perché l’autore del “Mistero dei nove” villani fucilati nel settembre 1860, vuole escludere ogni con-fusione con il potere tout court della componente giudiziaria circa le responsabilità della fucilazione.
Succede che lo stesso libro dopo ogni rilettura apre nuovi orizzonti culturali e nuove riflessioni: dipende dalla propria maturazione, dalle nuove conoscenze acquisite e dalla maggiori verifiche sul valore dell’autore.
Rileggere “Il mistero dei nove” di Giuseppe Chiaula, sulla sollecitazione dello scritto di Vincenzo Civello, dopo aver rivisto “Bronte, cronaca di un massacro” e nel pieno dell’overdose prima richiamata, mi ha fornito nuovi spunti interpretativi.
Questa ultima lettura mi ha mostrato una… contraddizione?
Il libro nel suo insieme appare un libro “revisionista” perché evidenzia un atto di palese ingiustizia dei padri fondatori del Risorgimento italiano che tutta la pubblicistica degli “storici veri ed organici” rifiuta sdegnosamente. Lascia intendere che Carlo Papa e Giuseppe Vernuccio brigarono per nascondere, o mitigare, il loro essere stati giudici della Commissione Speciale che condannò a morte i nove villani. Ma, contrariamente ad ogni logica, quando l’autore si pone il problema del perché siano spariti gli atti del processo ai nove, che di questa ritrosia ad ostentare tale alto incarico poteva essere una logica conseguenza, in maniera determinata arriva a sostenere che tale responsabilità è da attribuire ad una scelta del gruppo all’epoca politicamente dominante a Modica, perché per la Commissione Giudicante come per qualsiasi giudice sarebbe stato innaturale “far sparire il riscontro documentale della sua sempre sofferta attività”. Un’argomentazione che è tanto banale in termini di capacità argomentativa, quanto presuntuosa in termini morali ed inconsistente da un punto di vista storico.
Come dire che un magistrato è naturalmente sempre al di sopra di ogni sospetto: una vera e propria qualità morale originaria e primordiale … una vera grazia di Dio. Come se durante il ‘68 non si fosse verificato a Milano di vedere magistrati sui palchi a comiziare accanto a esponenti di lotta continua. Come se non fosse vero che furono quattro gatti i magistrati italiani che si opposero al giuramento di fedeltà al regime Fascista; come se non fosse sufficiente la vasta letteratura prodotta da “Magistratura democratica” per verificare quantomeno la presenza di sofferta attività che nulla aveva a che vedere con i criteri di giustizia.
E’ davvero singolare che l’autore del “Mistero dei nove”, il quale, per sua ammissione, si muove in una situazione di scarsissima documentazione, l’unica cosa che percepisce con certezza assoluta è la estraneità dei giudici della Commissione Speciale sulla sparizione degli atti del processo. Ovviamente qui non si vuole ipotizzare una supposta visione corporativa dell’autore del libro, essendo egli un magistrato in pensione, visione tutto sommato scusabile perché può far parte delle umane cose ed essere attuata anche in maniera inconsapevole, ma semplicemente evidenziare come il Potere tout court nella sua ansia di asservimento, produce i suoi effetti a prescindere della consapevolezza dei vettori culturali; nel caso in esame, infatti, si rende omaggio ad una supposta suddivisione dei poteri attraverso la imposizione della onnipotenza morale di uno dei poteri, quello giudiziario, il che, di per se, è prova di una visione totalitaria ed assoluta.
Ecco il vero “Mistero dei nove” …poteri: la pretesa che nel Potere tout court, “spalmato” tra Governatore provinciale, Governatore del Distretto di Modica, Questore, Delegato di polizia, Comandante della guardia nazionale, Militi deviati, Comitiva di famiglie signorili, Gabellotti, e Commissione speciale penale, tutte insieme appassionatamente nel produrre una “carneficina giudiziaria”, vi fu una componente, quella giudiziaria, immacolata, indipendente e… nobile.
Carmelo Modica
Pubblicato 12 aprile 2011
14° chiodo
Vi sono anche politici che governano senza ricevere avvisi di garanzia…
Appena si ha notizia di un avviso di garanzia, di un procedimento, scatta in automatico, oserei dire come il ritornello che siamo costretti a sentire ogni volta che telefoniamo a qualche call center oppure quando riceviamo telefonate di qualcuno che ci vuole vendere qualcosa: “…esprimiamo la massima fiducia nella magistratura... ci auguriamo che possano dimostrare la estraneità ai fatti… esprimiamo la massima solidarietà, il nostro affetto e la nostra vicinanza all’onorevole, e la nostra costernazione per quanto avvenuto.. non ci sono minimamente dubbi sul fatto che il nostro leader continuerà ad avere la nostra piena fiducia nella sua azione politica.
Va da se che escludendo che esprimere la massima fiducia nella magistratura non voglia significare anche, e di contro, che nella normalità la magistratura non merita la nostra fiducia rimane l’ipotesi che si è così certi dell’innocenza del politico arrestato, avvisato o rinviato a giudizio che solo una magistratura corrotta potrebbe condannarlo. Ovviamente vi è anche l’altra ipotesi che la litania possa essere il modo per disobbligarsi per i “favori” ricevuti oppure soddisfare una propria natura servile.
Io credo che se l’assoluzione o la condanna dell’onorevole si potessero estendere anche a chi esprime solidarietà forse finirebbe la ipocrita abitudine di simili esternazioni.
