2015
Gennaio 2015
Il popolano, il fallito e il fannullone (Dialogo,gennaio 2015)
Febbraio 2015
L’indignazione a senso unico (Dialogo,febbraio 2015)
Marzo 2015
Europa o Eurabia? (Dialogo, marzo 2015)
Aprile 2015
Il Vescovo poeta e canterino (Dialogo, aprile 2015)
Maggio 2015
Il Grande Male (Dialogo, maggio 2015)
Giugno 2015
La Buona Scuola: burattinai e burattini (Dialogo, giugno 2015)
Ottobre 2015
Tra difficoltà finanziarie e avvilente mediocrità (Dialogo, ottobre 2015)
Novembre 2015
Lacrime di coccodrillo (Dialogo, novembre 2015)
Dicembre 2015
L’emozione e la ragione (Dialogo, dicembre 2015)
GENNAIO 2015
L’autocelebrazione, l’incompetenza e la demagogia della classe politica
IL POPOLANO, IL FALLITO E IL FANNULLONE
Come è ormai consuetudine, nella tradizionale conferenza di fine anno, il sindaco Abbate non ha smentito né se stesso né i suoi predecessori: il tradizionale rendiconto di fine anno da parte dei sindaci modicani che si sono susseguiti in questi anni è diventato, ormai, una sorta di laica liturgia. Ci sono infatti tutti gli elementi per mettere in scena il “sacro rito: il sacerdote e i concelebranti, ovvero sindaco e assessori; i fedeli, ossia coloro che assistono alla “sacra” rappresentazione e naturalmente l’incenso, così da immergere la liturgia in una dimensione solennemente ieratica. L’autocelebrazione del Sindaco di turno è così diventata, nella nostra città, un evento da un lato divertente, giacché ci si può sbizzarrire, come fosse un gioco di società, nell’indovinare i fatti che saranno incensati e quelli che verranno omessi, e, nel contempo, prevedere quali e quante promesse saranno fatte. Il divertimento, ovviamente, è mitigato dalla consapevolezza che in gioco, come sempre, c’è il destino della nostra Modica.
Basta fare un elenco delle cose su cui Abbate ha taciuto per rendersi conto che il rito di fine anno è un’autentica farsa, nel senso che va in scena una situazione che non ha alcun valore, perché manca di un elemento fondamentale, l’unico che potrebbe darle un valido significato politico, ovvero l’analisi obiettiva dei fatti. Il Sindaco ha omesso di parlare del fallimento cui è andato incontro puntando sull’idea, alquanto velleitaria, del Consorzio del Val di Noto ed ha taciuto sull’altissima tassazione – si pensi alla TASI (1,85 per mille) e alla TARI, certamente sproporzionata viste le entrate in eccedenza - che, grazie alla sua Amministrazione, si sta abbattendo come un uragano sui suoi concittadini, creando condizioni di grande sofferenza nelle fasce più deboli della popolazione. L’elenco delle omissioni è in verità assai lungo e riguarda il recupero del Castello dei Conti, di Palazzo Polara, di Palazzo dei Mercedari; l’ampliamento della zona artigianale, la rotatoria della Caitina e, per finire, la mancata sistemazione della Biblioteca Comunale, la cui assenza, in una città come la nostra, è un’autentica vergogna, che pesa non soltanto sull’amministrazione attuale ma anche su quelle che l’hanno preceduta.
Il problema di sindaci, assessori e deputati che magnificano il loro operato solleva una questione che, naturalmente, va ben oltre l’autoincensamento di Abbate: un dato che pone in tutta la sua gravità il problema della inadeguatezza di una classe politica che da settant’anni devasta il nostro Paese; in particolare quella siciliana – fatte le dovute eccezioni, ovviamente - immersa da sempre nelle sabbie mobili del parassitismo, del nepotismo, del malaffare e delle pericolose connivenze. L’argomento è talmente vasto che sarebbe quanto meno velleitario pretendere di approfondirlo in questa sede, per cui ci limiteremo a prendere in esame quello da cui siamo partiti,ovvero l’autoelogio, come quello, per restare in ambito locale, che ha avuto come protagonista il deputato Nino Minardo, il quale, con un comunicato stampa dello scorso 17 settembre annunciava trionfalmente: “il recupero e la totale ristrutturazione del Liceo Classico Campailla di Modica sono realtà”, assicurando l’impegno del ministro Lupi per la completa ristrutturazione dell’Istituto per una spesa di oltre 6 milioni di euro. Peccato, però, che nel decreto “sblocca Italia,” non si faccia cenno al prestigioso edificio modicano.
La pessima e poco elegante abitudine di tessere le lodi di se stessi è purtroppo, ormai, un fatto consolidato e pertanto assai frequente. Dovrebbe essere, a nostro parere, studiato e analizzato, in quanto utile strumento per misurare il livello intellettuale dei politicanti che hanno condotto il nostro Paese sull’orlo del baratro. Il fenomeno è naturalmente assai complesso e riteniamo che affondi le sue radici in dinamiche che sono di carattere morale, psicologico e sociale. Non v’è dubbio che la desolante consuetudine di osannare se stessi è legata al fatto di aver conseguito un posto di potere, qualunque esso sia: insomma all’essersi seduti, finalmente, sull’agognata poltrona. Ma è pur vero che il potere non in tutti determina tale atteggiamento, che è ridicolo da un lato e grottesco dall’altro. Esistono, dunque, a nostro parere, delle categorie di persone più esposte delle altre al rischio di celebrare se stessi, di ritenersi infallibili e di credersi perennemente nel giusto. C’è colui che, essendo di umili origini, nel momento in cui conquista un posto di comando e non riuscendo a liberarsi dal suo ormai consolidato anelito al riscatto sociale, non è in grado di avere il necessario equilibrio per amministrare con serenità ciò che gli è stato affidato, in quanto ciò che più conta – e qui entrano in gioco i fattori di ordine psicologico – è dimostrare, sempre e comunque, che lui è migliore degli altri.
C’è il fallito, colui che non è mai riuscito ad affermarsi nella società, non perché vittima di ingiustizie ma perché incapace, intellettualmente limitato e che trova nella politica una sorta di casa di accoglienza. Accasatosi in un partito, diventerà l’utile idiota al servizio del potente di turno che deciderà di fargli fare carriera al solo scopo di poter poi curare i propri interessi. E’ evidente che quando costui si troverà nella stanza dei bottoni, per quanto manovrato, si convincerà di essere diventato importante, e da burattino, qual è, si crederà burattinaio. Il suo ego si gonfierà a dismisura e si lascerà andare ad esternazioni di autocompiacimento; il suo egotismo diventerà iperbolico e si immergerà in un’ estatica contemplazione di sé.
Poi c’è il fannullone, quasi sempre di estrazione borghese, il quale, a differenza del fallito, non ha mai raggiunto nella società alcuna posizione di rilievo perché condannato a non far nulla dalla sua pigrizia e dalla sua furbizia. Costui non si dà alla politica perché spintovi da colui che poi lo utilizzerà, ma perché lui decide di entrarvi perché vede la politica come una sorta di ufficio di collocamento, ed allora percorrerà tutti i gradini necessari per fare carriera, sceglierà il partito giusto e diventerà il galoppino elettorale del politicante giusto, finché dalle stanze di una segreteria politica approderà nell’aula consiliare, poi otterrà una poltrona assessoriale e via via poltrone sempre più confortevoli e redditizie. E qui entra in gioco il problema morale. L’astuzia, che lui scambia per intelligenza, e la bassezza morale, che lui confonde con l’abilità, lo convinceranno di essere un grand’ uomo e pertanto il suo agire sarà sempre caratterizzato da un comportamento superbo e il suo parlare dalla vuota demagogia e dalla fastidiosa tendenza all’autoesaltazione.
La glorificazione di sé è sempre un fatto inquietante, inelegante e sgradevole, ma quando diviene prassi consolidata in chi svolge un compito di governo, diventa estremamente grave, perché non consente di guardare ai problemi con la dovuta obiettività, non permette di avere piena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità e di possedere quella sana dose di realismo senza il quale i problemi della realtà che si amministra difficilmente potranno essere risolti; la demagogia prenderà il sopravvento e l’attività politica di chi amministra si ridurrà ad una perenne campagna elettorale. I motivi che stanno alla base dell’autoincensamento della classe politica potrebbero anche spiegare, in parte, il perché questa sia troppo spesso corrotta, incompetente, incline al malaffare e insensibile ai reali bisogni dei cittadini; infatti, mentre l’Italia affonda in un oceano di problemi, a Roma si discute di “mattarellum”, di “italicum” di “porcellum” e chi più ne ha più ne metta.
Noi, nel nostro piccolo, proponiamo un’altra soluzione. Nel nostro Paese esistono uomini di grande personalità, di riconosciuta correttezza morale e di indiscussa competenza professionale. Che sia un collegio di probiviri - politici onesti e di lunga esperienza, psicologi di riconosciuta competenza, docenti universitari dalla cristallina moralità e dall’altissima preparazione umanistica - ad esaminare questi numerosi “innamorati” della politica e del “bene comune”, come testimonia l’enorme esercito di candidati che si fa avanti in occasione di ogni elezione, e a decidere chi realmente può dedicarsi alla res-pubblica e chi invece è meglio che si faccia dignitosamente da parte.
Il Paese deve essere affidato a persone intelligenti e colte, dalla fedina penale pulita e che non abbiano rapporti di parentela con avvisati, indagati e condannati; che non abbiano interessi economici da difendere con la loro attività politica; che godano, moralmente, della incondizionata stima dei loro concittadini; che siano pienamente realizzati sul piano umano e sociale; che abbiano un lavoro sicuro; persone che siano accuratamente esaminate per capire quali sono le reali motivazioni che le spingono a voler fare politica; e che per tutto il tempo in cui avranno incarichi politici, sia a livello locale, regionale e nazionale, percepiscano lo stesso compenso economico – con un ovvio rimborso spese per chi va nel capoluogo di regione e ancor più nella capitale – pari a
quello che percepivano con il loro lavoro.
Siamo certi che alle prossime elezioni l’imponente esercito si ridurrebbe ad una sparuta pattuglia, il Paese si libererebbe di ladri, incompetenti e corrotti, finalmente “i migliori” ne avrebbero in mano il destino e noi potremmo guardare con maggiore fiducia al futuro dei nostri figli.
Saranno in molti a sostenere che la nostra soluzione non è che una chimera, ma, come diceva Oscar Wilde: “ Non è degna nemmeno di uno sguardo una mappa del mondo che non includa un luogo dal nome Utopia”.
FEBBRAIO 2015
L’INDIGNAZIONE A SENSO UNICO
La consegna di 2500 statuine di Gesù Bambino agli alunni dell’Istituto Comprensivo “Poidomani” di Modica da parte di alcune Associazioni vicine al movimento politico Forza Nuova ha suscitato indignazione e polemiche in alcuni settori della cosiddetta “società civile” della nostra provincia. Questo nostro articolo ha lo scopo di offrire ai nostri Lettori un altro punto di vista sulla vicenda in questione. Se si legge, senza le lenti della faziosità ideologica, la nota con cui i promotori dell’iniziativa si sono presentati, ci si rende conto che non si fa alcun cenno a Forza Nuova e non vi si trovano, neppure surrettiziamente, riferimenti di natura politica. Certamente è possibile scorgervi degli assunti di ordine ideologico, come quelli inerenti all’identità nazionale, che però, fino a prova contraria, in un Paese democratico quale il nostro si ritiene, devono avere lo stesso diritto di cittadinanza che viene assicurato ai paladini della società multietnica e multirazziale.
Per quanto ci riguarda, l’iniziativa di queste Associazioni non è censurabile né dal punto di vista del metodo né da quello del merito.
E’ vero che la richiesta per realizzare taleprogettoè firmata dalla coordinatrice provinciale di Forza Nuova, per cui possiamo anche ipotizzare che furbescamente abbia taciuto il nome del suo movimento politico, ma la sostanza non cambia.
Non ci risulta, infatti, che ai membri di tali Associazioni, oltre a poter consegnare le statuine, sia stato concesso altro, nel senso che sia stato dato loro lo spazio e il tempo per propagandare le loro idee politiche; tra l’altro non poteva essere questa la loro intenzione, visto che parliamo di bambini della scuola elementare e non certo di ragazzi delle superiori. Si possono fare illazioni, vedere in tale gesto chissà quali arcane finalità, ma il gesto in sé non è certamente da deplorare. Riteniamo siano altre le cose per le quali ci si dovrebbe scandalizzare e ben altre quelle che hanno condotto la nostra Scuola ad un livello così’ basso mai raggiunto prima: altro che 2500 statuite raffiguranti Gesù Bambino. Su tale vicenda è intervenuta anche l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, scomodando addirittura la Costituzione, e, figuriamoci, la Repubblica nata dalla Resistenza. Ma in quale mondo vive tale Associazione? Ma di quale Resistenza si parla? Ma davvero si ritiene che dopo 70 anni di studi e di ricerche gli Italiani credano ancora alla favola dei buoni partigiani che hanno liberato l’Italia dal nazifascismo?
