2016

 

Gennaio 2016
I gatti, le baracche, le grotte e le pelli di pecora      (Dialogo, gennaio 2016)

Febbraio 2016
Le pene dell’onorevole e i capricci dei comuni mortali    (Dialogo, febbraio 2016)

Marzo 2016
La solita commedia in salsa siciliana    ( Dialogo, marzo 2016)

Aprile 2016
La polemica Abbate - Carpentieri e il superpartito tecnocratico      (Dialogo: aprile 2016)

Giugno 2016
La solitudine dei vecchi        (Dialogo: giugno 2016)

Dicembre 2016
Il buonismo e la bontà       ( Dialogo: dicembre 2016)

 

 

 

GENNAIO 2016

 

 

                               Modica: prosegue, inarrestabile, il declino della nostra città

        I GATTI,  LE BARACCHE,  LE GROTTE  E  LE  PELLI  DI  PECORA

   In questi ultimi anni, a Modica, ne abbiamo viste di tutti i colori; abbiamo assistito a situazioni surreali, ad eventi miserevoli e di spessore tipicamente provinciale, a giostre fasulle e pacchiane. Abbiamo “ammirato” donne cannolo,  domatrici di pasticceri, chococircus e chococlown. Abbiamo dovuto assistere al triste involgarimento di una nobile città come la nostra, offesa da sagre e fiere paesane volte a celebrare persino il tumazzo e le fave cottoie.

    Benché, dunque, preparati ad aspettarci assurdità e castronerie,  perché consapevoli che le Amministrazioni passate e quella attuale sono state e sono in grado di determinare, con la loro mediocrità politica, situazioni spesso paradossali, non potevamo certo prevedere che avessero il dono di far protestare anche gli animali: i gatti, nella fattispecie. Il  “cat village” (così lo hanno chiamato e propagandato) nell’area adiacente al palazzo S. Anna, inaugurato in pompa magna dal Sindaco e dal suo Assessore alla viabilità, ha dato un rifugio ai simpatici felini di quel quartiere, ma la cosa non è passata inosservata fra i gatti che popolano le altre zone  della nostra città. Quelli più arrabbiati, a quanto pare, sono quelli di Frigintini, che non perdonano l’ingratitudine del Sindaco, che deve proprio a quella ridente frazione rurale la poltrona su cui sta seduto, col suo piglio decisionista.

    Non meno risentiti sono i gatti del quartiere  Sorda che giustamente si indignano, considerato che “orbitano” – per usare il termine utilizzato nel comunicato dal  capufficio stampa del Comune – nel quartiere più popoloso della città, e pertanto, in ossequio al principio democratico della maggioranza, chiedono un “cat village” anche per loro e soprattutto assai più grande di quello dei loro colleghi che “orbitano” al quartiere Dente. Protestano anche, e giustamente, i gatti di Modica alta: non ci stanno a seguire la sorte degli umani che colà vivono, da tempo immemorabile, abbandonati al loro destino. Chi avesse voglia di avventurarsi di notte in questi quartieri stia dunque attento: abbiamo personalmente constatato il pericolo che corre l’ignaro passante. L’arrabbiatura dei gatti, per la discriminazione subita, li ha resi eccessivamente aggressivi e pertanto occorre procedere  con attenzione e cautela: saltano addosso, infatti, al primo essere umano che incontrano, lasciandogli nelle carni basse i segni indelebili delle dolorose unghie feline. Qualcuno giura di averne visti a centinaia, nelle ore notturne, nell’atrio di palazzo San Domenico con atteggiamenti grintosi e minacciosi; qualcun altro sostiene che tre di loro, probabilmente i capi del neonato movimento GMI (gatti modicani incazzati), in occasione di una di queste adunate notturne, si sono furtivamente introdotti nella stanza del Sindaco, in paziente attesa del mattino, per aggredirlo alle spalle, non appena si fosse accomodato  sulla sua comoda poltrona.

   Non sappiamo, naturalmente, e probabilmente non sapremo mai, se l’aggressione sia avvenuta e quali siano state, eventualmente, le conseguenze.  La cittadinanza è in allarme e in trepidante attesa che il sindaco Abbate prenda la decisione più opportuna: mettere fine alla ingiusta discriminazione sbaraccando le simpatiche casette in via Liceo Convitto?  O provvedere alla costruzione, in tutti i quartieri della città, di queste folcloristiche dimore, in modo da giungere all’auspicata pacificazione? O forse deciderà, come è solito fare, di risolvere il problema – è proprio il caso di dirlo – alla radice? Potrebbe infatti scegliere di fare coi gatti ciò che ha fatto con gli alberi: quelli tagliati, questi ammazzati! In tal modo la questione sarebbe risolta e i modicani potrebbero tornare a vivere sereni senza il rischio di subire notturne e pericolosissime aggressioni.

    Finora abbiamo sorriso. Ma solo per non piangere!

    L’iniziativa di tale Movimento Azzurro e della sua presidente, Daniela Boscarino, avallata dall’Amministrazione Abbate, è il parametro che ci offre la misura dell’inarrestabile declino della nostra città.  Due piccole costruzioni in legno che possono offrire riparo a quattro gatti, è proprio il caso di dirlo  diventano -  nel clima superficiale e provinciale  che da tempo avvolge la nostra città –  un “cat village”, un villaggio dei gatti! Tutto questo ci ricorda il nostro mai amato sindaco Torchi, quando metteva insieme quattro, ma proprio quattro, giochini, e poi annunciava trionfante di aver dotato Modica di una bambinopoli!

    Ma è mai possibile, ci chiediamo, che un’Amministrazione fallimentare, come quella di Abbate,
trovi il tempo per occuparsi dei gatti! Un’Amministrazione  che è stata commissariata prima per il conto consuntivo del 2014, approvato a novembre anziché ad aprile, poi per il  bilancio preventivo del 2015, e che, anziché attuare, entro la scadenza fissata al 31 dicembre, tutte le prescrizioni  imposte  dalla Corte dei Conti in merito al piano di riequilibrio finanziario, ne ha realizzato soltanto una: quella della  restituzione di 13 dei 64 milioni che il Comune aveva ottenuto dalla Cassa depositi e prestiti. E’ mai possibile, dunque, che un Sindaco, che amministra un Ente che non ha ancora scongiurato il rischio del dissesto finanziario,  perda tempo ad inaugurare due misere strutture in legno per i gatti randagi che si aggirano  nei pressi del Liceo Convitto?

    Abbate, poi, aggrava la sua ormai lampante inadeguatezza politica, rispondendo, nel modo che segue, alle critiche del consigliere D’Antona. Invitiamo i nostri Lettori a leggere e valutare con attenzione questo scampolo di prosa: “Anno nuovo, D’Antona vecchio. Cambiano i tempi, si aggiornano i calendari ma il consigliere storicamente d’opposizione rimane sempre lo stesso. A dir la verità qualcosa di nuovo c’è. Ha imparto l’arte del copia e incolla. Lo abbiamo notato con il primo comunicato del nuovo anno sul quale avranno influito sicuramente le abbondanti abbuffate di questi giorni. Otto punti, otto repliche di comunicati già inviati nel corso del 2105 e che hanno già avuto risposte consone da parte dei diretti interessati”. Anziché chiedere scusa ai suoi concittadini per la sua azione amministrativa a dir poco disastrosa, il Sindaco si lascia andare a risposte che lasciano trasparire, in modo evidente, la sua consueta arroganza politica ed uno stile – si rilegga il riferimento alle “abbondanti abbuffate” - che poco si addice a chi ricopre la carica di primo cittadino di una Città di 54.000 abitanti!

    L’iniziativa di installare queste due coloratissime baracche, tra l’altro annunciata in modo roboante con un comunicato del sindaco e dell’Ufficio Stampa, ha raggiunto due obiettivi in un sol colpo: è stata inferta una lacerante pugnalata rispettivamente al centro storico (sono strutture queste la cui presenza può essere tollerata all’interno di un pregevole angolo del centro storico?) ed alla lingua italiana (con l’intrusione gratuita ed inutile di dizioni esterofile quale quel “cat village” di cui onestamente non sentivamo la mancanza!).  Il Movimento Azzurro, purtroppo,  non è si fermato alle predette pugnalate, cui ha preso attivamente parte, perché ha dato vita ad un’altra iniziativa sulla quale potremmo anche limitarci ad un sorriso di commiserazione, se non fosse in gioco il buon nome della nostra città. Ci riferiamo ovviamente al “Museo del Neolitico”, anch’esso realizzato, si fa per dire, nella stessa zona delle coloratissime baracche – la vicinanza fra le due ”cose” fa ovviamente rabbrividire: si tratta di una grotta “arredata” con qualche frasca e una pelle di pecora che, a causa dello  stramaledetto provincialismo modicano, con disinvoltura e in spregio all’etimologia e al corretto uso della terminologia, viene definita “museo”, provocando, ne siamo certi, l’ira e lo sdegno delle Sacre Muse!