Io devo confessare che tutte queste vicende non mi procurano alcun sentimento di solidarietà. Rispetto il principio costituzionale, il quale sancisce il principio della non colpevolezza fino alla sentenza definitiva. So però che tale principio è assoluto solo in termini di convivenza civile. Infatti, è vero anche che tale principio appartiene al mondo teorico perché è difficile poterlo sostenere nel proprio pensiero a meno che l’accusa sia così fantasiosa da essere per sua natura non credibile. La giusta e continua ripetizione di tale regola, inoltre, non potrà mai far passare un’altra sacrosanta verità, assoluta ed inconfutabile, sia a livello teorico che pratico: vi sono anche politici che governano senza ricevere avvisi di garanzia, condanne o rinvii a giudizio.
Ovviamente ognuno di noi raccoglie gli elementi e pian piano si forma una propria idea; certamente non in ordine alle responsabilità penali personali degli arrestati, o rinviati a giudizio, ma, più facilmente, in ordine alle responsabilità morali e politiche della classe politica nel suo insieme.
Per quanto riguarda il nostro Comune non è difficile constatare come sia stato distrutto e disastrato. Sappiamo un po’ tutti che i colpevoli non sono né tedeschi né americani. Questi sono dati di fatto. Leggendo i capi di imputazione dei nostri politici inquisiti non possiamo non constatare la loro natura di causa diretta del dissesto e, quindi, se è comprensibile e giusta l'ansia degli indagati di dimostrare la loro estraneità alla vicenda penale cui sono coinvolti, non crediamo sia censurabile la speranza di chi si augura che dagli avvisi di garanzia e dal relativo procedimento scaturiscano delle condanne.
Ricordo che l’amico Giuseppe Ascenzo in un’occasione ebbe a scrivere “Ci auguriamo, per il bene della città, che la questione venga archiviata…”. Io, come i familiari della strage di Piazza Fontana, ritengo, invece, che per il bene della città maturino delle sentenze di condanna chiare e nette.
Scrivo questo in maniera fredda e nei confronti di persone che per me sono e saranno senza volto.
Pubblicato su La pagina del 28 maggio 2011
15° chiodo
Il “fieno bagnato” del vescovo e dell’onorevole
Il fatto. Monsignor Antonio Staglianò, lo scorso 19 maggio, durante l’omelia della Santa Messa, che stava celebrando al Santuario della Madonna delle Grazie, ed anche alla fine, invita i fedeli a pregare per la famiglia dell’onorevole Riccardo Minardo, che stava soffrendo per il provvedimento restrittivo della custodia cautelare Modica adottata nei suoi riguardi e della di lui moglie, per associazione per delinquere, truffa aggravata, malversazione ai danni dello Stato.
Le parole del Vescovo di Noto non potevano non suscitare un dibattito serrato tra il popolo di internet che, comunque, come al solito, ha mostrato quello che è il suo limite: incapacità di attenersi al tema ed utilizzo di argomenti spuri, inconsistenti, caotici ed inconcludenti.
E’ una visione semplicistica affermare che a nulla servono le pur dotte considerazioni di Domenico Pisana sulla natura dell’omelia che è stata, con tali affermazioni resa solo ed esclusivamente politica?
Ci vuole molto a comprendere che con questo intervento il responsabile della diocesi di Noto ha dimostrato di essere meno vescovo di quanto sia “eccellenza”?
Il vivere civile nella civiltà dei mille comuni italiani era, ed in alcuni casi ancora lo è, caratterizzata da due fortissime presenze: la stazione carabinieri e la parrocchia; solo dopo si aggiunse anche il Municipio.
Il maresciallo era il riferimento principale per la composizione di privati dissidi, per far calmare il bullo del paese, per prevenire tintinnio di manette ed il tutto senza codici in mano ma con grandissimo buon senso. Non dissimile l’azione del prete che utilizzava il pulpito per inviare raccomandazioni, moniti, e “minacce” con l’autorevolezza di chi sa di essere percepito come colui che sa.
E tutto questo avveniva perché entrambi, Prete e Maresciallo, incarnavano esigenze, preoccupazioni, ansie, aspirazioni e progetti della Comunità in cui agivano.
Era un avvenimento quando la Comunità vedeva il Vescovo che si limitava ad integrare e mai a sostituire l’autorità e la credibilità del prete locale e meno che mai esibendo inutile, ingombrante e narcisistico presenzialismo.
Questo mi ha fatto venire in mente il parroco della parrocchia di San Giacomo di Ragusa, quando nella sua omelia del 29 maggio scorso invitava i fedeli alla cristiana pazienza per il fieno bagnato da una pioggia inclemente. Con il fieno bagnato l’umile parroco di S. Giacomo interpretava e raccomandava alla misericordia di Dio le preoccupazioni dei suoi parrocchiani.
Il vescovo Staglianò, invitando a pregare per Riccardo Minardo, ha voluto interpretare una preoccupazione della Comunità modicana come un “fieno bagnato” oppure è stato altro?
Di Riccardo Minardo il Vescovo ha detto: “fino a poco tempo fa era seduto qui davanti”, “le parole che pronuncio mi sono suggerite dallo Spirito Santo” “mi raccomando organizziamo qualcosa come chiesa per pregare.”.(Giuseppina Caruso in radiortm.it 22 maggio 2011)
Sono parole che sollecitano umana comprensione oppure affrettate assoluzioni pari, come valore pratico e morale, a quelle altrettanto anticristiane poste in atto con le sentenze di condanna mediatiche?
Allora viene da chiedersi: è un destino abbandonare “il fieno bagnato” per dedicarsi alle avventate assoluzioni dei “Don” come ha fatto Staglianò?
Quanto ha fatto Staglianò è il tributo che il prete deve pagare per la sua trasformazione da “padre” in “eccellenza”?