Una favola che è doppiamente falsa: sia perché l’Italia è stata liberata dalle forze alleate e non soltanto dai partigiani, sia perché costoro non erano affatto tutti buoni, e, come ampiamente documentato, alcuni si resero protagonisti di deplorevoli atti di violenza, talvolta gratuita e sanguinaria. Ma, nonostante ciò, l’Associazione che li rappresenta ancora pontifica sulla libertà e
sulla democrazia!
Si indignano i Cobas della Scuola, s’indigna l’Associazione Partigiana per i bimbi della “Poidomani” indottrinati – a parer loro – dai neofascisti di Forza nuova: ma dov’erano questi combattenti per la libertà, questi nemici dell’indottrinamento, quando i nostri giovani venivano quotidianamente plagiati dai manuali di Storia, asserviti al sacro verbo marxista, scritti da pennivendoli che manipolavano i fatti a loro piacimento, che tacevano sull’orrore delle foibe, sui gulag, sui manicomi criminali sovietici e sui tanti milioni di morti provocati da quel “galantuomo” di Stalin, e sui lager, per fascisti ed ex fascisti, costruiti dai partigiani in Emilia Romagna. Allora non si levavano voci di protesta, non si gridava allo scandalo, non si rivendicava la laicità della Scuola, come se essere laico significasse soltanto rivendicare la libertà di essere autonomo da ogni influenza di carattere religioso e non anche la capacità di essere libero da ogni forma di pregiudizio e tollerante nei confronti delle altrui convinzioni.
Dove stanno questi difensori dei bambini che devono essere protetti dall’orco neofascista – che comunque ha regalato loro statuite di Gesù Bambino e non fucili e pallottole – quando, quotidianamente, le menti di questi bambini vengono violentate dai programmi demenziali della televisione pubblica e privata, dalla pornografia, dalla volgarità; quando, giornalmente, in maniera subdola e disonesta, subiscono un vergognoso indottrinamento, visto che tutti i media veicolano il pensiero unico, alla faccia del pluralismo e della democrazia: bambini che sono costretti ad assorbire un’unica ideologia senza possibilità di un contraddittorio, per cui non esiste più alcuna differenza tra un eterosessuale e un omosessuale, è perfettamente normale che due gay contraggano matrimonio e adesso persino che un bambino possa avere tre genitori! Su questa manipolazione delle coscienze nessuna voce si leva a difesa della integrità psichica dei bambini; nessuno si indigna! Troviamo sia veramente squallido star zitti, soltanto perché tale indottrinamento coincide con le proprie convinzioni!
Più di una volta abbiamo scritto l’orrore che abbiamo provato ogni qualvolta è stata fatta la discriminazione tra i morti di serie A e quelli di serie B – si pensi ai giovani degli anni settanta caduti sotto la bandiera rossa (quando studenti e operai “uniti nella lotta” davano vita a scioperi e cortei) e a quelli morti sotto quella tricolore (quando gli stessi studenti e gli stessi operai se ne restavano tranquilli nelle scuole e nelle fabbriche) – ma non meno orrore ci fa constatare che in questa Italia esiste l’indottrinamento positivo, che ovviamente sta sempre a sinistra, e quello negativo, che naturalmente sta a destra. Ci chiediamo quali titoli abbiano per potersi indignare coloro che davanti a questo scempio non si sono mai scandalizzati e che hanno sempre discriminato i morti e i vivi sulla base dei loro convincimenti e delle loro idee.
Detto del metodo, veniamo al merito.
Sono state regalate a dei bambini delle statuine per ricordare loro di non dimenticare la loro identità religiosa e culturale “senza discriminazioni o pregiudizi verso altre religioni”: dove sta lo scandalo? Dove sta scritto che salvaguardare la propria identità nazionale significa screditare quelle altrui? Chi lo ha detto che voler mantenere le proprie radici cristiane significa disprezzare le altrui religioni? Se all’Istituto “Poidomani”, anziché persone che intendono difendere le radici religiose del loro Paese, se ne fossero presentate altre, che avrebbero esaltato il valore della società multietnica, la necessità di costruire meno chiese e più moschee, con l’obiettivo di mettere in soffitta quel che resta della nostra identità nazionale, per aprirci totalmente alla globalizzazione dei valori, ci sarebbe stata cotanta indignazione? Nutriamo seri dubbi al riguardo! Ciò che sta distruggendo il nostro Paese è proprio il fatto che l’Italia ha sempre ripudiato il suo passato, è uno Stato che assorbe anche le scemenze altrui, perché malato di stupida esterofilia: si pensi, ad esempio, al fatto che i nostri bambini, il 2 novembre, non vivono più la dolce atmosfera di trovare al mattino i doni che i loro nonni defunti hanno portato loro nella notte, ma si mascherano per dare vita alla orrenda notte di Halloween. E si pensi alla lingua italiana ormai soffocata da quella inglese o alla lingua latina, ancora molto amata e considerata all’estero, si veda soprattutto la Germania, mentre noi che ne siamo la Patria l’abbiamo abolita nella media inferiore e sinceramente non sappiamo per quanto tempo ancora sopravviverà nei licei.
Siamo un popolo senza futuro perché da decenni un manipolo di “cattivi maestri”, alcuni passati a miglior vita altri ancora in “servizio permanente effettivo” hanno pontificato e pontificano sui mali del nostro passato insegnando a distruggerlo anziché suscitare in questo popolo di santi, poeti, navigatori e voltagabbana la consapevolezza che ogni popolo deve assumersi con responsabilità il proprio passato e la sua eredità, anche quella negativa. Occorre guardare agli errori del passato per evitare di ricommetterli e agli aspetti positivi sui quali costruire il futuro. Si pensi a cosa è oggi il popolo tedesco: ha perso due guerre mondiali ed ha vissuto la tragedia del Nazismo ed oggi è assoluto protagonista in Europa. Quello è un popolo, infatti, che non ha mai rinnegato la sua lingua, la sua cultura, la sua religione, in poche parole la sua identità. A noi italiani, l’ideologia social comunista ci ha convinti che difendere tutto questo significa denigrare le altrui identità. E’ stato ed è un modo subdolo e riprovevole per screditare coloro che hanno ancora l’orgoglio di scrivere la parola Patria con la p maiuscola.
Noi preferiamo l’Europa degli Stati e delle Nazioni all’Europa delle banche, del mercato e degli affari e non abbiamo alcuna intenzione di morire musulmani, pur rispettando quella fede religiosa che però non ci appartiene. Il Cristianesimo è un punto fermo della nostra cultura anche per i non credenti, e, insieme al retaggio del mondo greco-latino, costituisce le fondamenta della nostra civiltà che non intendiamo in alcun modo rinnegare. Se tutto ciò significa essere reazionari, non ci resta che rivendicare, con orgoglio, il diritto di ritenerci tali!
MARZO 2015
EUROPA O EURABIA ?
Per quanto riguarda il problema della sicurezza a Modica, riteniamo che ormai si possa parlare di una situazione di assoluta emergenza. Non c’è dubbio, basta leggere quotidianamente la cronaca locale, che l’aumento degli episodi di criminalità, non solo a Modica ma nell’intera provincia, è direttamente proporzionale all’aumento del fenomeno immigratorio, legato ai continui sbarchi di extracomunitari sulle nostre coste. Per tranquillizzare i sedicenti buonisti, che di norma sono tali finché essi stessi o i loro familiari non sono vittime di atti criminali, affermiamo, in modo chiaro e deciso, che quanto detto non significa che tutti gli extracomunitari sono dei delinquenti: sarebbe, questo, un modo superficiale e banale di affrontare una questione intricata e complessa. Sappiamo bene che molti, fra coloro che approdano sulle nostre coste, sono dei disperati che fuggono dalla fame e dalla guerra in cerca di una vita migliore.
Ciò che non riusciamo a capire è per quale motivo a noi, e a coloro che la pensano come noi, si chiede, giustamente, di non fare di tutta l’erba un fascio, mentre ciò è concesso ai presunti buonisti, i quali mostrano comprensione per i disperati, ma, nel contempo, si guardano bene dal biasimare con determinazione coloro che delinquono, approfittando di vivere in un Paese senza dignità e dove non esiste la certezza della pena. Si pensi agli extracomunitari che qui a Modica, come dimostrano gli arresti quasi quotidiani, hanno ormai acquisito il monopolio dello spaccio di stupefacenti, che distruggono le telecamere per la videosorveglianza, che danno vita a violenti risse in pieno centro e che rubano nelle civili abitazioni. Non è possibile affrontare tale questione sulla base di convinzioni ideologiche e politiche: il problema va esaminato in termini razionali, col rigore della logica e con la freddezza dell’analisi. Non è possibile che un extracomunitario - ma questo, naturalmente, vale anche per i delinquenti locali - colto in flagranza di reato sia posto agli arresti domiciliari anziché messo in galera, e, infatti, tale restrizione viene regolarmente violata e il “recluso” torna a delinquere. Per quale arcano motivo non si ha il coraggio di espellere dall’Italia teppisti e criminali? E’ in atto un esodo migratorio che non si arresta e noi non siamo nelle condizioni strutturali ed economiche per poterlo affrontare. Questo flusso di disperati viene tra l’altro utilizzato dai terroristi per autofinanziarsi.
Se si continua con la politica della indiscriminata accoglienza finiremo per diventare complici degli scafisti senza scrupoli e di quelli che li manovrano. L’aumento della criminalità a Modica, in gran parte legato, come si è detto, alla questione della immigrazione, è un problema rilevante per la nostra città, ma che ovviamente trascende la limitata dimensione locale perché è un fenomeno allarmante per l’intera Europa. E’ giusto accogliere le donne, i bambini e le persone oneste che rischiano la vita sui barconi in cerca di un futuro, ma occorre stare molto attenti perché tra coloro che arrivano nel nostro Paese, al di là di coloro che si rendono protagonisti di episodi di piccola o rilevante criminalità, possono esserci infiltrati che arrivano in Europa al solo scopo di destabilizzarla, nel nome di un fanatismo religioso che ha già ampiamente dimostrato il suo volto violento e sanguinario, e non c’è dubbio che la provincia iblea, con la presenza del porto di Pozzallo, è fra quelle maggiormente esposte a tale rischio. Ciò, ovviamente, lo ribadiamo per l’ennesima volta, non ha nulla a che vedere con la dolorosa condizione in cui si trovano tanti di coloro che arrivano nel nostro Paese. Basti pensare alla tante ragazze nordafricane che finiscono in una situazione di vera e propria schiavitù sessuale o nelle tante case del piacere disseminate nella nostra provincia o a battere il marciapiede o a quelli che vengono ammassati come fossero bestie in alcuni centri di raccolta. Pare che la questione degli immigrati sia diventata, per alcune persone senza scrupoli, un affare da milioni di euro . Sarebbe opportuno indagare a fondo per scoprire se vi siano legami tra questi delinquenti e le diverse realtà della politica e dell’associazionismo che non vogliono che sia fermata questa invasione che sembra non avere più fine. Magari saranno tutte animate da autentico spirito filantropico e se è così ne siamo sinceramente lieti, ma se qualcuna ha obiettivi meno nobili è giusto che sia individuata e che i suoi esponenti trascorrano dietro le sbarre il resto della loro vita.
Massima accoglienza e solidarietà per gli onesti e gli sfruttati, ma assoluta fermezza coi delinquenti che vanno rispediti a casa loro e non mantenuti da questa Italia che sa trovare i quattrini per il sostentamento di immigrati ladri e spacciatori ma non riesce a reperire un euro per garantire un salario minimo ai tanti giovani italiani disoccupati e disperati. A tal proposito, ricordiamo che a Modica, dallo scorso 26 febbraio, nel centro storico, è attivo uno sportello per l’integrazione degli immigrati, che si dovrà occupare di far loro trovare una casa, un lavoro, di avviarli all’istruzione e di garantire loro i servizi sanitari. Un fatto sicuramente lodevole: peccato, però, che non ci preoccupi di garantire tutto questo anche alle tante famiglie modicane ridotte in povertà dalla gravissima crisi economica che attanaglia il nostro Paese: una disparità di trattamento che è certamente inquietante!