    Anche la faccenda del cosiddetto “balcone incantato” ci lascia assai perplessi. Questa la dichiarazione rilasciata dal citato Movimento Azzurro: “Una piccola terrazza belvedere che era adibita al parcheggio di un paio di macchine è stata trasformata in un salottino con panchine, fioriere e leggio con la poesia ‘Muorica’ della poetessa modicana Franca Cavallo”.

   Al di là del valore letterario della lirica –  che non sta a noi valutare - il provincialismo modicano ha colpito ancora! Non possiamo non chiederci: considerato che sul leggio non poteva essere incisa una poesia del Quasimodo – visto che il Nostro non ne scrisse  alcuna per la sua poco amata città natale (anche se  il solito provincialismo modicano, che non ci stancheremo mai di denunciare, non perde occasione per celebrarne la memoria) – non sarebbe stato il caso di incidervi, ad esempio, quest’incantevole  passo (autentico capolavoro letterario)  tratto da “Argo il cieco” di Bufalino: “ Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell’estate. E forse fu grazia del luogo dove abitavo,  un paese in figura  di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo; metà ristretto su uno sprone di roccia, metà sparpagliato ai suoi piedi; con tante scale fra le due metà, a far da pacieri, e nuvole in cielo da un campanile all'altro, trafelate come staffette dei Cavalleggeri del Re…”.

    Fatto salvo il rispetto dovuto alla prof.ssa Cavallo, riteniamo che ciò, in considerazione della notorietà dello scrittore e della sua indiscussa statura letteraria, sarebbe stato certamente più adeguato allo scenario che si ammira da quella piccola terrazza! La nostra città vanta una storia illustre, è patrimonio dell’umanità, possiede una invidiabile e straordinaria bellezza architettonica e tutto ciò determina un ragguardevole flusso turistico. Ci auguriamo che quanto fatto – ci riferiamo alle baracche e alla “grotta neolitica” - resti confinato in quel quartiere che di solito non rientra nei consueti percorsi turistici.

    Tremiamo all’idea che il danno che gli è stato arrecato possa essere compiuto in altri suggestivi luoghi della città che sono maggiormente visitati e ammirati. E tremiamo a ragion veduta visto che nel già citato comunicato stampa si legge: “Sarebbe auspicabile che anche in altri quartieri della città l’esempio potesse moltiplicarsi (sic!); l’amministrazione sarebbe bel (sic!) lieta di sostenere altre iniziative simili”. Faremmo davvero una bella figura nel mostrare ai turisti le colorate baracche dei gatti, un po’ di frasche e una pelle di pecora, magari poste ai lati della scalinata di San Giorgio, così da rendere ancora più suggestivo  il già incantevole scenario. 

    La scrivemmo in un nostro articolo su questo giornale, nel marzo del 2006, e ci rattrista l’idea che quella frase è purtroppo ancora attualissima per  il nostro avvilente presente: povera Modica! #

 

 

 

 

 

   

 

 

 

FEBBRAIO 2016

 

LE PENE  DELL’ ONOREVOLE

E  I  CAPRICCI  DEI  COMUNI  MORTALI

 

   Dobbiamo confessarlo: a causa della nostra indole e forse anche dell’età, che inesorabilmente avanza, ci ritroviamo, assai spesso, a dover fare i conti con la commozione, e la cronaca di quanto quotidianamente accade intorno a noi certamente non ci aiuta a liberarci di questo sentimento che talora può anche diventare imbarazzante.

    In ordine di tempo, l’ultimo episodio che ci ha profondamente commosso è quello riguardante il deputato regionale del Nuovo Centro Destra, il siracusano Vincenzo Vinciullo, il quale, durante la trasmissione televisiva Tagadà, andata in onda su La 7 lo scorso 4 febbraio, ha dichiarato che lui, avendo famiglia, ha difficoltà, come tutti i comuni mortali, ad arrivare a fine mese, nonostante – aggiungiamo noi - lo stipendio mensile di oltre 11 mila € lordi!  Il servizio, ironia della sorte, era incentrato sulla nostra Isola, in quanto terra di sprechi e di privilegi della politica.

   Ovviamente, come accade per ogni deputato all’ARS, occorre poi aggiungere diarie, rimborsi e indennità varie, che fanno notevolmente lievitare gli emolumenti mensili dei deputati. Nel caso di Vinciullo, poi, bisogna ricordare che svolge anche la funzione di presidente della commissione bilancio, che non crediamo sia remunerata con una cifra irrisoria.

   E’ probabile che la nostra compassione per Vinciullo – ovviamente, usiamo questo termine nel suo significato più autentico, ovvero un “sentimento di sofferta partecipazione al dolore altrui” - sia stata resa particolarmente intensa dal fatto di essere suoi concittadini. E’ vero che nelle nostre vene scorre sangue modicano – e ne siamo orgogliosi – ma va detto che siamo nati nella  stessa città in cui viene eletto il nostro indigente deputato: quella Siracusa che tanto abbiamo amato da ragazzi, una città dove si respirava l’aria pulita della gentilezza e della buona educazione, e che tanto detestiamo adesso, perché quell’aria, ora, non è soltanto inquinata da quel polo petrolchimico che ha deturpato per sempre uno dei golfi più belli della Sicilia, ma anche dal malaffare, dal racket, dall’arroganza e dalla maleducazione ormai dilagante: tutte realtà che  offendono  il glorioso passato e la millenaria storia di questa città.  Ci scusiamo coi  Lettori per questa divagazione, ma non potevamo tacere la nostra amarezza: Siracusa è per noi come una donna, bellissima ed angelica, che abbiamo molto amato e che poi, pian piano,  si è lasciata  andare, e adesso porta sul viso i segni degradanti di una vita squallida e peccaminosa!

   Ma torniamo al nostro bisognoso deputato. Avevamo pensato di organizzare, su questo giornale, una raccolta di fondi per alleviare le sue difficoltà finanziarie, ma il categorico rifiuto del nostro Direttore ci ha fatto desistere. L’onorevole, tra l’altro, ha dichiarato di avere una famiglia numerosa e ciò ha turbato ancora di più il nostro animo: quando ci sono bocche da sfamare, e quelle bocche sono quelle dei propri cari,  c’è poco da scherzare; la questione assume dei risvolti umani verso cui non si può restare indifferenti. Il deputato aretuseo, tra l’altro, non ha avuto esitazioni nel descrivere le spese cui deve far fronte, e che riguardano il mantenimento di una casa a Palermo (ma perché, considerata la situazione, non opta per una stanza in affitto?)  e di una a Siracusa, le relative spese condominiali, la segreteria politica, il carburante per effettuare la tratta Siracusa–Palermo, andata e ritorno ovviamente, e quello per andare in giro per la Sicilia, che gli costa 2.000 € al mese, visto che, come asserisce,  percorre 100 mila chilometri l’anno: una media di 274 km al giorno!

   E’ naturale, a questo punto, chiedersi i motivi di questo quotidiano peregrinare per l’Isola, e soprattutto se Vinciullo è un deputato regionale a Palermo o un turista avventuroso della politica! Vuoi mettere la gravità e l’urgenza delle sue spese  con le spesucce irrisorie delle tante famiglie siciliane (le cui entrate mensili, mediamente, sono un quinto o addirittura un sesto di quelle che mensilmente entrano nelle tasche di Vinciullo)  che vogliono permettersi il lusso di mangiare, lo sfizio di mantenere i figli a scuola e magari poi all’università, il capriccio di snobbare i negozi eleganti per assaporare l’ebbrezza di fare acquisti ai  grandi magazzini ed anche il piacere di pagare   il mutuo per soddisfare la  stravagante idea di avere una casa!  Noi Siciliani dovremmo arrossire di vergogna per sprecare in tal modo i nostri quattrini, mentre c’è un deputato regionale che, con quel che guadagna, fa fatica ad  arrivare a fine mese, e ciò perché ha lasciato la sua città – riteniamo pertanto che la sua non facile situazione economica sia resa ancora più insopportabile dalla struggente nostalgia -  per recarsi a Palermo mosso da un solo scopo: servire il popolo con sacrificio e abnegazione!

   E’ vero, abbiamo il più alto tasso di disoccupazione giovanile, tanti ragazzi laureati ma senza un futuro, ponti e autostrade che crollano, servizi che hanno ormai abbandonato il tradizionale terzo mondo per entrare a far parte del quarto, una delinquenza minorile che non ha pari in Italia ed una criminalità organizzata che, al contrario di quanto ritengono talune anime belle, è ben lungi dall’essere scomparsa, ma è  viva e vegeta ed inquina ancora oggi molti palazzi della politica e la nostra economia. Problemucci, certo, se confrontati con quelli cui giornalmente devono fare i conti i tanti Vinciullo della politica siciliana.