Da credente provo un grande disagio per dire la mia sulla vicenda. Mi conforta solo il sentire la serenità che deriva dalla consapevolezza che chi ha fede in Cristo può capire quanto ha detto il vescovo di Noto senza scandalizzarsi.
Nella sua ansia di bene, solo chi ha fede, raccomanda alla misericordia di Dio sia chi soffre come Minardo, sia chi sbaglia come Staglianò. E tutto questo lo fa senza orpelli e reverenze nei confronti dell’onorevole o dell’eccellenza.
Solo chi ha fede raccomanda a Dio anche quei nostri governanti post-comunisti che tacciono sul vescovo solo perché Minardo è un loro alleato; tutti sappiamo, perché è la loro storia a dircelo, cosa avrebbero scagliato contro il vescovo di Noto se Riccardo Minardo fosse stato, come lo è stato, alleato di governo dei berluscones anziché di Antonello Buscema.
Carmelo Modica
Chiuso il 30 maggio 20011
4.300 caratteri
Pubblicato il 12 giugno 2011
16° chiodo
Al consigliere comunale Paolo Nigro
e, per conoscenza, all’architetto Saro Jacopo Cascino
Il quindicinale La Pagina del 12 giugno scorso ha ospitato una Sua lettera al direttore, con la quale Ella replicava all’articolo “operazione verità” del professore Giuseppe Ascenzo, pubblicato nel precedente mese di aprile.
In calce alla Sua lettera, il “censore” della Sua attività politica aggiunse una nota, a quanto pare non sufficiente a ricavare un definitivo chiarimento. Credo che questo sia il motivo per il quale l’architetto Saro Jacopo Cascino mi ha indirizzato la lettera che qui trascrivo integralmente.
Caro Colonnello,
quando arrivo d’estate, mi spoglio delle meschinerie e m’immergo nell’aria pura della città natale di mio padre, Avvocato dello Stato, ch’egli definiva “capitale morale d’Italia”, dopo averla abbandonata a 17 anni, senza farvi mai più ritorno, da vivo.
Stanco delle giravolte nazionali dell’agopuntore Scilipoti, mi è parso di capire che vicenda non dissimile stia avvenendo a Modica. In particolare con il consigliere comunale Paolo Nigro.
Nulla sapendo del caso, oso chiederLe una sintetica relazione tecnica sui fatti, prese le opportune misure, dal momento che più voci La indicano quale massimo esperto di voltagabbana politici locali.
Nel ringraziarLa anticipatamente, mi permetta di porgerLe i più sentiti sensi della mia stima,
Saro Jacopo Cascino
architetto
P.S. La mia richiesta deriva dall’imbarazzo creatomi dall’assunto logico retorico di Aristotele (Analitica priora 66a 16): “o de pseudes logos ghinetai parà to proton pseudos, il discorso falso trae le mosse da una falsa premessa”, ma non saprei a chi attribuire né l’uno né l’altra, o ambedue assieme ad alcuno dei questionanti.
***
L’architetto in pratica mi chiede una perizia per sapere se esista un tasso di voltagabbanesimo nella attività politica e di governo che la S.V. ha svolto durante la sua carriera.
La richiesta di una relazione sui fatti, ovviamente, mi riempie d’orgoglio perché è un riconoscimento alla mia attività pubblicistica, per cui ho deciso di accoglierla.
Assumo l’impegno anche perché (il “Post scriptum” che l’architetto fa seguire alla richiesta, lo conferma), non mi si chiede una perizia di parte, ma una sorta di arbitrato pro veritate. Infatti, mai avrei accettato un incarico di tal fatta dal prof. Ascenzo o dal collega di quest’ultimo, “costante collaboratore del Dialogo” che Le hanno attribuito “il vezzeggiativo di voltagabbana”. Ancor meno avrei accettato una Sua richiesta per documentare che il “vezzeggiativo” attribuitoLe sia falso. Nelle mie analisi non amo fissare un assunto da dimostrare vero o falso, preferendo avere a riferimento l’assoluto.
Comprendo che la ricerca sarà molto impegnativa. Già la richiesta dell’architetto poggia su un substrato di altissimo livello filosofico che non posso escludere sia stato sollecitato dalle dotte frasi contenute nella Sua lettera quali: “Modica delenda est”, “escusatio non petita accusatio manifesta” e “giambi di Ipponatte”.
Le riferisco tutto ciò, perché, per evitarmi gravose ricerche, credo che Lei non abbia problemi a farmi pervenire un esauriente curriculum della sua attività politica, curriculum fondamentale perché io possa redigere la perizia. Qualora volesse soddisfare la mia richiesta, e non vedo perché non dovrebbe farlo, è importante che il curriculum indichi tutte le sigle dei partiti, movimenti, correnti interne, cui Lei ha aderito, affiancando ad essi gli incarichi di governo e politici svolti, e le motivazioni ufficiali dei vari passaggi.
Abuso della sua cortesia anche perchè, non avendo buoni rapporti con il Presidente dell’AMOVO, la notissima “Associazione MOdicani VOltagabbana”, non posso accedere al suo ricchissimo archivio. Il mio lavoro sarebbe davvero facilitato perché in tale archivio sono conservati i fascicoli personali di tutti gli associati, con la documentazione dettagliata utile a dimostrare il diritto di far parte della benemerita Associazione. L’archivio, per quanto mi risulta, tiene costantemente aggiornata la rassegna stampa delle dichiarazioni di quei politici modicani che, per il loro tratto, modo di fare, stile della parola e dello scrivere, modo di porsi e vocabolario utilizzato, danno segni di possedere talenti in direzione del voltagabbanesimo, documentazione utile sia per proporre l’adesione all’AMOVO sia per assegnare, in casi particolari, patenti di voltagabbana Honoris Causa.