Ma, oltre a quanto detto, c’è un altro problema, che è certamente il più rilevante, perché riguarda la nostra civiltà: è la questione islamica, che l’Europa non riesce ancora ad affrontare in modo deciso e in maniera unitaria. Non si tratta né di razzismo né di invocare ridicole guerre di religione; ma avere rispetto per le opinioni diverse dalle proprie – e questo, ovviamente, è un valore sacro anche per noi – non può significare doversi sottomettere alle opinioni altrui. L’esempio del crocifisso, a tale riguardo, può essere utile per chiarire cosa intendiamo dire. Per noi occidentali, credenti o non credenti, esso ha un’ immensa valenza simbolica, altro che “cadaverino”, come ebbe a definirlo, con inaudita volgarità, in una trasmissione televisiva di alcuni fa, un importante e “tollerante” rappresentante dell’ Islamismo in Italia. Per i credenti è il figlio di Dio che muore sulla croce per la salvezza dell’umanità, per i non credenti rappresenta l’intero genere umano colto nei momenti più autentici della sua vita, quelli che il mondo di oggi cerca di nascondere, quali sono l’amore incondizionato e gratuito, la sofferenza e la morte.
A noi interessa poco se i musulmani in Italia o in Europa pregano il loro dio, ma saremmo disposti a lottare perché potessero continuare a farlo se venisse loro impedito, ma confessiamo, con molta sincerità, che ci piace poco, invece, che il nostro Paese si riempia di moschee. Ciò che è inaccettabile è che non si può pretendere che il crocifisso debba scomparire dalle aule scolastiche o che i bambini della scuola elementare non possano più dar vita a rappresentazioni natalizie o costruire presepi perché tutto ciò può urtare la sensibilità di chi crede in Maometto e non in Gesù Cristo. Un fatto è accettare la presenza di musulmani sul nostro continente, un altro tollerare che possano massacrare, come a Parigi, dei giornalisti che, a casa loro - non lo si dimentichi - hanno osato, a parere dei musulmani che non sopportano la satira, offendere l’Islam. Anche se non si è a casa propria, se ci si sente offesi si ha certamente il diritto di protestare e di indignarsi, ma non certo quello di voler soffocare la libertà di stampa del Paese che ti ospita e di sterminare chi non si piega ai dettami del Corano.
Se la cultura islamica deve essere imposta all’Europa – che sia questo il farneticante obiettivo di alcune frange estremiste dell’Islam mi pare non ci sia alcun dubbio – allora occorre reagire perché accettando questo non daremmo prova di tolleranza, ma di totale assenza di dignità e di avvilente vigliaccheria. E’ molto importante, in questo momento storico, non sottovalutare il fenomeno ISIS. La bandiera nera su San Pietro, sebbene sia un fatto assolutamente irrealizzabile, rimane un dato inquietante che dovrebbe farci riflettere sul pericolo del fondamentalismo islamico, ed è per tale motivo che occorre monitorare con scrupolo gli sbarchi: fra i disperati, infatti, potrebbero annidarsi anche pericolosi fanatici e terroristi. Il mondo arabo, lo scrivemmo qualche anno fa su questo giornale, non accetta, a parte qualche eccezione, che sui suoi territori si costruiscano chiese e sinagoghe, perché intende essere custode della sua memoria storica. E non stiamo parlando di una tribù di cannibali sperduta in qualche remota regione del pianeta, ma di una civiltà che ha dato un contributo inestimabile al progresso del sapere, in tutte le sue manifestazioni, materiali e spirituali. Lasciamo, dunque, che in Italia rimangano le chiese, non per intolleranza o bigottismo, ma perché sono una testimonianza artistica e spirituale dell’Occidente e pertanto di ciò che siamo stati e siamo, nella consapevolezza, tra l’altro, che abbiamo il dovere di lasciare a chi verrà dopo di noi un segno tangibile della cultura che li avrà resi ciò che saranno e nella certezza che un popolo che rinnega il proprio passato è un popolo che non ha futuro. Sulla necessità che il fenomeno della immigrazione debba essere prima o poi arrestato concordano quasi tutti.
Ma come fare? L’ex ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio, ha recentemente dichiarato: “ Occorre portare la pace in Siria, perché questa guerra è la madre di milioni di profughi in cerca di salvezza e di conflitti a catena , e rischia di coinvolgere tutti i Paesi mediorientali. Il problema della immigrazione non si può fermare se non si riporta la pace in Medio Oriente e nelle aree di crisi dell’Africa e dell’Asia”
E qui entrano il gioco le colpe dell’Occidente. Può, questo, portare la pace nei luoghi dove ha fomentato la guerra, favorito i conflitti tribali e li ha alimentati per i propri interessi economici? Può l’Occidente essere portatore di equilibrio e stabilità in quelle zone dove, per motivi militari, economici e politici, ha creato invece situazioni di permanente instabilità? Si pensi alla questione arabo-israeliana che dal 1948 aspetta di essere risolta! Si afferma che l’immigrazione deriva dalla miseria in cui queste zone si trovano, e si finge di non ricordare che, in buona parte, questa miseria è figlia del sistematico sfruttamento cui quei territori sono stati sottoposti per decenni dal colonialismo europeo, dallo sfrenato capitalismo che vi ha lasciato in eredità e dall’aver favorito di volta in volta il dittatore di turno che meglio garantiva i suoi loschi affari.
A noi interessa salvaguardare l’identità della nostra cultura e non ci piace affatto la prospettiva che il vecchio continente, come scriveva Oriana Fallaci, finisca per assumere il nome di Eurabia! Questo continente, però, è chiamato ad assumersi le sue responsabilità storiche e politiche e a farsi sul serio promotore di pace là dove in passato ha portato la guerra. Ha i mezzi politici, diplomatici ed economici per farlo. E deve farlo! Se l’Europa non sarà più l’espressione degli interessi di industriali, finanzieri e banchieri, ma l’unione di popoli accomunati dagli stessi valori e ideali - soprattutto quelli che nel corso dei secoli li hanno forgiati, quali i principi illuministici di uguaglianza e libertà e la caritas cristiana - allora rimane ancora un barlume di speranza che tale obiettivo possa realizzarsi.
APRILE 2015
Le recenti esibizioni canore di Mons. Staglianò, Vescovo di Noto
IL VESCOVO POETA E CANTERINO
Durante alcune assemblee liturgiche a Noto e a Scicli, in occasione della Settimana Santa, il Vescovo Antonio Staglianò ancora una volta è riuscito a stupirci. Chiariamo subito che Staglianò non ci è mai piaciuto e non siamo mai riusciti a vedere nella sua figura quella di un successore degli apostoli e di un pastore attento alle reali esigenze del gregge che gli è stato affidato. Ma queste sono considerazioni personali relative ad una tematica seria e profonda qual è quella della Fede e pertanto devono restare nell’intima dimensione della nostra coscienza. Più che di ponderata analisi della sua azione pastorale si tratta di semplici sensazioni, per cui sarebbe sciocco e di pessimo gusto pretendere di conoscere ciò che si agita nella mente e nell’animo di un’altra persona, sia essa un Vescovo sia l’ultimo degli emarginati.
Quel che invece vogliamo sottoporre all’attenzione dei nostri Lettori è il suo modo di apparire e certi atteggiamenti che poco si confanno a chi ha il compito di governare una diocesi. Avevamo già espresso non poche perplessità sulla opportunità di presenziare, presso il Caffè Letterario Quasimodo di Modica, alla presentazione di un suo libro di poesie, ma, da un po’ di tempo, quella che a noi sembra una inopportuna ansia di protagonismo lo sta conducendo – al di là del plauso ottenuto da chi non sa andare oltre una visione superficiale dei fatti – ad intraprendere un percorso che potrebbe rivelarsi dannoso e controproducente. Siamo perfettamente d’accordo sul fatto che un Vescovo debba liberarsi di quell’alone di “sacralità” che troppo spesso – anche quando non è giustificato dalla vita – ha circondato i pastori della Chiesa; siamo d’accordo che debba scendere dal trono ed essere uomo tra gli uomini, ma ciò va fatto nel modo in cui il più importante tra i Vescovi – quello di Roma - lo sta facendo. Scendere dal piedistallo significa dare segni concreti di sentirsi realmente ultimo fra gli ultimi, e in questo senso Papa Francesco sta davvero incarnando gli insegnamenti di Cristo. Il suo stare dalla parte dei bisognosi, dei poveri e degli emarginati non è per lui soltanto un assunto teologico o una scelta di ordine pastorale, è una scelta di vita, è un’esperienza quotidianamente vissuta e sofferta: è una parola che si fa vita.
Abbandonare un atteggiamento distaccato ed esageratamente ieratico è ciò che si chiede oggi ai pastori della chiesa, ma cantare le canzoncine di Noemi e Mengoni, come recentemente ha fatto il Vescovo di Noto, in occasione della Settimana Santa, è davvero tutt’altra cosa! E non è la prima volta che ciò accade! In occasione della Giornata della Gioventù organizzata ad Ispica nel 2014, parlando ai giovani, citò una canzone di Noemi ed una di Vecchioni. Ma se proprio si avverte l’esigenza, quando ci si rivolge ai giovani, di non fermarsi solo alla Sacra Scrittura, perché citare i testi delle canzoncine, e non affidarsi invece alle voci più alte della letteratura del Novecento o di quella contemporanea? Staglianò afferma che su whatsapp – il nostro Vescovo oltre a non saper fare a meno delle canzoncine dimostra di non sapere neanche rinunciare alla tecnologia tanto diffusa tra i ragazzi - gli arrivano dei link di giovani che lo invitano ad ascoltare brani che “sembrano scritti da Gesù”: tra questi “Guerriero” di Marco Mengoni!
A quando il processo di beatificazione di questo ragazzo che, tra l’altro, visto lo spessore musicale suo e delle sue canzonette, durerà ancora qualche stagione per poi finire nell’oblio, come è giusto che avvenga per coloro che sono musicalmente mediocri: artisti costruiti in laboratorio da astuti discografici che sanno bene di aver fabbricato delle meteore. L’anno scorso, invece, il nostro Vescovo, in occasione della Veglia Pasquale, trasse ispirazione dai testi delle canzoni di altri due “mostri sacri” della musica moderna: Nek e Arisa. Manco quei testi li avessero scritti Ungaretti e Quasimodo!
Ma, tralasciando i gusti musicali di Staglianò, che, per quanto riguarda la musica leggera, sono in verità assai deludenti, riteniamo che questo giovanilismo esibito con tanta disinvoltura non approdi a nulla. L’unico risultato che il Vescovo potrà ottenere è quello di apparire simpatico e alla mano: ci sembra veramente poco; tra l’altro, un Vescovo, a nostro parere, dovrebbe rifuggire dal protagonismo e porsi obiettivi ben più pregnanti. Viviamo in una società che ha da tempo smarrito la strada dell’essere per intraprendere quella deleteria e inutile dell’apparire; la società del grande fratello e dei talent show che costruisce divi di cartapesta che si convincono di essere bravi - come il nostro Mengoni – perché una massa di utili idioti, indottrinati da tv e giornali compiacenti, va ad applaudirli e osannarli, manco ci fossero, sul palco, i Beatles o Bob Dylan.
Non ci sembra poi educativo proporre ai nostri giovani, come modelli, personaggi in cerca di popolarità e che accumulano quattrini senza aver conosciuto il valore della fatica quotidiana. Nel Liceo dove insegniamo, noi e tanti nostri colleghi, facciamo di tutto per far capire ai nostri ragazzi che nella vita occorre guardare all’essenziale, che il futuro lo si costruisce col sudore della fronte, con l’impegno quotidiano nello studio e in altre attività serie e formative.
Ci sembra assurdo che sia proprio un Vescovo a rischiare di vanificare – in buona fede, questo non si discute – il nostro lavoro: lasci perdere, dunque, le canzonette e i burattini che le cantano e proponga ai giovani ben altri modelli, che non mancano nella realtà ecclesiale e in quella laica.
Viviamo in una società che non sa più distinguere chi vale per ciò che è da chi conta qualcosa per quel che appare; una società che non premia più chi nella vita ha coltivato interessi alti ed ha studiato con passione e dedizione, e gratifica invece i mediocri, che acquisiscono titoli senza averne merito, sol perché anziché gli studi hanno coltivato le amicizie giuste. E’ inutile nasconderlo: questa società è malata perché i popoli sono diventati masse e ciascuno pensa con la testa del gruppo cui appartiene e non con la propria.
