2014
Gennaio 2014
Qui non volano le aquile (Dialogo: gennaio 2014)
Febbraio 2014
Un intollerabile oltraggio: la logica del profitto al cimitero ( Dialogo: febbraio 2014)
Marzo 2014
Disprezzare la mediocrità della politica modicana
é un inderogabile dovere morale (Dialogo: marzo 2014)
Maggio 2014
Il “Grande Vecchio” e la fine delle utopie (Dialogo: maggio 2014)
Giugno 2014
La massa, l’untore e il pensiero unico (Dialogo: giugno 2014)
Ottobre 2014
E Modica affonda come una nave senza nocchiero (Dialogo: ottobre 2014)
Novembre 2014
La magia del ricordo e l’incanto della gioventù (Dialogo: novembre 2014)
Dicembre 2014
Per non dimenticare (Dialogo: dicembre 2014)
Gennaio 2014
QUI NON VOLANO LE AQUILE
A proposito della conferenza di fine anno del sindaco Abbate
Sullo scorso numero di Dialogo abbiamo scritto, in tono ironico, ovviamente, che a Modica, con l’Amministrazione Abbate, si sta realizzando il “migliore dei mondi possibili”, ed abbiamo ribadito che, a nostro parere, questo Sindaco è politicamente inadeguato a ricoprire l’importante incarico che la maggioranza degli elettori modicani gli ha voluto conferire. I motivi di questa nostra convinzione li abbiamo già esplicitati e non è dunque il caso di riproporli. Se a distanza di un mese torniamo ad occuparcene è perché oggi siamo più preoccupati di ieri, e far crescere la nostra apprensione per il futuro della nostra città è stata la conferenza di fine anno tenuta dal Sindaco a palazzo San Domenico. Leggendo il relativo comunicato emesso dall’Ufficio Stampa del Comune ci siamo resi conto che persino il “migliore dei mondi possibili” risulta inadeguato ad esprimere le “meraviglie” compiute in questi pochi mesi dal sindaco di Modica e i “prodigi” da lui promessi per il prossimo futuro.
Rimaniamo in ambito filosofico: siamo partiti da Leibniz, e, andando a ritroso nel tempo, siamo arrivati a Platone, perché forse soltanto il celebre Iperuranio è adatto a rappresentare la realtà paradisiaca verso cui Abbate, come abile e lungimirante nocchiero, sta conducendo Modica e i suoi fortunati abitanti. Siamo dunque passati da questo mondo – per quanto “il migliore possibile” – ad un altro che lo sovrasta, a quel “luogo sopra il cielo” che Platone immaginava immutabile e perfetto, a quella “pianura della verità” eterna depositaria della sapienza. Con l’Amministrazione Abbate, dunque, la nostra città sta liberandosi dalle catene che la tenevano ancorata al mondo della fisica e sta innalzandosi verso le alte e candide vette della metafisica. Che possiamo dunque sperare ancora? Nulla! E difatti, tralasciando a malincuore l’ironia – che come sempre aiuta a mitigare l’indignazione e lo sdegno - e incamminandoci sui sentieri dell’analisi realistica e concreta di quanto sta avvenendo, come cittadini di questa martoriata città non possiamo davvero aspettarci più nulla! Il rendiconto della conferenza di fine anno del Sindaco, pubblicato dal suo ufficio stampa, e infarcito di molte lacune sintattiche, conferma, drammaticamente, i limiti di questa Amministrazione, che abbiamo già evidenziato.
Leggendo il comunicato, abbiamo appreso che il comune di Modica è tornato ad essere un ente normale, che ha ingaggiato una lotta acerrima contro l’evasione fiscale, che la città ha cambiato volto, che finalmente è in atto la sua rinascita turistica e culturale, che c’è una squadra affiatata che lavora alacremente attorno al programma del Sindaco, che nella sanità il lavoro svolto dalla commissione paritetica ha raggiunto significativi risultati, che si stanno sostenendo le imprese e le famiglie, mentre per il prossimo futuro assisteremo alla esternalizzazione del sistema parcheggi e delle strisce blù (sic!) per il centro storico, cui seguirà il piano spiagge, il piano commerciale, l’istituzione delle isole ecologiche con un sistema di raccolta innovativo e moderno. Il Sindaco, infine, ha ricordato che la tarsu non è aumentata e a tal proposito ha annunciato che coloro i quali hanno scritto il contrario saranno denunciati! Confessiamo che questa notizia ci preoccupa enormemente: dobbiamo temere una crociata contro quella parte della stampa locale che osa dissentire?
Dobbiamo aspettarci che le notti, nella nostra città, saranno illuminate dal fosco chiarore dei roghi dove saranno bruciati i giornali non compiacenti? In questi anni, a palazzo San Domenico, ne abbiamo viste di tutti i colori, adesso riteniamo che davvero si stia avverando ciò che qualcuno, su questo stesso giornale, aveva previsto: col successore di Buscema la parabola involutiva della nostra città raggiungerà il suo punto più alto, e pertanto solo dopo questo Sindaco si potrà cominciare a sperare nella rinascita! Il libro dei sogni – tale è il comunicato dell’ ufficio stampa del Sindaco - è la prova definitiva che l’Amministrazione Abbate, ma questo lo avevamo previsto, non sta rinnovando nulla ed è in perfetta continuità con quanto fatto dalle Amministrazioni precedenti. Si tratta della solita politica fatta di chiacchiere, promesse e propaganda.
Il comunicato dell’ufficio stampa parla di mirabolanti risultati ma quasi mai ci spiega perché siano tali, e ci risulta che tali spiegazioni non le abbia fornite nemmeno il Sindaco durante la conferenza. Se invece le avesse date – ma, ripetiamo, non ci risulta affatto – sarebbe davvero da biasimare il comunicato inviato agli organi di informazione, perché impreciso e per nulla esaustivo.
Avremmo voluto sapere, ad esempio, in che modo si sta conducendo la lotta acerrima agli evasori fiscali, che cosa documenta la rinascita turistica e culturale della città, quali sono i significativi risultati ottenuti nella sanità, in che cosa consistono il piano spiagge, il piano commerciale, quali sono le motivazioni che rendono la raccolta dei rifiuti innovativa e moderna, e perché si debba considerare “straordinaria” la sinergia che l’Amministrazione Abbate ha instaurato – le sinergie si instaurano o si istituiscono: non si aprono! – con i centri commerciali naturali. Com’è facile constatare, siamo alle solite chiacchiere!
Modica non riesce a liberarsi dalla mediocrità politica dei suoi amministratori: la sgradevole abitudine di fare l’apologia di se stessi, poco elegante dal punto di vista umano e demagogica sotto il profilo politico, è certamente l’espressione più aberrante di tale mediocrità.
Modica non ha bisogno di un Sindaco che quasi quotidianamente è impegnato a tessere l’elogio di se stesso e il panegirico di ciò che realmente fa, di quel che immagina di fare e di ciò che ritiene sarà fatto. La nostra città ha bisogno di una nuova classe politica; necessita di persone che non hanno respirato l’aria malsana delle vecchie segreterie politiche, che non hanno cambiato troppo spesso bandiera: persone libere da tentazioni demagogiche e brame auto celebrative.
Dal tunnel in cui la città si trova se ne uscirà soltanto quando i modicani saranno capaci di darsi una classe dirigente consapevole che la politica non può essere ridotta ad un elenco di cose da fare. Persone consapevoli che la politica deve configurarsi, soprattutto, come Weltanshauung: essa deve esprimere una chiara visione del mondo ed è all’interno di questa che le scelte operative possono acquistare un significato civile e culturale. Ciò che si decide di fare nella città e per la città va infatti collocato all’interno di un progetto organico, ovvero nel quadro di una visione unitaria di come si intende far crescere e sviluppare la città che si amministra. Se così non è, tali scelte saranno soltanto delle semplici e banali “cose da fare” con cui riempire i soliti stucchevoli e insignificanti programmi elettorali.
Modica ha bisogno di amministratori che sappiano guardare lontano e volare in alto come le aquile: in questi anni abbiamo visto soltanto volatili di piccole dimensioni volare a bassa quota, incapaci di librarsi in alto nel cielo, per oltrepassare le rocciose vette dell’ordinarietà. “Ormai solo un dio ci può salvare”, diceva Heidegger: auguriamoci che tale aspettativa non debba valere per la nostra amata città!
Febbraio 2104
Sulla convenzione tra il Comune e la “Servizi cimiteriali Modica”
UN INTOLLERABILE OLTRAGGIO: LA LOGICA DEL PROFITTO AL CIMITERO
Nel corso dell’assemblea cittadina dell’1 febbraio, tenutasi all’Auditorium “Pietro Floridia”, organizzata dal Comitato per la vigilanza della gestione del cimitero, sono emersi dubbi e perplessità sull’accordo stipulato dall’Amministrazione Buscema con la SCM (Servizi cimiteriali Modica). Quest’ultima, come si sa, gestirà i servizi cimiteriali per ben 26 anni, visto che, a suo tempo, si aggiudicò il bando indetto dal Comune di Modica. A proposito di perplessità, ci sembra assai discutibile, ad esempio – come giustamente ha fatto osservare l’avv. Mario Caruso, uno dei tre legali cui si è rivolto il Comitato – che il collaudatore venga scelto non dal Comune ma dal concessionario, il che significa che il controllore controllerà se stesso!
Un aspetto certamente deplorevole della vicenda è il fatto – così come rilevato dal Comitato – che sia avvenuto un consistente aumento del costo dei loculi. La Società Operaia, ad esempio, che ha appaltato ad una ditta privata la costruzione di loculi, li sta vendendo al costo unico di 1575 euro; quelli della SCM costano dai 2100 ai 2400 euro: una differenza non di poco conto, oltre a pretendere dall’acquirente un acconto del 50 % sul costo finale! Forse si dimentica che tali costi non riguardano una merce qualsiasi, ma qualcosa che impone di accostarsi a questa vicenda con pudore, delicatezza e profondo rispetto.