Nella certezza di una Sua cortese risposta, riceva i miei più cordiali saluti
Carmelo Modica
P.S. Nella Sua risposta, per diminuire la quantità di battute e, quindi, per fare un favore al Direttore, può fare a meno di scrivere l’allocuzione “per il bene della nostra città”, perché a Modica questo punto ormai è assodato, non solo per Lei, ma per tutti i consiglieri comunali. Questa certezza è confermata dagli eccezionali risultati che la nostra Modica ha raggiunto, specie nell’ultimo decennio.
Pubblicato ne “La Pagina” del 12 luglio 2011
17° chiodo
Lo scippo della presidenza della “Fondazione Grimaldi”.
Quando accade che nel momento più proficuo di una Istituzione (ma anche di un’azienda), specie quando sono in itinere una serie di progetti, si decide di cambiare l’”Amministratore delegato” le motivazioni non possono che essere “altre” rispetto al bene della Fondazione stessa. La sostituzione del prof. Sortino con il prof. Barone, alla presidenza della Fondazione Grimaldi rientra in questa ipotesi: non esiste un solo motivo valido che possa giustificare tale sostituzione. Una rarissima, incredibilmente unanime attestazione di stima e di compiacimento del lavoro svolto e dei programmi da realizzare, da parte del mondo culturale modicano, nei confronti del prof. Sortino, presidente uscente del sodalizio, attribuisce al mutamento la qualità di arrogante atto prevaricatore evidenziando anche cosa intende per democrazia l’attuale Giunta.
Chiunque si proponga per una carica dovrebbe definire i propri progetti, indicando i limiti della politica culturale in atto o comunque l’utilità del cambiamento. Cambiamento che può essere auspicato anche in presenza di un’ottima direzione ma solo quando essa avesse esaurito la sua carica innovativa oppure quando il contesto generale dovesse richiedere una rinnovata ed “altra” direzione.
La sua qualità di “scippo” io la ritrovo anche in una affermazione del neo presidente quando in un’intervista seguente alla sua elezione, dice “Non c’è polemica davanti alla Cultura; non può esserci superbia, ma solo volontà di “fare” insieme”. Una invocazione buonista, accomodante ed interessata che rimprovera ad altri, ipocritamente, quella superbia della quale è intriso l’atteggiamento culturale e politico della cordata che ha ispirato, deciso, pilotato e realizzato lo “scippo”.
Il prof. Barone ha posto sul piatto della bilancia i suoi successi come professore universitario, come ricercatore e come storico dimenticando che essi valgono sul piano accademico e come carriera nell’ambito universitario, ma sono titoli e qualità che non valgono nulla nel dominio della organizzazione di una politica culturale quando non sono accompagnati ad altri talenti che il professore ha già dimostrato di non possedere.
Ecco il punto. Il giudizio sul neo presidente è netto: sublime come professore, fallimentare come organizzatore di cultura. Non è difficile prevedere che con lui la “Fondazione Grimaldi”, nella quale egli, suppongo, trasferirà lo staff della fallita “Università di San Martino”, si appiattirà sugli interessi culturali di nicchia del suo Presidente, e le sue prime parole ne sono una conferma, perché penalizzano sia accettabili obiettivi specialistici solo se di altissimo livello nel dominio culturale del fondatore (agraria), sia i grandi e globali orizzonti che la cultura, per sua natura, aspira a perseguire quando si esprime libera da interessi diversi, peggio se organici ad una visione partitica, dei suoi animatori.
Il mio potrebbe essere considerato un atteggiamento pessimistico solo se non fosse fin troppo evidente che da quando il prof. Barone ha deciso di asservire le sue indiscusse ed indiscutibili qualità di ricercatore e professore di storia, alle ambizioni politiche, nelle quali è difficile individuare quanto orientate ad una carriera politica e di governo e quanto ad una innata voglia di presenzialismo, la nostra città ha dovuto verificare clamorosi ed inconfutabili fallimenti sul piano culturale: dalla citata “Università di San Martino” alla non aggettivabile “Giostra dei Chiaramonte” che passerà alla storia più per quanto fu pacchiana e ridicola la sua rappresentazione ed ideazione che per il suo intrinseco valore storico.
Con questa presidenza della “Fondazione Grimaldi” il professor Uccio Barone vorrà soddisfare proprio quella sua ansia di presenzialismo; è d’obbligo, infatti chiedersi perché adesso dovrebbe conseguire quei risultati che non ha raggiunto né con l’Assessorato alla cultura in una Giunta di sinistra né con l’”Università San Martino”.
Certamente, si dirà, meglio tale sinistra che l’immobilismo democristiano del periodo in cui l’assessorato alla cultura non lo voleva nessuno perché non “remunerativo”; e, no… almeno allora non si spendevano inutilmente soldi della Comunità modicana, inducendo i giovani ad iscriversi ad una facoltà solo perché “Sottocasa” (come il supermercato) e come alternativa alla disoccupazione.
“Guardi che nella sua litania contro il prof. Barone ha dimenticato la questione degli atti del settimo centenario della Contea di Modica”, mi sussurra all’orecchio una “sinistra” voce. (1) Ad essa ma anche a tutte le altre, dico che non la smetterò di ripetermi fino a quando i destinatari delle mie osservazioni non la smetteranno di ripetersi o non facciano atto di contrizione o non dimostrano infondate le mie tesi. Tra i due comportamenti che si ripetono, il mio ed il loro, io conto, ovviamente, sulla vittoria del mio: se io smettessi loro avrebbero, ingiustamente la meglio senza nessuna fatica e merito nel contraddittorio.