Un intreccio perverso di ideologie pseudo progressiste e capitalistico-borghesi e di squallidi interessi economici ha convinto l’Occidente che siamo tutti uguali (annullando le differenze etniche, sessuali e culturali), che dobbiamo essere tutti belli e sani, che dobbiamo irrobustire i nostri muscoli (mentre lasciamo appassire i nostri cervelli) che dobbiamo accumulare quattrini e indossare biancheria griffata se vogliamo contare qualcosa e altre simili idiozie. In altre parole, la serietà (quella del pensare e del vivere) è scomparsa dal nostro orizzonte.
La Chiesa cattolica, a nostro parere, potrebbe essere, da questo punto di vista, un baluardo a difesa della intelligenza minacciata da questa dilagante demenza: i giovani hanno bisogno di trovare in essa quella serietà che non possono più trovare nel mondo. Non è con le canzoncine che un Vescovo può rispondere a questo bisogno di senso di cui i nostri giovani hanno bisogno e come docenti sappiamo bene quanto impellente sia tale necessità. Il nostro Vescovo potrà ottenere qualche applauso e qualche sorriso di compiacimento, cioè nulla!
Se vuole coinvolgere i giovani – e certo non dubitiamo che questo sia il suo apprezzabile intento - lasci perdere Nek, Arisa e Mengoni e dica ai giovani la verità – gliela dica con le parole e con l’esempio – anche se dura e difficile da accettare: e cioè che la vita è una cosa tremendamente seria ! E’ giusto che i giovani nutrano speranze, credano nell’amore e nell’amicizia, ma occorre dire loro che la vita, a volte, è anche delusione, sofferenza e solitudine, e che la fede in Dio, quando è autentica, può riempire di senso questi aspetti oscuri e talvolta umanamente incomprensibili dell’esistenza umana Molti di quei ragazzi, come il giovane ricco del Vangelo, se ne andranno, ma quelli che resteranno lo faranno con autentica convinzione. Se così non è, si rischia di cadere nel proselitismo, che, com’è noto, non è mai servito a nulla!
MAGGIO 2015
UNA DISINCANTATA ANALISI DEL PROVINCIALISMO IBLEO
IL GRANDE MALE
Il grande male che da qualche decennio affligge il territorio ibleo, e pertanto anche Modica, è un provincialismo che spande sul territorio di quella che fu l’antica Contea un tanfo insopportabile che sa di pressappochismo, arrivismo ed ignoranza. E’ ovvio che questo grande male, purtroppo, non è l’unico, ma è il peggiore, perché da questo derivano, spesso, le altre calamità con cui l’intera provincia di Ragusa è costretta a convivere da un bel po’ di anni. Per quanto riguarda Modica, in particolare, non è il caso, naturalmente, di rispolverare le gravi responsabilità delle Amministrazioni Torchi e Buscema nell’aver condotto la città alla disastrosa situazione in cui si trova, anche perché dovremmo ridire cose sulle quali abbiamo già scritto innumerevoli volte. Sul fatto che con Abbate, invece, la nostra città avrebbe toccato il fondo, sotto il profilo politico e amministrativo - e che con lui probabilmente si chiuderà, questo è ovviamente il nostro augurio, questo ciclo politico nefasto e inconcludente - lo avevamo previsto non soltanto noi ma anche i nostri amici del gruppo Terzo Occhio, che per anni, con i loro “fogli di battaglia”, hanno cercato di risvegliare le coscienze narcotizzate dei loro concittadini.
L’incapacità amministrativa di Abbate, che è direttamente proporzionale alla sua arroganza politica, è talmente eclatante che parlarne dettagliatamente sarebbe come sparare sulla croce rossa: ci limitiamo, pertanto, a citare soltanto le “ultime perle” della sua Amministrazione, al solo fine di rinfrescare la memoria ai soliti distratti e a coloro che nel frattempo l’hanno persa. Accade così che, mentre la Corte dei conti ha bloccato il nostro “illuminato” Sindaco nel suo tentativo di nominare un portavoce ed un esperto di marketing – nomine non compatibili, per quanto riguarda il compenso da elargire, con il piano di riequilibrio non ancora approvato dal Ministero – Abbate ci riprova, questa volta per elargire 20 mila euro l’anno ad una televisione locale perché si occupi della comunicazione istituzionale dell’Ente, e non se ne comprende il motivo, visto che il Comune ha già l’ ufficio stampa e l’ufficio relazioni col pubblico, strutture abilitate a gestire l’informazione e la comunicazione istituzionale. Intanto, la città aspetta ancora che si faccia chiarezza sul Consorzio degli operatori turistici, anche perché è un diritto dei cittadini sapere cosa è realmente successo, visto che il Comune versa al Consorzio il 90% dell’imposta di soggiorno pagata dai turisti che pernottano in città: attendiamo, dunque, che il Sindaco ci spieghi perché si è dimesso il presidente, Renato Nuccio, e che dia una risposta sulle richieste a lui da più parti pervenute e riguardanti la rendicontazione delle spese effettuate con il denaro pubblico.
Modica aspetta anche di conoscere il motivo della moltiplicazione – non dei pani e dei pesci, come ha ironicamente dichiarato il Movimento 5 Stelle – ma delle bollette TARI, due per ogni utente, recapitate a 5000 cittadini che adesso si chiedono attoniti quale delle due pagare o se, addirittura, per non avere noie, pagarle entrambe, per non dire delle bollette riguardanti il canone idrico, che in molti casi sono state inviate senza nemmeno indicare le letture. Il dato più allarmante, insieme a quello fallimentare del Consorzio dei Comuni del Val di Noto, della “lungimirante” azione amministrativa di Abbate lo lasciamo per ultimo: ci riferiamo alla mancata presentazione del PAES (Piano d’azione per l’energia sostenibile) da parte del Comune, che ha fatto perdere alla città importanti finanziamenti. Nonostante una sfilza allarmante di fallimenti il nostro Sindaco non perde la pessima abitudine dell’autocelebrazione, che è sempre deleteria e poco elegante, ma nel suo caso addirittura grottesca. A proposito della controversia con la ditta Puccia, relativa ai mancati pagamenti dei suoi dipendenti, egli ha solennemente dichiarato: “Sfido a trovare in tutta Italia un altro Ente che paghi prima dei 90 giorni di tempo a disposizione”.
Forse abbiamo scoperto l’arcano, ossia qual è il motivo che impedisce ad Abbate di amministrare con efficienza la sua città: evidentemente è impegnato quotidianamente a verificare, ogni qualvolta decide un’azione amministrativa, se uno degli 8000 sindaci italiani ha fatto meglio di lui. Ottomila! Sarà chiaro a tutti che per sfidare i suoi concittadini a dimostrare il contrario di ciò che afferma si sarà dovuto documentare su tutti gli 8000 Comuni: un’impresa titanica! Non possiamo non chiederci: ma anziché impegnare il suo tempo per controllare cosa fanno gli altri, non sarebbe meglio se lo impiegasse per realizzare una sana autocritica e dedicarsi poi con impegno e dedizione a risolvere i tanti problemi della sua città? Ma, come dicevamo, tutto ciò è l’effetto di una causa ben più grave e ormai radicata nell’intera società italiana: si tratta di un deleterio provincialismo che impedisce a politici e sedicenti intellettuali di guardare la realtà con realismo e con ampiezza di vedute.
Noi siamo il Paese che, per chiare motivazioni politiche, ha sostenuto la candidatura di Dario Fo al nobel per la letteratura, e quando lo ha ottenuto ne ha gioito anziché vergognarsene! Che Fo sia un eccellente attore non è in discussione, ma quale sia il nesso che lo lega alla letteratura ancora ci sfugge, almeno che vogliamo ricoprirci di ridicolo sostenendo che sia quel “capolavoro letterario” che risponde al nome di “Mistero Buffo”. A questo punto dovremmo infatti chiederci quanti premi nobel avrebbe dovuto ricevere il grande Eduardo! Per dare l’idea di tale provincialismo, e pertanto della mancanza, nel nostro Paese, di una visione delle cose ampia, critica e cosmopolitica, che vada al di là del nostro attaccamento al campanile e della immancabile divisione tra guelfi e ghibellini, ricordiamo che mentre i politicanti spingevano Fo, l’Accademia dei Lincei proponeva Mario Luzi, allora il più grande poeta italiano vivente.
Noi siamo il Paese che si genuflette dinanzi ad un giullare cortigiano come Benigni e che lo applaude ogni qualvolta bistratta e ridicolizza Dante Alighieri, trasformando la Divina Commedia – ma gli ammiratori del Roberto nazionale hanno mai ascoltato Gassman ? - in una sorta di commedia all’italiana, che consente a questo personaggio di utilizzare l’Arte per sferrare i suoi attacchi ai politici che gli sono sgraditi. Un signore, Benigni, cui è stato dato persino un oscar per un film che, se anziché parlare dei lager nazisti avesse descritto i gulag sovietici, non sarebbe stato notato da nessuno. E’ assai probabile che, negli Stati Uniti, le potentissime lobby ebraiche si siano date parecchio da fare per condurre Benigni a quell’immeritato traguardo! Alla luce di quanto detto come meravigliarsi di quanto accade nella nostra provincia? Nei primi giorni di maggio, ad esempio, sono stati consumati fiumi d’inchiostro per tessere le lodi, che sicuramente merita, di Piero Guccione, in occasione del suo ottantesimo compleanno: tuttavia, a nostro modesto parere, si tratta di un pittore da sempre eccessivamente sopravvalutato. I motivi non li sappiamo, non vogliamo saperli e non ci interessa conoscerli. Tuttavia, il fatto che da anni ogni suo quadro sia sempre descritto come un capolavoro ha rischiato e rischia di porre nell’ombra artisti suoi conterranei che magari meriterebbero loro di stare al vertice per quanto riguarda la pittura iblea contemporanea. Ma tant’è!
Per quel che riguarda Modica, il trionfo del provincialismo è costituito dalla indebita appropriazione della figura di Quasimodo - fatta eccezione per qualche lodevole iniziativa come quella del Caffè Letterario a lui intitolato, che a noi sembra animata da una logica diversa e da differenti obiettivi - infatti non ci lasciamo scappare alcuna occasione per rivendicarla ad ogni piè sospinto: un grande poeta nato a Modica per puro caso, che si sentì sempre siracusano e che mai mostrò affetto ed interesse per la città in cui era nato. Ma lo si continua a ritenere un modicano illustre, forse ritenendo – ecco una forma di autentico provincialismo – che la sua fama e il suo prestigio, universalmente riconosciuti, possano essere alimentati dalle celebrazioni di una cittadina di provincia, per il solo motivo che casualmente vi nacque.
Come meravigliarci allora se nella nostra provincia abbiamo personaggi che si definiscono “storici” – ovviamente non sappiamo da quali grandi maestri abbiano appreso a misurarsi con tale disciplina e con quali luminari abbiano sostenuto i relativi esami - e che spesso mostrano preoccupanti limiti nell’attività che svolgono, e talora anche nell’esprimersi correttamente e nello scrivere in maniera chiara e sintatticamente corretta, onde per cui è lecito chiedersi se la pur minima notorietà conseguita è frutto di autentiche capacità o piuttosto delle giuste amicizie furbescamente coltivate; come meravigliarsi se proliferano gli esperti di etnoantropologia: forse sarebbe opportuno esibire le lauree conseguite in tale disciplina, le facoltà frequentate, i docenti avuti e i titoli accademici ufficialmente riconosciuti; come meravigliarci se abbondano critici letterari e soprattutto poeti, di gran lunga i più numerosi, in questa schiera di ragusani che si auto conferiscono titoli, come se bastasse conquistare coppe e attestati in un concorso indetto da qualche sperduto paesino della provincia italiana per essere considerati poeti, e non invece dei lusinghieri giudizi formulati, sulle riviste che contano, dai più grandi e accreditati critici letterari e da accademici di fama internazionale.
A Modica, poi, si dedica a Carmelo Ottaviano la piazzetta di Frigintini, perché là l’illustre filosofo trascorreva le vacanze estive (qui il provincialismo diventa davvero iperbolico); poco o nulla è stato fatto per tenere alto il nome di Raffaele Poidomani, il quale, se fosse nato altrove, forse oggi sarebbe presente nei manuali di letteratura italiana: si pensi a ciò che Comiso ha fatto per Bufalino, scrittore validissimo, non c’è dubbio, ma non crediamo, sinceramente, che Poidomani gli fosse inferiore. E, per finire, la nostra città ha già riposto nell’oblio l’ultimo suo vero scrittore, uno dei pochissimi che poteva fregiarsi di questo titolo: ci riferiamo, ovviamente, all’indimenticato amico Franco Antonio Belgiorno, e ricordiamo ancora, con molta nostalgia, la sua caustica ironia quando diceva su Modica, e sulle città limitrofe, le stesse cose che più modestamente abbiamo detto noi in questo nostro articolo.