E non è di poca rilevanza, poi, il fatto che in caso di risoluzione del contratto, per inadempienza del Comune, questo dovrà pagare una penale del 10 % del totale delle opere, mentre la legge regionale prevede il 10 % delle opere residue. Fin qui, in sintesi, i fatti. Se i dubbi e le perplessità emerse durante l’assemblea sono legittimi – e non abbiamo motivi per dubitarne - e se quanto denunciato è confermato dai fatti, la vicenda è assai riprovevole sotto il profilo civile e inquietante dal punto di vista morale. Su questo fatto avevamo visto bene: nel 2010, infatti, scrivemmo che con questa convenzione i politicanti modicani avevamo oltrepassato il limite della decenza!
L’intera questione ci sollecita delle riflessioni che vanno ben al di là dell’accordo tra la SCM e il Comune: si tratta, infatti, di cogliere il degrado in cui versa la nostra civiltà, che ancora ci ostiniamo a definire progredita; una civiltà che per troppo tempo è stata intossicata dal veleno iniettato nel suo tessuto socio-economico da un capitalismo sfrenato e immorale e dall’ideologia socialista, che, ovunque ha trovato attuazione, anziché dare il potere al proletariato lo ha conferito al partito che lo
ha esercitato in modo autocratico e violento. Perduti a rincorrere il mito di un’uguaglianza sociale ed economica impossibile quando la si consideri una meta da raggiungere – come la storia ha ampiamente dimostrato – ma forse meno difficile da realizzare se solo la si ritenesse un punto di partenza, nel senso di creare pari opportunità per tutti; smarriti nel perseguire l’obiettivo di accumulare quattrini ad ogni costo e prigionieri della domanda, dell’offerta, di mercati, capitali e investimenti, non siamo stati in grado di capire che forse un’altra soluzione era possibile.
Non abbiamo mai voluto prendere in considerazione la possibilità di intraprendere un’altra via : quella della socializzazione e della costruzione di un autentico Stato sociale; e, a causa di fortissimi interessi economici, sono stati messi in soffitta le indicazioni dell’economista Keynes, bistrattato, ovviamente, dalle potenti lobby di finanzieri, banchieri e affaristi, interessatamente innamorati di quel liberismo, vecchio e nuovo, che continua a rimpinguare i conti in banca dei ricchi e a fare sprofondare sempre più nella miseria i poveri. Sul piano internazionale, invece, legittima l’esistenza di un occidente sprecone e opulento e di un terzo mondo che lotta quotidianamente per la sopravvivenza. Del socialismo l’Europa si è finalmente liberata dopo decenni di infamie e di inganni; del capitalismo, purtroppo, ne siamo ancora schiavi e difatti continua ad avvelenare la nostra vita e a narcotizzare le nostre coscienze. La logica del profitto ha vinto e il villaggio globale si è drammaticamente omologato alla egoistica logica degli affari e all’indecente sfruttamento di intere popolazioni.
E’ la stessa logica che sta alla base della smisurata vergogna di una prassi, ormai consolidata, che dovrebbe farci arrossire: quella di fornire armi ai cosiddetti Paesi sottosviluppati per alimentare redditizie – per noi - guerre civili, per poi vestire i panni dei garanti della pace e della giustizia, in modo da assicurarci gli ambìti appalti per ricostruire ciò che noi stessi abbiamo deciso di distruggere: centinaia, talvolta migliaia di vite umane sacrificate sull’altare del dio-denaro e della logica spietata del guadagno a tutti i costi. Purtroppo col capitalismo e il neoliberismo – per i quali è una merce persino l’essere umano – siamo costretti a convivere, ma doverli tollerare persino tra i viali di un cimitero ci sembra davvero troppo!
Il fatto di utilizzare capitale privato per la gestione di un bene pubblico e così delicato qual è quello cimiteriale è aberrante, in quanto, così facendo, si introduce la logica del profitto in una realtà drammatica e profondamente triste qual è la morte degli esseri umani. Naturalmente, non è la SCM responsabile di questa scelleratezza, considerando che dal suo punto di vista sta investendo dei quattrini e intende averne un guadagno, responsabile è la precedente Amministrazione, che in alcun modo doveva consentire che la logica degli affari varcasse il cancello di un luogo sacro qual è quello in cui riposano i nostri cari.
Ma anche l’attuale Amministrazione sta dimostrando di non essere in grado di capire che la questione relativa al cimitero non è un problema che possa essere trattato alla stregua degli altri. Esso va affrontato con cautela e con un atteggiamento rispettoso della sensibilità altrui. Non è pertanto condivisibile l’atteggiamento del Sindaco, che, dopo due mesi dalla richiesta ufficiale, non ha ancora fatto pervenire al Comitato la documentazione sul project financing voluto dall’amministrazione Buscema, tenendo conto, tra l’altro, che la normativa imponeva di consegnarla entro trenta giorni dalla richiesta. Il Comitato ha deciso quindi, giustamente, di diffidare il Sindaco, il quale, anche davanti ad una vicenda delicata come questa, persevera nel suo atteggiamento, che è quello di essere troppo spesso restio a dare conto del suo operato, dimostrando, come più volte abbiamo ribadito, un dannoso egocentrismo politico che lo rende inadeguato a ricoprire questo importante incarico che, difatti, sta svolgendo con una preoccupante mediocrità politica e amministrativa.
Sulla lievitazione dei costi dei loculi, che purtroppo avevamo previsto, vogliamo sottolineare il fatto che potrebbe riservarci altre spiacevoli sorprese: là dove si insinua la mentalità capitalistica nascono, inevitabilmente, discriminazioni e ingiustizie, pertanto, non ci meraviglieremmo, se un domani, nel camposanto modicano, ci dovessimo ritrovare con loculi di prima categoria per i modicani abbienti e loculi di seconda categoria per i modicani che tali non sono.
La vita, come tutti sappiamo, si incarica, purtroppo, di realizzare odiose e ingiuste discriminazioni, ma, come diceva il grande Totò, nella sua celeberrima poesia “A Livella”, “ste pagliacciate” lasciamole fare ai vivi: la morte, invece, è una cosa tremendamente seria e andrebbe lasciata fuori da queste buffonate!
Marzo 2014
Disprezzare la mediocrità della politica modicana è …
UN INDEROGABILE DOVERE MORALE
Che la politica “alta” non alberghi nelle stanze di palazzo San Domenico è cosa nota, ed in questi anni lo abbiamo ripetutamente scritto. Le due precedenti Amministrazioni, quella di Torchi, prima, e quella di Buscema, dopo, hanno certamente contribuito a condurre la politica modicana – che già da prima, sicuramente, non brillava per acume intellettuale e per capacità amministrativa – in una palude da cui difficilmente la città potrà uscirne indenne. Prima la città–shopping voluta da Torchi e per realizzare la quale è stata sperperata una ingente quantità di denaro per dar vita a feste, sagre e ridicole giostre chiaramontane, nel nome del sempre utile – per chi governa – “panem et circenses”. Dopo, la città–amorfa dell’Amministrazione Buscema, quella che celebrava la supposta, e per tanto ridicola, superiorità morale e intellettuale del cattocomunismo e della nuova sinistra convertitasi alla democrazia: un’Amministrazione che spargeva in città il seme avvelenato della faziosità politica e culturale.
La logica conseguenza di questi anni bui non poteva che essere l’attuale Amministrazione Abbate, certamente più catastrofica delle due precedenti: il che è tutto dire! Un’Amministrazione preoccupata di garantirsi indennità e gettoni di presenza e che mette tale questione come primo punto urgente all’ordine del giorno del civico consesso si qualifica da sola e pertanto ci asteniamo da ogni ulteriore commento! Quelle due, infatti, pur nelle loro gravi manchevolezze e nelle loro deleterie negligenze, erano in possesso di una ben precisa identità, che, sebbene negativa, in qualche modo le connotava. L’attuale ci ricorda la celebre notte hegeliana in cui “tutte le vacche sono nere”. Più la si guarda e meno la si capisce; più la si osserva e più si fa fatica a comprendere cosa faccia e cosa intende fare per la città. E’ come un puzzle irrisolvibile: se si prova a mettere insieme i pezzi sparpagliati, ci si accorge che occorre sempre cominciare d’accapo. E’ un ibrido indecifrabile e indefinibile. E’ come il celebre àpeiron di un ben noto presocratico: è l’assolutamente indefinito; il totalmente indeterminato. Un’amministrazione guidata da un Sindaco che in svariate occasioni ha mostrato una deleteria arroganza politica.
Si pensi, ad esempio, al modo in cui ha risposto a quei sindacalisti e a quei cittadini che hanno criticato le spese effettuate dal Comune per le luminarie del recente carnevale: “A tutti coloro che hanno da lamentarsi faccio sapere che di queste spese negli anni ne faremo sempre di più” (Sic!) Un’arroganza, politica ovviamente, che troppe volte lo rende poco propenso a dare conto del suo operato e che spesso gli fa dire delle cose politicamente sciocche: egli infatti non perde occasione per ripetere che lui deve dar conto soltanto ai cittadini, dimenticando che non siamo in un’antica polis coi cittadini che lo ascoltano riuniti nell’agorà, ma in una democrazia rappresentativa, dove questo è possibile farlo soltanto nell’unico luogo deputato a rappresentare la cittadinanza, ovvero il civico consesso, che non ci sembra che Abbate tenga nella giusta considerazione, dimenticando che è un suo dovere istituzionale porre il Consiglio comunale al centro della politica locale. L’attuale Amministrazione, ovviamente, e il modo discutibile in cui il Sindaco interpreta il suo ruolo, sono soltanto due tasselli dell’ampio e complesso mosaico del degrado della politica modicana.
