Home Giuseppe Ascenzo                                        

 

2011

 

Gennaio 2011
L’indignazione, l’oblio e la ribalta                                                La Pagina: 12 gennaio 2011

Gennaio 2001
La casta e l’oligarchia                                                                   Dialogo: gennaio 2011

Febbraio 2011                                                                                             
“Saggi” di tutta Modica, uniamoci!                                               La Pagina: 12 febbraio 2011
Il legittimo erede dell’infausta D.C.                                              Dialogo: febbraio 2011

Marzo 2011
Uno spettacolo poco edificante                                                      La Pagina: 14 marzo 2011
Le confessioni di un modicano                                                       Dialogo: marzo 2011        

Aprile 2011                                                    
Il caso Cecchi Paone, l’omosessualità
e la demolizione della logica                                                          Dialogo: aprile 2011
Operazione Verità                                                                           La Pagina: 28 aprile 2011

Maggio 2011
Non facciamo confusione                                                               Dialogo: maggio 2011
Una coalizione che non ha futuro                                                   La Pagina: 28 maggio 2011

Giugno 2011
Sua Eccellenza si fermò a pregare...                                               Dialogo: giugno 2011

Luglio 2011
Dal Palazzo dei Normanni al Palazzo di Giustizia                         La Pagina: 12 luglio 2011

Ottobre 2011
La pattumiera d’Europa                                                                  La Pagina: 12 ottobre 2011
Senza orgoglio e senza dignità                                                       Dialogo: ottobre 2011

Novembre 2011
La discontinuità virtuale                                                                 Dialogo: novembre 2011
Il grande manovratore è tornato                                                      La Pagina: 28 novembre 2011

Dicembre 2011
Carmelo Ottaviano: un grande modicano da riscoprire                 La Pagina: 28 dicembre 2011

 

 

 

 

 

Gennaio 2011

 

 

                                L’INDIGNAZIONE, L’OBLIO E LA RIBALTA

 

 

Più di una volta, in questi anni, ci siamo ritrovati a dover dire “ avevamo ragione”: ciò, naturalmente, non ci piace, non soltanto perché lo riteniamo poco elegante, ma soprattutto perché, ogni qualvolta “abbiamo avuto ragione”, questo ha significato che la buona amministrazione della nostra città ha compiuto un ulteriore passo indietro. Ma, a costo di sacrificare l’eleganza, ci tocca ripeterlo, se non altro per dare slancio all’obiettivo che ci siamo prefissi, che è quello di dare il nostro modesto contributo al risveglio civico di tanti nostri concittadini.
Le ultime vicende politico-amministrative di fine anno dimostrano, ancora una volta, che il sindaco di Modica e il Partito Democratico sono succubi di quell’alleanza, che sempre abbiamo definito contronatura, con il Movimento per l’Autonomia. Due le vicende che dimostrano la veridicità delle nostre considerazioni. La prima è quella riguardante la liquidazione della Multiservizi, in cui l’Amministrazione Buscema, come ha fatto rilevare Salvatore Terranova, della funzione Pubblica CGIL“ha messo sotto i piedi ben due accordi sottoscritti con il sindacato”.
Terranova si riferisce all’impegno preso dalla Giunta, nel dicembre 2009, di garantire i livelli occupazionali del personale della Multiservizi, escludendo di collocarlo in imprese private, e all’impegno, assunto lo scorso 28 dicembre, di costituire una società mista cui assegnare il servizio delle strisce blu. Come si sa, le decisioni ultimamente prese hanno stravolto gli impegni ricordati dal sindacalista della CGIL. I lavoratori impegnati nel servizio delle strisce blu, infatti, non hanno, al momento, alcuna garanzia sul piano occupazionale; restano infatti in attesa di passare alle dipendenze di una società privata che il Comune dovrà selezionare. Allo stato attuale la Multiservizi è stata messa in liquidazione e il soggetto privato non è stato ancora, ovviamente, selezionato: che fine faranno, nel frattempo, il lavoratori che operano nel settore dei parcheggi? E, soprattutto, il soggetto privato, ancora da individuare, quali garanzie offrirà ai lavoratori riguardo alla sicurezza di avere e conservare il posto di lavoro?
Com’è facile constatare, si continua a navigare a vista, e per giunta con una fitta nebbia che impedisce di avvistare la riva: il pericolo che la nave vada a sbattere sulla scogliera non ci sembra poi così lontano, nonostante Buscema, nella conferenza di fine anno, si sia lasciato andare a quell’autoincensamento che speravamo fosse definitivamente finito col tramonto politico di Torchi.
Come sappiamo, la messa in liquidazione della Multiservizi è stata fortemente voluta da Minardo, il quale ha sempre posto in secondo piano la salvaguardia dei posti di lavoro a tutto vantaggio della efficienza amministrativa alla quale da qualche anno sembra essersi convertito. Se tale conversione fosse avvenuta quand’era vice sindaco nella giunta Torchi, probabilmente, oggi, Modica non si troverebbe sul baratro del dissesto economico in cui anche lui ha contribuito a condurla.
In ogni caso, per l’ennesima volta, le cose sono andate non come Buscema voleva, ma come Minardo ha deciso!
Ai  modicani il compito di trarne le dovute conclusioni!
La seconda vicenda riguarda il piano paesaggistico, e questa volta non siamo noi a sottolineare la scarsa trasparenza di questa anomala coalizione, ma due consiglieri, Vito D’Antona di “Sinistra e Ecologia e Libertà” e Nino Cerruto di “Una Nuova Prospettiva”, che, sebbene non organici all’Amministrazione Buscema, si collocano comunque nell’ambito della sinistra moderata e radicale. Ci riferiamo all’approvazione, in Consiglio comunale, delle osservazioni al piano paesaggistico, con 19 voti favorevoli di maggioranza e opposizione e i due voti contrari di D’Antona e Cerruto: approvazione che, secondo il consigliere di SEL, conferma “la convinzione che in materia di scelte urbanistiche si sta costituendo un gruppo trasversale tra esponenti del MPA e del centro-destra con l’assenso del PD”.
La situazione che si è venuta a creare è quanto meno paradossale: la Commissione urbanistica elabora il documento sul piano paesaggistico, che non viene nemmeno discusso in Consiglio comunale, e si approva invece un emendamento “ redatto da un consigliere del MPA e da tre consiglieri del centro-destra, emendamento e cartografia elaborati fuori dalle sedi istituzionali”.
Il documento redatto dalla Commissione urbanistica, come fa rilevare Nino Cerruto, tendeva a creare un equilibrio tra salvaguardia del territorio e sviluppo sostenibile, mentre quello votato in consiglio comunale tende a limitare la tutela del paesaggio: la conseguenza sarà un’ ulteriore cementificazione della nostra campagna già abbondantemente violentata dall’abusivismo edilizio.
Anche in questo caso, l’Amministrazione Buscema smentisce se stessa, visto che nel luglio scorso aveva deliberato di frenare il fenomeno delle costruzioni in campagna che non fossero compatibili con il territorio. Con le deliberazioni di fine dicembre, infatti, si potranno  realizzare nelle zone agricole “costruzioni non asservite alle attività agricole, rischiando in questo modo di estendere all’infinito l’edificazione nelle bellissime campagne di Modica”.
D’altronde, basta leggere quanto dichiarato dall’assessore Giurdanella, per rendersi conto che il nostro timore è fondato: “ Tutela del territorio non è solo tutela dell’ambiente, come dimostra il caso del polo avicolo. Tutelare queste attività produttive significa tutelare innanzitutto i lavoratori che vi trovano sostentamento”. Anche per noi la salvaguardia del posto di lavoro è sacra, purché ciò non diventi il “cavallo di Troia” che consenta di violentare l’ambiente, perché in tal caso ne pagheremmo tutti le conseguenze, anche coloro che dovrebbero trarre vantaggio dalla violenza perpetrata.
Non possiamo che constatare, ancora una volta, l’insostenibile anomalia di questa Amministrazione, in cui il Partito Democratico propone e Minardo dispone.
Non è Minardo a provocare la nostra indignazione - egli infatti è coerente col suo modo (per noi inaccettabile) di intendere la politica e l’azione amministrativa - a deterninarla sono i suoi alleati, che, pur di stare al governo, accettano le direttive di uomo come Minardo, che, dal punto di vista politico, meriterebbe l’oblio e non la ribalta!

 

 

                                             

 

                                      LA  CASTA  E  L’ OLIGARCHIA

 

L’Italia, come si sa, è un Paese in crisi: la crescita economica è bloccata, la disoccupazione ha raggiunto livelli allarmanti, le aziende chiudono e i licenziamenti aumentano, ma è un Paese che vanta comunque un primato, sebbene poco onorevole, quello del  numero degli avvisati, degli indagati e dei condannati per fatti concernenti la loro attività politica.
La nostra città non fa eccezione: in relazione alle sue dimensioni territoriali e demografiche, le categorie sopramenzionate raggiungono una media che, probabilmente, è superiore a quella nazionale. Purtroppo, i nostri concittadini non sembrano eccessivamente preoccuparsene, un po’ per superficialità loro, nel senso che ci sembrano poco attenti ad un fenomeno che meriterebbe, invece, di essere costantemente sotto osservazione; un po’ perché distratti dall’unica realtà per la quale oggi la nostra città sembra contare qualcosa nel panorama nazionale: il cioccolato!
Il fatto è  in sé deludente, e molti di noi – ci riferiamo naturalmente a quelli che non hanno ancora condotto al macero il loro cervello – avranno certamente sperimentato la brutta figura di trovarsi in qualche città italiana e constatare che la propria modicanità è ormai sempre associata allo stramaledetto cioccolato e mai a quei tanti concittadini che hanno dato lustro a Modica nelle varie branche della cultura, dell’arte e della scienza. Con questo nostro scritto intendiamo rinfrescare la memoria dei nostri concittadini su alcuni fatti che aspettano ancora di essere chiariti. Cominciamo col deputato regionale Riccardo Minardo: nel dicembre del 2009, insieme alla moglie, al presidente del COPAI (Consorzio per la promozione dell’area iblea) e ad un collaboratore del suo studio tecnico, fu inserito nel registro degli indagati, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. E’ passato un anno, e la cittadinanza ancora non sa se Minardo, che questa città la governa, ha commesso o meno quei reati. Non spetta certo a noi stabilire la sua innocenza o la sua colpevolezza. Noi chiediamo, semplicemente, che la giustizia faccia il suo corso e lo faccia in fretta. Ci auguriamo, per il bene della città, che la questione venga archiviata, ma se così non dovesse essere e si dovesse arrivare fino al terzo e ultimo grado di giudizio, i modicani fra quanti anni sapranno se sono stati governati da un politico ingiustamente indagato o da un uomo che in alcun modo avrebbe dovuto ricoprire rilevanti cariche pubbliche? Lo scorso mese di marzo, un altro avviso di garanzia fu inviato a Paolo Garofalo, allora presidente del consiglio comunale ed oggi assessore nella giunta Buscema, per truffa, corruzione e omessa denuncia di reato, per una questione inerente la sua attività professionale: anche in questo caso, a noi comuni cittadini, non è dato ancora sapere se Garofalo stia partecipando legittimamente alla gestione del potere, in questa città, o se, al contrario, stia occupato importanti poltrone sulle quali mai si sarebbe dovuto accomodare. Non possiamo, ovviamente, non usare il condizionale, giacché per entrambi, giustamente, deve essere valida la presunzione d’innocenza. Non possiamo dimenticare, naturalmente, l’accusa, pesante come un macigno, che riguarda l’ex deputato Peppe Drago, l’ex sindaco Piero Torchi, gli ex assessori comunali Giorgio Aprile e Carmelo Drago, l’ex assessore provinciale Giarcarlo Floriddia, e il consigliere provinciale Vincenzo Pitino. L’accusa, come tutti sanno, è gravissima: l’ex deputato è stato ritenuto, dal Procuratore della Repubblica, il promotore e l’organizzatore di una presunta associazione a delinquere, che avrebbe ottenuto tangenti in cambio di favori nel rilascio di autorizzazioni amministrative e concessioni edilizie. Anche per costoro, ovviamente, non può che valere la presunzione d’innocenza, ma nello stesso tempo, anche in questo caso, la cittadinanza ha il diritto di sapere se l’ex deputato Drago, giudicato colpevole di peculato, quand’era presidente della Regione Siciliana, ha commesso dei reati anche nella nostra città, ed è un diritto sacrosanto, considerato che Drago per anni ha rappresentato anche  i modicani a livello nazionale. Non meno urgente, per i cittadini modicani, è fare chiarezza sull’azione amministrativa di Torchi, di Carmelo Drago e di Giorgio Aprile, che per anni hanno occupato le stanze che contano, a palazzo San Domenico. E’ di questi giorni, infine, la notizia che la lista degli indagati si è allungata: vi ha fatto il suo ingresso, infatti, il deputato nazionale Nino Minardo, per il quale il pubblico ministero di Messina, Santo Melidona,  ha chiesto il rinvio a giudizio per fatti che riguardano il periodo in cui fu presidente del Consorzio autostrade siciliane. Durante la sua presidenza, infatti, fu nominato direttore generale del Consorzio Vincenzo Pozzi, ex manager dell’ANAS:  l’accusa contesta  tale nomina, perché effettuata senza tener conto di una sentenza del TAR che obbligava il Consorzio a procedere alla nomina mediante l’approvazione della graduatoria del concorso interno, mentre il Pozzi non proveniva dal personale del Consorzio. Abbiamo voluto tornare su questo problema, perché ci sembra doveroso dare il nostro contributo all’affermazione della chiarezza su una questione che riteniamo fondamentale: quella della Democrazia. Di questo termine, ormai, si fa largo uso, e spesso abuso. Non c’è alcuno che oserebbe mettere in discussione che viviamo in una società democratica; in realtà, affinché questo avvenga, è necessario che si raggiunga un accettabile equilibrio fra i poteri dello Stato. Non ci pare che questo stia avvenendo: il contrasto tra l’esecutivo e il giudiziario è sotto gli occhi di tutti. Anche a noi non piacciono certe frange politicizzate della Magistratura e gli avvisi di garanzia consegnati ad alcuni capi di governo con sospetta scelta del tempo e del luogo; ma quando si tratta delle lungaggini nei processi, dei criminali che escono per scadenza termini, degli assassini che troppo facilmente vanno agli arresti domiciliari, non ci sentiamo di colpevolizzare i giudici. Il potere giudiziario non può non applicare le leggi e pertanto la responsabilità non può non ricadere sul parlamento e talvolta sul governo, visto che in taluni casi anch’esso può legiferare. L’azione dei magistrati, spesso, è frenata da troppi cavilli legislativi e da un apparato burocratico da terzo mondo. Noi non viviamo in una società democratica, ma in un regime oligarchico, dove una casta, quella politica, fa le leggi che le tornano utili, infischiandosene del bene comune.
I politici modicani di cui ci siamo occupati vanno ritenuti innocenti fino a quando i giudici non si saranno pronunciati, ed è giusto che sia così: ma se dovessero poi risultare colpevoli e tale colpevolezza venisse fuori fra dieci anni, chi risarcirà i cittadini di Modica per essere stati turlupinati per decenni? Non possiamo che augurarci, pertanto, che le inchieste possano subire una consistente accelerazione, per il bene degli indagati, che, se innocenti, hanno il diritto di riacquistare la loro serenità, e per i cittadini, che hanno il sacrosanto diritto di conoscere la statura morale di coloro che questa città l’hanno governata o che ancora la governano.