Questi sono i frutti amari dell’imperante provincialismo. I politicanti e gli pseudo intellettuali di Modica e delle altre città della provincia ne sono i figli legittimi. E così sarà anche per il futuro, finché, per quel che riguarda i mali di questa nostra terra, cercheremo di curarne gli effetti, anziché rimuoverne le cause, prima, fra tutte, la disgustosa raccomandazione che premia la ruffianeria e si fa beffe della meritocrazia. Non c’è nulla da fare: la nostra è la terra che spalanca le porte agli amici e agli amici degli amici e le sbarra a coloro i quali hanno la dignità di non vendersi per alcuna ragione al mondo!
GIUGNO 2015
LA “ BUONA SCUOLA”
BURATTINAI E BURATTINI
Il mondo della scuola, ci riferiamo a quella statale, ovviamente, è in subbuglio, come tutti sanno, e, nonostante i tanti attacchi subiti in questi ultimi decenni dai governi che si sono susseguiti, forse mai, come in questo momento, è stato ed è al centro di un progetto che mira a demolirlo a partire dalle fondamenta. Sui mali che affliggono la scuola italiana e sul perché in questi ultimi decenni sia stato fatto di tutto per danneggiarla, dovremmo scrivere un articolo che occuperebbe tutte le pagine del nostro giornale, ma giacché il direttore non lo consentirebbe, dobbiamo necessariamente ridimensionare le nostre pretese. I guai della nostra scuola sono cominciati nel momento in cui si è deciso di smantellare la riforma gentiliana del 1923, l’unica, finora, che ha inciso a livello strutturale sull’organizzazione didattica, sull’ impostazione metodologica e sulle finalità educative di una Istituzione così importante come quella scolastica.
Il motivo per il quale occorreva smantellare l’impianto voluto da Gentile è stato ovviamente di natura ideologica e frutto di un demenziale pregiudizio : la riforma fu fatta da un intellettuale legato al regime e in epoca fascista e dunque non poteva che essere una “cattiva riforma”. In base a questa logica idiota avremmo dunque dovuto abolire anche l’INPS, l’INAM, il CNR, l’ISTAT, l’INAIL e persino gli assegni familiari, e ci fermiamo qui, per carità di Patria. L’accusa più ricorrente che è stata mossa alla scuola voluta da Gentile – uno dei maggiori filosofi del Novecento, è bene non dimenticarlo – è quella di essere intrinsecamente “classista”, in quanto sanciva il primato delle discipline umanistiche - considerate come il principale strumento di educazione della futura élite dirigente – su quelle tecniche. E meno male, diciamo noi, visti i risultati che abbiamo ottenuto grazie alla sistematica demolizione della nostra tradizione umanistica! Quanto all’accusa di “classismo” ci chiediamo come la si possa conciliare col fatto che proprio a quella riforma dobbiamo l’intenzione di risolvere, finalmente, l’atavica piaga dell’analfabetismo che affliggeva il nostro Paese: a quella riforma, infatti, si deve l’istituzione delle scuole serali, per consentire ai lavoratori di conseguire un titolo di studio, e la realizzazione delle scuole rurali, perché anche i ragazzi che vivevano nelle campagne non fossero esclusi dal diritto all’istruzione. E’ evidente, che una riforma varata nel ’23 necessitava di essere rivista e adeguata alle nuove realtà di una società radicalmente mutata oppure cancellata, ma a condizione che ne fosse varata un’altra, strutturale e organica come quella.
Abbiamo invece assistito a interventi superficiali e spesso ridicoli effettuati da ministri cui mancavano i requisiti culturali e intellettuali – fatta eccezione per Tullio De Mauro, che però non ha avuto il tempo e la possibilità di fare praticamente nulla – per poter mettere mano ad una autentica riforma della scuola. Si pensi a Berlinguer e alla sua “ straordinaria” idea di portare da 60 a 100 il massimo voto agli esami di Stato (si è trattato, com’è facile intuire, di un intervento “epocale”) e alla sua sciagurata riforma degli esami di maturità: già prima di lui erano meno impegnativi di un tempo, ma dopo di lui sono diventati un esamino da licenza elementare; i candidati, infatti, hanno ormai capito benissimo che basta imparare quattro nozioni del “famigerato” percorso (e non tesina come molti impropriamente lo definiscono) voluto da Berlinguer per guadagnarsi un diploma senza troppa fatica. Si pensi poi alla Gelmini e alla sua indecorosa gaffe – che fece ridere il mondo intero – sul tunnel costruito per farvi viaggiare i neutrini (sic!). E cosa dovremmo dire poi della Moratti, di Fioroni, della Carrozza e della Giannini? Ma è mai possibile che il nostro popolo non si renda conto del degrado in atto? E mai possibile che non si provi vergogna nel pensare che questi personaggi hanno occupato la stessa poltrona che fu di intellettuali del calibro di De Sanctis, Croce e Gentile? Come si fa a non percepire tale decadenza, nel momento in cui la conoscenza è stata relegata ai margini dell’attività didattica per fare spazio alle competenze e agli innumerevoli e spesso inutili progetti che distolgono i ragazzi dall’apprendimento e dalla riflessione critica, il che è come dire dal processo formativo ed educativo che mai dovrebbe perdere la sua centralità nella realtà scolastica. La faccenda diventa più squallida se si pensa che tali progetti sono stati istituiti non soltanto per distogliere gli studenti dallo studio rigoroso e quotidiano – e di questo diremo più avanti – ma anche per consentire ai docenti meno pagati d’Europa di potere integrare il loro misero stipendio. Anche l’introduzione del registro elettronico, il cui utilizzo è stato imposto dal Ministero alle scuole di questa nostra Repubblica – sempre più sudamericana e sempre meno europea - non ha nulla a che vedere, come si vorrebbe far credere, col miglioramento del sistema educativo: la sua introduzione è da porre in relazione con questioni certamente legati ad appalti milionari che riguardano viale Trastevere a Roma: potranno essere anche appalti puliti e trasparenti ma ciò non toglie a ciascuno di noi la libertà di poterne dubitare.
L’altro motivo è sicuramente legato al fatto di dare agli insegnanti un ulteriore aggravio di lavoro di natura burocratica, come se non bastasse quello che già devono affrontare, con l’obiettivo di sottrarre loro tempo che potrebbero proficuamente utilizzare nell’insegnamento e nella interazione educativa con i loro alunni. E’ evidente che tutto questo fa il gioco del Sistema: un docente impegnato in classe a scrivere al computer, a compilare schede e inserire crocette e via dicendo,in maniera da trasformarlo pian piano in un burocrate, è un punto di riferimento, educativo e culturale, che viene tolto agli alunni, perché al Sistema nulla risulta più sgradito che avere future generazioni colte, mature e responsabili e soprattutto dotate di una salda cultura umanistica. Non ci soffermiamo sui tanti aspetti della riforma voluta da Renzi, sulla quale ci limitiamo a sottolineare la nostra totale contrarietà.
Vogliamo invece soffermarci su un altro aspetto che a molti sfugge. I problemi legati al cosiddetto DDL 2994 (La buona scuola!), sono seri e gravi e per tale motivo la scuola sta protestando in maniera forte e decisa. L’errore è, ancora una volta, quello di credere che Renzi e la Giannini siano gli artefici di questa indegna riforma mentre ne sono soltanto gli esecutori; esecutori di un progetto pensato altrove e voluto da chi trama nell’ombra e detiene le chiavi del vero potere. Ciò non riguarda soltanto l’Italia perché si ricollega al tema del Mondialismo e della Globalizzazione. Ci viene in mente quanto sostenuto da Nicholas Butler membro del Council on Foreign Relations: ”Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fa produrre gli avvenimenti; un gruppo un po’ più importante che vegli sulla loro esecuzione e assista al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto” (1). Ricordo che il Council on Foreign Relations fu fondato con i finanziamenti della famiglia Rockfeller nel 1918; era costituito da 650 membri, ovvero il gotha del mondo degli affari americano, e nacque per contrastare le tendenze isolazionistiche degli americani, contrarie agli interessi delle multinazionali: lo scopo era quello di studiare strategie globali che poi immancabilmente la Casa Bianca adottava come direttive di politica internazionale (2). Attualmente conta circa 1400 membri, ed è composto da leaders politici e uomini d’affari.Noi crediamo che abbiano perfettamente ragione studiosi come Aronson e Sutton quando affermano che i fili della storia si tirano proprio nelle logge massoniche e nei consigli di amministrazione delle multinazionali e delle grandi banche.
Un gran numero di persone che contano, dirigenti di grandi multinazionali, banchieri, personaggi dell’alta finanza, sarebbero affiliati a oscuri ordini esoterici. Si pensi al banchiere americano James Warburg che il 17 Febbraio 1950 alla commissione esteri del Senato dichiarava: “ Che vi piaccia o no avremo un governo mondialista, o col consenso o con la forza”(3). Insomma, una oscura oligarchia sembrerebbe tirare le fila di burattini; solo apparentemente alla ribalta della scena politica. E’ incontestabile che la mentalità degli individui e delle collettività può essere modificata da un insieme sistematico di appropriate suggestioni. David Rockfeller nel 1991, pensando di parlare a orecchie fidate, ha dichiarato che “ una cospirazione esiste da quarant’anni; che essa ha lo scopo di instaurare nel segreto un governo mondiale e la sovranità nazionale dei banchieri; che il nemico dei cospiratori è l’autodeterminazione dei popoli“ (4). Perché mai l’Italia dovrebbe fare eccezione? Anche noi, nel nostro piccolo, non ci facciamo mancare nulla, come ha giustamente ricordato una collega, Georgia Corrias, nella sua lettera inviata alla nota trasmissione televisiva Report. Ciò che mette in evidenza la nostra collega - e di cui scrive anche “Il Fatto Quotidiano” in un articolo dello scorso 3 giugno - conferma quel progetto occulto cui facevamo prima riferimento. “ La cosiddetta “Buona Scuola” non fa che recepire quanto “consigliato” da un’Associazione che lavora da anni come consulente per la formazione e l’istruzione anche a favore di decisori pubblici. Si chiama TREELLLE ed è un ente privato sovvenzionato da Confindustria e da diverse Banche. Tra i fondatori, Attilio Oliva, Fedele Confalonieri, Giancarlo Lombardi, Luigi Marinotti, Marco Tronchetti Provera e Pietro Marzotto. Gran parte dei soci è formata da imprenditori d'assalto che hanno compreso quale grosso affare è l'educazione. Viene il dubbio che l’idea di istruzione che essi hanno in mente sia solo quella asservita agli interessi delle aziende e alle logiche del mercato.
Tra i consigli forniti: eliminare il monopolio dello Stato in materia di istruzione e mettere in competizione le scuole pubbliche e le scuole private; potenziare il potere dei Presidi; aprire alle donazioni di privati e delle aziende del territorio (a cui la scuola fornirà studenti per gli stage gratuiti alias lavoro a costo zero: la tanto sbandierata alternanza scuola-lavoro) ; aumentare l’orario dei docenti per abbattere i costi e altro ancora. Ad aprile, mentre si delineava il testo attualmente in discussione, l’Associazione è stata invitata ad una audizione con le Camere riunite mentre i Sindacati e le componenti della scuola sono state rigorosamente tenute a distanza.
Il 10 aprile la TREELLLE inviava una lettera alla Commissione Cultura della Camera in cui ribadiva i contenuti indispensabili del DDL e invitava ed essere più coraggiosi perché il testo, per quanto positivo, era ancora troppo mite!”.
Ricordiamo che tale Associazione è sovvenzionata dalla Compagnia di San Paolo di Torino e che specifici progetti sono stati sostenuti dalla Cassa di Risparmio di Bologna, dal Monte dei Paschi di Siena e dalla Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. Del Comitato operativo hanno fatto parte anche due ex ministri della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro, e nel gennaio 2008 Giuseppe Fioroni intervenne a Roma al convegno organizzato dall’ Associazione, dal titolo “ Quali dirigenti per le scuole dell’ autonomia?” L’obiettivo dichiarato dell’Associazione è quello di creare un nuovo modello di scuola “ caratterizzato da una forte attitudine alla imprenditorialità e leaderschip”. Questo cambiamento, ovviamente, non può che passare attraverso il ruolo centrale del dirigente scolastico. Come si vede, la lobby comanda e Renzi obbedisce!