La nostra città, come tantissime altre in Italia, deve fare i conti con molte difficoltà, ma crediamo sia ormai chiaro che il problema più grave che le impedisce di progredire è di ordine culturale: le forze politiche che dovrebbero rappresentarla sono prigioniere di una mediocrità che non dà scampo alla città; sono fautrici di una politica intesa come strumento per fare soldi e carriera. L’infimo livello culturale dei politicanti modicani è testimoniato dalla qualità delle tematiche sulle quali si discute e si litiga. Purtroppo, tale mediocrità proveniente dal Palazzo sembra si stia diffondendo anche in altri luoghi della città: si pensi all’acceso dibattito riguardante l’unificazione del Liceo Classico e del Liceo Scientifico, ovvero se è più corretto anteporre il nome di Galilei a quello del Campailla o se è più giusto fare il contrario, come se i Modicani non avessero cose più serie cui pensare! In quest’ultimo periodo, poi, si è ampiamente discusso su un problema davvero “fondamentale” per la nostra vita e per il futuro di Modica: il Comune, infatti, ha speso 7.000 € per illuminare il centro storico in occasione del carnevale.
Piero Pisana, segretario della Camera del lavoro, e l’onnipresente Cavallino, consigliere comunale, hanno fortemente contestato il Sindaco perché, a loro parere, sperperare denaro in tempi di crisi è offensivo per tutti coloro che vivono nell’indigenza. Confessiamo che il fatto un po’ ci preoccupa, ma non possiamo tacere che stavolta siamo d’accordo col Sindaco, sia perché la somma spesa è veramente irrilevante, sia perché tale cifra non può certo aggravare la situazione finanziaria dell’Ente, sia perché dare un po’ di colore alla città per qualche giorno non riteniamo possa essere oltraggioso per alcuno. Sono critiche che ci sembrano davvero pretestuose. Fatte da Cavallino, invece, oltre che pretestuose ci sembrano quanto meno paradossali.
Che noi non nutriamo alcuna stima per l’agire politico di questa persona è cosa nota a chi ci legge. Non riusciamo a dare alcun valore agli interventi (in questo periodo, tra l’altro, sulla stampa locale si susseguono con cadenza quasi giornaliera: una ricerca di visibilità ad ogni costo, che risulta davvero insopportabile e fastidiosa) di chi ha cambiato più di una volta casacca, di chi ha fatto l’assessore col centrodestra e col centrosinistra, ma soprattutto di chi è stato amministratore a fianco del sindaco Torchi. Insomma, Cavallino, che oggi lancia i suoi strali contro Abbate che spende per il carnevale la miseria di 7.000 €, sembra aver dimenticato gli anni in cui sedeva nella giunta Torchi, che di soldi per luminarie, balli, feste e sagre ne spendeva e dilapidava molti, ma molti di più! E Cavallino, divenuto all’improvviso un paladino della sobrietà, parla. Parla ed interviene! Ovviamente, Tato Cavallino è come la punta di un iceberg: è solo la parte che emerge – e certo lui non fa nulla per evitarlo – dell’enorme blocco di ghiaccio; poi c’è la vastità della parte sommersa, che certamente non è politicamente migliore di lui.
E molti, ancora, continuano a domandarsi perché Modica non riesce a liberarsi di una mediocrità ormai devastante. Viviamo in una città che da troppo tempo ha una classe politica inadeguata, con politicanti che cambiano bandiera con gran disinvoltura e senza mai arrossire, sempre pronti a salire sul carro del vincitore, e che troppo spesso scambiano il civico consesso per un ufficio di collocamento.
Una città dove ogni iniziativa è definita, enfaticamente e pomposamente, culturale: una città, quindi, che non è in grado di distinguere le attività davvero meritorie sul piano culturale, che seppur poche certamente ci sono, da quelle che invece sono soltanto espressione di gretto provincialismo. Anche questo non fa che rafforzare in noi la convinzione che disprezzare la mediocrità non è manifestazione di superbia e di altezzosità: è un inderogabile dovere morale!
Maggio 2014
I mali della Sanità nel territorio Ibleo
IL “ GRANDE VECCHIO “ E LA FINE DELLE UTOPIE
Nello scorso mese di aprile, un altro caso di malasanità ha ulteriormente offuscato l’immagine, già da tempo negativa, dei servizi sanitari della nostra provincia: anche se, in verità, occorrerebbe parlare di disservizi, visto che la cattiva gestione è segnalata in quasi tutti gli ospedali dell’area iblea. Si pensi che a Comiso, ad esempio, occorrono da 94 a 138 giorni per una colonscopia e da 68 a 174 per una ecografia all’addome: l’aspetto tragicomico della vicenda sta nel fatto che i cittadini vengono poi costantemente subissati di opuscoli inneggianti alla prevenzione, e intanto, visti i tempi di attesa, l’ammalato corre il serio rischio di non poterla mai effettuare, l’osannata prevenzione! Anche all’Ospedale “Maggiore” di Modica, per quanto riguarda le liste di attesa, le cose non vanno sicuramente meglio!
Il 14 aprile, in quello di Vittoria, un’anziana signora modicana ha dovuto attendere, in piedi, per ben cinque ore, prima di potersi sottoporre all’esame che aveva prenotato. Una visita fissata per le 10.30 che ha avuto luogo alle 14.30, e l’attesa è avvenuta in un corridoio dove erano assiepate trenta persone con soli dieci posti a sedere. Ciò che è ancora più inaccettabile è la presenza di un solo medico per visitare decine di persone. L’episodio è deplorevole sia dal punto di vista umano, giacché non è possibile che un ambiente ospedaliero - dove si trovano persone, spesso in età avanzata e certo non in buone condizioni di salute - debba assumere i tratti vergognosi di un carro bestiame; sia dal punto di vista professionale, poiché non è pensabile che un solo medico, in poche ore, possa visitare trenta pazienti con la necessaria attenzione e la doverosa scrupolosità che una visita medica richiede. Chiunque ha avuto la spiacevole esperienza di prenotare una visita e di recarsi poi in qualche ospedale della provincia di Ragusa sa bene, purtroppo, che il caso di Vittoria non è l’eccezione, ma la regola. La situazione del pronto soccorso del “Maggiore” di Modica, ad esempio, non ci sembra più tollerabile, visto che, tra l’altro, è al servizio di un comprensorio molto vasto che, oltre a Modica, comprende Scicli, Ispica, Pozzallo, Pachino e Rosolini e considerato che il numero dei pazienti è in costante aumento per la presenza di sempre più immigrati.
La carenza di personale è divenuta ormai cronica, con la gente costretta ad aspettare ore prima di ricevere assistenza, soprattutto nei giorni festivi e prefestivi, quando, anche per l’assenza dei medici di famiglia, si registra una maggiore affluenza di cittadini bisognosi di cure. Evidenziare le cause delle disfunzioni, dei disservizi, della mancanza di rispetto di cui spesso sono vittime i pazienti, è ovviamente un’impresa non semplice, giacché non può essere sufficiente lo spazio di un articolo per poterli elencare e adeguatamente analizzare. Occorrerebbe, infatti, addentrarsi in tematiche di natura politica, etica e sociologica: insomma una problematica assai complessa e che sarebbe riduttivo e semplicistico pretendere di approfondire in poche righe. Ci limiteremo, pertanto, a fornire alcuni spunti di riflessione, con l’auspicio che possano essere utili per più approfondite considerazioni.
Non ci soffermiamo sui casi più eclatanti riguardanti il degrado della professione medica, poiché questi meriterebbero una specifica trattazione: ci riferiamo a quei chirurghi che prospettano al paziente tempi biblici per operarlo in struttura pubblica in modo tale da indurlo ad eseguire l’intervento, a pagamento ovviamente, nella sua clinica privata o a quelli, i peggiori in assoluto, che diagnosticano al malcapitato un terribile male, in verità inesistente – facendogli vivere, per giorni o per settimane, una situazione psicologica angosciante – al solo scopo di sottrargli denaro, sottoponendolo ad un intervento inutile e rischioso. Sappiamo bene che i primi non sono la maggioranza e che i secondi, autentici “mostri”, sono una esigua minoranza, così come siamo consapevoli che esistono tanti medici – alcuni li conosciamo personalmente - che svolgono la loro professione con competenza e dedizione. Non intendiamo, dunque, criminalizzare un’ intera categoria, ma questo non può esimerci dal denunciare che al suo interno ci sono anche queste persone senza scrupoli e senza dignità, che non hanno rispetto per il prossimo, perché l’unico scopo della loro vita è quello di accumulare quattrini. Tuttavia, al di là di questa minoranza di lestofanti - e ribadiamo, ancora una volta, la nostra stima per i tanti medici che sono invece preparati ed onesti – dobbiamo purtroppo constatare che le tante disfunzioni della sanità italiana, e di quella siciliana in particolare, non sono legati soltanto a carenze di ordine strutturale, agli scandali di natura finanziaria, alle nomine di tanti manager e primari dovute ad amicizie politiche e non a meriti professionali, ma sono legati in gran parte al degrado della classe medica.
Non vogliamo risuscitare la figura del medico “missionario”, disposto a sacrificare ferie, vacanze, viaggi ed anche il sonno notturno per correre al capezzale di un suo paziente ammalato, anche se a molti degli attuali medici potrebbe risultare utile chiedersi perché coloro che li hanno preceduti in questa nobile professione erano disposti a fare tali sacrifici. Visto che in Italia non conosciamo le mezze misure, siamo così passati dal medico “missionario” al medico “burocrate”, che non sa o non vuole più parlare col paziente, che si prende cura del suo organo ammalato ma non della persona nella sua interezza, per niente disposto, se non retribuito, a prolungare il proprio lavoro se qualcuno ha bisogno ancora di lui, troppo preoccupato del suo benessere economico e assai meno del benessere fisico e psichico di chi spera di trovare in lui non soltanto una soluzione alla sua malattia ma anche una parola di aiuto e di sostegno. Ci rendiamo conto che quanto detto potrà dare fastidio a coloro i quali tutto ciò lo fanno e ce ne dispiace, ma devono concordare con noi che sono rimasti in pochi, davvero pochi, e che la gente è stanca di avere a che fare con una classe medica non sempre attenta al malessere psichico e alle difficoltà economiche dei pazienti. La carriera, il successo, il denaro: sono gli idoli della società in cui viviamo ed era inevitabile che, come tutte le altre categorie, anche quella medica finisse per inchinarsi a queste nuove divinità.