 

 

 

 

 

 

Febbraio 2011

 

A PROPOSITO DELL’INTERVENTO SUL NOSTRO GIORNALE  DEL  SINDACO BUSCEMA

 

“SAGGI”  DI  TUTTA  MODICA,  UNIAMOCI!

 

Sullo scorso numero de La Pagina, il sindaco di Modica, sulla scia di quanto faceva il suo predecessore, elogia la sua esperienza amministrativa, ma soprattutto si scaglia, in maniera garbata ma decisa, contro coloro che in questi tre anni tale esperienza hanno quasi sempre criticato. Giacché tutte le critiche che Buscema cerca di rintuzzare coincidono perfettamente – si pensi alla questione della Multiservizi di cui ci siamo recentemente occupati su questo stesso giornale o alla faccenda del rimpasto – con quelle che sempre gli abbiamo mosso, ci sentiamo legittimamente chiamati in causa. Ma, visto che  non abbiamo la presunzione di essere gli unici “saggi” – così, sarcasticamente, egli ci definisce – in circolazione, riteniamo utile fare alcune precisazioni, certi di interpretare il  pensiero anche degli altri “saggi colleghi”.
Chiediamo scusa ai nostri lettori per la schematicità di questo nostro articolo, ma è inevitabile, giacché intendiamo rispondere punto per punto alle osservazioni di Buscema, per dimostrare la fragilità delle tesi con le quali ritiene di autoassolversi. 1) Sulla questione della Multiservizi Buscema non smentisce – e come avrebbe potuto? – che la sua liquidazione è stata fortemente voluta e ottenuta da Minardo, e non smentisce che, per accontentare il suo “ingombrante” alleato, la sua amministrazione ha disatteso  ben due accordi sottoscritti con le forze sindacali. Ci sembra poi poco opportuno parlare di grande attenzione al mondo del lavoro proprio nel momento in cui i dipendenti della Multiservizi devono ancora percepire la tredicesima e gli stipendi di novembre, dicembre e gennaio; per non dire di quelli della Rete Servizi che aspettano i loro da oltre cinque mesi! 2) Il sindaco definisce un passo politicamente importante il rimpasto effettuato l’estate corsa e nel contempo ci ricorda che non ha  mai inteso seguire i dettami del manuale Cencelli. Le dichiarazioni di principio hanno valore quando sono suffragate da una spiegazione convincente, che in questo caso non c’è. Quando si sostituiscono degli assessori e nello stesso tempo li si elogia per l’operato svolto c’è qualcosa, sul piano della logica, che non funziona, perché, se hanno lavorato bene, non è possibile dare una spiegazione razionale dell’avvenuta sostituzione. Poiché siamo abbastanza adulti per poter credere ancora alle favole (quella del “rilancio amministrativo”: tipica espressione del più ripugnante politichese) il sindaco, visto che non ha consultato il Cencelli, dovrebbe almeno spiegare ai suoi concittadini a quale altro manuale si è ispirato. Forse a quello che impone di far provare a tutti gli alleati l’ebbrezza di una bella poltrona assessoriale onde evitare malumori e fratture? Sarebbe stato anche opportuno che spiegasse perché una delega così importante, come quella al bilancio, a un certo punto della legislatura debba  essere tolta  alla coalizione del sindaco e data a quella dell’ “ingombrante” alleato: dobbiamo davvero credere che sia stata una sua gentile concessione a Minardo? Credo che chiunque, dotato di buon senso, non possa mettere in dubbio che il sindaco abbia dovuto “obbedire”! Insomma, “un po’ a te, un po’ a me”: e la spartizione delle poltrone è assicurata! 3) Il sindaco sostiene che tutti coloro che da sempre hanno sostenuto che questa “ibrida” amministrazione sarebbe stata litigiosa sono stati smentiti dai fatti. Colpa della sua memoria corta? Nell’ottobre del 2009 l’attuale maggioranza stava per sfaldarsi, proprio perché Minardo, esprimendosi come fosse un leader dell’opposizione, minacciava tuoni e fulmini contro Buscema e il Partito Democratico, dichiarando addirittura di sentirsi preso in giro dagli alleati, che non mantenevano la promessa di porre in liquidazione la Multiservizi. E oggi che questo è stato fatto, Buscema ci viene a raccontare che non è succube di Minardo! Naturalmente, questo è solo un episodio: chiunque segue le vicende della politica locale sa bene quante volte l’amministrazione è stata sull’orlo della crisi per l’opposizione interna del MPA e  quante volte  il PD abbia dovuto fare i salti mortali per sminuire tali contrasti agli occhi dell’opinione pubblica.  La questione del documento sul piano paesaggistico, di cui ci siamo occupati su La Pagina del 12 gennaio, è la prova che quando il sindaco definisce “equilibrata, responsabile e non litigiosa” questa maggioranza, non  si accorge che dovrebbe essere lui, e non i “saggi”, ad avere l’onestà intellettuale di chiedere scusa ed ammettere di essersi sbagliato.  4) Il sindaco, ancora una volta, ripropone la solita storia che se avesse vinto senza questa “ibrida”alleanza non avrebbe poi potuto governare senza avere la maggioranza in consiglio comunale. E noi riproponiamo la nostra solita osservazione: in quel caso avrebbe dovuto dimettersi, facendo decadere l’intero consiglio comunale, e con le sue dimissioni avrebbe indicato ai suoi concittadini, in maniera chiara e inequivocabile, i responsabili della ingovernabilità della città.
Un simile gesto, forse, avrebbe finalmente svegliato le coscienze dei modicani e probabilmente avrebbe aperto la strada ad un vero rinnovamento e forse lui e i suoi sarebbero stati rieletti a furor di popolo. Certo, avrebbe dovuto rinunciare alla poltrona, senza la certezza di poterla riconquistare: ma è un rischio che avrebbe dovuto correre; in caso positivo, però, avrebbe veramente “rivoluzionato” il modo di fare politica in questa città. 5) Buscema accusa noi “saggi” di analizzare i fatti al solo scopo di avere ragione: non è così, naturalmente, ma anche se così fosse, ci appare meno grave di “santificare”, sol perché adesso gli è alleato, un ex avversario, che in quanto tale veniva prima costantemente criticato e “politicamente” bistrattato. Ci sembra poi paradossale descrivere Minardo come un uomo non interessato alla spartizione delle poltrone, quando tutta la sua storia politica dimostra il contrario. Che l’ex senatore sia “disinteressato”  alle poltrone, lo ha dimostrato, ad esempio, quando in occasione delle elezioni amministrative, all’ultimo minuto, fece depennare dalla lista dei consiglieri di Forza Italia cinque candidati, perché colpevoli di essere amici di suo nipote Nino. Dopo aver ottenuto qualche assessorato e la presidenza del consiglio comunale sbattè la porta e passò con Lombardo. Ci sembra  che Buscema si comporti esattamente  nel modo in cui lui ritiene, sbagliando, che ci comportiamo noi: partendo dal presupposto che Minardo è diventato ormai un politico valido e affidabile, ricorre a qualunque fatto, anche il più insignificante, per dimostrare la verità del suo assunto, utilizzando lui quel ragionamento deduttivo che attribuisce a noi! Come può, inoltre, sostenere che il MPA si è alleato col centrosinistra per il bene della città? Dovremmo credere che lui crede veramente che Minardo si sia improvvisamente “convertito” come San Paolo sulla via di Damasco? E non è assai grave che tutta la città sappia che Minardo ha cambiato bandiera e schieramento per una mera questione di potere (visto che dall’altra parte lo aveva perso) e non lo sappia il sindaco?
6) Il sindaco attacca coloro che criticano i politici stando seduti in poltrona: dimentica, probabilmente, che è meglio accomodarsi sulla poltrona di casa propria che volersi accomodare su altre, anche a costo di accettare, come nel suo caso, scomode alleanze ed acconsentire, pur di conservarle, quelle poltrone, alle imposizioni – che ci sono, nonostante il sindaco si arrampichi sugli specchi per negarle – di uomini che, politicamente, non valgono nulla.
7) Prendiamo atto che il sindaco, come altri, quando si trova a corto di argomenti, scaglia sugli avversari la solita e inconcludente accusa di qualunquismo, e anche lui cade nell’errore di usare in modo improprio questo termine, che viene erroneamente inteso come l’atteggiamento di chi non si schiera e critica tutto e tutti: giacché non abbiamo alcuna intenzione di ripeterci, per il corretto uso del termine  rimandiamo a un dizionario della lingua italiana. 8) Ultima considerazione: Buscema accusa i suoi detrattori di non avere il coraggio di esporsi, di sporcarsi le mani e che forse ciò dipende anche dal fatto che la gente non li ha mai votati. Qui ci sganciamo dagli altri “saggi”  e rispondiamo soltanto di noi e delle nostre azioni. In anni particolarmente difficili, gli anni Settanta, ci siamo esposti, eccome, ma non nelle tranquille stanze di qualche sagrestia o nelle ipocrite adunanze dei democristiani, ma nelle piazze, nelle aule universitarie e nelle sedi di un partito che “democraticamente” veniva posto nel ghetto, rivendicando la nostra libertà di leggere i giornali che volevamo leggere, di poter esporre liberamente le nostre idee, di lottare perché anche la nostra parte politica, quella che si radunava sotto il tricolore, avesse diritto di cittadinanza in un’Italia in cui, se non stavi a sinistra e con la bandiera rossa in mano, rischiavi letteralmente la pelle, e non furono pochi, infatti, i nostri coetanei che ce la rimisero. Sia chiaro, dunque, che, per quanto riguarda il coraggio di esporsi, non prendiamo lezioni da chicchessia! Sul fatto di non essere mai stati eletti – nel caso, ovviamente, il sindaco intendesse riferirsi a noi -  la cosa non ci tocca affatto, per il semplice motivo che, pur avendone più volte avuto l’opportunità, non ci siamo mai voluti candidare. Abbiamo preferito salvaguardare la nostra onestà intellettuale, la nostra indipendenza di giudizio e la nostra integrità morale: per questo, oggi, possiamo permetterci di criticare anche Buscema, persona moralmente stimabile, ma che, dal punto di vista politico, sta dimostrando di essere organico ad un modo di intendere la politica, che, considerati i suoi principi etici e cristiani e la sua onestà, dovrebbe invece combattere!

 

 

IL  LEGITTIMO  EREDE  DELL’INFAUSTA  D.C.