   Il tono ironico fin qui usato, ovviamente, non nasce da una sottovalutazione della gravità di quelle affermazioni, ma dalla necessità di stemperare in tal modo l’indignazione che quelle affermazioni ci hanno suscitato. Ovviamente, se dovessimo citare tutte le situazioni, sociali e personali, nei confronti delle quali le affermazioni di Vinciullo sono inique e irrispettose, questo nostro scritto diventerebbe un poema. Ci limitiamo, pertanto, a ricordarne solo una, che ci riguarda molto da vicino, perché ha come protagonista un modicano: è la storia di Luigi Casiraro (67 anni) che dopo quarant’anni di duro lavoro – e che pertanto nulla ha a che vedere con quello svolto a Palermo da Vinciullo e dai suoi colleghi tra le comode poltrone di Sala d’Ercole – si trova adesso in uno stato di grave indigenza.

   Da dieci anni senza lavoro, per poter sopravvivere e pagare le medicine alla moglie ammalata ha dovuto vendere quel poco che aveva compresa la sua vespa. Ha lavorato per quarant’anni, e solo da tre anni gli è stata concessa, mensilmente,  una misera pensione di 450 €. Il Casiraro non è stato mai ingaggiato e pertanto non può usufruire di una pensione che gli permetta di vivere dignitosamente. C’è, comunque, in questa storia, un aspetto che per fortuna ci dimostra che non tutto è ancora perduto per questa umanità che ha smarrito la dimensione altruistica del vivere: a Modica, infatti, è  iniziata una vera e propria gara di solidarietà nei confronti del Casiraro. Ovviamente, lo abbiamo già detto, casi come questo, purtroppo, ce ne sono tantissimi, anche nella nostra città.

   Che la classe politica sia ormai una casta e costituisca un mondo a sé stante, egoista e autoreferenziale,  non è una novità; che la sua arroganza è direttamente proporzionale alla sua ignoranza è cosa nota; che intenda la politica non come servizio ma come un mezzo per guadagnare potere e accumulare quattrini non lo scopriamo certo noi. Ma la casta, ci piaccia o no, è lo specchio della società che la genera. Noi siciliani dovremmo smetterla  di sentirci sempre e comunque delle vittime. Che lo Stato italiano,  sin da quando è nato, oltre 150 anni fa, ci ha sempre trattato come figli adottivi e  mai come figli naturali e legittimi, è cosa vera e risaputa, ma  ciò non può diventare, sempre e in ogni caso, il mezzo  con cui celare le nostre colpe.

   Siamo noi che abbiamo consegnato la nostra terra a Berlusconi e a Cuffaro, siamo noi che abbiamo eletto Raffaele Lombardo e siamo sempre noi che abbiamo fatto accomodare sulla poltrona più alta di Palazzo dei Normanni un politico inconcludente come Crocetta. E’ legittimo, e lo abbiamo fatto, indignarsi per le affermazioni paradossali e oltraggiose (nei confronti di coloro che quei problemi li hanno veramente e li vivono sulla loro pelle) di Vinciullo, ma restiamo convinti che dovremmo provare indignazione soprattutto verso noi stessi, perché siamo noi che deleghiamo tali personaggi a rappresentarci e affidiamo nelle loro mani la res publica: ovvero ciò che dovrebbe costituire  il bene più prezioso per un popolo evoluto e civile. #

 

 

 

 

 

MARZO 2016

 

 

 

 

LA POLEMICA SUI PROVENTI DALLE ESTRAZIONI
 PETROLIFERE NEL TERRITORIO IBLEO

 

                                   LA SOLITA COMMEDIA IN SALSA SICILIANA

 

Quanto stiamo per dire sulla vicenda delle royalties petrolifere incamerate per anni dal solo comune di Ragusa – si tratta di milioni di euro versate dalle società petrolifere per la loro attività di estrazione di idrocarburi sul territorio provinciale – potrebbe farci passare per simpatizzanti del deputato regionale Nello Dipasquale. Sgombriamo subito il campo dall’eventuale equivoco: questo signore non ci è mai piaciuto, e talvolta lo abbiamo anche scritto sulle colonne di questo giornale, perché da quando si è dato alla politica ha compiuto, di fatto, il periplo di quello che fu l’infausto arco costituzionale. Dalla Democrazia Cristiana (l’aver fatto parte della “balena bianca” basterebbe già a spiegare i motivi per cui non potremmo mai politicamente stimarlo) è approdato al partito azienda di Berlusconi e infine al Partito Democratico, che, con Matteo Renzi e i poteri forti che lo sostengono, ha fatto  precipitare il nostro Paese nel baratro, davanti al quale stava sospeso già da un bel po’ di tempo. Il fatto di non stimarlo politicamente, però, non deve precludere la possibilità di esaminare con obiettività una sua iniziativa che, per taluni aspetti, avrebbe anche potuto avere delle conseguenze positive. Abbiamo cercato di analizzare la questione in modo obiettivo per non commettere gli errori che, in questa vicenda, hanno commesso, con più o meno intensità, coloro che sono intervenuti: sacrificare l’indipendenza della ragione e l’autonomia di giudizio sull’altare di una inconcludente ottusità ideologica e di meschini calcoli legati ad una gretta concezione della politica locale.

Proviamo, innanzitutto, a riassumere i fatti, tenendo conto, ovviamente, che l’emendamento cui di seguito accenneremo è stato comunque bocciato a fine febbraio dall’Assemblea Regionale Siciliana con 45 voti contrari e 28 favorevoli.  Si tratta del comma 19 dell’articolo 8 della Legge finanziaria, che era stato  approvato  dalla Commissione bilancio dell’ARS – primo firmatario l’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale - che intendeva ridistribuire le quote versate dalle società petrolifere all’intero territorio provinciale – e dunque non più soltanto a Ragusa – destinando, inoltre, 5 milioni al rifinanziamento della legge su Ibla e “blindando” l’utilizzo di questi fondi, mettendo, in tal modo, però,  in seria difficoltà  l’amministrazione Piccitto, che ancora non ha spiegato in maniera dettagliata in che modo abbia utilizzato negli ultimi due anni le somme relative alle royalties : ben 48 milioni di euro!  Pare, comunque, che siano stati utilizzati per spese correnti e non per investimenti; il che potrebbe configurare un uso illegittimo dei fondi. Per tale motivo, Dipasquale ha presentato una denuncia alla Procura della Corte dei conti.  Tutti i comuni, inoltre, che avrebbero usufruito di queste entrate, avrebbero dovuto utilizzarle per la cura dei rispettivi siti Unesco. Ricordiamo che, soltanto per l’anno 2015, il comune di Ragusa ha incassato dai petrolieri la somma di 30 milioni di euro.

Proviamo a capire, con un esempio, che cosa sarebbe accaduto nel 2016 se l’emendamento fosse stato approvato e se la cifra incassata fosse stata uguale a quella dello scorso anno. 15 milioni di euro sarebbero andati a Ragusa; per quanto riguarda il 70% degli altri 15 ancora a Ragusa e soltanto il 30% distribuito tra gli altri comuni. Insomma, dei 30 milioni di euro più di 25 sarebbero andati a rimpinguare le casse comunali di Ragusa; l’elemosina, ovvero 4 milioni e mezzo, agli altri comuni. Insomma Ragusa avrebbe avuto la torta quasi per intero: priva soltanto di una misera fettina. Apriti cielo! Il sindaco Piccitto ha dichiarato che la proposta di Dipasquale è stata “una pagina triste, buia e vergognosa” per Ragusa; Giovanni Iacono, presidente del civico consesso ragusano, si è addirittura dimesso in segno di protesta, per quella che ha ritenuto “una inconcepibile iniziativa”; Carmelo Ialacqua del “Movimento città” ha definito Dipasquale lo “scippa royalties”, dimenticando che fu proprio Dipasquale, da Sindaco – per tale motivo, in quell’ occasione, gli fu affibbiato il poco gratificante epiteto di “ perforatore del Val di Noto” – ad autorizzare le concessioni nel territorio urbano di pertinenza. Non è mancato, poi, in questa poco esaltante querelle, chi, perdendo il senso della misura, ha addirittura chiesto che a Dipasquale venisse  tolta la cittadinanza ragusana. La senatrice pentastellata, Ornella Bertorotta, ha invece dichiarato che Crocetta e Dipasquale hanno giocato “ad affamare i Ragusani per abbattere un’Amministrazione a 5 stelle”. Il Nello ragusano, insomma, voleva destinare una parte irrisoria degli introiti petroliferi agli altri comuni iblei e ciò, per la signora Bertorotta, avrebbe “affamato” i cittadini di Ragusa. Non ci resta che complimentarci con la Senatrice, per le sue profonde analisi politiche e per le sue alte capacità di valutazione, ma soprattutto per la retorica di cui è intrisa la sua improvvida esternazione.