Lo sfrenato sviluppo industriale e tecnologico, il liberismo senza scrupoli, il capitalismo, con la sua ignobile logica del profitto ad ogni costo, hanno reso la cultura umanistica una realtà obsoleta e inutile, avvolgendo tutti noi in una logica autodistruttiva, perché senza Umanesimo siamo destinati a diventare individui eterodiretti, manichini senz’anima, al servizio di quei pochi esseri diabolici che governano il nostro pianeta.
Anche la sanità, come la scuola e altre istituzioni, sta pagando un prezzo altissimo al tramonto dell’Umanesimo: la sua fine sta rendendo il nostro prossimo una semplice funzione, un utensìle, un mezzo da utilizzare per i nostri fini, anche quelli più abietti. E se la cultura umanistica sta naufragando non è colpa della scuola, semmai delle famiglie (ma questo argomento meriterebbe di essere analizzato a parte e non escludiamo di farlo in una prossima occasione) e non è colpa nemmeno dei burattini che credono di governare l’Italia o l’Europa, ma di coloro che, avendo nelle mani le chiavi del vero potere – quello industriale, bancario e finanziario – stanno decidendo, nell’ombra, che tipo di umanità occorre avere per conseguire i loro loschi interessi. Si pensi alle decine di migliaia di giovani che ogni anno vogliono entrare nella facoltà di Medicina: tutti innamorati della professione medica? Tutti desiderosi di spendere la loro vita al servizio del prossimo? O tutti ammaliati da una futura esistenza che sognano di trascorrete tra l’attico e la villa! Giovani che stanno sacrificando i sogni e le utopie sull’altare dell’Avere, dimenticando la nobiltà dell’Essere! Ragazzi che, inconsapevolmente, stanno ponendosi al servizio di colui che la nostra generazione chiamava “il grande vecchio”!
Giugno 2014
LA MASSA, L’UNTORE E IL PENSIERO UNICO
Sono trascorsi dieci anni da quando ho cominciato a scrivere su questo giornale. Ormai so che molti Lettori apprezzano ciò che dico e altrettanti non lo condividono, ma tuttavia, gli uni e gli altri, insomma tutti i nostri abbonati, sono per noi redattori come una grande famiglia, alla quale ogni mese affidiamo i nostri pensieri e le nostre riflessioni, nella speranza che a tutti, estimatori e detrattori, possano comunque essere in qualche modo utili per sollecitare considerazioni, critiche, opinioni. A questa che considero, come detto, una sorta di grande famiglia, ho deciso di confidare il mio attuale stato d’animo: sono stanco, stanco della superficialità e dell’ ipocrisia che mi circonda; non ne posso più dei soliti luoghi comuni dei presunti tolleranti in servizio permanente effettivo e dei supposti progressisti, che non tacciono mai, nemmeno quando il silenzio potrebbe riscattarli dalla loro insopportabile saccenteria. La nostra società, cosiddetta occidentale, vive una decadenza inarrestabile e talvolta, anzi spesso, viene meno la speranza di una sua possibile rinascita.
Vivo nella scuola da trent’anni e credo che mai questa nobile istituzione abbia vissuto nel nostro Paese una crisi così devastante come quella attuale. E’ la scuola voluta da Confindustria, la scuola al servizio della tecnocrazia, dove le conoscenze hanno ceduto il posto alle competenze, dove i progetti si susseguono con ritmi vertiginosi: progetti spesso inutili e che vi trovano ampio spazio al solo fine di fare un po’ lievitare il misero stipendio dei docenti, e intanto gli alunni sono costretti a rimanere a scuola anche nelle ore pomeridiane, sottraendo tempo allo studio, quello vero, quello che non c’è più, perché i nostri ragazzi, in questa società malata, non conoscono la fatica dello studio quotidiano, della riflessione profonda, dell’impegno assiduo.
Tutto ciò è il risultato di una politica tesa ad annientare la scuola statale – quella privata non mi interessa, perché non mi occupo di diplomifici - con l’obiettivo che non riesca più a educare i giovani alla coscienza critica e alla formazione umanistica, così da avere intere generazioni da manipolare a piacimento. Dal prossimo anno scolastico, a questa bella collana di idiozie si aggiungerà un’altra perla, partorita da un’altra mente eccelsa, quella della nuova ministra della Pubblica Istruzione: l’alternanza scuola – lavoro per gli studenti del quarto e quinto anno delle scuole superiori. Per l’interazione tra apprendimento in aula ed esperienza di lavoro – cosa del tutto inutile, visto i livelli stratosferici raggiunti in Italia dalla disoccupazione giovanile – si potrà utilizzare fino al 35% dell’orario annuale delle lezioni. Altro tempo sottratto allo studio; e l’ignoranza crescerà, con la complicità di alcuni e nell’indifferenza di tanti! E’ l’apoteosi della decadenza! Basti pensare che sulla poltrona che fu di De Santis, Croce e Gentile, in questi decenni si sono accomodati personaggi come Berlinguer, la Moratti, Fioroni, la Gelmini, la Carrozza e ora la Giannini! Non ne posso più, perché se affermo questo mi si accusa di essere un nostalgico: l’untore che spalma sulle porte delle
nostre scuole il malefico unguento della reazione!
Mi dà fastidio leggere ed ascoltare che l’omosessualità, ormai dilagante, sia considerata un fatto “normale”. Non riesco a guardare con naturalezza due donne o due uomini che si scambiano tenerezze in un luogo pubblico e non condivido affatto che due persone dello stesso sesso possano sposarsi o addirittura adottare dei bambini.
L’adottare da parte di omosessuali lo considero un’autentica scelleratezza, perché per puro egoismo si condanna un essere umano a sentirsi diverso per tutta la vita e a convivere con irreparabili danni psichici e mentali. Eppure questa nostra società è impegnata, in maniera quasi spasmodica, a far passare l’idea che l’omosessualità sia un fatto normale, e ciò sta avvenendo attraverso un’operazione culturale subdola e ingannevole, si sta compiendo mischiando le carte, mediante un trucco terminologico che è quello di associare sempre il termine normalità alla parola tolleranza. La seconda è sacrosanta anche per me, che pur non nascondo il fastidio di cui ho detto. Non potrei mai calunniare o discriminare un omosessuale, ma la normalità è un’altra cosa e va identificata con ciò che è naturale. Due omosessuali non possono generare la vita e dunque lasciamo stare la normalità, perché la natura, fino a prova contraria, si esprime ancora in forme diverse. E’ evidente, allora, perché non ne posso più: perché se affermo questo mi si accusa di essere un insofferente; l’untore che spalma nelle nostre vie e nelle nostre piazze il malefico unguento dell’intolleranza!
Gli extracomunitari arrivano a centinaia, ormai a migliaia, sulle nostre coste; i centri di accoglienza scoppiano, ma i buonisti, quelli in servizio permanente effettivo, predicano l’accoglienza, e fin qui siamo d’accordo, ma sbagliano a non guardare oltre l’orizzonte dell’ospitalità. Questa nostra società accogliente, tollerante e progressista nasconde, infatti, l’altra faccia della medaglia. Non c’è dubbio che si tratta di essere umani che vanno aiutati, ma è anche vero che a causa dei luoghi dai quali provengono e dalle condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere e viaggiare, accanto alla loro disperazione è probabile che portino anche il germe di malattie più o meno note ed è anche vero – nonostante le menzogne dei buonisti – che tanti fra loro finiscono in galera per atti delinquenziali. Io non appartengo, e questo dev’essere chiaro, alla schiera degli sciagurati che, senza un briciolo di umanità, vorrebbero risospingerli indietro coi loro barconi!
Vorrei, più semplicemente, che non venisse considerata un’eresia il parlarne in termini realistici, il che significa inquadrare il fenomeno in una dimensione che deve essere necessariamente europea; vorrei che si vigilasse con maggiore attenzione e si usasse maggiore fermezza coi tanti che si lasciano andare ad atti delinquenziali, come i numerosi tentativi di rubare nelle abitazioni, come sanno bene molti nostri concittadini; che si controllassero adeguatamente le loro condizioni di salute nel momento in cui approdano sul nostro territorio. E’ demenziale sostenere che sono tutti malati e delinquenti, ma è altrettanto folle affermare che sono tutti santi e in piena salute! Anche perché mi risulta davvero difficile considerare una brava persona il picconatore di Milano, che a colpi di spranga uccise tre persone e ne ferì altri due o, per restare nella nostra zona, lo stupratore della dottoressa che prestava servizio nella guardia medica di Scicli. Non c’è dubbio, infatti, che l’immigrazione ha determinato un aumento dei reati, in particolar modo quelli legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. So bene che un problema di tale portata non lo si risolve con l’accoglienza individuale, ma è un problema che richiede una soluzione di tipo politico e strutturale. Ma non ho mai visto, finora, un accogliente-tollerante-buonista ospitarne qualcuno a casa propria, anche per un breve periodo. Il fatto mi ricorda tanto quel noto personaggio politico dalla erre moscia, che vestiva all’inglese, che predicava la rivoluzione proletaria, e intanto trascorreva le serate, con ripugnante ipocrisia, nei salotti della borghesia e dell’aristocrazia romana. Forse adesso risulta ancora un po’ più chiaro perché non ne posso più: perché se affermo questo mi si accusa di essere un segregazionista; l’untore che sparge sulle nostre coste il malefico unguento del razzismo!