Ovviamente come tutti quelli che scrivono, io voglio lasciare ai posteri anche il mio contributo per chi vorrà studiare la politica culturale di questi tempi, saranno loro a giudicare: mi illudo che esisteranno studiosi e storici non di regime che non manderanno al macero gli scritti che non sono strumentali alle loro faziosità.
Carmelo Modica
(1) Per meglio capire, personaggi e scenari del mondo culturale modicano e porsi in una posizione di attenta vigilanza, rimando alla lettura di Dialogo dello scorso mese di giugno, dove, a commento della lettera del Sindaco Antonello Buscema, il prof. Piero Vernuccio dice quello che deve essere detto in merito agli atti del settimo centenario della Contea
La pagina del 28 luglio 2011
18° chiodo
Effetti del solleone sul Municipio e sulla fondazione Grimaldi
Il Sindaco che annuncia o promette la sua presenza in più eventi culturali o istituzionali ed in ciascuno di essi o arriva in ritardo oppure “arriva a messa finita”, oppure non arriva per niente, “perché - dice l’organizzatore dell’evento - è stato impedito da altri ed importanti impegni istituzionali”, bene, questo sindaco è capace di organizzare il proprio tempo?
E se quando arriva dice subito ai convenuti due parole su ciò che non ascolterà, perché deve allontanarsi prima “perché importanti impegni istituzionali lo richiedono altrove” oppure, essendo arrivato dopo “perché importanti impegni istituzionali lo hanno trattenuto altrove”, dice due parole su ciò che non ha sentito; bene, questo sindaco è persona sobria?
Si però, - dirà qualcuno - non è meno sobrio, culturalmente sobrio, l’organizzatore dell’evento culturale che ringrazia un sindaco che ha detto loro che sarebbe venuto e non è venuto, che viene e se ne va prima o che viene dopo e parla di cose che non ha ascoltato.
Il problema è che della sobrietà degli organizzatori di tali eventi culturali possiamo anche farne a meno mentre dalla mancanza di sobrietà del sindaco deriva …il disastro del bilancio comunale modicano.
Esagerato! Assolutamente inaccettabile! (è fico questo “assolutamente”, vero?), direbbero almeno 99 modicani su 100: Il 100° sono io… forse sotto gli effetti del solleone agostano?
Per tranquillità, mi metto all’ombra e cambio prospettiva. Quando devo fare più cose io considero gli orari che mi hanno fissato, calcolo i tempi di percorrenza e definisco il mio calendario e, dove arrivo metto il punto, dicendo ad alcuni che non andrò.
Perché, devo dire a tutti il mio si e poi, mancando loro di rispetto, devo farli attendere invano?
E’ utile un sindaco che dove va, in maniera consapevole partecipa ad un evento e lascia l’impronta del suo passaggio con il suo intervento, magari assumendo impegni o eliminando illusioni, oppure è sobrio questo tentativo di essere presente dappertutto?
Quale utilità si persegue con questa irrinunciabile ansia presenzialista?
Ma hanno fatto tutti sempre così! E’ vero, e …si vede.
Si ma cosa c’entra con il bilancio comunale scassato?
Apparentemente nulla, perché anche in ritardo si possono fare le cose.
Ma voi pensate che questa mancanza di metodo, ma anche questo ritardo nel presentarsi alle riunioni, qualsiasi riunione, non sia evidente segno di superficialità e scarso impegno e determinazione?
E non vi sembra, questa una qualità pre-politica che condiziona fortemente la qualità politica?
Perché questa mancanza di serietà dovrebbe favorire buoni risultati amministrativi?
Sono tre i motivi per cui una persona arriva in ritardo: primo: se ne fotte di te; secondo: vuole marcare una superiorità; terzo: è superficiale, dal carattere sfuggente ed incapace di assumere impegni.
Il bello è che se parli col Sindaco ti dice pure che è stressato da una vita così piena di impegni. Il bello è che ciò appare anche vero. Il brutto è che il tutto è un inutile agitarsi.
Questo fenomeno, ovviamente, è generale ecco perché, giustamente, per limitare i danni da stress il nuovo presidente della fondazione Grimaldi, come primo atto culturale della sua nuova gestione, ha fatto installare i condizionatori nell’ufficio del presidente, della sala riunioni e della segreteria del Presidente.
Se poi lo stress dovesse essere ancora più alto magari ricorrerà a tecniche di cromoterapia come la carta da parati nell’ufficio del Presidente ed una bella guida per terra che dall’ingresso dell’antico Palazzo Grimaldi offra un cammino morbido e vellutato a chi deve andare a “stressare” il Presidente. Ovviamente un colore rosso cardinale delle case baronali non quel rosso volgare… e proletario che ha illuso milioni di lavoratori.
Per evitare eventuali risposte fuori tema degli interessati sintetizzo le domande contenute in questo mio chiodo:
Signor Sindaco: perché arriva, non arriva o arriva in ritardo agli eventi? non sarebbe più sobrio e serio scegliere ed andare solo dove i tempi lo consentono?
Signor presidente della fondazione Grimaldi, perché il suo primo atto culturale è stato quello di installare i condizionatori d’aria nel suo ufficio?