 L’iniziativa di Dipasquale ha scatenato un coro di proteste: l’aspetto esilarante della vicenda è che tali proteste sono avvenute nella sua città quando invece sarebbero dovute nascere nei comuni cui “generosamente” sarebbe stata elargita l’elemosina. Il fatto è grottesco,  ma è soprattutto preoccupante, perché è l’ennesima dimostrazione della mediocrità politica di coloro che amministrano le nostre città. Con la sua iniziativa Dipasquale ha scatenato una guerra tra poveri: ogni Amministrazione comunale ha infatti rivendicato la sua parte di elemosina. Il sindaco di Pozzallo ha dichiarato che la piattaforma petrolifera dei pozzi Vega A e B è a poche miglia dal suo paese e pertanto avrebbe preteso che ciò fosse stato tenuto presente nella spartizione dei soldi. Plaudente all’iniziativa di Dipasquale è stato il presidente del consiglio comunale di Comiso, il quale ha affermato: “Fino ad oggi è stato immorale ed egoistico tacere e circoscrivere il tutto al solo comune capoluogo”.  A Scicli, Forza Italia – con la consueta lungimiranza politica che la contraddistingue – ha dichiarato, con una nota del commissario Michele Roccaro, che è giusto che la sua città abbia più soldi della vicina Modica, in quanto, dopo Ragusa, Scicli è il comune che rischia di più e che pertanto, nella divisione dei proventi, il criterio della popolazione residente va sostituito con quello della minore distanza rispetto al luogo dove si estraggono gli idrocarburi. Anche in questo caso non possiamo non esprimere il nostro compiacimento per questa analisi   politologica di altissimo livello e di profonda saggezza: nel caso, infatti, dovesse accadere una catastrofe legata alla estrazione di idrocarburi, Modica si salverebbe, mentre Scicli sarebbe spazzata via come una nuova Hiroshima! D’accordo con Dipasquale è stato anche Piero Muraglie, sindaco di Ispica; l’unica voce fuori dal coro è stata quella del sindaco di Chiaramonte,  il quale ha dichiarato che la proposta di Dipasquale non avrebbe risolto nulla e avrebbe privato Ragusa dei suoi legittimi proventi.

Abbiamo lasciato per ultimo il sindaco di Modica, perché, come sempre, non perde occasione per lasciarsi andare al suo consueto e ormai indisponente protagonismo politico. Egli, infatti, sulla stampa locale, ha dato inizio ad un battibecco con Dipasquale volendo intestarsi la paternità della proposta. Mentre i suoi colleghi parlavano dei contenuti – che poi ne abbiano parlato in modo assai discutibile è un altro discorso – lui parlava della forma. Per Abbate, insomma, l’iniziativa era sua ed aveva preso avvio da un suo incontro recentemente avuto col sottosegretario Vicari. L’esternazione di Abbate ha determinato l’ironica risposta di Dipasquale che ha ricordato al sindaco di Modica che  la faccenda delle estrazioni sul territorio siciliano è una questione che attiene alla Regione e non al Governo nazionale, e difatti Abbate non ha più potuto replicare. Come al solito, il nostro Sindaco ha fatto fare alla sua città l’ennesima, pessima figura! Ci auguriamo, per il bene di noi tutti, che pensi ad amministrala con saggezza o almeno ci provi, considerato che ci sembra assai improbabile viste le sue modeste doti politiche. Se ogni occasione è buona per apparire sulla stampa locale, qualche malpensante potrebbe dedurne che non pensi per nulla alla sua città, ma soltanto ad organizzare per tempo la sua campagna elettorale, per tentare anche lui di fare il salto a Palermo in occasione delle prossime elezioni regionali. Quali le conclusioni da trarre dall’intera vicenda?

Da un lato, Dipasquale, il quale, da perfetto democristiano, e dunque  ideologicamente incoerente e politicamente inaffidabile, ha fatto un’ operazione politica di piccolo cabotaggio, non avendo le doti politiche per farne qualcuna di alto profilo:  ha cercato di mettere in difficoltà  il suo nemico politico, ovvero l’amministrazione pentastellata della sua città, ma nello stesso tempo è stato attento a non danneggiare i suoi concittadini, i quali non si sarebbero nemmeno accorti, ovviamente, se invece di 30 milioni di proventi a Ragusa ne fossero arrivati 25; e, nel contempo,  avrebbe elargito qualche  soldo  agli altri comuni, il che lo avrebbe fatto apparire come un benefattore!  E’ assai probabile che il Nello ragusano si stia organizzando per fare il grande salto a Roma! Dall’altro lato, gli amministratori locali  che hanno mostrato quanto ristretto sia il loro orizzonte politico, quanto siano incapaci di guardare al di là degli specifici interessi delle loro città. In modo particolare  quelli di Ragusa, tutti preoccupati di difendere il loro orticello e presentando la piccola perdita economica che la loro città avrebbe potuto subire  come un disastro finanziario.

Quelli di Ragusa, i precedenti e gli attuali, sono certamente gli amministratori che hanno maggiori responsabilità nell’aver portato e nel portare avanti una politica localistica, nel suo significato peggiore (ovviamente anche gli altri comuni non sono del tutto  indenni da colpe)  con la voracità  dimostrata in questi anni, e che si è concretizzata nella politica dello scippo, basti per tutti il caso del Tribunale di Modica: sappiamo bene, ovviamente, che ciò è dipeso dal governo nazionale e non dagli amministratori ragusani, ma  l’atteggiamento da loro assunto nella vicenda conferma l’ingordigia di cui abbiamo detto.  Tra l’altro, nel recente passato, sono stati ben lieti di partecipare, insieme alle altre Amministrazioni iblee, alla spartizione dei fondi legati alla dismissione dell’ Insicem e dell’Azasi, entrambe allocate nell’agglomerato industriale Modica – Pozzallo. Gli amministratori degli altri Comuni, invece, sono stati impegnati a salvaguardare il cortile di casa e si sono dichiarati ben lieti di raccogliere le briciole cadute dal banchetto, i cui commensali sarebbero stati sempre gli stessi,

 Dipasquale ha  cercato di fare i suoi interessi elettorali, la torta non sarebbe stata spartita in parti uguali, ma gli amministratori delle nostre città non sono riusciti a capire, in questa faccenda sostanzialmente poco elegante, l’unica cosa buona che c’era da capire: che da tempo avrebbero dovuto cominciare a parlarsi, a superare la logica del campanile, ad intraprendere delle iniziative comuni. Nel caso dell’emendamento di Dipasquale, occorrerebbe agire non per tentare di  reintrodurlo, ma perché venga modificato e poi approvato - per tale motivo, all’inizio di queste nostre considerazioni, abbiamo scritto che la sua iniziativa avrebbe potuto avere delle conseguenze positive -  Il problema non è quello di ottenere le briciole, ma che le entrate provenienti dagli scavi petroliferi siano equamente divisi tra tutti i comuni della provincia, senza che alcuno goda di favoritismi!  Il fatto che soltanto adesso il sindaco di Modica dichiari di volerla intraprendere, tale azione comune, ci sembra davvero puro opportunismo e ci ricorda l’antico adagio di “chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati”. Di Pasquale lo ha definito presuntuoso ed arrogante; a noi, appare assai spesso prigioniero di un mondo fittizio ed irreale, e ciò lo induce ad  assumere atteggiamenti che potremmo capire, anche se non giustificare, se fosse il sindaco della Capitale, ma che risultano paradossali per un Sindaco di una cittadina di 50 mila abitanti.

La politica “acchiappatutto” portata avanti dagli amministratori ragusani è oltremodo deleteria,  perché mantiene in vita una concezione medievale della politica e stravolge lo spirito che dovrebbe animare un  libero consorzio tra comuni. Oggi più che mai abbiamo bisogno di sinergie e di collaborazione, perché il territorio ibleo o cresce in maniera omogenea o non cresce, o si sviluppa in modo collaborativo e organico o non si sviluppa. Abbiamo la spiacevole sensazione di essere andati al teatro per  assistere, ancora una volta,  alla solita commedia in salsa siciliana!

 

 

 

 

 

APRILE 2016

 

 

Le locali beghe di bassa politica sono lo specchio della crisi
 dell’identità culturale del nostro Paese

 

                                     LA POLEMICA ABBATE – CARPENTIERI
                                     E IL TOTALITARISMO TECNOCRATICO

Visto il declino politico e culturale che da decenni caratterizza la storia della nostra città e che, in taluni casi, come abbiamo più volte scritto, ha raggiunto livelli a dir poco allarmanti, pensavamo che fosse difficile che questi potessero essere superati da situazioni ancora più avvilenti. Dobbiamo però ricrederci! La polemica, che nei primi giorni del corrente mese di aprile, ha coinvolto il sindaco Abbate e Mommo Carpentieri ha infatti ampiamente travalicato i margini, seppure ormai fragili, del pudore politico. Il sindaco di Modica, come tutti sappiamo, non bada a spese, quando si tratta di fare pubblicità alle  attività  del Comune che presiede, per tale motivo ha stanziato 20 mila euro per “divulgare informazioni istituzionali che consentano ai cittadini di conoscere le attività dell’Ente”, il che, tradotto dal politichese, significa che fa spendere al Comune 20 mila euro al solo scopo di provvedere, a nostro giudizio,  alla sua campagna elettorale e di tutto ciò, ovviamente, ne fa le spese il cittadino modicano che in questi ultimi anni ha visto aumentare del 20% le imposte locali.  Il compito di divulgare tali comunicazioni è stato affidato a “emittenti locali che garantiscono la diffusione TV in tutto il territorio comunale, comprese frazioni e contrade” . E’ ovvio che 20 mila euro, se fossero stati utilizzati per migliorare i servizi alla cittadinanza, non avrebbero risolto i problemi coi quali questa deve fare quotidianamente i conti, pur tuttavia, questo

sarebbe stato un segnale importante sotto il profilo etico e politico, giacché tale denaro sarebbe stato comunque impiegato per i cittadini e non per la propaganda al fine di  ottenere consensi elettorali. Emblematico, nella fattispecie, il caso del “Modica Flower Show”, la manifestazione botanico-florovivaistica che è stata realizzata nella nostra città nello  scorso mese di  marzo, che, oltre ad essere l’ennesima dimostrazione di come questa Amministrazione sperpera il pubblico denaro – non ci pare, infatti, che l’iniziativa sia stata particolarmente apprezzata e che si sia distinta per una massiccia partecipazione di visitatori -  apre uno spiraglio inquietante sul modo poco trasparente con cui si decide di utilizzarlo,  nel senso che  il civico consesso prende visione di ciò quando le delibere della Giunta sono già diventate esecutive, visto che spesso vengono approvate, e non ne comprendiamo il motivo, in situazioni definite “urgenti e indifferibili”.