E che dire dell’Europa? Milioni di persone che si illudono di vivere in un continente che ha comuni valori e identiche prospettive. Anziché creare l’Europa delle nazioni hanno edificato l’Europa dei banchieri, dell’alta finanza e della grande industria che la governano a loro piacimento, infischiandosene dei reali bisogni e delle aspettative dei popoli e ubbidendo unicamente alla logica del profitto e del mercato. Un’Europa senza dignità, dove burattini dalla schiena curva e dalla mente ottenebrata, di tanto in tanto, si recano in pellegrinaggio a Berlino, per prendere nota dei compitini che la signora maestra ha preparato per loro. E’ deprimente pensare che proprio in questo periodo siamo andati a votare con la patetica convinzione di decidere qualcosa che viene stabilito altrove, in altre stanze, e non certo nei seggi elettorali. Un’Europa che ha dato all’euro un valore tale da far
lievitare le finanze di alcuni Stati e far crollare quelle di altri, tra cui la nostra Italietta, che accettò un cambio euro-lira che ancora oggi dovrebbe fare arrossire chi allora si piegò ad una simile umiliazione. Non ne posso più, perché se affermo questo mi si accusa di essere un antieuropeista – io che lo sono da sempre, quando certi neofiti di oggi non erano manco nati – il solito untore, che sparge sulle strade del vecchio continente l’unguento malefico dello sciovinismo.
Della nostra classe politica è quasi superfluo parlare: conosciamo tutti la sua allarmante inadeguatezza, la sua fragilità culturale, la sua indegnità morale, la sua totale mancanza di coerenza, che la rende troppo spesso simile ad un gregge in piena transumanza. Uomini sempre pronti a cambiare casacca e a salire sul carro del vincitore. Su questo argomento, pertanto, è inutile dilungarsi. Conosciamo tutti la situazione di degrado della classe politica italiana, eppure anche in questo caso, devo dire che, davvero, non ce la faccio più, perché se affermo questo, su cui peraltro tutti sono d’accordo, mi si accusa di essere un qualunquista, un untore che sparge il malefico unguento del disimpegno!
Potrei continuare ancora con molti altri esempi, che dimostrano come la nostra società sia ormai contaminata dal pensiero unico. Si pensi al mito dei partigiani: tutta brava gente che lottava per ridare la libertà alla Patria. Certo ci furono anche quelli che rischiarono o diedero la vita per questo ideale – e ai quali l’Italia dev’essere grata e riconoscente - ma la stragrande maggioranza, che militava nelle Brigate Garibaldi, lottava per un altro meno nobile fine: liberare il Paese da una dittatura per istaurarne una durissima e sanguinaria che aveva nell’Unione Sovietica il suo terribile modello. Chissà perché i libri di storia non raccontano mai le stragi e i crimini commessi dai partigiani: tutti sanno, ad esempio, dei sette fratelli Cervi, che a Reggio Emilia, nel dicembre del ’43, furono uccisi dai fascisti, ma quanti conoscono l’eccidio dei sette fratelli Govoni, compiuto, a guerra ormai finita, dai partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi! Anche questo non si può dire: il mito dei partigiani non si tocca e la menzogna è sacra se serve alla causa. In questo caso, è ovvio, io sono il fascista, l’untore che sparge il malefico unguento del revisionismo! Ma è revisionismo denunciare, ad esempio, il silenzio che ha avvolto il settantesimo anniversario (15 aprile 1944) dell’uccisione, da parte di questi galantuomini, del filosofo Giovanni Gentile, fra i maggiori del XX secolo?
Avevano visto bene Adorno e Horkheimer, quando sostenevano che l’industria culturale, così definivano i mass media, è lo strumento di cui il sistema si serve per imporre modelli e stili di vita funzionali al dominio di classe delle minoranze, per creare vaste zone di consenso. Nel tempo, ovviamente, le minoranze cambiano e si alternano nell’imporre un sistema dittatoriale all’interno di un illusorio sistema democratico, come quello in cui molti si illudono di vivere!
La dittatura può essere culturale (si pensi a quella esercitata dalla storiografia comunista nelle scuole superiori e nelle università italiane per interi decenni, la storiografia che taceva sulle Foibe), sociale od economica, come quella odierna. Ma aveva ragione soprattutto Marcuse con “L’uomo a una dimensione”, per il quale, al di fuori del sistema in cui vive, non ci sono altri possibili modi di esistere. E’ l’uomo di oggi che ho cercato di descrivere. E’ quello che mi accuserà di essere un untore, perché lui è il detentore della verità: un lui che oggi si identifica con la massa.
Non ce la faccio più, è vero, ma preferisco essere un untore che sa ancora pensare con la propria testa che un progressista-tollerante-buonista che è tale non per libera scelta, ma perché “così fan tutti”.
Preferisco essere stanco, tremendamente stanco, di lottare contro i soliti luoghi comuni, ma vivere nell’autenticità piuttosto che nell’anonimato di cui parlava Heidegger, l’esistenza anonima di chi non sa più dire “io penso”, “io dico”, perché preferisce il più conveniente e rassicurante “si pensa” e “si dice”!
Ottobre 2014
A sedici mesi dall’insediamento del sindaco Abbate
E MODICA AFFONDA, COME UNA NAVE SENZA NOCCHIERO…
Diceva Pio XII che il più grande peccato è aver perso il senso del peccato; parafrasando questa celebre frase di papa Pacelli, potremmo dire che l’errore più grande del Sindaco di Modica è quello di ritenere di non commetterne: ovviamente, ci riferiamo esclusivamente alla sua attività politica. Nel compiere tale sbaglio, Abbate è certamente in affollata compagnia, considerando la Giunta che presiede e tanti esponenti del Civico Consesso, il cui livello politico è talmente scadente che non riusciamo davvero a capire come si possa essere ottimisti sulle reali possibilità che Modica possa liberarsi dalle sabbie mobili della mediocrità, dell’ inconcludenza politica e della meschina consuetudine di spartire poltrone e poltroncine, per soddisfare, spesso, le ambizioni di tanti falliti e nullafacenti.
Quante volte, in questi anni, abbiamo amaramente sorriso leggendo o ascoltando discorsi sgrammaticati e inconcludenti, sul piano concettuale, di assessori, consiglieri e pennivendoli, e tuttavia il nostro sorriso non si è mai tinto coi colori della cattiveria, perché siamo consapevoli che la mediocrità non consente di avere consapevolezza di essere inadeguati al ruolo che si ricopre. Ci siamo anche chiesti quali colpe abbiano mai commesso i cittadini di questa martoriata città per aver dovuto patire i guasti politici, amministrativi e culturali prodotti dalle due precedenti Amministrazioni, e per quali arcani motivi debbano adesso annegare in questo mare politicamente inquinato da un’ Amministrazione la cui insignificanza amministrativa è pari alla sua supponenza e la sua demagogia direttamente proporzionale alla sua arroganza politica. Basti pensare alla protesta dei commercianti che operano nella zona di via San Giuliano, nei pressi di piazza Libertà – quella che ha subito, per intenderci, la demenziale inversione del senso di marcia – cui Abbate non ha nemmeno risposto e ai quali, nel momento in cui costoro hanno manifestato l’intenzione di rivolgersi al Prefetto, ha risposto che è inutile che lo facciano, perché a Modica “comanda lui”!
Il Sindaco, probabilmente a digiuno di studi giuridici e storico-politici, che confonde la tracotanza politica con il decisionismo, non sa, evidentemente, che una caserma si comanda, ma una città si amministra!
Non è la prima volta che il Sindaco si lascia andare a comportamenti assai discutibili sotto il profilo politico e dei rapporti istituzionali; finora, infatti, non ha dato prova di attuare in maniera corretta una normale dialettica democratica con le forze di opposizione e con le varie componenti della società civile. Eppure dovrebbe essere assai grato alle regole del nostro sistema democratico, perché è grazie a queste che una piccola frazione di campagna ha potuto imporre lui come Sindaco di una nobile ed antica città come la nostra. Ma, al di là di tutto ciò, Abbate sta comportandosi in un modo che avevamo ampiamente previsto. Non sono mancati, all’inizio del suo mandato, le solite e retoriche promesse di cambiamenti e di risanamento della situazione finanziaria dell’Ente: poi, come sempre accade, è emersa la cruda realtà e non poteva non essere così. Abbate non poteva e non potrà essere il “salvatore della Patria”, perché è figlio di quella vecchia politica che ha distrutto Modica, quella degli accordi che si fanno e si disfano come una matassa, quella che pone gli amici e gli amici degli amici al di sopra dell’interesse collettivo, quella che parla di risanamento finanziario e intanto sperpera il denaro pubblico. E’ assai deplorevole sostenere, da un lato, l’importanza di contenere le spese e, dall’altro, affidare incarichi a professionisti esterni, determinando in tal modo un ulteriore aggravio per il già disastroso bilancio comunale.
Ricordiamo, a beneficio di coloro che se ne fossero dimenticati, che il Sindaco di Modica, in questi sedici mesi di attività, ha già nominato Arturo Bianco (500 euro) per fornire un parere terzo sulla distribuzione del fondo per le risorse decentrate per l’anno 2013; Stefania Spadaro (2000 euro) quale tutore dei 14 minori affidati alla cooperativa “ Forza della vita”; Antonio Barone (4500 euro) , come consulente per l’assistenza tecnico-giuridica in relazione all’approvazione del piano di riequilibrio finanziario; Veronica Puglisi (1500 euro mensili) quale sua portavoce e Daniele Cilia (2500 euro mensili) quale esperto di marketing della comunicazione e del turismo. Questi ultimi due potrebbero costare ai cittadini 68 mila euro – per il momento, infatti, le nomine sono state bloccate in attesa del parere della Corte dei conti, grazie agli interventi del Collegio dei revisori di cui diremo più avanti - visto che la scadenza del loro incarico è prevista nel dicembre 2015! Questi incarichi non dovevano e non potevano essere in alcun modo conferiti alla luce dell’art. 90 del Testo Unico degli Enti locali, che lo vieta per quei Comuni, come il nostro, strutturalmente deficitari, ed in virtù dell’art. 191, per la stessa motivazione, non potevano essere spesi, come invece ha fatto la nostra “benemerita” Amministrazione, 232 mila euro per le manifestazioni estive. Quanto accaduto ha davvero dell’incredibile, se si pensa che il Comune, da anni, ha a disposizione un ufficio stampa ed ha, attualmente, un organico di 520 dipendenti, tra i quali certamente potevano essere individuate le professionalità richieste.