Il Sistema, diceva Marcuse, si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie perché le decisioni, in realtà, sono sempre nelle mani di pochi. “ Una confortevole, levigata, ragionevole democrazia non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico” E’ questo potere finanziario, bancario e industriale che governa l’Europa e pertanto anche il nostro Paese. Un tempo, i nostri governi nazionali si diceva fossero costituiti dalla famosa triade –– FIAT, CIA e VATICANO - adesso, invece, da questo potere meno visibile e pertanto più potente e pericoloso. E’ tale potere che ha imposto a Berlusconi di farsi da parte, che ha insediato Monti e che adesso, tramite Renzi, impone le sue decisioni al popolo italiano, un popolo che festeggia ancora il 25 aprile senza rendersi conto dell’assurdità in cui viene a trovarsi: quale senso può avere festeggiare la fine di una dittatura quando si vive in un regime falsamente democratico e per taluni aspetti peggiore di quell’altro? Appare chiaro che Renzi, come Monti, Berlusconi e gli altri, sono meri esecutori di un potere che li sovrasta e che la logica che sta alla base di tutto ciò è quella indecorosa del do ut des. La nostra scuola è in pericolo perché tale potere ha deciso che bisogna smantellare la cultura umanistica per dare ai giovani una formazione che sia funzionale ai progetti della Confindustria ed è in pericolo perché nello stesso tempo lo smantellamento di ciò che resta del nostro Umanesimo è la condizione per creare una generazione futura che possa essere poi etero diretta e dunque manovrata a piacimento. E’ chiaro che tutto ciò può realizzarsi a condizione di trasformare i docenti da insegnanti ed educatori in una sorta di assistenti sociali e burocrati. Ma non è soltanto la scuola ad essere in pericolo ma le nostre stesse Istituzioni. Il fenomeno del Mondialismo non possiamo abbatterlo, ma tentare di cambiare questa Europa guidata da una “ cricca” di affaristi senza scrupoli è un dovere al quale non possiamo sottrarci!
1) G. Cosco Introduzione alla microfisica del potere
Ed. La Biblioteca di Babele, Modica 2002, p. 9.
2) Cfr. G. Cosco Ibid. pp. 49-50.
3) G. Cosco Ibid. p. 14.
4) G. Cosco Ibid. p. 20.
OTTOBRE 2015
TRA DIFFICOLTA’ FINANZIARIE E AVVILENTE MEDIOCRITA’
Per quanto riguarda la politica modicana, questa appena trascorsa è stata una stagione estiva esilarante e amara al tempo stesso. Sono stati, da un lato, mesi di puro divertimento, non perché l’Amministrazione Abbate abbia organizzato eventi tali da regalare ai modicani momenti di spensieratezza e ilarità, ma perché maggioranza e opposizione hanno dato vita ad un divertente e ridicolo duello; una “singolar tenzone” d’altri tempi, che non ha avuto, tuttavia, un vincitore ed un perdente, perché ha assunto da subito i tratti di un’ autentica farsa. I duellanti, infatti, non si son fatti mancare nulla: momenti comici grossolani si sono alternati a situazioni paradossali, ricche di equivoci, intrighi e colpi di scena. I nostri Lettori si staranno chiedendo a cosa ci riferiamo. Presto detto: alla situazione finanziaria del Comune di Modica.
Per necessità di chiarezza e per informare adeguatamente quei nostri concittadini, che, distratti dalla bella stagione, non hanno goduto di cotanto spasso, dobbiamo, “obtorto collo”, descrivere, con profondo fastidio, la pantomima cui abbiamo assistito. Cominciamo col famigerato piano di riequilibrio finanziario. Lo scorso 8 settembre – talvolta c’è una coincidenza tra le date che lascia sbigottiti – nell’ultima ora utile dell’ultimo giorno utile (che magnifica efficienza!) l’Amministrazione ha inviato ala Corte dei conti di Palermo la relazione sul piano e questa ha richiesto un parere ai Revisori dei conti del Comune che ha spedito nel capoluogo una relazione molto critica su quella prodotta dalla Giunta e nella quale vengono espresse molte perplessità sul piano di riequilibrio, anzi ne indica in modo dettagliato le non poche criticità.
Immaginiamo quanta ironia si sarà diffusa tra i palazzi della politica palermitana: un Comune che invia nel capoluogo delle relazioni tra loro opposte e contrastanti, dove gli inquilini del palazzo, quello modicano, stavolta, non hanno avuto nemmeno il buon senso e l’accortezza di presentarsi uniti a Palermo, la qual cosa sarebbe stata possibile se questa Giunta avesse agito in sinergia coi Revisori dei conti, anziché muoversi, come sempre, in maniera fastidiosamente autonoma e con una arroganza politica che la sta conducendo al pieno fallimento della sua azione amministrativa. Le criticità evidenziate dalla Commissione ministeriale e dalla Corte dei conti nei riguardi del piano di riequilibrio non sono certo di live entità: le più gravi riguardano la gestione dei fondi vincolati, l’applicazione del nuovo ordinamento contabile, l’attuazione del piano negli anni 2013 e 2014, la situazione delle società partecipate, la somma da restituire alla Cassa depositi e prestiti. Ovviamente, come è nel loro stile, sindaco e assessore al bilancio, sminuiscono la gravità dei fatti. “ Abbiamo fatto ogni sforzo possibile per dimostrare alla Corte dei conti che questo piano di riequilibrio è realizzabile”. Questo quanto dichiarato dall’assessore al bilancio Enzo Giannone. Abbiamo la sgradevole impressione che il sindaco e i suoi assessori vivano, politicamente, in una dimensione virtuale, e che stanno davvero perdendo il senso della misura, in quanto è probabile che si ritengano politicamente infallibili. Sbaglia la Commissione ministeriale; sbaglia la Corte dei conti; sbagliano i Revisori dei conti: non sbagliano Abbate e Giannone!
La nostra città prima ancora di giungere al dissesto economico è già arrivata al fallimento della politica. Ma questo lo avevamo ampiamente previsto e dettagliatamente scritto svariate volte. Per noi comuni mortali resta un mistero l’origine dell’ottimismo di sindaco e assessori, considerato che il Collegio dei revisori ritiene assolutamente necessaria una rimodulazione del piano onde evitare il dissesto dell’Ente, denunciando la lentezza nelle riscossioni, il divario tra quanto si incassa e quanto si spende, il ricorso eccessivo alle anticipazioni di tesoreria, i debiti fuori bilancio e la risistemazione della partecipate. Ma il Sindaco, come qualunque primo cittadino di questa Italia ormai in sfacelo, non può certo rinunciare a spendere: qualunque sindaco, oggi, è sempre in campagna elettorale, e la carica che occupa è quasi sempre il trampolino di lancio per conquistare poltrone più prestigiose, nella fattispecie supponiamo sia quella di palazzo dei Normanni. Ci provò Torchi, ne fu tentato anche Buscema, supponiamo che tale tentazione stia vivendo anche Abbate. Insomma, per farla breve: qualunque sindaco non vuole rinunciare alla politica del “panem et circenses”, o perché aspira a compiere il grande salto o perché ambisce ad essere rieletto, e non intende affatto procedere sulla via del risparmio. Come spiegare, altrimenti, l’acquisto della nuova auto blu di rappresentanza per il sindaco (10 mila euro) acquistata in una concessionaria di Frigintini, ( ma perché proprio là? ) i soldi spesi per la sua comunicazione istituzionale (20 mila euro ad una emittente televisiva) e quelli sperperati per portare Modica all’Expo di Milano. Spese che, tra l’altro, non ci pare potessero essere fatte, visto che l’Amministrazione è in esercizio provvisorio, non essendo ancora stato approvato il bilancio di previsione 2015, e pertanto l’importo è stato inserito in un altro capitolo di spesa: se non andiamo errati in quello relativo al trasporto dei disabili.
Dinanzi alla disastrosa situazione finanziaria dell’Ente, il Sindaco, come già fecero Torchi e Buscema, ne attribuisce la colpa sia a chi lo ha preceduto - egli ha infatti dichiarato: “ Il peso di questa situazione finanziaria affonda le radici nel tempo” - sia naturalmente a Roma, che ha ridotto i finanziamenti agli enti locali. Ciò è sicuramente vero, ma Abbate, a questo punto, dovrebbe chiedersi cosa ci sta a fare su quella poltrona: in campagna elettorale, infatti, aveva promesso di fare mirabilie e tra queste il risanamento delle finanze comunali. Non è politicamente decoroso spendere i quattrini del Comune per farlo vivere in una situazione di perenne campagna elettorale e poi piangere miseria!
Finora ci siamo soffermati sul piano di riequilibrio, ma le cose non vanno certamente bene per quanto riguarda gli altri due strumenti finanziari: l’approvazione del bilancio di previsione per l’anno 2015 e quella del conto consuntivo del 2014, che, se redatti in modo coerente col piano, forse potrebbero ancora salvare il Comune dal dissesto. I gravissimi ritardi nell’approvazione hanno indotto la Regione ad inviare un Commissario ad acta nella nostra città: è l’ennesima vicenda che dimostra in maniera inequivocabile che l’Amministrazione Abbate è incapace, dal punto di vista amministrativo e politico, di guidare la città, ed è inadempiente e superficiale: tutto ciò è reso poi intollerabile dalla costante autocelebrazione! Anziché andare a Canossa col capo cosparso di cenere – il che significa, fuor di metafora, chiedere scusa ai suoi concittadini – si auto elogia e cosparge di incenso le stanze di palazzo San Domenico! E tutto ciò mentre il bilancio di previsione aspetta ancora di essere approvato dalla Giunta e poi trasmesso in Consiglio comunale per l’approvazione e il conto consuntivo è stato approvato per la terza volta dal civico consesso, visto che per ben due volte lo si è dovuto rifare, non avendo avuto l’approvazione dei Revisori dei conti.
Con grande compiacimento chiudiamo questa avvilente elencazione di dati, bilanci e piani di rientro e torniamo ad occuparci della lotta, aspra e senza esclusioni di colpa, tra maggioranza e opposizione. Se è vero che la Giunta e la maggioranza che la sostiene finiscono per avere un atteggiamento a dir poco patetico, cercando di giustificare il loro fallimento attribuendone la colpa a chi ha preceduti, non meno patetico è l’atteggiamento di chi fa opposizione, dentro e fuori il civico consesso: ci riferiamo a coloro che sostennero Torchi e la sua politica spettacolo, quella della “Modica da bere” che fruttò a lui molti consensi in termini elettorali e ai modicani una spada di Damocle – il rischio del dissesto finanziario - che da allora, come un macigno, pende sulle loro teste. E ci riferiamo anche coloro che sostennero Buscema e che dimenticano che nel 2012, mentre lui era sindaco, la città, come adesso, fu sull’orlo del dissesto. Evidentemente, anche allora, le cose non andavano per niente bene, come ora il PD modicano vorrebbe far credere, dimostrando di avere
la memoria corta e di dar vita a quella “operazione scari barile” che rimprovera all’Amministrazione attuale. Eccola la gretta e miserevole politica modicana: questa insopportabile commedia che da troppi anni va in scena sul teatrino allestito da tempo a palazzo San Domenico. Noi sosteniamo da tempo la necessità che chi vuol fare politica dovrebbe passare sotto le forche caudine di una Commissione che ne misuri l’intelligenza, la cultura, le ambizioni e i tratti umani e psicologici. Se così fosse, ci saremmo evitati di assistere in questi anni ad uno spettacolo sgradevole e sconfortante: quello di trovare, all’interno del palazzo, nelle giunte, nelle maggioranze e nelle opposizioni che si sono susseguite, l’ossessionato dal delirio di onnipotenza, chi vive nel panico di perdere la poltrona conquistata, il questuante che aspetta con pazienza e deferenza il proprio turno nella segreteria dell’onorevole, il depresso perché non riesce a sedersi sull’agognata poltrona, il malato di protagonismo che fa un’interpellanza al giorno pur di stare sulla cronaca locale, il voltagabbana che senza alcun pudore osa pronunciare la parola “coerenza”. La più recente sceneggiata è stata quella del primo ottobre: la lite tra il Sindaco e il presidente del Consiglio comunale, il quale, da tempo, non è più sostenuto da coloro che lo hanno fatto accomodare sulla poltrona più importante del civico consesso, eppure vi rimane egualmente abbarbicato: anche questo è sintomo di una sensibilità politica ormai latitante. Dopo il battibecco col sindaco ha sospeso la seduta lasciando l’aula e chiudendosi nella sua stanza in attesa che Abbate gli porgesse le scuse che non sono arrivate.