Il “Modica Flower Show” – come ha sottolineato Antonio Ruta, che si è già occupato della vicenda - fu annunciato dal Sindaco in una  conferenza stampa dello scorso dicembre, ma soltanto il 18 marzo 2016 la giunta ha approvato la delibera con cui sono stati stanziati 30 mila euro per affrontare le spese della manifestazione, e, ancora una volta, una delibera è stata dichiarata, per motivi di urgenza e indifferibilità, immediatamente esecutiva. E’ naturale chiedersi come sia possibile che nel dicembre 2015 l’Amministrazione comunale annunci una manifestazione che si sarebbe svolta quattro mesi dopo e nel contempo non abbia affrontato la questione economica con l’agenzia incaricata di realizzarla! Per quale motivo la Giunta approva una delibera immediatamente esecutiva, per cause urgenti e indifferibili, che stanzia 30 mila euro per tale manifestazione e lo fa il giorno prima che questa sia realizzata! E, infine, perché nell’arco di quattro mesi non si è trovato il tempo per emanare una delibera ordinaria e pubblicarla all’albo, in modo che consiglieri comunali e  cittadini potessero prenderne visione! La faccenda delle TV locali, cui abbiamo accennato all’inizio di questo nostro articolo, è un altro esempio della pessima gestione finanziaria e amministrativa della giunta Abbate. In occasione delle festività pasquali, e in modo particolare per il rito della “Madonna vasa vasa”, l’emittente locale Canale 74, di proprietà della famiglia Carpentieri, ha criticato il Sindaco sui contributi stanziati a favore delle emittenti locali che hanno fatto richiesta per ottenerli, al fine di diffondere il celebre rito della domenica di Pasqua. Canale 74 ha dichiarato  di rinunciare al contributo elargito dal Comune “ come segno di onestà ma anche come monito affinché in ogni prossima occasione chiunque sia chiamato a fare delle scelte del genere operi con criteri di correttezza ed equità. Altrimenti si pensi piuttosto a destinare tali somme ai servizi per i cittadini o ad onorare i pesanti debiti che il Comune di Modica ha con le imprese locali”. Il Sindaco, da parte sua, ha dichiarato che le cose non sono andate in tal modo e, nel contempo, ha ricordato  che  nel 2013 Canale 74 ha fatto campagna elettorale per Mommo Carpentieri nella competizione elettorale che lo ha visto a lui contrapposto.  Ha affermato, tra l’altro, che l’emittente della famiglia Carpentieri aveva chiesto, come le altre, un contributo di 2 mila euro e che poi si è decisamente lamentata quando ha saputo che lo stesso era stato ridotto ad euro 750; a tal punto, prosegue Abbate,   vi ha rinunciato, tirando in ballo le motivazioni di cui sopra. Il Sindaco, nel suo comunicato, anche se non lo nomina in maniera esplicita, polemizza con Mommo Carpentieri,  sottolineando che “la coerenza è merce sempre più rara, soprattutto in chi  cerca con ogni mezzo di ritornare  a galla”.

La replica di Carpentieri, ovviamente, non si è fatta attendere. Sono due gli aspetti di questa polemica  che a nostro parere meritano di essere particolarmente sottolineati. La prima: Carpentieri ricorda che, nel 2013, prima del ballottaggio, Abbate lo contattò per avere il suo appoggio, promettendogli in cambio un posto di assessore nella futura giunta e che lui accettò tale proposta non per avere una poltrona ma perché sperava in un reale cambiamento politico (sic!). Eppure, prima del ballottaggio, affermò, attraverso un comunicato stampa, di non aver mai parlato con Abbate e di non averlo mai incontrato!  Poi, volendo ancor più sottolineare il suo scarso attaccamento alla poltrona, ricorda di non averne rivendicata alcuna. Ciò che emerge da questa  vicenda, politicamente demoralizzante, è la prova inconfutabile che la mediocrità politica di chi ha governato e governa Modica, e che abbiamo innumerevoli volte denunciato, non è il frutto di una nostra presunta altezzosità intellettuale o integrità morale, non è nemmeno il frutto di un rigorismo etico o peggio di una sorta di qualunquismo che ci induce a condannare i politici in quanto tali, ma è un dato incontrovertibile ed è l’espressione di uno squallore politico deprimente e avvilente. Da un lato, un uomo che vuol fare il Sindaco e che promette – così sostiene Carpentieri - una poltrona all’avversario sconfitto pur di averne l’appoggio e per il quale, se è vero ciò che Carpentieri afferma,  la politica, evidentemente,  non è che una “merce di scambio”, con buona pace di valori e ideali che invece dovrebbero essere il lievito di ogni impegno politico; dall’altro lato, un candidato sconfitto il quale, mettendo anch’egli in soffitta valori e idee, accetta di dare il suo appoggio al vincitore e  poi offende l’intelligenza dei suoi concittadini, sostenendo che tale appoggio non lo diede per conquistare l’ambita poltrona di assessore, ma per alti e nobili motivi: pensando unicamente – di questa frase, davvero, non se ne può più – al bene della sua città!  Eppure, se guardiamo con attenzione alla storia politica di questa persona, non ci pare che le poltrone le siano state così indifferenti come ora vorrebbe far credere.

La seconda questione che emerge dalla diatriba sorta tra Abbate e Carpentieri è triste ed esilarante al tempo stesso. Ci riferiamo all’elogio della coerenza fatto dal Sindaco, al quale il suo avversario ricorda  di avere iniziato la sua carriera politica nel Partito Comunista, di averla continuata in quello Democratico, di essere diventato poi autonomista al seguito di Raffaele Lombardo, quindi di essere approdato all’UDC, partito che poi  lo ha candidato alle amministrative: la storia, come si sa, si conclude – per momento; il futuro potrebbe infatti riservarci altre sorprese – quando, in Consiglio comunale, si dichiara indipendente.  L’aver cambiato così tante casacche è ovviamente un problema suo e come tale ci è del tutto indifferente, ma come Sindaco di una nobile città come la nostra non è tollerabile che dia lezioni di coerenza ad alcuno e  dovrebbe dimostrare certamente maggiore cautela nelle sue esternazioni. Chi è stato ed è politicamente incoerente non è legittimato a dare lezioni di coerenza a chicchessia.

Abbate, da questo punto di vista, è l’emblema della decadenza  che caratterizza la nostra martoriata Italia. In quanto a coerenza politica anche Carpentieri non ci sembra legittimato a fare prediche.  Da candidato a Sindaco, non ci pare abbia rifiutato il sostegno di  Piero Torchi: non sappiamo, ovviamente, se il sostegno dell’ex Sindaco sia stato disinteressato o se invece abbia ricevuto la promessa di ottenere una qualche poltrona: se così è stato, ma, lo ripetiamo, non possiamo esserne certi,  Carpentieri avrebbe dovuto risanare le finanze dell’Ente – così aveva promesso in campagna elettorale – collaborando con chi a quelle finanze aveva assestato un colpo mortale. Carpentieri,  inoltre, aveva designato come assessore, in caso di vittoria,  un uomo dichiaratamente di sinistra come Uccio Barone e, tanto per non farsi mancare nulla, dopo essere stato sconfitto al primo turno, dichiarò che al ballottaggio avrebbe votato per Abbate che adesso accusa di essere un voltagabbana: allora, evidentemente, i cambi di casacca dell’attuale Sindaco non gli davano fastidio. E’ appena il caso di ricordare che poi Carpentieri ha lasciato il PDL dichiarandosi indipendente, in quanto il partito berlusconiano lo aveva deluso, mentre invece veniva da lui apprezzato quando gli consentiva di occupare la poltrona di vicepresidente della provincia regionale! E ci pare di ricordare, infine,   che sia stato amministratore,  al Comune di Modica e alla Provincia, sia con la Destra sia con la Sinistra.