In relazione al conferimento di tali incarichi, il Collegio dei revisori dei conti ha pensato bene di diffidare l’Amministrazione Abbate “ad adottare i dovuti provvedimenti attestando la responsabilità amministrativa dei responsabili interessati e il possibile danno erariale” e invitandola, per quanto riguarda le spese inerenti all’estate modicana, “a volersi attenere a quanto sancito dall’art. 191 del Testo Unico, ovvero che agli Enti locali che presentino disavanzo di amministrazione è fatto divieto di assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge”.
Il parere del Collegio è stato negativo anche sul pensionamento di 79 dipendenti comunali, che consente al Sindaco di risparmiare 6 milioni di euro, convinto che in tal modo potrà restringere i tempi per ripianare i debiti, anticipandoli dal 2021 al 2019: Abbate, infatti, voleva mandare in pensione i dipendenti comunali, dimenticando o non sapendo che ciò non era possibile, visto che gli interessati non erano ancora in possesso delle certificazioni INPS. Riteniamo che qualsiasi commento sia davvero superfluo!
Insomma l’Amministrazione Abbate ha subìto una bocciatura su tutti i fronti, ma, come dicevamo all’inizio a proposito della sua convinzione di essere un amministratore infallibile, il Sindaco continua, come se niente fosse, a tessere le lodi di ciò che fa e a non prendere pubblicamente atto dei fallimenti cui va incontro.
Ancora alcune considerazioni. La prima è l’ulteriore conferma di ciò che abbiamo più volte detto. L’Amministrazione Abbate incarna quel vecchio modo di fare politica che ormai non è più tollerabile. Dopo aver assicurato innumerevoli volte che il ponte Guerrieri sarebbe stato riaperto a metà settembre, nel momento in cui l’apertura è slittata di una settimana i cittadini hanno scoperto l’esistenza di un’ordinanza dell’ANAS che indicava il 15 ottobre come data di apertura.
Un’ordinanza di cui i cittadini sono stati tenuti all’oscuro: nel caso i lavori si fossero protratti ben oltre la fatidica data del 15 settembre, il Sindaco avrebbe potuto tirar fuori dal cassetto tale ordinanza e sostenere che in fondo tutto era in regola; siccome i lavori sono terminati con solo sette giorni di ritardo, Abbate ha potuto trionfalmente annunciare di aver mantenuto la promessa, ovvero che il ponte sarebbe stato riaperto a metà settembre. Il dubbio che sia stato tutto calcolato è dunque più che legittimo: qualunque piega avesse preso la vicenda, lui ne sarebbe uscito bene comunque! Ed invece non è così, perché questo modo di fare politica è veramente riprovevole, e speriamo che i modicani se ne ricordino nei futuri appuntamenti elettorali.
In secondo luogo, sempre più vittima di un esasperato protagonismo – il Sindaco, infatti, è già in campagna elettorale, in vista, probabilmente, di più importanti traguardi - Abbate si è intestato il merito dei lavori sul ponte Guerrieri, addirittura organizzando una cerimonia per la sua riapertura. E’ giusto, però, che i modicani sappiano che tutti i lavori eseguiti sul ponte erano e sono di esclusiva competenza dell’ANAS: il Comune non poteva avere e non ha avuto alcun merito nell’intera vicenda. Il Sindaco si metta pure in mostra, faccia proclami, ma non offenda l’intelligenza dei suoi concittadini!
La seconda considerazione riguarda le iniziative di Abbate per la costituzione del Consorzio del Val di Noto: una iniziativa fallimentare, che se fosse stata realizzata avrebbe spaccato in due l’ex provincia iblea e sarebbe stata deleteria per i cittadini, in quanto avrebbe creato un’area non in grado di competere con quelle metropolitane, sul piano economico, in generale, e sulla capacità di intercettare investimenti e risorse economiche. Ovviamente, e giustamente, sarebbe toccato a Modica il ruolo di guidare tale Consorzio e Abbate avrebbe potuto così ottenere una visibilità ancora maggiore di quella che ha già conseguito e che alacremente alimenta con ogni mezzo e in ogni occasione.
Molto più realistica ci appare la proposta del presidente del consiglio comunale di Ragusa, Giovanni Iacono, di creare un maxi Consorzio, coinvolgendo l’intera ex provincia ragusana più alcuni comuni del calatino e del siracusano. Condividiamo quanto affermato da Iacono a proposito della sua iniziativa: “ Una grande e unica opportunità per le nostre comunità che vada oltre le miopi, egoistiche e autoreferenziali mire di qualche sindaco in cerca di qualche parlamento in cui ‘depositarsi’ “.
L’ultima considerazione riguarda le modalità con cui è stata gestita la sostituzione del prof. Colombo alla guida dell’Ente Liceo Convitto. Giorgio Colombo, a nostro avviso, ha commesso degli errori nel modo in cui ha condotto la fase della sua successione, ma non c’è dubbio che gli va riconosciuto l’altissimo merito di aver trasformato il Liceo Convitto da inutile carrozzone politico, qual era, in una Istituzione di alto livello culturale, basta ricordare le tante iniziative intraprese sotto la sua presidenza: dalla prestigiosa rivista Archivum Historicum Mothycense ai corsi di Storia dell’Arte, dai cineforum estivi alle lezioni di cinematografia e archeologia. Il prof. Colombo, come chiunque di noi, ha i suoi limiti e i suoi difetti, ma il suo alto profilo culturale e le sue doti intellettuali non possono essere messi in discussione.
La nostra, ovviamente, non vuole essere una critica alla nuova Presidente, di cui tra l’altro siamo amici e colleghi, ma è il modo in cui la vicenda è stata gestita che ci lascia assai perplessi. A Teresa Floridia auguriamo ovviamente buon lavoro, ma nel contempo siamo preoccupati delle pressioni politiche che potrebbe subire, ma quelle che ancor più ci inquietano sono i condizionamenti di carattere culturale. Giacché le idee e i valori della Destra, gli unici veramente alternativi a quelli dominanti - mi riferisco alla Destra sociale e nazionale e non certo a quella berlusconiana: liberista, filo capitalista e corrotta – nella nostra città non hanno più diritto di cittadinanza a causa di una consorteria che da tempo ne monopolizza la politica e la cultura – un infausto connubio tra cattolicesimo progressista e democraticismo post-comunista – la nuova Presidente dovrà muoversi all’interno di queste coordinate culturali già da tempo tracciate. Noi riteniamo che, nel momento in cui volesse prescindere da questo background culturale, perderebbe il sostegno di quelle forze politico-culturali che hanno deciso la sua nomina al vertice del Liceo Convitto. Riuscirà la nuova Presidente ad affrancarsi da tali condizionamenti? Conoscendone l’onestà intellettuale, siamo certi che ci proverà, anche per impedire che a Modica si realizzi un ulteriore rafforzamento di quel pensiero unico sapientemente costruito in questi anni sulle ceneri del pluralismo delle idee, senza il quale la cultura cessa di essere tale, per diventare squallida faziosità! Per quel che ci riguarda, continueremo, come abbiamo sempre fatto, ad attaccare il Palazzo e le sue stanze - non per qualunquismo, perché la critica non è mai tale quando è supportata da fatti incontestabilmente negativi – ma perché queste, da molto tempo, sono pervase da mediocrità, pressappochismo e incompetenza, e lotteremo per sollecitare i nostri concittadini ad avere un sussulto di dignità e di orgoglio, per dire finalmente basta alla politica degli inciuci, delle raccomandazioni e del sottogoverno, e portare nel Palazzo, finalmente, un’aria nuova: quella della cultura, della competenza e soprattutto della trasparenza.
Novembre 2014
LA MAGIA DEL RICORDO E L’INCANTO DELLA GIOVENTU’
Ogni anno, finita la scuola, la mia famiglia lasciava l’afosa e umida Siracusa per trasferirsi a Modica, in una delle sue meravigliose contrade di campagna. Per me, da bambino, prima, e da adolescente, dopo, cominciavano tre mesi d’incanto: un fiorire e rifiorire di sogni, incastonati in quell’antico orto dai mille colori e dai tanti sapori, delimitato dai caratteristici muri a secco sui quali lasciai le impronte della splendida e irripetibile età dell’adolescenza, quando il tempo si tinge soltanto dei colori del futuro. Ricordo un grande albero di gelsi, che allora mi appariva maestoso e che oggi non c’è più; mi capita, talvolta, di sentire ancora lo stormire del vento che cullava la mia spensieratezza e le carezzedelle foglie sul mio viso, quando, arrampicandomi su quei possenti rami, mi sedevo, infine, orgoglioso e felice, sulla cima di quella che mi appariva allora come una montagna impervia che non potevo non scalare.
Mi sembra di sentire ancora i rimbrotti di mia madre, nel vedermi scendere dalla vetta imbrattato di verde, di rosso, di nero; certamente pensava alla fatica di dovermi ripulire e di togliere quelle macchie lavando e risciacquando a mano i miei vestiti: in campagna, infatti, l’unica acqua che avevamo era quella del pozzo e l’energia elettrica non era ancora arrivata. Più tardi, rubinetteria e lampadari si incaricarono di spezzare per sempre l’incanto di quel luogo, mentre la modernità cancellava il dolce rumore dei carri, al mattino, del secchio che scuoteva l’acqua della sterna e della luce ammaliante dei lumi a petrolio, quella luce che illuminava i volti di bisnonni e trisavoli, che dalle pareti, scure ed antiche, mi osservavano a volte con uno sguardo che pareva benevolo, talora, invece, altezzoso ed austero, a tal punto che non di rado mi sentivo in colpa, senza nemmeno saperne il perché.