Siamo di fronte ad un infantilismo politico e ad un dilettantismo amministrativo che lasciano basiti. Sappiamo che è poco elegante citare se stessi, ma stavolta non possiamo esimerci dal farlo: noi, insieme ad una piccola pattuglia di amici, avevamo previsto e più d’una volta scritto – e purtroppo abbiamo avuto ragione – che, dopo Torchi e Buscema, l’inesorabile evolversi degli eventi avrebbe condotto la nostra città ad essere amministrata da un Sindaco politicamente non all’altezza e da assessori e consiglieri non in grado di adempiere con efficacia all’importante compito che dovrebbero svolgere e sempre meno adeguati, per cultura politica, coerenza ed autorevolezza, a frequentare il Palazzo. Abbiamo toccato dunque il fondo: non ci resta che sperare nella risalita! E allora non possiamo non chiederci: ma cosa aspettano tutti quanti a togliere il disturbo! Cosa aspettano tutti quanti ad andarsene a casa! Sarebbe l’unico caso in cui farebbero un servizio alla città: la libererebbero dal peso di una grottesca e ridicola protervia e di una avvilente mediocrità politica, che stanno diventando sempre più insopportabili e intollerabili!
Apprendiamo, nel momento in cui andiamo in stampa, che il 7 ottobre, dopo l’audizione del sindaco Abbate e dell’assessore Giannone, dinanzi alla magistratura contabile di Palermo, questa ha finalmente approvato il piano di riequilibrio. Ciò, ovviamente, non cambia di una virgola le considerazioni espresse nell’articolo, considerato che ci sono voluti oltre due anni perché tale strumento finanziario fosse redatto in maniera corretta e coerente, sì da ottenere, in tempi accettabili, il placet della Corte dei conti.
NOVEMBRE 2015
LACRIME DI COCCODRILLO
Questo nostro articolo vuole essere una sorta di rassegna delle castronerie e delle omissioni che la classe politica modicana ha compiuto in quest’ultimo quindicennio: un bilancio degli orrori, insomma, ma all’insegna della sintesi, ovviamente, giacché lo spazio a disposizione non ci consente di esporlo in maniera esaustiva e dettagliata. I motivi che ci spingono ad elencare le malefatte di consiglieri, deputati, senatori, sindaci e assessori sono fondamentalmente due: da un lato, l’esigenza, che avvertiamo forte in noi, di dare il nostro modesto contributo alla crescita della coscienza civile di questa città, che può avvenire se si fa memoria del passato, anche di quello molto recente; dall’altro – e questo i Lettori lo comprenderanno bene alla fine di queste nostre considerazioni - perché emerga in modo chiaro che il declassamento, politico e amministrativo, di cui oggi è vittima la nostra città affonda le sue radici nella politica voluta e realizzata dalle due precedenti Amministrazioni che hanno governato Modica e da quella attuale, che purtroppo non ha finora manifestato alcuna discontinuità con le precedenti.
In questi anni, attraverso i nostri articoli, abbiamo cercato – non sappiamo, ovviamente, in che misura ci siamo riusciti – di scuotere quei nostri concittadini vittime di un torpore intellettuale che li ha condotti ad una deleteria rassegnazione e a salutare con entusiasmo delle realtà che andavano invece combattute con veemenza e che col tempo hanno finito per defraudare la nostra città della sua stessa anima, riducendola ad un “freddo e anonimo mercato”.Quando Modica cominciò a diventarlo, lo denunciammo con forza e determinazione e non ci unimmo mai al coro festante che celebrava le meraviglie del chococircus, della donna – cannolo, del chococlown, della domatrice dei pasticceri e di altre simili volgarità e idiozie linguistiche. Parliamo ovviamente dell’Eurochocolate, che regalava alla stragrande maggioranza dei modicani il fumo del caos, del disordine e della confusione, e ad una parte, invece, largamente minoritaria, l’arrosto del profitto e di lauti guadagni. Denunciammo, allora, ciò che a noi sembrava evidente: che la massa si diverta, tra odori e sapori, lustrini e rumori, e dimentichi, almeno per qualche giorno, i gravi problemi con cui la città deve quotidianamente confrontarsi.
Furono i tempi della città – marketing, quando assistevamo, attoniti, al triste e anonimo sciamare dei nostri concittadini sul corso principale della città: molti, fra questi, senza decoro e dignità, attratti da uno scopo assai meschino: “scroccare” a più non posso i gratuiti assaggini! All’Eurochocolate di Torchi subentrò poi il Chocobarocco di Buscema: come dire, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia! Filippo Pinelli, segretario generale della Fine Chocolate Organization dichiarò allora: “ La festa di Modica è tra le poche che meritano di essere promosse (…) perché è rivolta alla promozione di un’autentica cultura”: la cultura cui siriferiva era, ovviamente, quella del cioccolato! E Nino Scivoletto, direttore del Consorzio, da parte sua invitata tutti “a raccogliersi attorno ad un nuovo claim che ispira all’unità di azioni e di intenti da parte di tutti gli attori coinvolti in questa operazione che sa già di miracolo”.
“L’unità di pensiero e azione – scrivemmo allora – ci ricorda personaggi, eventi e momenti della nostra vita nazionale che sarebbe stato opportuno non scomodare, per accostarli ad una operazione commerciale festaiola e paesana”. Non riuscivamo allora, e non riusciamo nemmeno oggi, a non giudicare volgare lo sgradevole frastuonodella massa, con l’aggravante delle bocche impastate di cacao! E tutto questo denaro veniva sperperato – sia con l’Amministrazione Torchi sia con l’Amministrazione Buscema - mentre i dipendenti comunali non riuscivano a percepire mensilmente il loro stipendio, dovendo affrontare, pertanto, gravi problemi per far quadrare il bilancio familiare. Ricordiamo ancora l’ilarità ma anche lo sgomento con cui ascoltammo le continue esortazioni, provenienti da Palazzo San Domenico e rivolte ai modicani, perché la sera del 14 dicembre del 2003 si sintonizzassero su Canale 5, perché per una manciata di minuti Modica sarebbe stata alla ribalta nazionale. Scrivemmo allora: “ Per la storia dell’antica Contea? Per lo splendore dei suoi palazzi barocchi? Per la musica del Floridia? Per la filosofia dell’Ottaviano? Nossignori! Per il cioccolato e il pane casereccio!” Si trattava, quella volta, della Festa dei sapori, quando gli atri degli antichi palazzi furono profanati dal tumazzu e dalle fave cottoie! In questa città, che si smarriva tra fiere, sagre e festini, la politica locale organizzava, come se tutto ciò non bastasse, la celebre Notte Bianca, espressione di un avvilente provincialismo. Un evento che può avere senso in una metropoli ma non certo in una cittadina di provincia: la si organizzava per non sentirsi provinciali e non ci si accorgeva che facendo ciò si perdeva il segno tangibile della nostra originalità e si celebrava il trionfo del più gretto provincialismo. E come non ricordare la ridicola Giostra dei Chiaramonte, che era tale non soltanto perché storicamente falsa ma anche perché veniva organizzata in maniera risibile e con deludente approssimazione.
E come dimenticare l’iniziativa “Vacanze di Natale 2006”, in cui si decise di rappresentare Modica come un set cinematografico che riprendesse il “famoso” film di Boldi e De Sica, noti, come tutti sanno “per il buon gusto e la signorilità, e per le loro battute improntate ad indiscussa eleganza!”
Ma si sa, non c’è alcun politico disposto a rinunciare alla politica del panem et circenses, sempre redditizia sul piano elettorale, e infatti Torchi e Buscema non vi rinunciarono: il primo tentò, senza riuscirci, il grande salto a Palermo; il secondo, come abbiamo recentemente scritto, ne fu tentato, ma poi vi rinunciò. E mentre i modicani diventavano distratti e festaioli, in contrada Zimmardo si abbattevano centinaia di ulivi e carrubi perché qualcuno aveva deciso di realizzarvi un kartodromo; per quanto riguarda Cava Gisana, invece, qualcun altro aveva deciso di devastarla per costruirvi un impianto di biomassa e in contrada Cella, una zona dalla splendida vegetazione e ricchissima fauna, veniva sventrata una collina perché vi si potesse estrarre roccia calcarea.
Ma non è stato soltanto l’interesse a guadagnare consensi ad aver distratto e distrarre sindaci, onorevoli e assessori dal pensare a risolvere i problemi della città. Le lotte di potere, la trasmigrazione dei consiglieri da uno schieramento politico all’altro, il nepotismo, le avvilenti richieste di maggiore visibilità, gli inutili e biasimevoli rimpasti nelle giunte, le energie sprecate per pianificare carriere politiche più prestigiose e remunerative: tutto questo ha avuto ed ha tuttora il sopravvento sulle esigenze e sui bisogni della comunità che si amministra.
A tutto questo si aggiunga la sciagurata convinzione che il futuro della città dipendeva e dipende esclusivamente dalla incentivazione del turismo e del commercio: tutto ciò ha contribuito a condurre i Modicani nella palude di una visione materialistica, e pertanto gretta, del vivere comune, e, col tempo, a ridurre i cittadini dell’antica Contea a semplici ingranaggi di un sistema, quello dell’azienda Modica, mentre il patrimonio storico e culturale veniva e viene abbandonato e il senso civico è ormai definitivamente crollato.
In nome di queste nuove divinità, commercio e quattrini, la nostra splendida campagna, nel 2011, veniva deturpata da un altro mostro di cemento; un altro centro commerciale, per far felici i tanti alienati che oggi, come allora, vi trascorrono delle ore, portandosi appresso anche i figli, così potranno illudersi di essere in quel parco che la città non possiede: quel parco sempre promesso e mai realizzato. Un altro tassello si aggiungeva ad uno squallido mosaico: quello della cementificazione della città. Per quanto riguarda l’attuale Amministrazione abbiamo già espresso, più di una volta, le nostre critiche: anch’essa è in perenne campagna elettorale, alla ricerca del facile consenso, e pertanto non mostra alcuna discontinuità con le Amministrazioni che l’hanno preceduta. In quest’ultimo quindicennio, durante il quale i nostri amministratori, come abbiamo visto, sono stati impegnati e ancora lo sono in queste eccezionali (!) imprese e sono stati e sono distratti da altri pensieri e impegnati in altre occupazioni, e non certo a risolvere i veri problemi della città, altrove si pianificava un programma a lungo termine, per ridimensionare il ruolo di Modica all’interno dell’ex provincia iblea, e conferire alla vicina Ragusa - proprio adesso che, con la scomparsa delle province, la centralità degli ex capoluoghi va rivista e rideterminata – il monopolio della gestione amministrativa e persino giudiziaria dell’ex territorio provinciale.
Naturalmente, Modica paga il conto, salatissimo, di avere eletto alla Camera dei Deputati Nino Minardo, il cui ruolo politico a Roma, come ben sappiamo, è del tutto irrilevante, e non crediamo abbia avuto la lungimiranza di prevedere quel che stava accadendo e se invece l’ha avuta non ci è mai parso eccessivamente preoccupato. Anche la senatrice Venera Padua e il deputato regionale Orazio Ragusa, in quanto sciclitani, non hanno fatto nulla per proteggere il comprensorio, al quale anche la loro città appartiene, dai reiterati scippi che ha subito e sta ancora subendo.
Naturalmente, non tutto ciò che è stato soppresso nella nostra città o non è stato ancora fatto è legato a queste dinamiche territoriali, molto è dipeso dalla inefficienza di chi ha gestito e gestisce la cosa pubblica: si pensi alla chiusura della caserma dei Carabinieri a Frigintini e dell’Ufficio postale a Marina di Modica; al Castello dei Conti, al Palazzo dei Mercedari e a Palazzo Polara che dopo anni aspettano ancora di essere riaperti o alla vicenda della Biblioteca Comunale, la cui mancanza, di fatto, in una città come la nostra, è un’autentica vergogna. Per quel che riguarda, invece, la sistematica spoliazione della nostra città, Modica in questi anni ha subito la chiusura del Carcere, del Tribunale, dell’Esattoria e della Condotta agraria. Adesso rischia di perdere anche la sede dell’Agenzia delle Entrate.
Temiamo - e ci auguriamo che ciò non debba mai accadere - che prima o poi sarà il turno dell’Archivio di Stato. Se questo dovesse essere spostato nella sede di Ragusa ci troveremmo dinanzi ad un fatto inqualificabile: la memoria storica va conservata e non dispersa; e da questo punto di vista la preziosa documentazione conservata a Modica, testimonianza dei secoli trascorsi, deve restare nella nostra città: non perché lo vogliamo noi, ma perché lo vuole la Storia! Dinanzi a ciò che sta accadendo, tutti, adesso, si sciolgono in lacrime. Ma sono lacrime di coccodrillo!