 

In un intervento su La Pagina del 28 gennaio, il sindaco Buscema afferma: “ d’altronde oggi a parlare sempre male di chi fa politica si va sul sicuro e non si rischia niente”. Ma siamo davvero certi che il parlar male è da porre in relazione soltanto col desiderio di scrive di fare “ la figura della persona indipendente e coraggiosa che non ha paura di criticare i potenti o presunti tali “?  Non è assai più probabile che le critiche a coloro che oggi fanno politica derivino, invece, dal fatto che molti, tra costoro, sono inadeguati al ruolo che ricoprono? Che nascano dal fatto che,  troppo spesso, dimostrano di essere conniventi col malaffare? O perché pensano esclusivamente a rimpinguare il loro conto in banca e a far partecipare al banchetto gli amici e gli amici degli amici, anziché preoccuparsi di far progredire economicamente, socialmente e civilmente le realtà che amministrano?
Possiamo forse negare che la politica è stata ridotta a uno squallido teatrino di periferia dove si esibiscono delle marionette che non hanno nemmeno il buon gusto di far tirare le fila sempre allo stesso burattinaio, visto che coloro che le manovrano si alternano, con spudorata frequenza, rendendo ancora più desolante il già deprimente teatrino? Ci siamo chiesti più volte se siamo affetti da una forma acuta di pessimismo che ci impedisce di vedere ciò che di buono accade nella politica, ma ogni volta, nonostante la buona volontà di metterci in discussione, ne usciamo con la consapevolezza che la nostra scarsa fiducia nei politici è più che sacrosanta. Si consideri, ad esempio, quanto è recentemente accaduto alla Regione Siciliana, dove, ad esclusione del Partito Democratico, tutti hanno espresso parere sfavorevole alla proposta di abbassare da novanta a settanta il numero dei parlamentari regionali. Il fatto, naturalmente, meriterebbe di essere ampiamente approfondito e accuratamente valutato, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento tenuto dal Movimento per l’Autonomia, verso cui non abbiamo mai nutrito alcuna stima, e lo abbiamo sempre detto, sia per quanto riguarda il suo gruppo dirigente, sia per quel che concerne il suo modo ambiguo di fare politica, che lo fa essere il più legittimo erede dell’infausta Democrazia
Cristiana.
Tale ambiguità è emersa, in maniera assai evidente, nella recente dichiarazione degli esponenti modicani del Movimento, che hanno affermato di condividere la scelta di Riccardo Minardo che all’ARS ha votato per mantenere inalterato l’attuale numero dei parlamentari. La dichiarazione della sezione modicana del MPA è inquietante per due motivi, che proveremo a spiegare. (Ma prima, per un momento, torniamo all’iniziale quesito che abbiamo posto all’inizio di questo nostro articolo: siamo noi che vogliamo sempre e comunque parlar male dei politici, o sono costoro che quotidianamente ci offrono l’occasione per farlo?). La prima questione riguarda la pessima abitudine del MPA – ma in questo è certamente in affollata compagnia – di offendere l’altrui intelligenza. Leggere per credere!  L’MPA di Modica afferma: “ Il perseguimento di tale obiettivo (quello della riduzione dei costi della politica, n.d.r) può essere realizzato incidendo su numerosi altri profili, ma la scelta di mantenere inalterato il numero dei deputati regionali meglio garantisce (sic!), in termini di rappresentatività e di qualità, le risposte dei nostri parlamentari ai cittadini della Regione”.Insomma, se i parlamentari regionali dovessero malauguratamente scendere da novanta a settanta saremmo perduti!  Non soltanto calerebbe drammaticamente il livello qualitativo delle loro risposte ai bisogni dei siciliani, ma, dio non voglia, correrebbe  dei pericoli persino la democrazia, visto che anche la rappresentatività rischierebbe di essere compromessa!  Sia chiaro che la scelta di trattare ironicamente tale questione non scaturisce da una sottovalutazione della stessa, ma dal fatto che, dopo aver subito la beffa dell’offesa alla nostra intelligenza, il tono ironico ci preserva dal rischio di usare  qualche appellativo che ci farebbe subire il danno di vedere offese anche le nostre tasche. La seconda questione riguarda la grave incoerenza politica di Minardo e di coloro che lo seguono – e questa non è certo una novità – ma è giusto e doveroso che ciò sia fatto ancora una volta notare.  Da quando Minardo si è convertito al buon governo, al rigore finanziario e all’efficienza amministrativa – tutte cose alle quali, ovviamente, non abbiamo mai creduto – nel nome di questi riscoperti ideali non si è fatto scrupolo di porre in secondo piano persino la salvaguardia dei posti di lavoro e il regolare pagamento degli stipendi  a coloro che sono ormai esasperati dal percepire con gravissimo ritardo quanto loro dovuto.  Con la recente dichiarazione, l’MPA modicano si dimostra, ancora una volta, indegno, dal punto di vista politico, ovviamente, di governare questa città. Ci sono famiglie, soprattutto quelle monoreddito, che nel nome del rigore finanziario (che è sacrosanto, ma che si deve ottenere percorrendo altre strade) così fortemente voluto da Minardo – ma perché non lo ha chiesto quand’era vicesindaco di Torchi? – stanno vivendo un disagio economico, e dunque sociale, non indifferente. Dinanzi a tale situazione, l’MPA modicano non trova di meglio che solidarizzare col suo leader che si batte perché a Palazzo dei Normanni stiano comodamente seduti novanta deputati anziché settanta. Sappiamo bene che la riduzione del numero dei parlamentari non risolverebbe i problemi economici dell’Isola, ma moralmente avrebbe un valore non indifferente, considerato che quei novanta signori, mentre i disoccupati e i precari sono in aumento in tutta la Sicilia e pertanto anche a Modica, si permettono il lusso di percepire mensilmente quanto un operaio guadagna in un anno!

 

 

Marzo 2011

 

 

UNO  SPETTACOLO  POCO  EDIFICANTE

 

 

Sul numero dello scorso gennaio di “Dialogo” scrivemmo: “ E’ di questi giorni la notizia che la lista degli indagati si è allungata: vi ha fatto il suo ingresso, infatti, il deputato nazionale Nino Minardo, per il quale il pubblico ministero di Messina ha chiesto il rinvio a giudizio per fatti che riguardano il periodo in cui fu presidente del Consorzio autostrade siciliane. Durante la sua presidenza, infatti, fu nominato direttore generale del Consorzio Vincenzo Pozzi, ex manager dell’ANAS. L’accusa contesta tale nomina, perché effettuata senza tener conto di una sentenza del TAR che obbligava il Consorzio a procedere alla nomina mediante approvazione della graduatoria del concorso interno, mentre il Pozzi non proveniva dal personale del Consorzio”.
Adesso, il parlamentare nazionale è stato condannato ad un anno – pena sospesa – dal Tribunale di Messina per abuso d’ufficio. La condanna di colui che abbiamo sempre ironicamente definito “l’enfant-prodige” della politica modicana – e come avremmo dovuto definire chi, quand’era del tutto sconosciuto, andò a presiedere l’Azienda del Turismo di Ragusa? – offre un’ importante occasione di riflessione.
L’avvocato Franco D’Urso, difensore di Minardo, ha subito precisato che ricorrerà in appello: è un suo diritto, ovviamente, e anche per Nino Minardo vale naturalmente la presunzione d’innocenza, finché non sarà stata pronunciata una sentenza di eventuale condanna nell’ultimo grado di giudizio. Ciò, tuttavia, non può oscurare del tutto il fatto che in primo grado sia stato condannato e pertanto, a Modica, si è contratta la lista degli indagati ma si è dilatata quella dei condannati. Diciamolo  francamente: non è uno spettacolo edificante questo turbinìo di avvisati, indagati e condannati che fa scendere sulla città una fitta nebbia, che genera inquietudine, perché è come un tunnel che non lascia intravvedere l’uscita.
E’ una nebbia che somiglia alla celebre notte di cui parlava Hegel, quella in cui “tutte le vacche sono nere”: è dunque il trionfo dell’indeterminato, l’apoteosi dell’indistinto, la celebrazione dell’ambiguità!
E’ un teatro su cui si alternano burattini e burattinai, attori in cerca di visibilità e registi che si nascondono nell’ombra: gli spettatori paganti sono i cittadini di questa città, sempre più confusi, sempre più delusi, trascinati come sono in questo vortice che li fa vivere in una perenne incertezza:
sono governati da una classe politica che paga ingiustamente il suo tributo ad un clima avvelenato dal sospetto e pertanto subisce l’onta di essere indebitamente indagata o, viceversa, da una classe politica imbelle, mediocre e strutturalmente votata all’illecito?
Non è un dubbio da poco! E, soprattutto, è un dubbio che non aiuta Modica ad uscire da quella situazione di rassegnazione e immobilismo che la stanno condannando ad una inesorabile decadenza civile.
Per quanto riguarda Minardo, la sua condanna - anche se non definitiva, è doveroso ricordarlo – è, a nostro parere, da mettere in relazione con delle osservazioni che facemmo su questo stesso giornale nel marzo del 2008.  Dopo la recente condanna, il suo avvocato ha dichiarato: “ si tratta di una condanna inattesa perché il mio assistito ha pagato per colpe di altri e per errori fatti dalla precedente amministrazione. Quando si è insediato, ha trovato una situazione molto ingarbugliata”.
 In quel mese di marzo di tre anni fa, a proposito di Nino Minardo, scrivemmo: “ Nei nove mesi in cui ha guidato, malissimo, il Consorzio Autostrade Siciliane e adesso che si è trasferito su un’altra poltrona presidenziale, quella della Fondazione Federico II, si è mai chiesto in virtù di quali titoli e quali competenze ha raggiunto tali prestigiosi traguardi? Si è mai domandato se, in quanto a titoli e competenze, centinaia di giovani siciliani, quei giovani cui sempre si rivolge, avrebbero magari potuto tranquillamente scavalcarlo, se quelle poltrone, anziché essere assegnate dall’alto, fossero state democraticamente assegnate sulla base di pubblici e trasparenti concorsi?”.
E’ probabile, pertanto, che Minardo sia rimasto vittima di quell’infausto nepotismo che lo ha portato a ricoprire cariche senza avere le opportune competenze per occuparle. La dichiarazione del suo avvocato ne è la conferma.
Passata l’euforia per la nuova poltrona conquistata, Minardo avrebbe dovuto agire con urgenza per sciogliere l’intricata matassa con cui – a dire del suo legale - si era trovato a dover fare i conti. Se non ha agito per una sua precisa scelta e per motivazioni che certo non tocca a noi individuare è giusto che paghi il suo debito con la giustizia; se non ha sbrogliato la matassa per incapacità amministrativa è giusto che i suoi elettori ne prendano atto.
In questo momento, fra gli esponenti della classe politica modicana, due sono stati condannati: Peppe Drago in via definitiva e Nino Minardo, come abbiamo visto, in primo grado. Sei sono indagati, sebbene per motivazioni diverse: Riccardo Minardo, Paolo Garofalo, Piero Torchi, Giorgio Aprile, Vincenzo Pitino e Carmelo Drago. E’ vero che, se si esclude Peppe Drago, per tutti gli altri deve valere la presunzione d’innocenza, ma si converrà, come già detto, che lo spettacolo offerto non è comunque esemplare. Nell’Italia dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, ci si faceva da parte per molto meno; nell’Italia di oggi, si rimane abbarbicati alla poltrona, incuranti dei dubbi e dei sospetti, finché non arriva, con esasperante lentezza, l’ultimo grado di giudizio.
Tale comportamento è giuridicamente legittimo ma moralmente deprecabile. La città ne guadagnerebbe certamente se tutti questi signori in attesa di giudizio si facessero da parte e tornassero a frequentare il Palazzo soltanto dopo: quando fosse stata acclarata la loro totale estraneità ai fatti che vengono loro contestati.
Il nostro, ovviamente,  è un invito  a togliere il disturbo e non abbiamo alcun problema a dirlo apertamente!

                                     

                                         LE CONFESSIONI DI UN MODICANO

Dobbiamo confessare che ci sentiamo stanchi e delusi, perché anche coloro che avrebbero l’intelligenza e i requisiti morali per capire la battaglia che abbiamo intrapreso non ci comprendono, travolti anch’essi dal vortice della superficialità e del conformismo, che sta trascinando Modica sul baratro dello sfacelo civile e della dissoluzione morale. Siamo stanchi di assistere al decadimento della nostra città, sempre più prigioniera di un potere economico che ne decide il destino, lasciando ai poveri di spirito l’illusione di contare qualcosa ogni qualvolta pensano di stabilire, con il loro voto, il futuro di questa città: burattini senza dignità, che si vendono, senza provare vergogna, al migliore  offerente! 

Siamo delusi, perché siamo rimasti in pochi, veramente pochi, a guardare in faccia la realtà che ci circonda, a sentire l’imbarazzo di dover tollerare una classe politica, come quella modicana, che il “venerando e terribile Parmenide” avrebbe già qualificato come “gente dalla doppia testa”, in grado di affermare, nel medesimo istante, che la stessa cosa sono la mutevolezza e l’ immutabilità! Siamo stanchi di vivere in una città dove regna l’insensatezza e l’incapacità di guardare al futuro; dove la nostra generazione, ormai priva di ideali, non vive la preoccupazione per quelle che verranno. Stiamo lasciando ai nostri figli un cumulo di macerie: una campagna, forse la più bella della nostra Isola, violentata dall’abusivismo edilizio e una città devastata dal cemento.
Siamo rimasti in pochi, veramente pochi, a ricordare ai nostri concittadini di non dimenticare; di non farsi ingannare da coloro che vorrebbero narcotizzare le loro menti. Siamo stanchi di portare il peso di volerli svegliare dal torpore in cui vivono, di volerli esortare a pensare, a chiedersi perché  debbano essere costantemente privati di un loro sacrosanto diritto, che è quello di sapere se i politici modicani indagati sono innocenti o colpevoli; di spronarli, infine, alla consapevolezza che è un loro inalienabile diritto quello di conoscere la statura morale di chi li governa.

Siamo stanchi di assistere ad un teatrino ignobile e deprimente, dove si consumano alleanze che durano lo spazio di un mattino, dove si fanno inconfessabili compromessi, dove si cambia bandiera senza avvertirne il disonore, dove ci si vende per conquistare una poltrona e dove si può comprare a basso prezzo la benevolenza degli uomini: un mercato sulle cui bancarelle si consuma la malinconica fine del decoro umano!

Siamo stanchi di aver vissuto per anni in una città dove ha regnato l’apparenza e il rampantismo dei cafoni incravattati, che hanno ridotto Modica ad un volgare palcoscenico dove esibire le loro chiacchiere demenziali e la loro stupida vanità. Stanchi di vivere, oggi, in una città sfregiata dall’ipocrisia e vilipesa da una sciocca saccenteria. Siamo stufi degli ipocriti discorsi di coloro che hanno sempre mostrato la rapacità dei lupi ed oggi si travestono da agnelli.

Siamo disgustati dall’opportunismo e dal compromesso morale, dalla crassa ignoranza e dall’iperbolica inefficienza che da anni si annidano persino nei più remoti anfratti del Palazzo; disgustati da coloro che scalpitano per avere una poltrona o una maggiore visibilità: un disgusto che diventa nausea, quando i protagonisti di queste meschine aspirazioni sono quelli che, per i loro comportamenti, dovrebbero invece uscire, e per sempre, dalla storia politica di questa città.

Siamo stanchi di sopportare coloro che sono sempre pronti a salire sul carro dei vincitori e che mai hanno avuto il coraggio di schierarsi dalla parte dei vinti; non riusciamo più a sopportare l’avvilente mediocrità di coloro che inneggiano, sempre e comunque, all’opinione dominante, incapaci come sono di averne una, e che adorano la maggioranza come fosse un dio: quella maggioranza entro cui si mimetizzano e alla cui ombra si nascondono, perché non sono consapevoli di quel che fanno e non credono in quel che dicono.