Di quegli anni, indelebili nella mia memoria, resi ancor più belli dalla magia del ricordo e dall’incanto della gioventù – come direbbe il mio maestro Carmelo Ottaviano – mi restano un mare di ricordi ed un oceano di sensazioni: la gioia di contemplare il cielo gravido di stelle, i colori dell’alba, quando talvolta mio zio, l’unico fratello di mio padre – l’altro se n’era andato nel lontano 1933, non ancora diciottenne - decideva di portarmi a caccia con lui. La sua era certamente una resa alla mia insistenza che certamente sarà stata insopportabile; ma soprattutto mi rimane l’odore intenso della nipitedda : da anni ne tengo sempre un po’ sul mio balcone e ogni qualvolta la odoro mi ritrovo per incanto su quel sedile di pietra, dove quella pianta cresceva selvaggia e solitaria, con la mia chitarra. E’ là che imparai pian piano a suonarla: sarebbe diventata poi l’inseparabile compagna della mia gioventù, quando bastava un falò in riva al mare e le canzoni di Battisti per essere felici e spensierati.
E come dimenticare la misteriosa magia della pioggia che talvolta arrivava, inaspettata, ed io la osservavo mentre scendeva sui vetri protetti da antiche grate: testimoni, mute e silenziose, dello scorrere del tempo e dei pensieri dei tanti che in quelle stanze avevano vissuto e magari provato le stesse emozioni e gli stessi sentimenti che provavo io. Che meraviglia l’odore della terra bagnata dall’acqua piovana e quale gioia, non appena tornava il sereno, nel correre insieme agli altri nei vignali alla ricerca di lumache nascoste sotto grandi sassi che allora ci sembravano inamovibili. Quella contrada della mia amata Modica in estate era come uscisse dal letargo e allora si animava di voci e di presenze a me assai care e che oggi vivono negli anfratti della mia memoria: tutta la parentela aveva là le case di villeggiatura, per cui la strada – oggi percorsa, freneticamente, da camion e automobili e deturpata da orrende villette a schiera - era come fosse il corridoio di casa e le stanze, invece, assumevano le sembianze delle abitazioni di zii, cugini e procugini. Si veniva da Catania e da Siracusa e ci ritrovavamo tutti là, insieme ai miei zii e ai miei cugini che risiedevano a Modica. Era una festa: un inno alla spensieratezza per i bambini e i ragazzi, alla tranquillità per adulti ed anziani. Su quella strada, oggi proibita ai pedoni, allora avevano luogo le passeggiate serali al chiaro di luna o al chiarore delle stelle.
Non ho mai dimenticato tutte quelle persone a me care, i protagonisti di un tempo ormai perduto: il fratello e le sorelle di mio padre, i suoi cugini e le sue cugine. Tutti ricordo con infinito affetto, ma, dopo quella di mio padre, la figura che più d’ogni altra non ha mai conosciuto oblio nel mio animo è quella di zio Mimì. Era primo cugino di papà e insegnava Filosofia e Storia al “Cutelli” di Catania. Mi aveva tenuto a battesimo ed aveva per me una predilezione il cui ricordo ancora mi commuove. La sua figura è incancellabile: di media statura, con gli occhiali assai spessi a causa della sua elevata miopia, l’immancabile pipa di cui era costantemente alla ricerca, visto che, distratto com’era, la dimenticava ovunque, e soprattutto il suo inconfondibile timbro di voce che non era somigliante ma letteralmente identico a quello di Ugo Tognazzi: non furono poche le volte che sfruttò tale identità per dare a vita a scherzi a dir poco esilaranti.
Quante volte, da studente liceale, gli posi domande di filosofia cui rispondeva sempre con sollecitudine e pazienza. Certamente, questi dialoghi furono decisivi nel farmi realizzare una scelta che in verità avevo già fatto e che era quella di esercitare un giorno la sua stessa professione. Zio Mimì aveva sempre la battuta pronta e soprattutto non gli importava del giudizio degli altri. Indimenticabile quella volta che a Catania, nella centralissima via Etnea, scendemmo insieme portando in mano io un cuscino e lui addirittura un fiasco di vino. Io cercavo di coprire più che potevo la mia faccia mentre lui, tranquillo, camminava senza il ben che minimo imbarazzo con quel fiasco di vino in mano. Aveva stabilito che quella sera sarei stato ospite a casa sua e allora decise di andare a fare rifornimento da zia Teresa, sua sorella, la cui abitazione era abbastanza
vicina alla sua.
Realizzava perfettamente il grande insegnamento socratico, ovvero che la “la libertà da ” è di gran lunga superiore alla “libertà di”. Per tale motivo e per la sua cultura vasta e profonda la mia stima per lui era smisurata. Per quanto riguarda zia Teresa, insieme a mia madre, è l’unica superstite della sua generazione e ogni estate vado a trovarla, quando da Catania si trasferisce, ormai per poco tempo, in quella che una volta era stata la sua casa di campagna.
Mi è caro ricordare, poi, il viso arso dal sole del massa Vanni e le sue tante rughe, a ricordare la sua vita fatta di sudore e di fatica ed il suo sguardo stanco ma carico di dignità e l’indimenticabile gna Concetta, sua moglie, quando mi rassicurava – avrò avuto sette o otto anni - mentre incrociava il suo sguardo con quello complice e sorridente di mio padre, sul fatto che prima o poi quel vitellino me lo avrebbe regalato e che pertanto avrebbe potuto poi fare bella mostra di sé sul balcone della mia casa a Siracusa. Per anni la loro masseria è stata deserta e abbandonata, poi è arrivata la ruspa e ne ha cancellato ogni traccia. Gli adulti e gli anziani di allora, ovviamente, non ci sono più, e purtroppo anche qualcuno della mia generazione.
Qualche volta ritorno in quei luoghi, allora fonte di spensieratezza e di gioia, oggi di amare riflessioni sul senso degli affetti e della vita, “ sul destino dell’universo e dell’ uomo, che ne è parte: l’inesorabile limite, cioè, posto alla durata della sua esistenza, limite al di là del quale si spalanca l’abisso di un impenetrabile mistero, in altri termini l’abisso del nulla (…) Quale mai significato razionale possa avere una vita intessuta di rimpianto, ossia un vivere come un continuo ‘prendere congedo’ dalle cose più care e da se stessi, un guardare dietro a sé a ciò che, a mano a mano, rimpicciolendo, svanisce all’orizzonte” (1). Penso che gli splendidi versi che seguono, di Giuseppe Ungaretti, possano esprimere molto meglio di quanto possa fare io, ciò che provo al pensiero che questi affetti li ho persi tutti e per sempre: Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro. / Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto. / Ma nel cuore / nessuna croce manca. / E’ il mio cuore / il paese più straziato. (2)
1) C. Ottaviano, La Tragicità del reale ovvero la malinconia delle cose, Cedam, Padova 1964
2) G. Ungaretti, San Martino del Carso
Dicembre 2014
GRUPPO TERZO OCCHIO: OMBRE CUSTODI, NELLA NOTTE DI MODICA CHE MUORE
PER NON DIMENTICARE
La storia che sto per raccontare ha avuto inizio nel novembre del 2003, quando su questo giornale apparve un articolo dal titolo “Il segno del comando del consigliere comunale modicano” a firma di Terzo Occhio. Su chi sia questo personaggio, non è mia intenzione dire nulla, giacché tanto si è detto e fantasticato sulla sua reale esistenza o sulla sua vera identità: ciò che posso garantire è che non si tratta, nel modo più assoluto, del sottoscritto, come qualcuno ha ipotizzato. Sempre sul mensile Dialogo, nell’ottobre del 2004, fu pubblicata una lettera di Terzo Occhio indirizzata a nove modicani, tra i quali il sottoscritto, con cui invitava questi suoi nove concittadini ad uscire dal loro letargo politico, per tentare di dare uno scossone alla politica modicana, nella consapevolezza che questa, ormai, aveva perso ogni pudore ed era diventata un’area dove, con una spregiudicatezza mai vista, si davano battaglia personaggi politici che gestivano la partita coinvolgendo propri familiari ed amministrando la cosa pubblica con lo spirito non del dominio dell’interesse comune ma della prevalenza di una famiglia sull’altra (1).
Dopo svariate e complesse vicende, nella primavera del 2006 si costituì il Gruppo Terzo Occhio, un gruppo di Ombre che decisero “di ricorrere all’anonimato come criterio di autoformazione contro quel narcisismo dilagante che è la qualità prevalente della mediocre classe politica modicana, che antepone i problemi di immagine a quelli del governo della città. Un anonimato, quindi, rivolto verso l’interno del gruppo stesso per favorire disincanto ed impersonalità dell’azione culturale degli appartenenti al gruppo” (2). Dal luglio 2006 al dicembre 2010 il gruppo diede alle stampe 29 “fogli di battaglia”, che costituiscono “ una sorta di fotografia di un determinato periodo nel quale si osserva la fine di ogni categoria politica, l’evaporazione delle ‘differenze di genere’ amministrativo, la confusione di colori che portano comunque allo stesso risultato: i debiti non hanno partito, i partiti non hanno debiti” (3).
Tali fogli di battaglia costituiscono in effetti una sorta di album fotografico, un album destinato soprattutto a coloro che verranno dopo di noi e che vorranno guardare alla storia della loro città senza i vetri deformanti della faziosità politica e soprattutto con la consapevolezza che in tali fogli troveranno ciò che molti avrebbero voluto nascondere; e vi scorgeranno, altresì, la prova inconfutabile della inettitudine politica e della fragilità culturale dei politicanti che devastarono Modica nel primo decennio del nostro secolo, e che purtroppo continuano, ancora oggi, ad impedirle di progredire sul piano amministrativo, politico e civile. Attraverso tali pubblicazioni, il gruppo non ha mai inteso assumere il ruolo che una volta era dei predicatori moralisti e perbenisti; intendo dire che non ha mai voluto fornire ideali politici e contenuti etici alla nostra classe politica, per il semplice fatto che, a differenza di quella, il gruppo non si è mai smarrito fra le nebbie dell’autoincensamento, mantenendo salda la rotta sulla consapevolezza delle proprie qualità e dei propri limiti. Diciamo che il suo compito è stato quello di praticare la socratica arte della maieutica: Socrate non forniva alcuna verità al presunto sapiente col quale dialogava, ma semplicemente lo aiutava a prendere coscienza della sua ignoranza, giacché ammettere di non sapere è la condizione necessaria per cominciare a sapere.