DICEMBRE 2015
Le colpe del terrorismo islamico e le responsabilità dell’Occidente
L’EMOZIONE E LA RAGIONE
Il nostro cuore è ancora colmo di sdegno e di dolore per quanto accaduto a Parigi lo scorso 13 novembre; un efferato eccidio che si aggiunge a quelli compiuti nella metropolitana londinese nel luglio 2005 e a quello che, nel gennaio di quest’anno, è stato compiuto contro Charlie Hebdo, giornale parigino che aveva “osato” fare della satira sul profeta Maometto, e che è costato la vita a dodici persone. Ciò che è importante, in questo momento, è che l’emozione, causata dalle tante, giovani vite spezzate, non soffochi in noi la capacità di analizzare, in modo oggettivo e razionale, quanto è successo. La condanna per queste azioni bestiali, disumane e sanguinarie realizzate dai fondamentalisti islamici è fuori discussione, ma questo non deve impedirci di guardare alle colpe dell’Occidente: intendiamo riferirci all’Europa e soprattutto agli Stati Uniti d’America.
A tal proposito, troviamo estremamente interessante il libro di George Huygens “L’arte di farsi attaccare”, che descrive con estrema chiarezza la tattica statunitense, che è quella di far credere all’opinione pubblica di intervenire nei conflitti per rispondere agli attacchi subiti. Fu così nella prima guerra mondiale, e fu così anche nella seconda, col famoso attacco giapponese alle isole Haway nella baia di Pearl Harbor. Nel 2010 lo storico americano Craig Shirley ha pubblicato un documento di venti pagine dei servizi di spionaggio della marina militare americana del 3 maggio 1941 che dimostra in modo inequivocabile che l’Amministrazione americana sapeva dell’imminente aggressione giapponese e non fece nulla per evitarla. Da tale prospettiva, non meraviglia che molti storici, politologi, giornalisti abbiano espresso dei dubbi anche sull’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre del 2001.
L’attacco (3000 morti) fu diretto al cuore della difesa e della finanza americana. Bisogna ricordare che il 6 agosto del 2001 Bush aveva ricevuto una informativa sulla Sicurezza in cui lo si avvertiva che Bin Laden stava preparando atti terroristici in America con attacchi aerei, ed è quanto meno incomprensibile che il presidente americano abbia potuto sottovalutare e addirittura non prendere nemmeno in considerazione un’informazione di tal genere. Per questo ed altri motivi, molti osservatori dubitano fortemente che l’Amministrazione Bush non sapesse nulla di quanto stava per accadere. Non è stato mai chiarito, ad esempio, per quale motivo, dopo l’attacco, pur essendo stati cancellati tutti i voli di linea che impedirono a tutti gli americani di volare, ciò fu invece consentito soltanto a 142 sauditi che, tramite 6 jet privati e 20 aerei di linea, lasciarono in gran fretta gli Stati Uniti: tra questi 142, 24 erano membri della famiglia Bin Laden. L’Amministrazione Bush si giustificò affermando che furono fatti andar via onde evitare che fossero vittime del clima antiarabo che, giustamente, si era diffuso in America dopo l’11 settembre. L’opinione pubblica non fu tuttavia informata del fatto che quelli non erano degli arabi qualsiasi e nemmeno che fra quei 142 vi erano anche i familiari di Bin Laden, ovvero di colui che fu immediatamente accusato di aver progettato l’attacco alle torri gemelle.
Nel settembre del 2001, gli investimenti della finanza saudita negli Stati Uniti – non va dimenticato ovviamente che i Bin Laden sono sauditi e che tali erano anche 15 dei 19 dirottatori - raggiungevano la stratosferica cifra di 860 miliardi di dollari (il 7 % dell’economia americana) e aveva nelle banche americane 1000 miliardi di dollari. Si può solo immaginare che cosa sarebbe successo all’economia americana se i sauditi avessero ritirato dalle banche una simile somma di denaro. Visto quanto accaduto, gli Stati Uniti, nel 2001, non si lasciano sfuggire l’occasione per invadere l’Afghanistan: la motivazione ufficiale è quella di scovare Bin Laden e annientare Al Qaeda, ma anche in questo caso avvengono delle cose inspiegabili. Viene infatti inviato un numero irrisorio di americani - qualche migliaio di soldati- considerato che si trattava di scandagliare le impervie montagne afghane, dove, tra l’altro, Bin Laden si muoveva ovviamente con grande disinvoltura, potendo contare inoltre su connivenze e protezioni; ma soprattutto sarebbe da spiegare il motivo perché si decise di dargli un incredibile vantaggio: non va dimenticato, infatti, che la zona dove si riteneva si nascondesse il terrorista fu attaccata due mesi dopo l’attentato di New York.
L’operazione Enduring Freedom ebbe inizio il 7 ottobre del 2001 con intensi bombardamenti americani e britannici: altri Stati, tra cui il nostro, diedero il loro supporto e inviarono poi i loro contingenti di “pace”: troppo ghiotta l’occasione per partecipare, dopo, alla spartizione degli appalti per la ricostruzione del Paese che prima avevano devastato. Ma tante sono le incongruenze in questa triste vicenda: come è possibile che quattro aerei non identificati si muovano liberamente nei cieli più controllati del mondo per quasi due ore? Per quale misteriosa causa gli aerei bucano la parte alta delle torri e i piani bassi esplodono? E per quale motivo le due torri vengono giù come fossero dei palazzi minati per essere demoliti? Riteniamo sia inevitabile dubitare della versione fornita dagli Stati Uniti: non c’è dubbio che l’attacco al World Trade Center fornisce agli USA l’occasione per invadere l’Afghanistan, paese assai ricco di petrolio, gas naturale e carbone. Tra l’altro, l’Afghanistan è la principale via di transito attraverso cui l’enorme quantità di petrolio proveniente dall’Asia centrale giunge fino al mare arabico: si può dunque capire cosa significhi dal punto di strategico ed economico averne il controllo.
Le cose non andarono diversamente per quanto riguarda la prima guerra del golfo (1990- 91) quando gli Stati Uniti intervengono per liberare il Kuwait dall’invasione irachena, dunque contro quel Saddam Hussein che prima avevano armato contro l’Iran, il grande nemico degli Stati Uniti. La guerra provocò la morte di 35 mila civili iracheni, ma un danno ancora più grande fu provocato dalle sanzioni economiche varate dall’ONU contro il Paese di Saddam. Citiamo i dati della FAO del 1995: 1 milione di morti tra gli iracheni di cui 567 mila bambini: tra i 6 e i 7 mila al mese; 50 mila morti adulti in più ogni anno rispetto alla media della mortalità in tempi di pace; malnutrizione infantile; collasso del sistema sanitario; effetti devastanti delle bombe all’uranio impoverito. Tutto questo nel nome del “dio” petrolio! Ben 34 Stati si unirono agli Stati Uniti, ma un ruolo di primo piano ebbero ovviamente la Francia e l’Inghilterra. E, purtroppo, le cose si svolsero allo stesso modo in occasione della seconda guerra del golfo (2003-2011) quando l’occasione per invadere l’Iraq fu trovata nel presunto possesso, da parte di Saddam, di armi di distruzione di massa, che mai però furono trovate dagli Ispettori dell’ONU. Agli Stati Uniti si unirono, come sempre, i fedelissimi alleati inglesi; e stavolta anche l’Italia, dal 2003-2006, ebbe un ruolo di primo piano, con la missione Antica Babilonia. Partecipazione che il nostro Paese pagò a caro prezzo nel novembre del 2003 con l’attentato a Nassiriya.
Il doppio gioco degli americani e dei loro alleati europei è fin troppo chiaro e tutto va giustificato se in gioco ci sono i loro interessi economici. Negli anni Ottanta, mentre la guerra fredda è ancora in corso, l’Occidente, in Afghanistan, finanzia, arma e appoggia i Talebani per rovesciare il regime filosovietico e impedire che l’URSS invada il Paese. Per quanto riguarda l’ISIS, ovvero lo Stato Islamico di Iraq e Siria, non è una forza improvvisamente nata dal nulla, ma è la figlia diretta dell’imperialismo americano ed europeo. L’ISIS ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq del dopo Saddam. E’ necessario ricordare che dal 2011 gli Stati Uniti hanno sostenuto e finanziato decine di movimenti terroristici tra cui Al Qaeda e quello che ora viene definito Stato Islamico: mercenari col compito di destabilizzare i governi nemici degli USA: quello siriano, e quello dell’Iran e per combattere gli Hezbollah in Libano. Ogni qualvolta gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia hanno attaccato il mondo arabo hanno ovviamente lasciato una scia di sangue: la morte di uomini, donne, bambini, provocando in quelle zone fame, miseria e distruzione. Tutto ciò che finora abbiano detto spiega il perché gli arabi ci odiano! Non c’è dubbio che l’Occidente ha fatto i suoi interessi ma è ovvio che intanto il mondo arabo faceva i suoi. L’Occidente ha finanziato e sostenuto il fondamentalismo islamico per i suoi interessi e adesso questo vuole distruggere l’Occidente che lo ha mantenuto in vita.
Perché l’Europa non è riuscita e non riesce a difendersi? Perché crolla dinanzi a tutto quello che accade? Noi riteniamo che due siano le cause: la prima sta nel fatto che gli europei hanno spacciato per tolleranza quella che è soltanto debolezza. Abbiamo costruito moschee, ben sapendo che assai spesso sono centri di indottrinamento fondamentalista, ma non è stato mai effettuato un serio controllo su questi luoghi di culto. Ci sono scuole e uffici, in Italia, che hanno tolto il crocifisso dai muri per non urtare la suscettibilità dei musulmani. Questa è stata ed è la debolezza dell’Occidente. Su un fatto avrebbe dovuto essere irremovibile: chi vi arriva deve accettarne usi, leggi e costumi. La seconda risiede, a nostro parere, nella mancata unità dell’Europa, come abbiamo potuto constatare nell’isolamento che l’Italia ha sperimentato nella gestione dei migranti Non c’è dubbio che il terrorismo approfitta di tale disunione e, d’altronde, che unione potrà mai essere quella fondata sul denaro e sugli interessi del mondo industriale, bancario e finanziario? Un’Europa che ha persino rinnegato le sue radici cristiane! Siamo un continente senza fondamenta. Anziché trovare compattezza nelle comuni radici, quelle giudaico-cristiane e greco-latine, abbiamo costruito la nostra unità sul mercato. Non siamo stati in grado di edificare l’Europa dei popoli, diversi per etnia, lingua e storia, ma accomunati dagli stessi valori, che sono quelli cristiani e quelli della rivoluzione francese: uguaglianza e libertà. Nemmeno adesso, dinanzi a queste stragi, l’Europa è in grado di organizzare una politica unitaria. E’ ridicolo, adesso, far finta di credere che si possa risolvere il problema bombardando la Siria e provocando altri morti. Il problema, purtroppo, se lo si risolverà, avrà una soluzione a lunga scadenza, perché è un problema di natura politica e culturale. Politica: perché l’Occidente - soprattutto Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia - deve smetterla di guardare ai paesi arabi come fossero il suo cortile di casa dove fare ciò che vuole, in modo da non esasperare l’odio che le popolazioni arabe già nutrono nei suoi confronti.
Gli Stati Uniti lo hanno sempre fatto con l’America latina e tutti sappiamo quel che hanno combinato; l’Unione Sovietica lo fece con l’Europa dell’est e conosciamo le rovine e le macerie che vi ha lasciato. Culturale: perché l’Occidente deve riappropriarsi della sua identità. Deve tollerare, certo, qualunque religione, anche quella musulmana, ma non può farsi islamizzare; deve tollerare, certo, qualunque cultura, anche quella araba, ma non può lasciarsi arabizzare. Sono coloro che arrivano che devono adeguarsi alla nostra cultura e rispettarla. Questa guerra possiamo vincerla solo se consapevoli di averla in qualche modo provocata e se saremo veramente uniti e compatti attorno a valori condivisi. L’ISIS dichiara di volere islamizzare l’Occidente: la risposta non può essere mandare gli aerei a bombardare la Siria o l’Iraq; la nostra risposta deve essere corrispondente alla intenzione del nemico: dobbiamo dimostrare loro che siamo compatti nel difendere i nostri valori, in questo caso le nostre radici cristiane, che sono tali per credenti e non credenti. L’Occidente deve usare maggiore cautela e un atteggiamento non aggressivo verso il mondo arabo e pertanto non intervenire nelle loro questioni interne; nello stesso tempo, però, deve avere maggiore fermezza nella difesa dei propri valori e della propria identità. Una soluzione è possibile, ma, purtroppo, è una soluzione che richiederà tempo, forse molto tempo! Chi diffonde l’idea che potrà essere risolta con le armi e in tempi brevi, mente, sapendo di mentire, e, ancora una volta, pone gli interessi politici e gli affari economici al di sopra del valore della vita, e dunque non fa che perpetuare una tragedia che in tal modo potrebbe non finire mai!