Diciamolo francamente: Abbate e Carpentieri, come la maggior parte di quelli che oggi fanno politica, hanno certo delle colpe, ma non tutte dipendono da loro, che sono soltanto  lo specchio della società in cui vivono, una società dove tutto è omologato e livellato, verso il basso, ovviamente. Una società fondata, per dirla con Heidegger, sull’esistenza anonima e sulla deiezione, ovvero sulla caduta dell’essere degli uomini all’essere delle cose, con la tragica conseguenza che l’io dico e l’io penso hanno lasciato il posto al si dice e al si pensa. Il mondo, per dirla ancora con Heidegger, è diventato una sorta di grande utensileria, in cui gli uomini, ridotti a cose, vengono strumentalizzati e manipolati a piacimento, da chi detiene le chiavi della cassaforte e dunque del potere.

 I politicanti di oggi sono il frutto di una società che consente a tutti,  anche a coloro che non ne hanno le qualità, di fare carriera e conseguire posti di comando e di responsabilità, con le drammatiche conseguenze che ne derivano. Non serve a nulla lamentarsi e dire che viviamo in un  mondo orribile se non si ha il coraggio – per paura dell’altrui giudizio – di dire come stanno veramente le cose. Forse aveva ragione Nietzsche quando lanciava i suoi strali contro la democrazia e l’egualitarismo! “Ogni elevazione del tipo “uomo” è stata, fino a oggi, opera di una società aristocratica e così continuerà sempre ad essere: di una società, cioè, che crede in una lunga scala gerarchica e in una differenzazione di valore tra uomo e uomo” . “La lotta per l’uguaglianza è già un sintomo di malattia”. Ovviamente, queste affermazioni di Nietzsche vanno ricondotte all’autentico significato che il filosofo le conferiva e pertanto non sono in discussione valori come l’uguaglianza dei diritti civili e politici.

Il nostro richiamo al grande pensatore tedesco nasce dalla constatazione che soltanto una società meritocratica e non livellata può trarci fuori dalla palude in cui tutti rischiamo di affogare, che è  quella  della mediocrità politica (si pensi, a mo di esempio, alla deprimente polemica di cui ci siamo occupati, quella tra Abbate e Carpentieri) che naturalmente non è soltanto quella locale, perché investe anche il governo e il parlamento nazionale; la palude della dilagante corruzione e dell’ignoranza che ormai imperversa in tutti gli ambiti della vita nazionale.  Non riteniamo sia ancora tollerabile che in questo nostro Paese siano gli ignoranti, i mediocri e i cafoni a dettare regole e stabilire norme, e ad accumulare quattrini da portare poi nei ben noti “paradisi fiscali”.
Il declino ci sembra ormai inarrestabile e le cause vanno ricercate nel trionfo della civiltà tecnologica e nel tramonto di quella umanistica, l’unica in grado di trasmettere valori e conoscenze. Il compito di invertire la rotta spetterebbe, soprattutto, alla scuola, ma questa è stata pian piano messa in condizione di non nuocere da governi e ministri non all’altezza del loro compito e, soprattutto, asserviti alla logica aziendalistica imposta dal capitalismo industriale e finanziario, cui fa comodo che le nuove generazioni acquisiscano sempre più competenze e sempre meno conoscenze e che non “perdano tempo” a studiare il greco e il latino.

E’ questa sciagurata oligarchia che vuol fare dei nostri giovani un futuro popolo “metafisico”, come veniva definito da Heidegger, negli anni Trenta, quello ebraico. Insomma, il popolo simbolo della “modernità”, nel caso degli Ebrei in quanto sradicato e de-territorializzato; nel caso italiano, perché privato delle sue radici e del suo passato, che nel nome della tecnica dev’essere condotto a ripudiare l’Umanesimo di cui è stato artefice e protagonista. E’ovvio che l’obiettivo precipuo di questa Casta al potere è quello di spogliare il popolo italiano – ma il discorso vale anche per le altre Nazioni europee – della sua identità per cucirgliene addosso un’altra che sia funzionale ai suoi interessi. Solo una società non livellata e non massificata, che ripudia la sottomissione alla tecnica e che affonda le sue radici in una salda cultura umanistica, può attuare una giusta selezione tra gli uomini, condannando all’assoluto anonimato adoratori del denaro e delle poltrone,  arrivisti, voltagabbana, concussi, corruttori, mafiosi e ladri, e consentire l’avvento di quell’oltreuomo, di cui parlava Nietzsche, ovvero di una nuova umanità, fiera e coraggiosa, forte e generosa. (Tralasciamo, per ovvi motivi, gli altri molteplici significati che Nietzsche attribuisce a questo termine).

Se fosse questa  ad avere in mano il destino del   mondo, saremmo tutti un po’ più seri, la smetteremmo di vivere come burattini e magari, finalmente, prenderemmo in mano, in maniera autonoma  e consapevole, la nostra sempre più anonima esistenza! E, invece, viviamo in un mondo in cui una scellerata élite, formata da banchieri, industriali e finanzieri, decide chi debbano essere i burattini di turno cui affidare il potere al solo scopo di salvaguardare i loro loschi e meschini affari.

E’ per tale motivo che da anni il popolo italiano non può scegliere il capo del governo ed è oggi costretto a subire l’ambiguità, l’incapacità e l’arroganza di un personaggio come Renzi. Non possiamo non auspicare,  parafrasando Hegel, che giunga il crepuscolo, e che, nel buio,  non l’hegeliana nòttola,  ma un’aquila possa spiccare il volo e annunciare l’alba di una nuova età. Quella in cui ciascuno si possa riappropriare della dignità di cui è stato espropriato da un totalitarismo ancora più radicale, per taluni aspetti,  di quello hitleriano e staliniano: quello del superpartito tecnocratico!

 

 

 

GIUGNO 2016

 

 

 

 

                                                LA SOLITUDINE DEI VECCHI

 

Nello scorso mese di marzo, ad Acate, il corpo ormai mummificato di un pensionato di 74 anni, morto per cause naturali, è stato trovato dai carabinieri nella sua abitazione, tre mesi dopo il decesso. I militari dell’Arma sono intervenuti in seguito alla segnalazione di alcuni parenti che risiedono nel nord Italia e che non avevano avuto più sue notizie. La stessa sorte è toccata, lo scorso 1 maggio, al modicano Arturo De Francisci di 81 anni, trovato dai vigili del fuoco nella sua casa di via Medica, in pieno centro storico; il medico legale ha accertato che la morte risaliva ad un mese prima; in questo caso ad allertare i vigili sono stati alcuni vicini, insospettiti dal cattivo odore che si era sparso per tutta la via.  Due vicende simili, due sfortunati protagonisti, un unico comune denominatore: il dramma della solitudine, che, in questa società malata in cui viviamo, può colpire chiunque ma soprattutto i vecchi. Siamo quotidianamente bersagliati da notizie che riguardano i disperati che arrivano dall’Africa su barconi pieni fino all’inverosimile, per sfuggire al dramma della fame e della guerra e, a tal proposito, è giusto sottolineare che se è doveroso occuparcene e offrire loro accoglienza e solidarietà, è altrettanto necessario utilizzare  tutti gli strumenti utili a scovare i delinquenti che spesso si nascondono in mezzo a donne  e bambini; quegli esaltati che poi insanguinano l’Europa, facendo letteralmente a pezzi chiunque abbia la sventura di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato

 E’ giusta, lo ribadiamo, la solidarietà per coloro che sbarcano sulle nostre coste, ma è paradossale che non ci sia per coloro che ci stanno a fianco: è a dir poco inquietante che i vicini di casa di un povero vecchio si siano accorti della sua assenza soltanto per il cattivo odore che li ha infastiditi e che dei parenti che vivono al nord per ben tre mesi non si siano preoccupati di avere notizie di quell’anziano parente che viveva da solo dall’altra parte della penisola; così come è triste constatare che i vicini di casa non si siano posti il problema di che fine avessero fatto questi due poveri vecchi e del perché non li si vedesse più in giro da un bel po’ di tempo. La vicenda ci ricorda delle situazioni che abbiamo sempre biasimato. Ci riferiamo ai tanti – non ovviamente ai missionari consacrati che rischiano la vita e che spesso l’hanno persa per rimanere coerenti con la loro fede – che partono per l’Africa e la cui partenza è quasi sempre comunicata, descritta ed esaltata da giornali amici e compiacenti.

Quasi sempre queste “missioni” sono accompagnate da un’insopportabile retorica che ha il solo obiettivo di fare apparire questi personaggi come “eroi” che partono, impavidi, per luoghi impervi e lontani; come filantropi che sfidano il tempo e lo spazio pur di andare ad aiutare quei poveri bambini che muoiono per mancanza di cibo e medicine. Non è nostra intenzione, ovviamente, generalizzare, anche perché sarebbe un modo superficiale di valutare una questione seria come questa, ma non riusciamo ad allontanare da noi il sospetto che, per tanti, le motivazioni che li spingono a questo gesto siano ben altre: il desiderio di avventura, la voglia di conoscere luoghi diversi, la suggestione di scoprire  un  continente affascinante come l’Africa. E intanto i nostri vecchi muoiono nell’abbandono e nella più completa solitudine, quei vecchi che magari abitano nella porta accanto di chi parte ad aiutare i bambini africani.