Carmelo Modica
Pubblicato in La Pagina del 28 settembre 2011
19 chiodo
Tranquilli: il tribunale di Modica è in buone mani
Pur avendo pensato di farlo mai ho fatto mente locale al problema della soppressione del tribunale di Modica. Per raccogliere i primi elementi di conoscenza sono entrato, la sera del 13 dicembre scorso, nei locali dell’auditorium Pietro Floridia dove era in corso un “Consiglio comunale aperto” contro la soppressione del tribunale di Modica.
Stava parlando l’avv. Giuseppe Nigro presidente dell’Ordine Forense, il quale con molto buon senso, auspicava l’ampliamento del territorio di competenza del tribunale quale fondamentale requisito che avrebbe reso impossibile, da tutti i punti di vista, la chiusura del tribunale. Capì che tutto si era messo in moto per effetto di una legge delega che ne programmava la soppressione.
Seguirono altri interventi tesi a dimostrare perché il tribunale non dovesse essere soppresso. Tra tutti merita una particolare menzione quello di chi qualificando il tribunale presidio di legalità” e creando attorno a se un’oasi di legalità, induce a dedurre che togliendo il tribunale potrebbero aumentare i delinquenti modicani. Alla luce di questa scoperta ci si starà pure chiedendo se stazioni carabinieri, commissariati, volanti e posti mobili e fissi di polizia, che da sempre abbiamo ritenuto in questo senso fondamentali, non siano da ridimensionare a favore del “tribunale di quartiere”.
Forse anche un “Tribunale itinerante” potrebbe risolvere qualche problema; ben posizionato nell’ambito cittadino forse avrebbe potuto evitare condanne per peculato, falso ideologico, abuso d’ufficio e rifiuto di atti d’ufficio o denunce per truffe e malversazioni ai danni dello Stato ed altre attività fraudolente. Si pensi l’efficacia preventiva che potrebbe avere se venisse posizionato nelle vicinanze di qualche segreteria politica.
Tra i vari strumenti “antisoppressione” il “Consiglio comunale aperto” si attende moltissimo dalla mobilitazione delle scuole e della società civile perché sono notissimi gli eccezionali risultati che si realizzano, in particolare, quando la mobilitazione viene attuata, come nel nostro caso, a due mesi della paventata soppressione e con un governo centrale tecnico che va cercando risparmi immediati e se ne fotte di blasoni e maggiori economie nei periodi medio lunghi.
Agli interventi dei “tecnici”, (avvocati) sono seguiti quelli dei politici: Minardo, che recentemente avrà acquisito una maggiore conoscenza del problema, e Leontini; entrambi hanno argomentato, con rara efficacia il problema; efficacia almeno pari a quella che i loro fraterni compagni di polo e partito hanno realizzato con la legge delega che potrebbe dar luogo alla soppressione del tribunale di Modica.
Ovviamente il “Consiglio comunale aperto” non poteva non concludersi con la immancabile istituzione di due commissioni: una, “politica-istituzionale”, avente il compito di allargare il fronte politico delle adesioni al circondario di Modica ed una seconda, “tecnico-giuridica”, con il compito di rappresentare alla Corte d’Appello di Catania e al Ministero di Giustizia le condizioni tecnico-giuridiche per le quali il Tribunale di Modica, acquisiti gli elementi necessari e sufficienti, non deve essere soppresso.
La costituzione delle due commissioni ci rassicura essendo noti a tutti i certi risultati che le Commissioni hanno ottenuto nella storia per cui possiamo stare tranquilli e superare il becero aforisma “Quando la democrazia non sa cosa fare istituisce una commissione” che un notissimo denigratore di democrazia ebbe la spudoratezza di sentenziare.
In effetti sarebbe stata oltremodo utile una terza “Commissione storica” che, ripercorrendo i fasti della Contea di Modica avrebbe potuto, se non imporre un netto impedimento alla soppressione del tribunale, quantomeno la pubblicazione di un libro sullo spinoso argomento. Sembra che l’idea fosse nelle intenzioni degli organizzatori ma che non si è proceduto a tale istituzione perché non era presente nell’auditorium l’unico studioso modicano che poteva ricevere, con un’acclamazione di almeno trenta minuti, l’investitura a presidente di una commissione di questo genere.
Ascoltando gli interventi dei politici ci si è resi conto che il problema è divenuto urgente; solo un paio di mesi ci separano dalla possibile soppressione. Purtroppo non sono stati sufficienti i moltissimi anni a disposizione perché maturasse una eliminazione del problema, ne è stato utile il fatto che già da tempo gli amministratori di Rosolini, Noto e Pachino avessero manifestato la loro adesione al progetto di inserire il loro territorio sotto la giurisdizione del tribunale di Modica.
La verità è che Modica è stata sfortunata perché se avesse avuto un senatore Comunista, un onorevole regionale ed uno nazionale ed un Presidente della Regione Sicilia le cose sarebbero andate in maniera diversa. Il profondo amore dimostrato per la città dai vari sindaci, in particolare, non è riuscito nell’impresa; ma, vivaddio si tenga conto che i nostri sindaci sono stati, e sono, molto impegnati nella complessa redazione della variante al piano regolatore e di tutti gli altri problemi complessi della Comunità modicana.
Bisogna essere degli ingrati per avanzare la benché minima critica ad una classe politica così impegnata e stressata dal tenere sulla scrivania, per anni e decenni, problemi così complessi: una classe politica che recentemente si è anche dotata di strumenti culturali metafisici, quasi religiosi, assegnando per quest’ultimi obiettivi un pieno assessorato ad un’associazione che di queste cose capisce: la “domus Sancti Petri”.