Siamo delusi da coloro che cantano le “gesta eroiche” dei loro amici al potere e non s’accorgono che in tal modo distruggono ciò che vorrebbero preservare: l’amicizia, infatti, non è più tale se diventa indulgenza o peggio ancora compiacenza. Siamo delusi e stanchi di vedere la nostra città sempre più chiassosa e volgare. Una comunità umana, quando non è sapientemente guidata, diventa una massa acefala e caotica: è come un fiume che travalica gli argini e distrugge tutto quel che incontra; è come un’onda anomala che lascia dietro sé il gusto amaro della devastazione.
Siamo stanchi e delusi!  Ma non s’illudano quelli che vorrebbero che tacessimo, che ci lasciassimo vincere dalla fatica e dal disinganno. I momenti di sconforto, per un uomo, non possono e non devono mai diventare un’occasione per indietreggiare, ma devono e possono essere lo strumento per rinvigorire il cuore e la mente, ed andare avanti, con maggiore determinazione di prima.
Anche quando si ha la certezza che si stanno perdendo alcune battaglie, non deve mai tramontare la speranza che è sempre possibile vincere la guerra!

 

 

 

Aprile 2011

 

 

IL CASO CECCHI PAONE

L’OMOSESSUALITA’ E LA DEMOLIZIONE DELLA LOGICA

 

 

Due mesi fa, su questo giornale, abbiamo scritto: “ Siamo noi che vogliamo sempre e comunque parlar male dei politici o sono costoro che quotidianamente ci offrono l’occasione per farlo?”
Abbiamo voluto riprendere  quella nostra osservazione perché, esattamente un anno fa, su “La Pagina” del 12 aprile 2010, criticammo la decisione dell’Amministrazione Buscema di nominare il conduttore televisivo Alessandro Cecchi Paone portavoce degli eventi culturali e turistici di Modica. Le nostre perplessità non nascevano dalla dichiarata omosessualità del personaggio – anche se l’ostentazione della  “diversità” sul piano sessuale non ci piace – quanto piuttosto dal fatto che si era scelto come testimonial della città una persona che era stata a Modica soltanto un paio di giorni – scelta quanto meno paradossale – dalle doti intellettuali a nostro parere non particolarmente elevate, dalla preparazione culturale non eccelsa e soprattutto dalle frequentazioni televisive poco raccomandabili: ci riferivamo alle sue frequenti partecipazioni ai programmi – spazzatura, dove spesso è stato ed è protagonista di furibonde litigate. E’ passato un anno e ancora non riusciamo a trovare una logica in  quella sciagurata decisione
Non vogliamo essere in alcun modo presuntuosi, ma ci pare di ricordare che in occasione di quella scelta, sulla stampa locale fu la nostra l’unica voce fuori dal coro: un coro di silenzi, e dunque di condivisione della scelta “lungimirante” che era stata fatta!  Se ricordiamo male, siamo ovviamente pronti a fare pubblica ammenda! Come si sa, lo scorso mese di febbraio, l’idillio tra Modica e Cecchi Paone è finito nel peggiore dei modi: la rottura è stata motivata dal conduttore televisivo  col fatto  che egli non ha gradito gli attacchi di Sebastiano Failla, vice presidente del consiglio provinciale, da cui si è sentito aggredito a causa del suo orientamento sessuale. Il motivo vero, probabilmente, è un altro: in occasione del Chocobarocco – chiediamo scusa ai lettori se dobbiamo necessariamente usare una tale corbelleria linguistica – Cecchi Paone aveva proposto un piano di comunicazione che l’Amministrazione valutò troppo caro e pertanto, dinanzi alla mancata accettazione delle sue proposte, il nostro decise che era il caso di interrompere la collaborazione; pare, tra l’altro, che l’Amministrazione Buscema – e, se ciò è vero, di questo bisogna rendergliene merito -  non abbia gradito che Cecchi Paone intendesse coinvolgere il fratello negli accordi economici col comune!
La vicenda si è chiusa in un modo che conferma le perplessità che, in tempi non sospetti, avevamo espresso sui modi poco eleganti di questo signore. Si pensi che ha scelto la ribalta della BIT di Milano per scagliare le sue accuse contro la nostra città, dichiarando di essere stato allontanato da un ambiente omofobo. Un personaggio, insomma, in cerca di pubblicità; deciso a tutto pur di far parlare di sé, pronto a gettare fango su un’intera città pur di rilasciare interviste ai giornali e suscitare clamore attorno alla sua persona: a questo signore i nostri governanti avevano affidato l’immagine di Modica! L’ “amore a prima vista” è finito dunque due mesi fa, e, come tutti gli amori che tramontano, non è ovviamente finito bene! Abbiamo voluto soffermarci su questa questione perché riteniamo sia l’emblema della superficialità e del conformismo che caratterizzano il nostro tempo. E’ doveroso precisare, innanzitutto, che noi non nutriamo alcuna ostilità nei confronti degli omosessuali; proviamo invece un certo fastidio per coloro che l’omosessualità la ostentano  e soprattutto per tutti coloro che temendo di non apparire moderni e al passo coi tempi – fu forse per tale motivo che fu scelto proprio Cecchi Paone? - fanno di tutto per farla rientrare nei canoni della “normalità”, senza rendersi conto del danno che questa idea procura sul piano pedagogico, psichico e mentale, alla componente infantile della società, giacché, come ci ha insegnato Freud, è proprio nella prima infanzia, e precisamente fra i tre e cinque anni, che si pongono le premesse della futura strutturazione  della personalità.  Sono gli ipocriti di sempre, coloro che affollano le trasmissioni televisive e riempiono le pagine dei giornali proclamando l’assoluta identità tra omosessualità e eterosessualità, ma che poi si lasciano andare alla disperazione e danno sfogo alla loro indole intollerante (sapientemente mascherata in pubblico) se scoprono che ad essere gay è un loro figlio. Sono della stessa risma di coloro che, per paura di non apparire moderni e al passo coi tempi, sostengono di accogliere tutti gli extracomunitari che arrivano nella nostra penisola: chissà quanti però, tra questi benefattori, sarebbero disposti ad ospitare a casa loro, per qualche tempo, alcuni di questi poveri disgraziati... Vorremmo tanto vederli, questi tolleranti filantropi, condividere con quegli sventurati la loro profumata toilette e la loro mensa riccamente imbandita. 
Questo ovviamente non significa sottovalutare il dramma di questa gente; diciamo questo per sottolineare la superficialità e la demagogia di chi sostiene  che un problema così complesso possa essere risolto con una accoglienza totale ed incondizionata. Non riusciamo davvero a sopportare
( ma per noi -  che  essendo creature limitate e imperfette  talvolta siamo anche intolleranti – non è un problema ammetterlo ) coloro che per ipocrisia o per ignoranza confondono la “ normalità” con la tolleranza. Tutta la natura – dalla biologia alla chimica, alla fisica – è scritta coi caratteri degli opposti o contrari, ed è questa la normalità: sta impressa nelle pieghe più recondite del nostro universo.  Che questa legge universale del cosmo non debba valere per l’uomo è una tesi che qualunque persona di buon senso non può non giudicare  un’autentica idiozia, ma soprattutto è un’aporìa sul piano teoretico : la natura si fonda sulla dialettica degli opposti, ma nel genere umano, invece, che della natura è la più alta espressione, sarebbero nel medesimo tempo coesistenti la dialettica degli opposti e quella degli identici, demolendo in tal modo il principio di non contraddizione e tutta quanta la logica. Altra cosa sono, ovviamente,  la tolleranza ed il rispetto che si devono a tutte le persone, di qualunque razza siano e qualunque orientamento sessuale abbiano.

 

OPERAZIONE VERITA’

 

Dobbiamo confessare che noi, disfattisti, brontoloni e pessimisti, finalmente ci siamo sentiti rinfrancati e abbiamo gustato il dolce sapore dell’ottimismo nell’apprendere che il consigliere comunale Paolo Nigro, ex UDC, ex PID ed ora indipendente (ovviamente non possiamo prevedere per quanto tempo lo rimarrà!) sta cercando “una politica più vicina alla città”, come abbiamo appreso da Il Giornale di Sicilia dello scorso 15 aprile. Non vorremo che, essendoci già in passato occupati di questo solerte consigliere, qualcuno pensasse che nutriamo motivi di rancore nei suoi confronti: per tale motivo ci sembra giusto ricordare che nemmeno lo conosciamo e ciò che sappiamo di lui, o meglio della sua attività politica, ci è noto soltanto perché abbiamo la buona abitudine di leggere quotidianamente la cronaca locale.

Per lo stesso motivo, ci sembra doveroso sottolineare che le critiche che in passato gli abbiamo rivolto e che anche stavolta non gli risparmieremo non sono di carattere squisitamente personale, ma sono dovute, piuttosto, al fatto che Nigro è l’emblema di quel che un politico non dovrebbe mai essere, è il simbolo della pessima politica che continua a trascinare sempre più in basso la nostra povera Modica.

Dinanzi al fatto, gravissimo, che quasi tutti, in questa città, tacciono, quando coloro che pur avendola distrutta osano poi assumere le vesti dei futuri salvatori della patria,  è necessario che qualcuno si assuma l’onere di dire come stanno veramente le cose, che le rimetta nel loro giusto ordine, per evitare che i più sprovveduti possano prendere sul serio le dichiarazioni di questi signori. La nostra, pertanto, vuole semplicemente essere una sorta di “operazione verità”.

Nigro è il rappresentante di coloro che oggi stanno all’opposizione ed esortano l’amministrazione Buscema a “ parlare meno e agire in silenzio”; dimenticando che sono gli stessi che sostennero Piero Torchi, ovvero colui che non stette mai in silenzio e che inaugurò a Modica la politica – spettacolo. Nigro è l’esponente di quella opposizione che, con cadenza quasi quotidiana, invoca oggi un piano di risanamento finanziario dell’Ente: egli fa parte, dunque, di quella schiera di sciagurati (dal punto di vista politico, s’intende) che osano parlare di risanamento finanziario, dopo che quelle finanze le hanno distrutte quand’erano maggioranza. Egli è pertanto il portavoce di tutti coloro che dovrebbero avere il buongusto di tacere, e invece parlano, nella speranza che i loro concittadini nel frattempo abbiano dimenticato!

Nigro, che adesso cerca una politica più vicina alla città, rappresenta perfettamente l’odierna classe politica che è mossa dall’unico obiettivo di ottenere a tutti i costi una poltrona e una maggiore visibilità; rappresenta coloro che cambiano bandiera con la stessa disinvoltura con cui ci si cambia d’abito ed è stato l’esponente di un partito, l’UDC, che, quanto meno in Sicilia, è l’incarnazione stessa della politica connivente col malaffare; un partito che, quanto ad ibride alleanze, non può fare la morale ad alcuno, nonostante il nostro zelante consigliere la faccia ripetutamente all’amministrazione Buscema. Egli, infatti, ha militato in un partito di ispirazione cattolica, che è stato alleato col partito-azienda, laico, liberale, liberista e filo capitalista! Poi è transitato nel PID, un partito che, quanto a condannati in via definitiva, ci sembra sia in una invidiabile (si fa per dire) posizione di classifica!

Nigro, infine, è il simbolo di quella classe politica che cerca di nascondere, mediante l’uso del politichese, le vere motivazioni delle loro scelte e dei conseguenziali cambi di casacca. Egli, infatti, dopo aver lasciato l’UDC, è adesso  fuoruscito dal PID per ragioni che egli definisce esclusivamente politiche, perché ha constatato che non c’era più spirito di squadra. Il nostro consigliere, insomma, che ha militato in partiti che hanno sempre inteso la politica come il luogo dei compromessi, degli accordi fatti nell’ombra e della spartizione di incarichi e prebende, come fulminato sulla via di Damasco, si è finalmente accorto che “c’è bisogno di recuperare il rapporto con i cittadini fuori da tatticismi della politica” (sic!). Noi, che spesso pensiamo male, ci domandiamo: questo laborioso consigliere avrebbe lasciato il PID se al posto di Giorgio Stracquadanio fosse stato lui ad ottenere la poltrona di capogruppo?

Egli è, infine, l’esponente di una classe politica evidentemente convinta di poter impunemente offendere l’intelligenza altrui!

Prendiamo in prestito dall’amico Paolo Oddo la conclusione di una sua risposta, su Dialogo dello scorso febbraio, a Giorgio Muriana, dirigente del settore ecologia del comune di Modica, e pertanto concludiamo invitando il consigliere Nigro, in qualità di rappresentante di questa categoria di politici,  ad accettare il nostro cordiale saluto alla Totò: ma mi faccia il piacere!

 

 

Maggio 2011

 

 

 

NON FACCIAMO CONFUSIONE !

 

 

 

 

Nel suo articolo, pubblicato sullo scorso numero di Dialogo, Pippo Gurrieri afferma: “ (...) ci sarà subito qualcuno che mi accuserà di fare della mera retorica antifascista, obsoleta e superata, dimostrando come le sirene revisioniste comincino a raccogliere i frutti di un lavorìo durato anni (...)”. Confesso che quel “ci sarà subito qualcuno...” a me suona come un maldestro tentativo di porre quell’eventuale “qualcuno” in una posizione talmente scomoda, secondo le intenzioni di Gurrieri ovviamente, da indurlo a non intervenire. E invece quel qualcuno, nella persona del sottoscritto, interviene, non per avviare un dibattito con Gurrieri - che sarebbe impossibile per molteplici motivi e al quale suppongo sia disinteressato anche lui - ma perché i nostri Lettori possano rendersi conto che una “riflessione più ampia” – che è quella che voleva realizzare Gurrieri - non serve a nulla quando è viziata da una iperbolica faziosità, quando è carente sotto il profilo della documentazione storica e soprattutto, considerato che si tratta di una riflessione di carattere storico, quando non è condotta in maniera scientifica, visto che aprioristicamente rifiuta i contributi storiografici che vengono via via elaborati sulla base di nuova documentazione.
Ci sono avvenimenti cronologicamente più lontani del Fascismo sui quali gli storici ancora oggi dibattono, nella consapevolezza che la storia non è una realtà imbalsamata e sclerotizzata, ma è sempre suscettibile di essere reinterpretata.