Ma vuoi mettere il desiderio di avventura col fardello di portare a quel povero vecchio che ti vive accanto un pasto caldo al giorno; vuoi mettere la voglia di conoscere altri luoghi con la noiosa incombenza di trascorrere con lui, ogni giorno, qualche ora, al solo scopo di fargli compagnia; vuoi mettere il fascino dell’Africa con la seccatura di accompagnarlo, visto che non ha nessuno, dal medico o in ospedale quando ne ha bisogno! Non tutti, lo ribadiamo, ma molti di questi “eroi” forse dovrebbero, a tale riguardo, interrogare la loro coscienza! E’ ciò che dovrebbero fare anche molti di coloro che appartengono alle innumerevoli  associazioni e ai tanti circoli e club, ovvero a quelle  inutili aggregazioni autoreferenziali, che spargono nella società il seme della retorica e della superficialità.  Si tratta di coloro che fra cene eleganti e riunioni in giacca e cravatta (gli uomini) e in abito lungo (le signore) si intrattengono piacevolmente tra pettegolezzi e chiacchiere da salotto e che di tanto in tanto, per darsi un tono, organizzano qualche conferenza, certi che un po’ di frustrati che affolleranno la sala li troveranno sempre:  per una sera, si sentiranno “persone impegnate” e magari sarà l’occasione per sfoggiare l’abito firmato, da poco acquistato nella più elegante boutique della città. Circoli e club che altro non sono che l’espressione di quella piccola borghesia, quella storica e quella (la peggiore) che lo è appena diventata, che si dedica alla beneficienza per tacitare la propria coscienza, che si diletta tra riunioni, feste e banchetti: sono congreghe  utili per sfoggiare  la loro piccola e insignificante ascesa sociale, confraternite buone per conoscere “ quelli che contano” o che s’illudono di contare qualcosa:  l’altro è soltanto uno strumento che al momento opportuno potrà tornare utile grazie al fatto di portare  sulla giacca la stessa coccarda. Costoro, che organizzano beneficenze e che si atteggiano a filantropi, sono identici agli “eroi” che partono per l’Africa.

Vuoi mettere una cena elegante con l’andare a trovare i vecchi in un ospizio, con quel tanfo sgradevole e insopportabile che infastidisce le narici, per far loro un po’ di compagnia, perché è di questo che hanno bisogno: di non sentirsi soli; vuoi mettere l’organizzare una conferenza  con l’andare a trovare i vecchi in ospedale: quelli che non hanno nessuno e che trascorrono i loro giorni in un letto, senza più poter distinguere un’alba da un tramonto,  magari subendo le angherie e i soprusi di una bisbetica infermiera; vuoi mettere passare una serata al centro dell’attenzione, magari con una telecamera davanti alla quale poter mettersi in posa, con il trascorrerla con quella vecchia sola ed ammalata, che vive sul tuo stesso pianerottolo e che nemmeno conosci! Anche molti tra questi – non tutti, naturalmente, perché anche per questa categoria non è corretto generalizzare –  dovrebbero interrogare la loro coscienza! 

Lo squallore di quanto abbiamo finora detto è la conseguenza della civiltà tecnico-industriale in cui viviamo, che ha distrutto la nostra stessa essenza, il nostro essere uomini e soprattutto il nostro essere soggetti e non oggetti della storia.  Siamo tutti vittime del trionfo dell’economia e di quello che Marcuse definiva “il principio della prestazione”: tutte le nostre energie psico-fisiche devono essere impiegate per fini lavorativi e produttivi. E’ ovvio che il dominio di una tale logica faccia dei vecchi soltanto delle inutili presenze, delle “cose” gettate nel mondo, come direbbe Heidegger, e che pertanto semplicemente non esistono: sono i reietti della società, sono loro i veri emarginati, gli esclusi, i dimenticati. Non è soltanto il mito del ”produrre” e del “profitto” che ha ridotto i vecchi ad una sorta di “utensileria”da utilizzare al momento opportuno -  soprattutto quando riscuotono la loro misera pensione sulla quale c’è sempre qualcuno che senza pudore si avventa come un avvoltoio - ma anche il mito del progresso,  la venerazione del nuovo a tutti i costi, anche se inutile e ridicolo, la sacralizzazione del futuro e nel contempo la demonizzazione del passato e delle tradizioni: anche questo ha posto i vecchi ai margini della società.  In questa logica aberrante, infatti,  il vecchio non è più quella fonte di saggezza cui un tempo si attingeva per imparare a vivere: è soltanto un reperto del passato, lo rappresenta, lo incarna e per tale motivo non merita più alcuna considerazione.

Ci viene in mente quanto sosteneva Theodor Adorno sull’arte contemporanea: avendo abbandonato i canoni tradizionali della bellezza, ovvero l’armonia e la perfezione, essa è diventata documento delle brutture e delle contraddizioni della società, ed in tal modo “rivela ciò che l’ideologia nasconde”. Parafrasando ciò che sull’arte sosteneva il grande filosofo tedesco, possiamo affermare che i vecchi, oggi, rivelano a noi stessi ciò che veramente siamo; sono loro che documentano il nostro egoismo, la nostra stupidità, la nostra meschina ansia di protagonismo, il nostro deprimente desiderio di omologazione e il nostro star bene in una società massificata ed etero diretta. Smarriti tra smartphone, hardware, software ed altre simili diavolerie, siamo diventati degli automi senz’anima, incapaci di parlarci, non più in grado di assaporare il gusto di scrivere delle lettere o l’emozione di riceverne. Ci tuffiamo in mille cose da fare per non pensare alla nostra miseria e così facendo, come ammoniva Pascal, ci priviamo del pensiero, ovvero dell’unica cosa che può in qualche modo sollevarci dalla nostra condizione umana, fragile, effimera e per taluni aspetti tragica.  Noi siamo diventati l’umanità “non pensante”. La razionalità coincide con la funzionalità; il sapere con la tecnica; la verità con l’utilità. Non siamo più persone ma “individui” manovrati e asserviti alle esigenze della produzione.

 Ma i vecchi non producono e pertanto sono presenze ingombranti: non servono alla società e non servono a noi, perché siamo stupidamente convinti che possiamo fare da soli, ignorantemente persuasi di non aver nulla da imparare. Stiamo costruendo il futuro su un cumulo di macerie: quel passato fatto di tradizioni e consuetudini, di valori e ideali, che va spazzato via, secondo talune aberrazioni illuministiche, che ancora resistono, e che sono mantenute in vita da un progressismo assolutizzato, e dunque sciocco e deleterio, che manipola le coscienze dei “dormienti”, come direbbe Parmenide, attraverso l’informazione televisiva, i giornali, i libri e le comparse che litigano e straparlano negli insopportabili e demenziali salotti del piccolo schermo. Tremiamo all’idea di quel che le nuove generazioni dovranno affrontare e in quale realtà saranno costrette a vivere!

 

 

 

 

DICEMBRE 2016

 

 

 

 

                                                IL BUONISMO E LA BONTA’

 

Lo scorso 26 novembre si è svolta in Italia la ventesima giornata nazionale della colletta alimentare; 145.000 volontari hanno raccolto 8500 tonnellate di alimenti che, nei prossimi mesi, verranno distribuiti alle oltre ottomila strutture caritative convenzionate col Banco alimentare per sostenere un milione e mezzo di persone bisognose. Il gesto, in sé, è certamente lodevole, ma, come spesso ci capita, ci ritroviamo a stare fuori dal coro - in questo caso quello che ha santificato tale iniziativa –non certo per lo stupido desiderio di andare ad ogni costo controcorrente, ma perché ci ostiniamo a voler analizzare i fatti senza lasciarci condizionare dal pensiero unico e unilaterale di cui è vittima questo nostro sventurato Paese, perché i fatti vanno esclusivamente considerati sulla base di un’analisi obiettiva e quanto più razionale possibile. Questa solidarietà ostentata e osannata dagli organi di stampa – solidarietà per un giorno, non lo si dimentichi – non ci convince e cercheremo di spiegarne le motivazioni.

Viviamo in un Paese strutturalmente corrotto e non crediamo ci sia bisogno di fare un elenco dei fatti che lo dimostrano; un Paese sommerso dagli imbrogli e dagli scandali: per rimanere in Sicilia e nell’ambito della solidarietà, basta ricordare le vicende legate al CARA di Mineo. Noi vogliamo credere che le ottomila strutture caritative che riceveranno queste tonnellate di alimenti siano tutte caratterizzate da onestà e trasparenza, ma di sicuro non possiamo averne la certezza, e in una società come quella italiana riteniamo che il dubbio sia certamente legittimo.  I giornali ci hanno sommerso con un’ondata di buonismo e demagogia; abbiamo assistito alla beatificazione dei volontari e soprattutto dei donatori, che, per un giorno, hanno fatto l’ “enorme” sacrificio di elargire qualche pacco di pasta e qualche confezione di latte, ma nessuno che  si sia premurato di descriverci, in modo dettagliato, quali sono le modalità e le fasi di questa catena di distribuzione. In altre parole, quali sono i tempi, i modi e soprattutto chi sono i controllori: a noi non risulta che i cittadini  siano stati adeguatamente informati su che cosa garantisca, in modo inequivocabile, che le 8500 tonnellate di alimenti arrivino tutte a destinazione, senza che si corra  il rischio che qualche quintale, o peggio qualche tonnellata, vengano smarriti durante il tragitto!