Comunque “Radio latteria”, che è la “Radio Londra modicana” esprime molta fiducia sull’evolversi del problema; da un lato si ritiene, infatti, che considerato che la soppressione del tribunale potrebbe provocare anche la chiusura del carcere, difficilmente i politici, visti i procedimenti penali in itinere, saranno così sprovveduti dal privarsi della eventuale comodità di avere un carcere più vicino; inoltre, considerato che già nel 1834 vi fu chi cercò di documentare, senza successo, la inutilità del tribunale di Modica perché venisse assorbito da quello di Siracusa, si hanno buoni motivi per pensare che anche questa volta potrà avvenire un qualche colpo di c… che salverà il nostro tribunale.
Carmelo Modica
Pubblicato e “La Pagina” del 12 gennaio 2012
20 chiodo
Recuperiamo il senso di normalità
La mediocrità politica è una sensazione che si avverte e per sentirne la presenza non occorre essere i “migliori”. Se fosse così solo Maradona potrebbe emettere giudizi su una partita di calcio e nessuno potrebbe esprimere fiducia su un chirurgo, visto che nessuno capisce di medicina.
Il senso della mediocrità prima di tutto è un clima che si coglie ed anche se è certamente legato ai risultati pratici esso si forma sulla scorta di confluenti giudizi complessivi che coinvolgono la qualità etica, quella morale, la capacità di decidere e di metodo mostrata, il modo di porsi.
Molti sono gli elementi immateriali che danno corpo e sostanza al clima di mediocrità che si vive. Tra essi indichiamo la demolizione del senso della normalità che per certi versi appare irreversibile proprio perché esso, quasi non viene più avvertito.
Vi è qualcuno che rileva che in televisione [nelle consuete trasmissioni pomeridiane che orientate alla ricerca di pruriti sessuali, pianti e gossip] applaudire in maniera fragorosa ed isterica una mamma che ha raccontato di un atto di amore rivolto al proprio figlio vuol dire elogiare una donna che ha fatto una cosa che farebbero, hanno fatto e fanno miliardi di mamme? E dove risiederebbe la eccezionalità da elogiare?
Questo esempio ci dice che per giudicare i grandi progetti e programmi politici occorre recuperare il senso del normale perché è la sua assenza che non consente il buon governo.
E’ normalità, infatti, sostenere che chi critica tutti i governi che, con pari responsabilità, non hanno approvato in 21 anni la variante al piano regolatore generale, né risolto nessuno dei problemi complessi di Modica è un presuntuoso ed un qualunquista?
Ed è normale sostenere che chi critica in effetti si auto proclama migliore ed ha il dovere di presentarsi alle elezioni anche quando dovesse ritenere di non averne l’attitudine oppure può provare che in questa città le elezioni si vincono con i soldi e le congreghe e non con i programmi e che anche quando si potesse raggiungere il consiglio comunale non si potrebbe fare più di quanto si può con la penna, contro un potere economico che ha ormai occupato case del popolo e sagrestie?
E’ poi, ma è normalità pretendere che per criticare la politica occorre sentirsi, o dimostrare di essere migliore? ma per giudicare una partita di calcio occorre essere un Maradona per evitare che qualcuno ti dica “statti zitto oppure scendi in campo tu e fai gol”?
Ma poi. occorre essere migliori per prendere atto che esiste un partito che a Modica ed in Sicilia, ha il più alto livello di pregiudizi penali pendenti e passati in giudicato e che esiste un potere economico arrogante quanto un altro di carattere culturale di eguale pericolosità sociale?
E’ da folli sostenere che gli stessi partiti sono democratici perché hanno ricevuto l’imprimatur dalle elezioni, delinquenti perché hanno ricevuto l’imprimatur nelle aule di giustizia ed incapaci perché hanno ricevuto, in tal senso, l’imprimatur dai risultati di governo?
E’ folle colui che in reazione al dichiararsi incolpevole della classe politica modicana che ha governato la Modica repubblicana si chiede: “ma… allora chi cazzo l’ha distrutta la mia città?”
Per una valutazione disincantata della situazione attuale caratterizzata da proclamazione di risultati e ricette miracolistiche ma anche per valutare le previsioni catastrofiche degli oppositori, occorre recuperare, innanzitutto il senso del normale. Solo esso ci potrà far comprendere che non sono pochi coloro i quali si fanno guidare dalla Parola del Vangelo, mentre sono pochissimi coloro i quali nel ricoprire cariche pubbliche, per esempio quella di sindaco, ostentano la loro fede religiosa come icona per ottenere credito e consenso temporale, in guisa tale da confondere e far confondere la Testimonianza con la strumentalizzazione.
Carmelo Modica
“La Pagina” di metà giugno 2012
21 chiodo
Sichera Torchi: Liberi fuori dalla gabbia
Ci sono due modi per osservare l’attivismo culturale, quello degli amministratori di Modica, che elencano la quantità e ‘qualità’ degli eventi culturali realizzati e quello di andare oltre tale elenco alla ricerca del senso di una politica culturale.
‘Politica culturale’ è un concetto complesso del quale i politici, quelle poche volte che lo utilizzano, ne abusano il senso, riferendolo, in maniera impropria, più agli aspetti tecnici ed agli obiettivi più immediati che a quelli politici, di formazione e di avviamento di processi di sedimentazione culturale.