Gurrieri fa parte di quella categoria di persone per le quali gli avvenimenti italiani che vanno dal 1919 al 1945 è bene che rimangano fossilizzati nella più assoluta immobilità, quella voluta da una storiografia faziosa e bugiarda: quella che per anni ha nascosto la vergogna delle foibe, quella secondo cui il filosofo Giovanni Gentile era stato ucciso “da mano ignota” e quella che, senza alcun pudore, definiva Giovanni Corvi un infermo di mente, visto che non poteva ammettere che nel settembre del ’24 aveva ucciso il deputato fascista Armando Casalini per vendicare Matteotti!   (Un omicidio sulla cui responsabilità mussoliniana ci sarebbe molto da dire: mi riservo, eventualmente, di approfondire l’argomento in una prossima occasione).

Se ci si azzarda a mettere in discussione qualcosa di quel periodo, nel senso di interpretarla in maniera diversa da come la storiografia di regime (social-comunista) l’ha  sempre presentata, scatta immediatamente l’accusa di “revisionismo”, che mi ricorda tanto quella di “deviazionismo” - tanto in voga nei paesi del socialismo reale – che colpiva chi osava dissentire dalle interpretazioni storico-ideologiche fornite dal Capo. Ovviamente con le dovute differenze, visto che la seconda poteva condurre nei gulag, quando andava bene; sottoterra, quando andava male!

Ci sono nell’articolo di Gurrieri delle affermazioni alquanto discutibili dal punto di vista storico e da quello più genericamente culturale. Egli è tra coloro che ancora sostengono che, nel primo dopoguerra, la violenza fu una esclusiva caratteristica del Fascismo; ne deriva, come ovvia conseguenza, che i socialisti, per Gurrieri, furono dei mansueti agnellini sbranati dai lupi in camicia nera. Mi chiedo, al di là del banale manicheismo di vedere tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra, come si possano cancellare con un colpo di spugna le lotte violentissime di cui si resero protagoniste, sotto la regia del partito socialista, le leghe contadine nel 1919 e nella prima metà del 1920, nella bassa Lombardia, nel basso Veneto, in Emilia, in Romagna, nell’agro romano, in Toscana e nelle Puglie (1). “Le rivendicazioni delle organizzazioni contadine rosse non erano - in genere – estremistiche, assolutamente estremistici erano invece i metodi di lotta di queste organizzazioni” (2). A questo clima di estremismo massimalista, come sostiene De Felice, non si sottraevano nemmeno i vecchi riformisti, gli apostoli del cooperativismo prebellico; il sistema delle leghe suggestionava anche loro e, in occasione delle agitazioni e degli scioperi, questo sistema si esasperava al massimo in una serie di violenze di ogni genere (3).  “ In periodo di sciopero gli incendi dei fienili, la distruzione dei raccolti, l’uccisione di capi di bestiame, le violenze ai proprietari e ai contadini coltivatori, i blocchi stradali, i saccheggi diventavano frequentissimi. Squadre di leghisti si spostavano da un paese all’altro, e imponevano ovunque,  con metodi violenti e perentori, la cessazione del lavoro (4). I ferimenti e le uccisioni  furono dunque possibili in quanto le leghe rosse crearono un’atmosfera confusa di prerivoluzione, nella quale la legge dello Stato fu ignorata e molta gente perse il senso del limite e la nozione del lecito (5).

Con tutto ciò non voglio in alcun modo mettere in discussione le giuste  rivendicazioni dei contadini o che fosse legittimo che i socialisti se ne facessero interpreti, ma intendo contestare l’affermazione che la violenza fosse praticata solo dai fascisti: si tratta, infatti, di un’affermazione storicamente falsa, priva di ogni fondamento e talmente faziosa da risultare alquanto inopportuna e sgradevole! Si pensi che nel 1921, a Firenze, per poter fare la prima comunione senza rischiare le pallottole socialiste – ovviamente ho le prove di quel che dico – i bambini e i loro genitori dovevano essere scortati dai carabinieri o dalla guardie regie. E che dire dell’ufficiale Giovanni Berta che, sempre a Firenze, il 28 febbraio del 1921, fu pestato a sangue da squadre comuniste e gettato nell’Arno, dopo averli tagliato le dita delle mani per impedirgli di aggrapparsi al parapetto del ponte dal quale era stato scaraventato giù!

Basti pensare che dal giugno 1924 al novembre 1926 furono 71 i fascisti (32 nel 1924; 24 nel 1925; 15 nel 1926) che caddero per mano dei “mansueti agnellini” social comunisti! (Per ovvi motivi di spazio, non possiamo, in questa sede, elencare nomi e date degli eccidi; ci riserviamo, ovviamente, di pubblicarli integralmente, qualora il Direttore ci dovesse concedere lo spazio per farlo).

Per Gurrieri, inoltre, il berlusconismo sarebbe la prosecuzione del fascismo. Vedere una continuità tra uno statista (si può approvare o meno il suo operato, ma che lo fu è fuori discussione) e un capo di governo che racconta barzellette; tra il Fascismo e il partito azienda del “cavaliere”, non può non far sorgere un dubbio legittimo: Gurrieri o ha le idee confuse sul Fascismo o le ha su Berlusconi!

Bisognerebbe, tra l’altro, per capire a fondo il problema, addentrarsi in una tematica troppo ampia e complessa per poter essere affrontata in questa sede: mi riferisco alla differenza tra fascismo-movimento e fascismo-regime, secondo l’efficace indicazione del De Felice (anche lui “revisionista” naturalmente, solo perché ne volle parlare in modo disincantato ed obiettivo, a tal punto da essere additato subito come fascista, lui che aveva militato nel partito comunista, prima, e in quello socialista, dopo!). Antifascismo e Resistenza sono dei miti - per decenni hanno consentito di fare carriera e accumulare quattrini a tanti ex fascisti diventati antifascisti all’indomani del 25 luglio del ’43 – e miti devono restare: sacri e inviolabili!

A proposito della continuità che Gurrieri pone tra Berlusconi e Mussolini estraggo dal programma sociale dei Fasci di Combattimento queste brevissime note: “ NOI VOGLIAMO:  la sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore effettive di lavoro; l’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie della gestione delle industrie; la modifica al disegno di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia, fissando il limite di età a seconda dello sforzo che esige ciascuna specie di lavoro; l’obbligo ai proprietari di coltivare le terre, con la sanzione che le terre non coltivate siano date a cooperative di contadini; l’obbligo per lo Stato al necessario contributo per la costruzione delle case coloniche”. Come si può facilmente vedere, berlusconismo allo stato puro!

Che poi il fascismo, intorno alla metà degli Venti,  si sia affermato, come regime, con l’appoggio del capitalismo agrario e industriale non basta certo a farne l’antesignano del partito di plastica voluto dall’inquilino di Arcore!

Il Fascismo, prima del ’25, non aveva stretto alcuna alleanza col capitalismo italiano per il semplice motivo che non ne esprimeva interessi e mentalità, essendo espressione dei ceti medi, ovvero  della piccola borghesia che non aveva alcun interesse a tenere a bada i ceti popolari. Se i fascisti furono violenti lo furono nei confronti dei socialisti, dai quali furono ricambiati con la stessa moneta, ma non nutrivano certo pregiudizi ideologici nei confronti dei ceti popolari. Anche a Passo Gatta, e lo stesse Gurrieri lo ammette, fu il piombo poliziesco a colpire i lavoratori.

Qui non si intende negare che squadre fasciste abbiano agito contro forze operaie e contadine – anche ne non nella iperbolica dimensione tramandataci dalla storiografia socialcomunista – quanto piuttosto sottolineare che subito dopo la prima guerra mondiale si contrastarono aspramente delle forze politiche che avevano progetti rivoluzionari antitetici: quelle socialiste e, a partire dal ’21, socialcomuniste da un lato, e quelle fasciste dall’altro.

Le violenze fasciste contro operai e contadini non furono determinate dalla volontà di dare una mano alle forze capitalistiche italiane, ma dal fatto che la gran parte delle masse contadine, soprattutto, stava coi nemici del fascismo, ovvero con le forze socialcomuniste.

Per quanto riguarda poi il “pensiero unico immesso direttamente nei cervelli dalle televisioni” saremmo stati d’accordo con Gurrieri se almeno in questo caso avesse dimostrato di non essere lui stesso vittima del pensiero unico, insomma se almeno in questo caso avesse mostrato un pizzico di obiettività: non intendo certo passare, proprio io, come il difensore di Berlusconi, ma bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di dire che non è di sicuro lui l’inventore di questa prassi sciagurata. Egli infatti ha avuto innumerevoli maestri, come quei campioni di obiettività che lavoravano a  Telekabul!  (Ovvero RAI 3: la precisazione è doverosa per i Lettori più giovani) .

Evidentemente quel pensiero unico andava bene!  E’ la solita storia!  Come quella dei partigiani che lottavano per la libertà. Ma quali partigiani? Quelli delle Brigate Garibaldi che volevano cacciare Mussolini per portare Stalin o un suo simile a palazzo Venezia? Erano questi i partigiani che lottavano per la libertà? Quelli che a guerra finita, con inaudita ferocia, costruirono lager dove rinchiudere gli ex fascisti e che si accanirono persino contro inermi sacerdoti di cui fecero strage?
I partigiani comunisti e socialisti non avevano titoli per dare lezioni di democrazia ad alcuno, certamente li avevano quelli di estrazione liberale, cattolica e azionista. Ecco perché è assolutamente errato, storicamente, parlare di “regole democratiche scaturite dalla resistenza partigiana”se prima non si chiarisce di quale resistenza si parla! Non facciamo confusione! Quelli che  pensano come Gurrieri, in questi sessant’anni, di confusione ne hanno fatta tanta! In buona o in cattiva fede, ma ne hanno fatta davvero tanta. Sarebbe un bene per tutti se dopo sessant’anni la smettessero!

 

 

1) Cfr. R. De Felice,  Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Rist. Mondadori 2006, p. 611.
2)  Ibid. p. 612.
3)  Ibid. p. 613.
4) L. Preti, Lotte agrarie nella valle padana,Torino 1955, p. 423; in R. De Felice, op. cit., p. 613.
5) Cfr. L. Preti, op. cit. p. 423.

 

 

                                 UNA COALIZIONE CHE NON HA FUTURO

 

 

Considerato che sullo spettacolo poco edificante che da tre anni va in scena a palazzo San Domenico – ci riferiamo ovviamente all’alleanza contro natura tra l’MPA e il centrosinistra – siamo già intervenuti molte volte, non è il caso, naturalmente, di insistere ancora sulle motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a ritenere ibrida e per nulla omogenea l’attuale maggioranza che governa Modica.

Avremmo potuto dire la nostra sulle vicende giudiziarie che coinvolgono Riccardo Minardo, per portare acqua al mulino delle nostre argomentazioni, ma non l’abbiamo fatto! E’ chiaro che per Lombardo e Minardo debba valere la presunzione d’innocenza, ma ciò non toglie che gli indizi di colpevolezza, per l’uno e per l’altro, non costituiscono certamente un buon biglietto da visita!  E qui, per quanto riguarda tale questione, ci fermiamo.

Messe da parte, dunque, le nostre riflessioni sul perché questo “matrimonio” non doveva essere celebrato né tanto meno consumato, vorremmo soffermarci sulle sue nefaste conseguenze che la città sta pagando a carissimo prezzo. La maggioranza che governa la nostra città rappresenta, in piccolo, quella berlusconiana, che sta conducendo l’Italia alla rovina: le stesse liti, le medesime incomprensioni, persino i guai con la giustizia! Un governo che si riunisce a palazzo Chigi non per cercare di risolvere i gravi problemi che affliggono il Paese, ma con l’unico scopo di trovare di volta in volta qualche escamotage che consenta di salvare il “signore di Arcore” dalle sue vicende giudiziarie.

Come l’Italia – che, di fatto, è senza un timoniere, perché costui, per nulla preoccupato di portare la nave a riva e salvare i passeggeri, è unicamente impegnato a salvare la propria pelle – anche la nostra città è senza nocchiero. Certo, qui è opportuno fare le dovute differenze: quello modicano, a differenza di quello che sta a Roma, non è mosso dall’intento di fare i suoi personali interessi, questo lo sappiamo, ma di fatto è stato posto nella condizione di non poter pilotare la nave.

La sua maggioranza è paralizzata da contrasti latenti che troppo spesso riaffiorano, da tentativi “disperati” di  minimizzare sempre e comunque le tensioni che inevitabilmente vengono a galla.

L’ultima in ordine di tempo, è la reazione degli autonomisti alle dichiarazioni del sindaco sul caso Minardo. Buscema, questa volta, non è riuscito, come ha sempre fatto in questi tre anni, a celare le sue ovvie e naturali perplessità - che riteniamo abbia sempre nutrito verso Minardo e i suoi amici - con le solite parole di circostanza tendenti a placare le acque e a nascondere i dissidi, ed ha apertamente richiamato i partiti della maggioranza a dare segni di “responsabilità” e di “maturità”. Certo, ufficialmente il richiamo è stato fatto a tutti i partiti della coalizione, ma solo gli sprovveduti avrebbero  difficoltà a leggervi un evidente rimbrotto agli alleati autonomisti che, infatti, hanno risposto in modo palesemente risentito.

La dichiarazione di Carmelo Scarso lascia poco spazio alla fantasia: “ L’MPA assicura al Sindaco il suo impegno consacrato in sede elettorale, però gli ricorda e gli rilancia il rispetto rigoroso degli impegni assunti in quella sede, che possono condensarsi soprattutto in quel risanamento finanziario del Comune ad oggi in grave ritardo per troppa indulgenza e non incolpevole condotta amministrativa”.