Il gruppo Terzo Occhio ha operato alla stessa maniera coi politici modicani: aiutarli a prendere coscienza della loro mediocrità politica e della loro inconsistenza culturale, nella speranza che tale consapevolezza potesse spingerli a farsi responsabilmente da parte. Le armi utilizzate sono state molte: dalla parodia all’ironia, dalla satira al paradosso, ed hanno consentito al gruppo di mantenere sempre il giusto distacco, non per un atteggiamento di aristocratica autoreferenzialità, ma per garantire la doverosa obiettività nella descrizione di fatti, personaggi e situazioni. Per tale motivo, coloro che tra il 2006 e il 2010, hanno letto i “fogli di battaglia” hanno potuto farlo sempre col sorriso sulle labbra, ogni qualvolta che su quei fogli – come le statuette nella celebre caverna platonica – scorrevano i personaggi della politica locale: il disoccupato in cerca di uno scanno nel civico consesso, il fallito alla ricerca di visibilità, l’utile idiota al servizio del potente di turno, il burattino e il burattinaio, l’arrivista e il miserabile pronto a raccogliere le briciole cadute dalla mensa del padrone, ma soprattutto il voltagabbana: una figura che ha sempre infestato il nostro Paese. “ L’eroe del tengo famiglia, pronto a tutto pur di ottenere tutto; genio dell’arte di arrangiarsi; campione del travestimento permanente, capace di cambiare il doppio petto del borghese con la camicia nera, la camicia nera con quella rossa, quella rossa con la cotta bianca dei chierichetti, pronto naturalmente a trasformarsi in comunistello di sagrestia”(4).
Nei fogli che il gruppo ha pubblicato, i vari personaggi di questa poco edificante fauna locale sono stati le comparse di una squallida commedia andata in scena sul teatrino della politica, ma il voltagabbana ne è stato l’indiscusso protagonista, perché è davvero grande lo squallore di chi cambia bandiera per ottenere vantaggi personali. Tutti i fogli di battaglia sono stati raccolti in un volume, pubblicato nel febbraio del 2013, perché le prossime generazioni abbiano la possibilità “di valutare questo periodo da una postazione diversa da quella delle veline dell’ufficio stampa del Comune di Modica o di quella stampa locale asservita ai potenti di turno” (5). L’ultimo foglio di battaglia, il 29°,” non è stato l’ultimo per decisione del Gruppo, ma solo perché la mediocrità della politica modicana aveva raggiunto livelli così alti da offendere la dignità di chiunque volesse interessarsene” (6).
Ciò che ha sempre contraddistinto l’attività del gruppo è stata certamente la scelta di mantenere sempre una posizione di puro antagonismo, inteso non come sterile ed inutile desiderio di contrapposizione preconcetta, ma come strumento per combattere l’idea, assai deleteria, che il sistema in cui viviamo lo si può riformare, rattoppare, aggiustare, ma non cancellare! Antagonismo come mezzo per prospettare un’alternativa al sistema, dunque, ad una società dove tutto è omologato, pianificato, controllato.
La lotta che il gruppo ha condotto è stata quella di porre le basi per la traduzione dell’Utopia nella realtà: individuare, quindi, quel “luogo” dove l’utopia può abbandonare il “non luogo” dell’astrazione per concretizzarsi nella realtà. Quel luogo è la coscienza umana, che, quando è libera e non manipolata, può operare, per dirla con Marcuse, il Grande Rifiuto di questo sistema “ che si riveste di forme pluralistiche e democratiche che sono illusorie, perché le decisioni, in realtà, sono sempre nelle mani di pochi”.
La collocazione antagonista del gruppo è stata intesa, dunque, come lotta alla rassegnazione e al fatalismo e come speranza che Modica possa riacquistare la capacità e soprattutto la libertà di poter esprimere politici onesti e capaci e che sappia costruire un futuro degno del suo passato, un futuro che invece, ancora oggi, appare nebuloso e poco rassicurante.
Nell’ultima pagina del volume, il gruppo, prendendo congedo da se stesso e dai suoi concittadini, e non volendo chiudere definitivamente le porte alla speranza, pur nella consapevolezza del degrado politico, morale e civile in cui è immersa la nostra città, affida alla “prima ombra” l’incarico di redigere quello che, a mio parere, può essere considerato il testamento spirituale del gruppo: “Per quasi sei anni, noi ombre abbiamo combattuto la buona battaglia, per spargere su questa città, che inebetita si dimena nelle sabbie mobili dell’incoscienza, il seme della fierezza e del coraggio. Intossicate dai volgari compromessi, dal becero nepotismo e dalla meschinità dei voltagabbana e degli arrivisti, torniamo, per un tempo a noi stesse ignoto, nel profondo buio da cui nascemmo, perché il nostro spirito si fortifichi e si ritempri.
Noi siamo come le figlie di Pleione e di Atlante, prima colombe e dopo divenute stelle, a illuminare il firmamento, per indicar la rotta ai naviganti: non a tutti, però, solo a quelli che amano scrutare il cielo, che non si compiacciono di tenere la testa bassa ad osservare la barca tra le onde, ma che osano alzare il loro sguardo per scoprire ed abbracciare l’infinito. Quelle morirono di dolore per la morte del loro fratello, noi no: non soffriremo quando la benefica alluvione distruggerà i nuovi templi della nostra città, stracolmi d’ignoranza, saturi di superficialità, zeppi del più avvilente nulla! Quello, invece, sarà per noi il giorno in cui una splendida aurora incendierà la notte: come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario, così la vita nascerà dalla morte, e sulle macerie si potrà ricostruire.
Le acque che inquinano la nostra Modica in quel giorno scompariranno, e da nuove sorgenti sgorgheranno acque trasparenti e pure, e noi, come le Ninfe, veglieremo su di loro, perché tali rimangano e spargano nelle strade e nei vicoli della nostra città l’odore piacevole della freschezza e della pulizia. Nulla noi sappiamo del nostro destino e dunque ignoriamo se un giorno torneremo ‘a riveder le stelle’ o per sempre resteremo nell’oscurità. Sappiamo, però, che non si arresterà la nostra lotta, perché l’eleganza trionfi sulla volgarità, l’onestà sulla corruzione, la coerenza sull’opportunismo e il coraggio sulla viltà. Non essendoci ancora chiaro quale sarà il nostro futuro, doniamo ai posteri i nostri fogli di battaglia: tra decenni, quando noi ombre non saremo più, coloro che abiteranno questa nostra città potranno attingervi la verità, quella vera, non quella costruita da ignoranti pennivendoli, da storici di regime e da prezzolati saltimbanchi al servizio della cultura di palazzo. Lasciamo, dunque, a coloro che verranno dopo di noi, i nostri fogli di battaglia: per non dimenticare!. E’ l’oblio, infatti, che potrebbe far rinascere il mostro che, sul finire del secolo ventesimo e agli albori del ventunesimo, azzannò e poi divorò la nostra città”(7).
Concludo queste note con un brano tratto dalla lettera che il Grande Capo Seattle, della Tribù Suwamish, inviò nel 1855 al Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Pierce e con una considerazione finale di Terzo Occhio. Entrambi, a mio giudizio, incarnano perfettamente lo spirito che ha animato il lavoro del Gruppo.
Anche voi uomini bianchi passerete (…). Se contaminerete il vostro letto, una notte morirete soffocati dai vostri stessi rifiuti (…) non sappiamo quello che succederà (…) quando i cavalli selvaggi saranno stati domati (…). Dov’è l’aquila? Scomparve. Così finisce la vita e inizia la sopravvivenza (8). Mi auguro che a Modica, scrive Terzo Occhio, fra tanti polli, nasca ancora qualche aquila e che i cavalli non siano tutti domati, ma ne restino di selvaggi, in equilibrio con l’ambiente e il territorio, a correre per le praterie della sua cultura e della sua storia, affinché la città viva ed esca dalla mediocrità della odierna sopravvivenza. (9)
Giuseppe Ascenzo
1) Cfr. Dialogo, ottobre 2004.
2) A. Zappia, Cronaca dei fatti e delle intenzioni, in Gruppo Terzo Occhio, Ombre Custodi, nella
notte di Modica che muore, Ed. Terzo Occhio, Modica 2013, p. 10.
3) P. Oddo Presentazione, Ibid. p. 7.
4) N. Tripodi, Italia fascista in piedi, Ed. Il Borghese, Roma 1960, postfazione.
5) A. Zappia, Cronaca dei fatti e delle intenzioni, in Ombre Custodi, p. 10.
6) Cfr. A. Zappia, Ibid. p. 10.
7) Prima Ombra, Per non dimenticare, in Ombre Custodi, p. 141.
8) Cfr. Gruppo Terzo Occhio, Ombre custodi, p. 140.
9) Cfr. Terzo Occhio, Ombre Custodi, p. 140.
N.B.
Il volume del Gruppo Terzo Occhio “Ombre custodi, nella notte di Modica che muore”è consultabile presso le Biblioteche delle Scuole Superiori di Modica. Chi volesse invece acquistarlo, potrà farlo presso la Libreria del Corso, dove, in verità, ne restano ormai pochissime copie. Una copia sarà depositata presso la Biblioteca Comunale di Modica non appena questa troverà, finalmente, un’adeguata sistemazione.