E’ in questa prospettiva che va letta la dichiarazione rilasciata dal prof. Antonio Sichera a Rai uno nella sua qualità di coordinatore scientifico di “Modica Miete Culture e del Festival Contaminazioni” davvero ottima iniziativa che è alla seconda edizione: “[…] a Modica, dopo anni un pò bui, c’è stata una ripresa, una grande volontà di riportare la città in linea con la sua grande tradizione culturale. […] non a caso il sindaco si è scelto come assessore alla cultura un archeologo e non un pubblicitario […]
Noi, risentendo la registrazione, non abbiamo percepito, nel prof. Sichera l’intenzione di volersi riferire al governo Torchi quando ha parlato di “anni un po’ bui” ed anche quel ‘pubblicitario’ non può riferirsi al dott. Cavallo (assessore alla cultura del governo Torchi) che tutto gli si può attribuire tranne che tale definizione.
La stessa percezione non l’ha avuta l’ex sindaco Torchi che sentendo il calore della propria coda di paglia incendiata si è sentito il destinatario sia degli “anni un po’ bui” sia dell’assessore alla cultura assegnato ad un “pubblicitario”, ed ha reagito cercando di pregiudicare l’autorevolezza del prof. Sichera definendolo: “presumo, un “esperto” del Sindaco stesso, visto che non mi risulta né che sia stato mai eletto ad una carica rappresentativa, né che sia assessore in carica”.
E’ la logica berlusconiana, già democristiana, ma anche Antonelliana e di un notissimo voltagabbana modicano in cui la quantità di voti è misura di qualità in termini assoluti ignorando che se la quantità dei voti è certamente espressione di democrazia, a volte e sempre più spesso, è anche rifugio di pura mediocrità morale ed etica che è stata capace di purificare persino Genco Russo, Vito Ciancimino ed il comunista uccisore di partigiani Francesco Moranino, per indicare i casi più noti.
Eppure questa parte della dichiarazione del prof. Sichera si presta a considerazioni di un certo valore, specie sul profilo che dovrebbe avere un assessore alla cultura, considerato che è molto opinabile voler contrapporre l’archeologo al pubblicitario, come se l’essere archeologo possa essere di per se garanzia di ottimi risultati e come se il pubblicitario debba essere l’unica altra possibile alternativa.
Queste dichiarazioni dovrebbero superare i gallinacei battibecchi verso una seria riflessione su cosa significa realizzare una politica culturale che noi non ravvisiamo né in quelle iniziative di straordinaria importanza (Università, settimo centenario) assunte dalla sinistra prima di Torchi, genialmente pensate e rovinosamente realizzate, né al tentativo di Torchi di vendere, da… ‘pubblicitario’ (lui, non Giorgio Cavallo!) la ‘pentola’ di una “…Modica, in quegli anni, capitale della cultura del Sudest e centro motore della promozione culturale in Sicilia. Sono stati gli anni dei grandi appuntamenti nazionali ed internazionali per il cui eco ancora oggi la città…” linguaggio, borioso, vuoto ed inconsistente. Insomma … bla… bla …bla.
Eppure il prof. Sichera finalizzando “Mieti culture” alla soddisfazione dell’ansia di creare un’agorà in cui “…culture diverse, saperi diversi si possono incontrare… questa è un po’ l’idea di contaminazione ecco il sapere che una cultura di una Comunità non si preserva se non si contamina […], ha indicato un tema di altissimo spessore culturale (e politico) in un dibattito nel quale certamente sarebbe possibile obiettare che il recupero della Tradizione non può essere confuso con il voler “far rivivere l’antica tradizione del “Giugno Modicano” perché sarebbe il mitizzare un vuoto ricordo anziché la stratificazione di sostanze culturali.
Sostanze culturali che potrebbero non verificarsi quando, nel tempo si dovesse rilevare che il profondo, problematico e possibile inizio di eccezionali risultati culturali dell’assunto “una cultura di una Comunità non si preserva se non si contamina, dovesse rivelarsi solo un contenitore e non l’analoga sostanza invocata nella “Dichiarazione universale dell'Unesco sulla diversità culturale, Parigi, 2 novembre 2001” in cui “la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita.”.[…] Inscindibile da un quadro democratico, favorisce gli scambi culturali e lo sviluppo delle capacità creative che alimentano la vita pubblica”.
Queste dichiarazioni di principio, però, richiedono un agire culturale che parta dalla consapevolezza che, come nel suo inverarsi la politica spazia tra quella dei regimi totalitari e quella dei sistemi democratici, così la politica culturale si muove tra il Minculpop dei regimi totalitari che devono costruire l’uomo nuovo ed il modello democratico che, almeno a livello teorico, non si pone l’obiettivo di indottrinare, ma quello di sollecitare curiosità culturale fornire strumenti di riflessione, creare e garantire un ambiente di libera circolazione delle idee e delle iniziative, favorendo la libera e spontanea germinazione degli eventi ed un clima in cui il consenso matura senza manipolazioni di alcun genere. Un clima in cui l’intellettuale lascia fluire pensieri, analisi e riflessioni secondo criteri di massima libertà e disincanto.
La realtà modicana, per un’antica e prolungata assenza di una valida politica culturale, presenta una evidentissima assenza di reciproca contaminazione tra i suoi vari centri culturali.
Ci auguriamo che il prof. Sichera, ma principalmente il suo Sindaco, prima di cercare rigeneratrici contaminazioni altrove cerchino di farsi contaminare qui a Modica, con la consapevolezza che è necessario che la contaminazione avvenga “fuori dalle gabbie”, direbbe il compianto prof. Salvatore Triberio.
I modicani veglino tenendo conto che come in economia il libero mercato tende all’oligopolio ed al monopolio, così la politica culturale tende per sua natura al Minculpop; tengano anche conto che per realizzare un Minculpop comunale non è necessario un qualche piccolo Mussolini sono bravi, molto bravi, anche i “professionisti dell’antifascismo”.
Pubblicata ne La pagina del 28 giugno 2012
Carmelo Modica
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