Se tale dichiarazione è da un lato illuminante, perché ci fa comprendere come coloro che siedono a palazzo S. Domenico talvolta non abbiano il senso del paradosso - Scarso infatti rimprovera al sindaco il mancato risanamento del bilancio, lui che fa parte dell’MPA, che la delega al bilancio ha preteso di averla e attualmente la detiene - dall’altro ha tutto il sapore di un autentico avvertimento a Buscema: o in materia di bilancio esegue gli ordini degli autonomisti o dovrà abbandonare la poltrona più alta del palazzo. Come faccia Buscema, dinanzi a tutto questo, a sostenere che questa coalizione è coesa, responsabile e compatta, resta ovviamente un autentico mistero!

Più riflettiamo su queste vicende  più si rafforza in noi la convinzione – di cui abbiamo già detto – che il governo nazionale rappresenta una sorta di gigantografia di quello modicano. A Roma abbiamo un governo inoperoso che se ne frega dei problemi degli italiani e che spreca tutte le sue energie per risolvere quelli del premier.

Come gli italiani, che devono fare i conti con la disoccupazione,  i licenziamenti, l’aumento del costo della vita, i contratti di lavoro non rinnovati, le piccole e medie imprese che chiudono, e sono costretti a sopportare un parlamento che invece si occupa del legittimo impedimento, del processo breve, di Emilio Fede, della marocchina Ruby e della signora Minetti;
così i modicani, anziché avere un’Amministrazione che utilizza le sue energie per risolvere i problemi di una città alla deriva - si pensi alla condizione delle strade, del traffico, della delinquenza in preoccupante aumento, delle attività commerciali che chiudono -  sono costretti a  tollerare un governo cittadino  praticamente paralizzato e che nulla può realizzare, perché tutte le sue energie sono quotidianamente utilizzate per nascondere ciò che è chiaro a tutti: questa coalizione non ha futuro e non è nella condizione di poterlo assicurare alla città che amministra!

 

 

 

Giugno 2011

 

 

SUA ECCELLENZA SI FERMO’ A PREGARE...

 

Il Vescovo della diocesi di Noto, Antonio Staglianò, ha scelto un pulpito sicuramente inappropriato
per spezzare una lancia a favore del deputato regionale Riccardo Minardo e della sua consorte. Lo scorso 19 maggio, in occasione della Messa celebrata al Santuario della Madonna delle Grazie, a Modica, durante l’omelia, facendo esplicito riferimento ai coniugi Minardo, ha testualmente detto:
“ L’essere cristiani significa anche pensare alle persone che soffrono”.

Non soddisfatto, evidentemente, è tornato sull’argomento prima di congedarsi dai fedeli, ribadendo: “ Non lasciamo sole le persone che soffrono, a Modica, in questo momento, c’è questa famiglia (i Minardo; n.d.r.) che sta soffrendo. La chiesa deve organizzare qualcosa, deve pregare per stare vicina a questa famiglia”. Non deve pertanto meravigliare che alcuni fedeli hanno abbandonato il santuario, per protestare in modo plateale contro le parole del presule, o che altri, alla fine della celebrazione, siano andati via visibilmente contrariati.

Ciò di cui si è reso protagonista mons. Staglianò è estremamente grave, e da qualunque prospettiva si voglia analizzare il suo comportamento, la figura del prelato ne esce fortemente danneggiata. Noi non crediamo che i fedeli della sua diocesi possano essere contenti di avere  come capo un pastore che sceglie deliberatamente di porre la Chiesa netina non a fianco degli ultimi, come vorrebbe il Vangelo, ma vicina ai potenti. Ma, prima di soffermarci su questo gravissimo aspetto della questione, ci sembra doveroso sottolineare che la dichiarazione della Curia, intesa a mettere una pezza alle discutibili esternazioni del Vescovo, ha ancor più aggravato la vicenda. Il consiglio episcopale ha infatti dichiarato: “ Del resto il Vescovo si è fatto più volte carico di situazioni di sofferenza. Basti ricordare la sua partecipazione personale in occasione della dipartita della giovane insegnante di religione Rosanna Di Natale e della tragica vicenda della morte del giovane scalatore Calogero Gambino”.

Pensare di poter mettere sullo stesso piano la tragedia di due giovani vite spezzate con gli arresti domiciliari dei coniugi Minardo è moralmente ingiustificabile, se poi a pensare questo sono dei preti la faccenda risulta veramente inquietante!

Sostiene Staglianò che a Modica c’è una famiglia che soffre. Ci sentiamo veramente rincuorati, perché eravamo convinti che le famiglie sofferenti, nella nostra città, fossero molte di più: da quelle che coi soldi non arrivano a fine mese (problema che certamente non hanno i coniugi Minardo) e non sanno a che santo votarsi a quelle che combattono contro malattie serie o invalidanti; da quelle ridotte sul lastrico perché il capofamiglia è stato licenziato a quelle che vivono la non facile situazione di una separazione o di un divorzio. Ci spiace per i Minardo, ma siamo più sollevati al pensiero che nella nostra città c’è una sola famiglia che soffre!

Messa da parte l’ironia, non possiamo non chiederci come possa un Vescovo dimenticare gli ultimi, i poveri, gli emarginati, gli ammalati, e invitare a pregare per i ricchi e i potenti. Sappiamo bene che la Chiesa è chiamata a stare vicina anche a queste due ultime categorie sociali, ma che addirittura debbano avere la precedenza sulle prime a noi pare una palese violazione dell’insegnamento evangelico.

Un altro aspetto che ha suscitato in noi delle riflessioni è il fatto che sulla sofferenza patita dai Minardo il Vescovo ha mostrato, a nostro avviso, di avere le idee un po’ confuse. I coniugi Minardo non si trovano rinchiusi in qualche umida e buia spelonca con le manette ai polsi e i ferri ai piedi; non sono Pellico e Maroncelli rinchiusi negli oscuri e malsani sotterranei dello Spielberg: l’una si trova in un bel palazzo del centralissimo Corso San Giorgio, l’altro in una elegante villa immersa nella splendida campagna modicana; non sono costretti a subire né la fame né il freddo e trascorrono le loro giornate in ambienti assai confortevoli. Con ciò, naturalmente, non intendiamo in alcun modo sottovalutare il fatto che i Minardo, non potendo allontanarsi dalle loro residenze, stiano vivendo sicuramente una situazione di fastidio e di disagio. Vogliamo semplicemente dire che il Vescovo, prima di occuparsi di loro, avrebbe dovuto pensare a coloro che gli arresti domiciliari li trascorrono in condizioni ben diverse da quelle in cui si trovano a viverli i coniugi Minardo.

Vorremmo poi evidenziare un’altra questione: la presunzione d’innocenza, che ovviamente vale anche per i Minardo,  non equivale però ad una aprioristica certezza di non colpevolezza. Se nell’ultimo grado di giudizio i Minardo risulteranno innocenti, questo non salverà il Vescovo dall’essere stato inopportuno; se, al contrario, risulteranno colpevoli, mons. Staglianò avrà invitato la chiesa modicana a pregare per chi, in quel caso, si sarà macchiato di reati gravissimi ovvero associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato, con un illecito giro di affari che sfiora i 7 milioni di euro.

E’ vero che la Chiesa è chiamata al perdono e alla misericordia verso il peccatore, ma è chiamata altresì  a condannare il peccato: nella eventualità della colpevolezza dei Minardo, il Vescovo, non avendo evidenziato il diverso atteggiamento che la Chiesa deve assumere verso il peccato e il peccatore, si troverà ad aver esortato i fedeli, non deliberatamente, è ovvio,  ad avere comprensione per l’uno e per l’altro. E ciò sarebbe veramente paradossale!

Un’ ultima considerazione: ciò che il vescovo ha fatto risulta ancora più inaccettabile se si tiene conto che lo ha fatto  in un contesto, come quello della celebrazione in onore della Madonna delle Grazie, che, a differenza di altre ricorrenze religiose, è poco contaminata da fenomeni folcloristici e caratterizzata, invece, da un profondo spirito di fede che è forte ed autentico.

In mezzo a quei fedeli, che il Vescovo ha invitato a pregare per la famiglia Minardo, ci saranno certamente state decine o centinaia di persone che, animate da una profonda fede, si sono recate al Santuario per chiedere una grazia alla patrona della loro città: persone ammalate o che hanno un figlio drogato  o disoccupato, persone che stanno disperatamente cercando un lavoro o che hanno la vita distrutta per la perdita di un familiare; persone che non sanno quale futuro aspetta i loro figli o che magari sono tormentate dall’idea di farla finita.

Invece di pensare a loro, anziché dare loro una parola di conforto e di speranza, il loro Vescovo si preoccupa di una sola famiglia, quella dei Minardo, che sarà pure obbligata a rimanere in casa, ma circondata dal lusso e da un ambiente più che confortevole. La scelta del Vescovo di indicare ai fedeli per quali persone debbano pregare non è condivisibile; la scelta di dirlo in quel luogo e in quel contesto non è tollerabile!

 

Luglio 2011


DAL PALAZZO DEI NORMANNI AL PALAZZO DI GIUSTIZIA

 

Il Parlamento siciliano sembra sempre più rassomigliare ad un’aula di tribunale che ad un luogo in cui i rappresentanti dei cittadini dovrebbero legiferare e lavorare per fare uscire la Sicilia, una volta per tutte, da una situazione altamente drammatica, che è quella dei servizi da terzo mondo, della dilagante  disoccupazione giovanile, dell’endemica mancanza o arretratezza delle infrastrutture, per finire con la piaga della criminalità organizzata, che, sebbene abbia subito in questi anni dei colpi non indifferenti, non è stata certamente debellata.

La legislatura in corso sarà ricordata come quella degli indagati e degli arrestati: i primi, al momento, sono ventisette, i secondi, quattro; 31 deputati su 90 vuol dire che il 35% dei nostri rappresentati alla Regione ha avuto o ha ancora problemi con la giustizia. I quattro arrestati sono: Cateno De Luca (Sicilia Vera), sindaco di Fiumedinisi, comune della fascia ionica del messinese, accusato di tentata concussione e falso in atto pubblico per una questione riguardante la costruzione di 16 villette e di una struttura alberghiera; Fausto Fagone (PID) coinvolto nell’inchiesta “Iblis “su mafia e appalti – la stessa per la quale sono indagati il presidente Lombardo e il deputato Giovanni Cristaudo – Gaspare Vitrano (PD) accusato di aver intascato una tangente per una vicenda riguardante alcuni impianti fotovoltaici; Riccardo Minardo (MPA) per associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato.

Per quanto riguarda i reati, per i quali, come abbiamo detto, 27 deputati risultano attualmente indagati, non c’è che l’imbarazzo della scelta: si va dall’abusivismo edilizio alla connivenza con la mafia, dalla truffa all’inquinamento ambientale. Com’è facilmente rilevabile, la questione morale non sembra più essere un problema rinviabile; appare non più procrastinabile un ricambio della classe politica isolana: una classe politica che è in gran parte indegna di rappresentare il popolo, incapace di elaborare progetti lungimiranti e di ampio respiro, troppo spesso incolta e talvolta persino impresentabile anche sotto il profilo dell’eleganza e dello stile.

Come dicevamo, sarebbe necessario un ricambio, ma che questo possa avvenire ci pare alquanto improbabile. Esso non può nascere dalla politica, perché un albero marcio non può che dare frutti marci!

A nostro parere, il posto di questi politicanti, che stanno affossando la nostra terra, già dilaniata da mille problemi, non può essere preso dai giovani cresciuti all’ombra di mercenari delle idee, di voltagabbana senza pudore e di arrivisti senza scrupoli. Saranno anche giovani animati da buoni propositi e desiderosi di far bene, ma hanno dentro delle cellule cancerogene che, prima o poi, faranno germogliare il male, e tutto ricomincerebbe!

La frequentazione di quelle che son dette segreterie politiche, e che in realtà sono i luoghi del malaffare, li ha  segnati per sempre, pertanto non è da loro  che può avere inizio la rinascita morale e civile della nostra terra. Purtroppo, nemmeno dai giovani estranei al sudiciume di questa politica. Una larga fetta delle nuove generazioni non ha le qualità intellettuali per promuovere un autentico riscatto dell’Isola: è quella la cui intelligenza è stata intorpidita dal “grande fratello”, dall’ “isola dei famosi” e dai programmi demenziali della De Filippi, quella che è cresciuta senza riferimenti ideologici e che è portatrice di una visione arida e pragmatica della società e della politica.

L’altra parte, invece, quella che è riuscita a mantenere l’autonomia del pensare e una valida capacità  di analisi critica, non può aspirare a conquistare il potere politico, perché questo sistema, putrefatto e corrotto, ha da tempo messo in campo le sue contromisure per essere in grado di perpetuarsi ed escludere dal giro coloro che, avendo validi strumenti intellettuali e indiscutibili qualità morali, per tale sistema rappresenterebbero un pericolo non indifferente.

Coloro che ci leggono sanno bene quante volte siamo stati tacciati di pessimismo e addirittura di disfattismo: la cosa ci risulta indifferente, non perché  vittime di un sentimento di superiorità, ma perché consideriamo deleterie certe forme di demenziale ottimismo, che ad ogni costo ritiene di trovare una soluzione ai problemi anche quando è evidente che questa non c’è. E nel caso che stiamo prendendo in esame non ci pare, oggettivamente, che ci sia!

Potrebbe, in verità, esserci, ma per comprenderla occorrerebbe liberarsi da stereotipi e schemi mentali ormai troppo radicati nella nostra cultura. Sarebbe necessaria un’autentica rivoluzione culturale. Un “Grande Rifiuto”, come direbbe Marcuse, un’opposizione totale a questo sistema marcio, che possa porre le basi per “ la traduzione dell’utopia nella realtà”. Occorrerebbe ammettere che aveva ragione Platone: il potere andrebbe dato agli intellettuali, e con questo termine intendiamo riferirci a coloro che sul piano delle capacità intellettive, della saggezza e della cultura sono riconosciuti da tutti al di sopra di tutti; e  bisognerebbe ammettere, altresì, che aveva ragione anche Fichte: l’intellettuale è veramente tale se è anche moralmente migliore degli altri e se, con la sua attività e il suo esempio, sa promuovere il progresso etico e civile del proprio popolo.