Se vivessimo in un Paese civile questo dubbio non ci sfiorerebbe nemmeno, ma vivendo in un Paese tra i più corrotti del pianeta, anche se si è puliti ed onesti – e riteniamo, sperando di non essere smentiti, che tali strutture lo siano – si ha l’obbligo non soltanto di fornire cifre, ma anche quello di informare i cittadini sulle questioni che abbiamo appena ricordato, per sgombrare il campo da ogni

possibile sospetto. Non abbiamo mai condiviso, e lo abbiamo più volte scritto, le iniziative benefiche, perché sporadiche e superficiali, nel senso che non vanno alla radice del problema. Il più delle volte, tra l’altro, sono benefiche per chi le organizza più che per coloro che dovrebbero beneficiarne.

Spesso i benefattori sono solo in cerca di protagonismo e visibilità e talvolta persino mossi da intenti ancora più deprecabili. Non si tratta, ovviamente, di voler vedere il male ad ogni costo e dappertutto, ma i fatti quotidiani che accadono in Italia stanno lì a dimostrarci che questo popolo, che in tanti campi ha dimostrato e dimostra di possedere qualità eccelse, sul piano dell’integrità morale si trova ancora all’età della pietra.  Abbiamo detto del protagonismo dei benefattori; i quali, talvolta, invece, trovano  in queste iniziative il modo di tacitare la loro coscienza. Questi volontari e donatori per un giorno ci ricordano quei club e quelle associazioni – di cui abbiamo detto nel nostro articolo di giugno sulla solitudine dei vecchi – che tra cene, conferenze e chiacchiere da salotto, ogni tanto organizzano qualcosa per i bisognosi: mai che vadano a trovare i vecchi in un ospizio, mai che si premurino di far compagnia agli ammalati abbandonati dai parenti in una stanza d’ospedale, mai che si rechino nelle misere case di quelle famiglie che ancora oggi patiscono la fame; mai che abbiano un po’ di attenzione per le persone sole che vivono accanto a loro e che nemmeno conoscono.

 Per quanto riguarda la colletta alimentare,  è sicuramente un bel gesto ma nulla di più: solidarietà di 1 giorno che si smarrisce nell’indifferenza degli altri 364!

 La colletta del 26 novembre  allevierà, per qualche giorno, la sofferenza di un milione e mezzo di persone,  ma in Italia le persone che vivono in situazioni di totale povertà sono oltre quattro milioni: quali sono i criteri adottati per stabilire coloro che beneficeranno di questo momentaneo sollievo e coloro che invece resteranno a mani vuote?  Anche su questo, la disinformazione è stata totale! Si dirà che ciò è meglio di niente, ma questo fa emergere in modo ancora più evidente la demagogia di questa iniziativa, che per un giorno nasconde il nostro egoismo e la nostra indifferenza verso l’altrui sofferenza. Che tale iniziativa sia soltanto una goccia, moralmente positiva ma socialmente inutile, nell’oceano delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Paese lo dimostra il fatto che in realtà ai 4 milioni di nostri connazionali che vivono nella povertà assoluta occorre aggiungere gli altri 11 milioni che sopravvivono con un reddito mensile di mille euro, e pertanto sono soltanto un po’ meno disperati dei primi.

Diceva Marx, a proposito della sua critica agli esponenti della sinistra hegeliana, che è inutile lottare per abbattere le false idee e sostituirle con quelle vere, perché le prime potranno sempre risorgere, e che pertanto l’unica strada è quella di abbattere la società che produce le false ideologie.  Allo stesso modo, sostentiamo noi, è inutile utilizzare i pannicelli caldi  dell’elemosina sulle ferite prodotte da un sistema che produce ancora poveri e miliardari! O troviamo  il modo di cambiarlo questo sistema marcio o ci ritroveremo sempre ad affrontare gli stessi problemi!

Per quanto riguarda poi i volontari e le strutture caritative di orientamento cristiano, restiamo veramente senza parole: una beneficenza ostentata, propagandata, che offende l’insegnamento evangelico che ammonisce di non far mai sapere agli altri quando si pratica la preghiera, il digiuno e l’elemosina! In questo caso, l’elemosina, perché di questo si tratta, oltre che ostentata è diventata spettacolo (interviste, telecamere, e quant’altro) e ci spiace che nella trappola del protagonismo e dell’esibizionismo sia finito anche l’Arcivescovo di Catania che non si è sottratto al piacere di farsi fotografare in un supermercato della città etnea col carrello della spesa, in compagnia dell’Imam della moschea di Catania, anche lui con grembiule e carrello.

Viviamo nella civiltà dell’apparire e, purtroppo, sembra proprio che non si riesca a trovare l’antidoto per guarire da questa malattia che rende sempre più instabili le fondamenta di questa società, che sembra come pietrificata in una dimensione autolesionistica. E’ una società, la nostra, che ha smarrito il senso del pudore: i problemi personali o di coppia, anche quelli più intimi, vengono offerti alla morbosità dei telespettatori in improvvisati tribunali televisivi; la dimensione soggettiva del vivere viene quotidianamente distrutta sui social network, dove si muovono, come automi privi di consapevolezza e riserbo, personaggi che vivono in funzione dell’approvazione altrui, che trovano gratificazione nel fatto che altri burattini condividono ciò che loro pensano e scrivono. Che l’apparenza e la superficialità siano diventate il tratto distintivo della nostra società lo dimostra, in modo inequivocabile, la demenziale consuetudine di applaudire i morti ai funerali: un momento che dovrebbe essere vissuto nel silenzio e nella riflessione sul senso della vita diventa spettacolo, perché non si è più capaci di manifestare in modo decoroso e composto nemmeno i sentimenti più tristi che albergano nel nostro animo.

Il chiasso e la maleducazione sono ormai la stella polare che guida la nostra vita e il valore di un essere umano non è più dato da ciò che egli è ma da quel che possiede e da come appare!

Dopo il crollo del muro di Berlino, cominciò pian piano la crisi delle ideologie che tutti salutarono come se si fosse trattato di un evento salvifico e invece, malauguratamente, non lo era per niente. La politica, senza più essere alimentata dalle idee, si è identificata soltanto con il fare ed ha perso ciò che davvero poteva renderla un’arte nobile e alta, ovvero quella visione del mondo senza la quale è diventata il punto di riferimento di mediocri, disoccupati e  falliti.

Le giovani generazioni si ritrovano, così, a non avere più valori ed ideali ai quali consacrare la loro vita e per i quali lottare. La sostanza si è persa ed è rimasta la forma, ovvero l’apparire, ed in questo, purtroppo, ritengono di trovare il senso della vita. La spettacolarizzazione della beneficenza, di cui abbiamo ampiamente scritto, è soltanto una delle innumerevoli forme che di volta in volta assume questa sciagurata dimensione del vivere. La scuola, ci riferiamo a quella italiana, potrebbe far tanto per liberare i giovani da questo inganno, ma gli spazi dei docenti per indirizzare i ragazzi sulla giusta vita sono stati notevolmente ridotti da un progetto subdolo e meschino messo in atto da un capitalismo industriale e finanziario che si è servito e si serve di capi di governo e ministri come il burattinaio si serve dei burattini. Lo scopo è stato quello di trasformare la scuola in un’azienda che riduca sempre più gli spazi dedicati alla cultura umanistica, al confronto, al dialogo, per fare delle nuove generazioni dei futuri elettori ignoranti e inconsapevoli.

Lo sforzo che noi docenti quotidianamente facciamo, lo diciamo senza enfasi, è titanico. Non è facile lottare contro un potere occulto, forte ed arrogante, che fa di tutto per rendere innocua la nostra azione. Noi continueremo a lottare, anche se non abbiamo la certezza di vincere!
Concludiamo queste nostre riflessioni con un’ultima considerazione sul buonismo ovvero sul tema centrale di questo nostro articolo. Il guaio del nostro Paese è che questo, che altro non è che esibizione di buoni sentimenti, ha finito per sostituire la bontà, che ovviamente è tutt’altra cosa. La bontà è altruismo, comprensione, tolleranza, e non ha nulla a che vedere con atteggiamenti lacrimevoli e compassionevoli, e non esclude il rigore quando questo è necessario: basti pensare a Gesù nel tempio, con quanta fermezza ne scacciò i mercanti e con quanta veemenza scaraventò a terra la loro mercanzia.

E adesso prepariamoci al Natale, quando la grotta di Betlemme, simbolo di umiltà e autenticità, sarà sommersa dal fango della vanità e  della falsità. Prepariamoci, dunque,  alla massiccia dose di buonismo che sommergerà tutti e tutto!

 

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