Invece di perdere tempo a disquisire di proporzionale e maggioritario, di sistema alla francese o alla tedesca, sarebbe certamente più fruttuoso se i siciliani – e con  loro tutti gli italiani -  usassero il loro cervello per pensare a quale potrebbe essere la maniera migliore per fare in modo che il nostro Paese e le nostre Regioni  possano essere governati da persone di acuta intelligenza, di vasta cultura

e dalla moralità cristallina.

Su questo andrebbe fatta una seria e approfondita riflessione collettiva!

Se nulla cambierà, sarebbe quanto meno più serio che il  parlamento siciliano, anziché riunirsi a Palazzo dei Normanni, si trasferisse in qualche  aula del Palazzo di Giustizia di Palermo!

 

 

 

 

Ottobre 2011

 

LA PATTUMIERA D’EUROPA

 

In Italia stiamo vivendo una crisi di civiltà e i “galantuomini” che occupano abusivamente – visto che non siamo stati noi ad eleggerli – Montecitorio e Palazzo Madama vogliono convincerci che tale crisi sia soltanto di natura economica. Non neghiamo, ovviamente, che questa ci sia, ma il nostro Paese, lo sappiamo bene, oltre ai problemi legati alla produzione, alla disoccupazione, al debito pubblico e a quant’altro, vive un autentico dramma che non potremo risolvere né con le manovre di Tremonti, né col giustizialismo di Di Pietro, né col veterocomunismo di Vendola.
L’imbroglio più colossale consiste nel far credere all’opinione pubblica che siamo in questa situazione per colpa di Berlusconi; come se fosse lui a detenere il potere, quello reale!
La politica e l’economia in Europa, e pertanto anche in Italia, da almeno cinquant’anni sono nelle mani delle grandi lobby industriali, bancarie e finanziarie: sono queste che fanno e disfanno i governi e noi ci illudiamo di vivere in democrazia e di contare qualcosa! Certamente, il berlusconismo ha aggravato, e non di poco, la situazione economica, politica e soprattutto morale dell’Italia, e coloro che ci leggono non possono certo pensare che nutriamo simpatie per questo “signore”: anche noi non vediamo l’ora che tolga il disturbo, ma chi può ragionevolmente pensare che l’attuale opposizione, se andasse al governo, risolverebbe i mali che ci affliggono?

Abbiamo una classe politica che, quasi nella sua interezza, è marcia, corrotta e incapace;  ma essa  è lo specchio di una società civile che premia i mediocri, i presunti furbi, gli evasori, i voltagabbana e gli arrivisti senza scrupoli.

E’ vero che viviamo in  una democrazia incompiuta, visto che non possiamo scegliere i candidati al parlamento nazionale, ma certi partiti, come il PDL e l’UDC – dove abbondano gli indagati e i condannati -  stanno lì perché hanno ottenuto legittimamente un consenso elettorale. E comunque, anche quando eravamo noi a scegliere i parlamentari, non è che le cose andassero meglio: basti pensare alla vergogna di tangentopoli. A ulteriore riprova che è il nostro sistema politico ad essere putrefatto, perché è lo specchio di una  società  guasta e corrotta. La crisi che ci attanaglia è una crisi che riguarda l’Etica, e quando i principi universali decadono non ci si può salvare. La coerenza, l’altruismo, la trasparenza, l’onestà e la dignità, nell’Italia di oggi, sono parole senza alcun valore: se non  recuperiamo il loro alto significato questo nostro Paese non avrà futuro. Noi siciliani, in particolare, dovremmo andare a Canossa col capo cosparso di cenere: si pensi che la Sicilia spende per il personale alle sue dipendenze quanto dieci regioni italiane. Palazzo dei Normanni, insomma, da solo, spende metà del totale nazionale. La Lombardia spende otto volte di meno e  dodici volte di meno il Veneto! E’ un’autentica infamia, ma il popolo siciliano non s’indigna e non si ribella: e questa è una vergogna ancor più grave di quella!

La Lombardia, con 10 milioni di abitanti, ha 4000 dipendenti, la Sicilia, che di abitanti ne ha la metà, di dipendenti ne ha 20000! Per mantenere questo esercito ognuno di noi paga ogni anno 350 euro; un lombardo ne paga 22, un veneto 30 e un emiliano 36. Per mantenere questo esercito, in buona parte parassitario, la nostra Isola spende ogni anno 1 miliardo e 700 milioni di euro, mentre la Lombardia, la regione più popolosa d’Italia, spende 223 milioni!
Per i dipendenti pubblici (compresi gli insegnanti, i quali, considerati gli studi che hanno alle spalle e il delicatissimo compito che svolgono, meriterebbero un riconoscimento economico di molto superiore agli impiegati regionali) contratti bloccati da anni e scatti di anzianità negati, per la clientela palermitana è in arrivo, invece, un altro fiume di denaro: da un minimo di 911 euro lordi ad un massimo di 2077 : verranno dunque pagati anche i nove mesi di straordinario ad ognuno dei 15697 funzionari a tempo indeterminato e dei 68 a tempo determinato. Insomma  i tempi delle ”lacrime e del sangue”, ancora una volta, valgono per tutti ma non per i dipendenti della regione Sicilia. Anche in Sicilia, la legge è uguale per tutti, ma per questa categoria di lavoratori è sempre  “un po’ più uguale degli altri”! E, come se non bastasse, moltissimi, tra gli arruolati in questo esercito sconfinato, protestano, quando si trovano in una condizione di precariato. Ma cosa dovrebbero fare coloro che a suo tempo restarono disoccupati, perché, al contrario dei precari che oggi protestano, non ebbero “santi in paradiso” pur avendo in taluni casi più titoli di loro per ottenere l’assunzione? Se fossero stati assunti attraverso pubblici e trasparenti concorsi, saremmo a loro fianco; ma visto che occupano quei posti grazie al sistema  della chiamata diretta – ovvero perché membri della clientela – dovrebbero almeno avere il buongusto di tacere. Ma tant’è, così siamo fatti noi siciliani!

Questo è il prezzo che adesso paghiamo a decenni di clientelismo (in virtù del quale ancora oggi, pur avendo 20000 dipendenti, l’autonomista Lombardo consente ai suoi assessori di assumere consulenti esterni con conseguente aggravio per le casse regionali) che ci ha reso lo zimbello dell’Italia e ovviamente invisi alle regioni virtuose del Nord. Possiamo dire tutto il male possibile della Lega Nord, ma se provassimo a metterci nei panni de suoi sostenitori, quando affermano che non vogliono contribuire a tenere in vita il clientelismo, la corruzione e l’assistenzialismo delle regioni meridionali, non potremmo che condividere ciò che sostengono.

Anziché reagire tirando fuori uno stupido e sterile orgoglio siciliano, faremmo bene ad arrossire di vergogna e a rimboccarci le maniche per dimostrare che abbiamo veramente voglia di cambiare.
Berlusconi, come sanno bene i nostri Lettori, non l’abbiamo mai amato, anzi lo abbiamo sempre criticato come politico e detestato come uomo, ma per favore  la si smetta di raccontarci barzellette – bastano già le sue – come quella che sarebbe colpa di quest’ometto, ricco ma insignificante, se l’Italia è diventata la pattumiera d’Europa!

 

 

 

                                  

                                 SENZA ORGOGLIO E SENZA DIGNITA’


La regione siciliana si prepara ad un’altra sanatoria edilizia. In Commissione Territorio dell’ARS, lo scorso 4 ottobre, complice l’assenza dei quattro deputati del PD, è già arrivato il primo sì a un disegno di legge che regolarizza gli immobili costruiti entro i 150 metri dalla battigia. E non basta: è anche previsto un condono per i fabbricati rurali edificati vicino alle zone protette.

A proporre queste “perle” di saggezza politica – che premia, ancora una volta, coloro che se ne fregano della legalità – sono stati Forza del Sud e il Movimento per l’Autonomia del presidente Lombardo: un ex democristiano abilissimo nell’essersi ben riciclato, furbissimo nell’essere riuscito a far dimenticare la sua pessima amministrazione della provincia etnea quando ne fu presidente. Egli, da democristiano opportunista, dopo essersi “convertito” alla causa autonomista, scegliendo con gran tempismo il momento migliore per realizzare tale conversione, è riuscito ad accreditarsi come l’uomo nuovo – figuriamoci! – della politica siciliana.

Lombardo, ovviamente, non è l’unico voltagabbana fra i politici siciliani e non – egli è infatti in affollatissima compagnia – e non è l’unico che in questi anni sia riuscito ad accreditarsi come l’uomo nuovo: chi può dimenticare che in tal modo riuscì a farsi definire Romano Prodi, già catastrofico presidente dell’IRI e già fedelissimo di Ciriaco De Mita, che ebbe l’ardire di presentarsi agli italiani con l’aria di chi voleva apparire come una sorta di “verginella” della politica.

Lombardo: un uomo buono per tutte le stagioni, eletto coi voti del PDL e che adesso, nonostante il rapporto sia tormentato, non disdegna l’appoggio del PD pur di rimanere a galla. Lombardo è colui che avrebbe dovuto rinnovare il modo di fare politica in questa nostra martoriata terra – conoscendo la storia politica del personaggio non ci abbiamo mai creduto ovviamente; ma ciò ha poca importanza, visto che ci ha creduto la maggioranza dei siciliani -  nel nome della trasparenza, della immancabile lotta alla mafia, della competenza e del rigore morale e finanziario. Forse è nel nome di questi grandi ideali che ancora oggi consente ai suoi assessori di assumere consulenti esterni, che noi siciliani  paghiamo profumatamente, pur avendo a disposizione 20 mila dipendenti, fra i quali – guarda un po’ che sfortuna – non ce n’è uno in grado di poter svolgere quegli incarichi che troppo disinvoltamente vengono assegnati a personale esterno.

Adesso potrebbe arrivare anche la sanatoria, che porrebbe Lombardo in perfetta sintonia col capo di governo, che delle sanatorie è campione incontrastato. A Roma, infatti, si è consumata la vergogna dello scudo fiscale, e, con la scusa di raccattare qualche soldo, si concede di farla franca a chi i suoi milioni di euro li ha portati fuori dal loro Paese, arrecando un danno incalcolabile a coloro che in questo Paese ci vivono e ci vivono male, anche per colpa di questi loschi personaggi, evasori conclamati, che lo Stato perdona e riaccoglie come fossero il figliol prodigo.

Già, gli evasori! Quelli che lo Stato dichiara di voler stanare e punire, ma con una guerra che è a dir poco ridicola: è evidente, infatti, che la lotta all’evasione darà risultati strabilianti multando baristi e venditori ambulanti! Saranno costoro difatti che ci salveranno! E intanto, poliambulatori, studi legali singoli e associati, tanto per fare un esempio, continuano impunemente ad evadere: chi di noi non ha fatto l’esperienza del grande luminare della medicina che ti fa lo sconto sulla visita medica a patto che non osi chiedergli la ricevuta fiscale? Come mai queste categorie vengono lasciate in pace? Forse Palazzo Chigi non ritiene di inimicarsi quei professionisti tra i quali riesce ancora ad ottenere dei consensi; ed è per il motivo opposto che, quasi certamente, progetta da tempo la distruzione della scuola pubblica.

In ogni caso, sia che si tratti di non mandare nelle patrie galere gli evasori fiscali o coloro che per anni hanno deturpato le nostre coste, il messaggio lanciato a chi si è macchiato di tali reati è allarmante e lo è ancor di più verso coloro che hanno intenzione di delinquere. Esso suona più o meno così: fate pure, tanto prima o poi una bella sanatoria non si negherà a nessuno!

Nonostante ciò che pensano Brunetta e Berlusconi, i docenti, in questo Paese, continuano a fare in modo che i nostri ragazzi escano, per dirla con Kant, “dallo stato di minorità intellettuale”, ovvero che pian piano comincino a sperimentare l’autonomia del pensiero e del giudizio, nonostante siano in tanti ad ostacolare, con il loro pessimo esempio, il lodevole obiettivo che essi si pongono: dai sindacalisti prezzolati e ignoranti ai politici corrotti e incompetenti, dai giornalisti incolti e superficiali ai magistrati egocentrici e faziosi. Ma nonostante costoro – è ovvio che non ci riferiamo a tali categorie nella loro interezza -  i docenti italiani cercano di trasmettere ai loro alunni quei principi e quegli ideali che ne facciano dei cittadini onesti e consapevoli.

Lo Stato italiano – o meglio, ciò che ne rimane – anziché supportare il loro lavoro lo vanifica, convincendo i giovani che nella vita contano soltanto il denaro, il successo e la carriera e che pur di raggiungere tali traguardi tutto è legittimo: cambiare casacca, vendere il proprio corpo, evadere il fisco, deturpare il paesaggio e distruggere l’ambiente. E noi continuiamo a credere di poter risolvere i problemi del Paese cambiando la legge elettorale, le alleanze e le coalizioni!

La classe politica italiana, e quella siciliana ancor di più, non ha una statura morale tale da poter garantire un futuro a questo disgraziato Paese. Per quanto riguarda la Sicilia, quando un popolo, a grande maggioranza, pone sul gradino più alto di Palazzo dei Normanni un politico come Totò Cuffaro e poi un altro come Raffaele Lombardo – convinto che un ex democristiano cresciuto nel culto del compromesso e nella pratica del clientelismo possa risollevare l’Isola – o è un popolo incapace di intendere e di volere o è un popolo che, in piena sintonia con la tradizione siciliana, vuol far finta di cambiare qualcosa per fare in modo che in realtà nulla possa cambiare. La distruzione delle nostre coste e delle nostre campagne, per i prossimi decenni, potrebbe essere assicurata – tutto dipenderà, ovviamente, dal voto in aula -  e i delinquenti che in tal caso attueranno tale distruzione non andranno in galera, secondo un copione già visto e che si ripeterà tristemente, nell’indifferenza di un popolo senza orgoglio e senza dignità!

 

 

 

Novembre 2011

 

 

 

LA DISCONTINUITA’ VIRTUALE

 

 

Più passano gli anni e più ci rendiamo conto di vivere in una città vituperata e offesa da Amministrazioni politiche che, al di là degli schieramenti cui appartengono, sono accomunate dalla drammatica mancanza di una chiara e definita  visione del mondo e dalla preoccupante assenza del senso del ridicolo e talvolta del paradosso. Viviamo in una città in cui i lavoratori sono privati della giusta mercede: gli operatori delle cooperative sociali, i netturbini, i dipendenti comunali non percepiscono da mesi il loro stipendio; immaginiamo, in questi tempi di crisi, quali problemi siano costretti ad affrontare, in particolar modo quando sono loro l’unica fonte di reddito per la famiglia.

Una città le cui  contrade sono deturpate dai rifiuti, e i muri a secco, vanto delle nostre splendide campagne, diventati ricettacolo di fetore e di immondizia.

Una città sommersa dagli scandali - dal caso COPAI  all’ “Operazione Modicabene” - soffocata dal cemento e con un traffico veicolare indegno di un consorzio civile e che permane ormai da anni.  Un fenomeno, questo,  che rispetta in piena regola il principio di inerzia: persiste, ed abbiamo il fondato timore che persisterà all’infinito, perché non intravediamo all’orizzonte nulla che possa modificarne lo stato. Una città che vive ormai nella paura: i furti nelle civili abitazioni non si contano più e la notte è in mano a bande di giovinastri che la violentano coi loro schiamazzi e la loro delinquenza; e non soltanto la notte, come dimostra l’episodio avvenuto nel tardo pomeriggio dello scorso 18 ottobre in pieno centro: quello che ha avuto come protagonista un trentenne, aggredito e picchiato da cinque teppisti nella via Vittorio Veneto.

Nella notte del 29 ottobre, invece, i ladri hanno “visitato”, nel quartiere Sacro Cuore, il centro comunale destinato agli anziani, che ha sede in uno dei locali dell’ex Asilo Antoniano; i locali che ospitano la scuola dell’infanzia “Giacomo Albo” e persino la parrocchia  del S. Cuore: tra le cose

rubate anche l’auto del parroco!  La notte tra il 5 e il 6 novembre, dei malviventi sono addirittura riusciti ad entrare a palazzo San Domenico e si sono introdotti nell’ufficio del Sindaco e in quello del Presidente del Consiglio Comunale.

Sappiamo, ovviamente, che l’Amministrazione non è responsabile dei furti che avvengono in città, ma sarebbe auspicabile che si interrogasse, finalmente, sul perché questa città, un tempo vivibile e sicura, è adesso protagonista di un degrado civile senza precedenti. Ora, come se non bastasse, si aggiunge anche il problema di Frigintini: la popolosa frazione, infatti, è rimasta senza un presidio dei Carabinieri con tutto ciò che questo comporterà in termini di sicurezza. Sul perché tutto ciò sia stato possibile abbiamo le nostre idee e le abbiamo già espresse: le ricordiamo, sinteticamente, a beneficio di chi ha la memoria corta, di chi non ci ha letto e di chi lo ha fatto distrattamente.

Il problema, a nostro parere, ha due cause evidenti:  una è legata ai falsi valori divenuti ormai  dominanti; ci riferiamo alla ricerca dell’apparire ad ogni costo, al rampantismo dilagante, ad una politica volta esclusivamente alla ricerca del consenso; tutto ciò a discapito di quei valori autentici senza i quali una società  è destinata al declino. L’altra è legata alla dissennata scelta di porre al centro della vita politica esclusivamente la crescita economica della città. Ma che cosa si pretendeva, che si moltiplicassero  a dismisura banche, esercizi commerciali, giri di affari e che tutto questo non attirasse nella nostra città i delinquenti della nostra provincia e di quelle limitrofe?

Lo squilibrio creato è stato devastante: una cittadina di 60 mila abitanti con un giro d’affari degno di una metropoli ! Cosa ha fatto l’Amministrazione Buscema per invertire la rotta? Cosa ha fatto per risolvere il problema del traffico che manifesta il medesimo squilibrio ? Cosa ha fatto per fermare la devastazione edilizia? Nulla: nessuna discontinuità  con l’Amministrazione precedente!

La continuità è dimostrata tra l’altro dalla deludente pratica dei rimpasti in Giunta. Tornato in libertà, l’onnipresente Minardo non ha perso tempo per riprendersi la scena, e non stiamo parlando soltanto della sua presenza ad ogni cerimonia che preveda il taglio di un nastro, ma del fatto che, forte della sua “alta” concezione della politica, è tornato prepotentemente alla carica chiedendo l’ennesimo valzer degli assessori. Per il momento Buscema ha risposto in modo deciso al suo scomodo alleato, poi, come sempre, finirà per cedere: o si dimette o lo accontenta, non ha scampo!

Come se non bastasse, poi, l’assessore al personale dichiara di non riuscire a trovare dipendenti disposti ad accettare il trasferimento nell’ufficio tributi e l’MPA dichiara che non stati ancora eliminati gli ostacoli che bloccano l’entrata a pieno regime del sistema tributario, manifestando una schizofrenia politica a dir poco allarmante. Non è rassicurante per i cittadini essere governati da un partito che sta al governo ma parla e agisce come fosse all’opposizione! Ma chi dovevano eliminarli questi ostacoli, le forze di minoranza?

Per quanto riguarda la struttura burocratica del Comune, sappiamo bene che si tratta di un apparato elefantiaco e inceppato, dove non funziona nulla e dove tutto è affidato all’improvvisazione e alla incompetenza. Per una analisi dettagliata di tutte le sue inefficienze rimandiamo ai tanti articoli  in cui Carmelo Modica, sulle colonne di questo giornale, le ha tante volte elencate e analizzate. Noi, al di là dei due casi sopra ricordati, vogliamo soltanto segnalarvene un altro, quello che riguarda la recente nomina, fatta dal Sindaco, di un certo Di Raimondo, a membro del consiglio direttivo della Fondazione Liceo Convitto, in sostituzione del compianto Giorgio Buscema. Nomina fatta in violazione dell’art. 5 dello Statuto dell’Ente Autonomo, e difatti successivamente ritirata dal Sindaco, dopo l’esposto al Prefetto fatto da Angelo Zappia, portavoce del movimento “Terzo Occhio”. Ma, considerato che un sindaco non è tenuto ad avere il dono della onniscienza, è mai possibile che al Comune di Modica il funzionario addetto al settore non conosca gli  statuti delle  fondazioni culturali modicane?

Noi vi abbiamo descritto i problemi gravi della città, l’approssimazione e spesso l’incompetenza con cui si muove la macchina amministrativa, il declino morale e civile di questa nobile terra: taluni, poco ferrati nella lingua italiana, chiameranno il nostro, ancora una volta, qualunquismo; sinceramente non ce ne importa più nulla!

Pitagora paragonava la vita alle grandi feste di Olimpia, dove alcuni andavano per affari, altri per partecipare alle gare, altri per divertirsi e alcuni soltanto (i filosofi) per osservare ciò che accadeva: siamo orgogliosi di appartenere a quest’ultima categoria. Abituati dunque ad osservare, non possiamo che rabbrividire guardando la nostra città immersa in questo oceano di problemi – che come si è visto non sono certo una nostra invenzione – mentre i nostri amministratori  si trastullano con  la casa delle farfalle e con l’immancabile appuntamento con Chocobarocco!

Ovviamente, non abbiamo alcuna intenzione di ripetere – anche per non tediare i nostri Lettori -  i tanti motivi per i quali da sempre riteniamo tale evento idiota e volgare. Ci limitiamo soltanto a far osservare che rendere il Corso Umberto (la principale arteria del centro storico) inaccessibile al traffico veicolare per ben cinque giorni – aggravando ancor di più una situazione già di per sé allarmante, come quella del traffico cittadino – solo per far distrarre per qualche giorno i modicani e distogliere la loro attenzione dai gravi problemi che assillano la città e soltanto per consentire ad albergatori e commercianti di far lievitare i loro affari è davvero squallido. Quando poi si favoriscono categorie sociali che stanno economicamente bene, anche senza il choco e senza il barocco, mentre altre vivono il dramma di essere senza un quattrino, perché quella stessa Amministrazione che perde tempo col cioccolato è la stessa che non le paga, oltre che squallido il

fatto diventa ripugnante. Che si lascino perdere, una volta per sempre, il cacao, le farfalle e altre simili idiozie e si cominci a ripensare quale città vogliamo costruire. Anziché organizzare dibattiti e convegni sulla storiella degli Aztechi e sui benefici del cioccolato, li si facciano per discutere come salvare questa città. Una città che i nostri padri ci hanno consegnato bella, vivibile e ricca di sani valori e che noi stiamo lasciando ai nostri figli deturpata dal cemento, caotica, invivibile e senza ideali!

 

 

 

 

 

 

IL GRANDE MANOVRATORE E’ TORNATO

 

Vogliamo essere sinceri: l’assenza di Minardo dalla scena politica modicana, per le sue ben note vicende giudiziarie, è stata da noi vissuta come una sorta di momentanea liberazione da un modo di intendere la politica che abbiamo sempre risolutamente osteggiato.  A tale senso di liberazione si aggiungeva un profondo sollievo per la contemporanea assenza di Drago: in questo caso va aggiunta la speranza che la sua scomparsa politica possa essere definitiva!

Ma occupiamoci di Minardo. Sapendo che la sua dipartita politica non era conclusiva, ce ne siamo fatti una ragione, ma confessiamo che talvolta ha fatto capolino in noi l’auspicio che l’esperienza degli arresti domiciliari potesse lasciare in lui un  segno, anche piccolo, che lo inducesse a un qualche ripensamento sul modo in cui fin qui ha fatto politica. Sapevamo, certo, che era una aspettativa infondata, ma per qualche attimo abbiamo voluto crederci contro ogni evidenza. E difatti, essa si è inevitabilmente infranta contro la dura realtà!

Il grande manovratore è tornato e la sua prima azione “politica” è stata la richiesta della ridistribuzione delle deleghe assessoriali: un rimpasto, insomma, tanto per non smentirsi e per sottolineare, ancora una volta, chi è che comanda a Modica! Chi pensava di essersi liberato dall’arroganza politica dell’onnipresente onorevole è stato servito!

Il grande manovratore mira ad ottenere le deleghe alle Società Partecipate e all’Urbanistica. Dopo appena un anno dall’ultimo rimpasto se ne profila dunque un altro. L’atteggiamento del MPA non è soltanto deprecabile nel merito ma lo è ancor più nel metodo: anziché cercare un confronto con l’alleato nelle sedi opportune si affida ai comunicati stampa provocando la stizzita reazione del Sindaco, che, ahimé, come sempre sarà costretto a cedere all’ultimatum di Minardo.
Del modo di fare politica di questo signore, diciamolo francamente, non ne possiamo più!

E’ una bassa politica che avvantaggia chi la fa e annienta la città che si amministra. Ciò che ci indigna non è soltanto questa avvilente concezione della politica, che da decenni siamo costretti a sopportare, ma è soprattutto la consapevolezza di vivere in una città che non sa svegliarsi dal sonno della ragione in cui è precipitata.

Riccardo Minardo, infatti, si trova a Palermo e suo nipote Nino stava per andarci (della sua presenza nella capitale non ci occupiamo, visto che non sono stati gli elettori a mandarglielo) così come Drago si trovava a Roma, perché migliaia di cittadini li hanno votati. E non è credibile che migliaia di persone abbiano fatto questo solo per amicizia o riconoscenza. Questo è il dato allarmante  che deve preoccupare! Ovviamente ci stiamo prevalentemente occupando del centro destra (il fatto che adesso il deputato regionale stia dall’altra parte non lo ha fatto certo diventare un politico di sinistra)  non perché nutriamo simpatie per le forze del centro sinistra, ma perché negli ultimi anni sono stati e sono i primi ad aver rappresentato e a rappresentare la città a livello regionale e nazionale.

Al di là delle vicende giudiziarie che le riguardano, quelle in corso o passate in giudicato, non è nostra intenzione, in questa sede, criticare queste persone per le loro disavventure giudiziarie. Ce ne occupiamo in quanto personaggi politici di primo piano della nostra città. E non c’è dubbio che dal punto di vista politico hanno offerto ed offrono uno spettacolo sicuramente poco edificante: dall’incoerenza politico-ideologico alla politica intesa non come servizio ma solo come strumento di affermazione personale.

 Dall’altra parte gli esponenti del Partito Democratico, che pur di conservare il potere soggiacciono agli ordini impartiti da Minardo,  e che ormai, in maniera patetica, sono quasi quotidianamente impegnati nell’arte di sminuire agli occhi dell’opinione pubblica i laceranti contrasti con il Movimento per l’Autonomia. Ma per quanto tempo ancora questi personaggi terranno le redini del potere nella nostra città? Per quanto tempo ancora dovremo sopportare i rimpasti, i salti da una parte all’altra del consiglio comunale, gli opportunismi, le improvvise ascese politiche senza avere alle spalle esperienza e competenze, le false alleanze e la spartizione delle poltrone?

Perché i cittadini di questa città sono incapaci di voltare pagina? Perché dimostrano una tale immaturità politica che li porta ad affidare la gestione della cosa pubblica a persone  che mai hanno  dimostrato di avere a cuore le sorti della città?

Basti per tutti l’esempio di Riccardo Minardo: è mai possibile che con tutti i problemi che assillano Modica, l’unico che assilla lui è quello del rimpasto? E siamo certi, purtroppo, che alle prossime elezioni i nostri concittadini lo rimanderanno, ancora una volta, a Palazzo dei Normanni, a meno che non siano le sue vicende giudiziarie ad impedirlo.

Se Minardo dovesse essere giudicato colpevole e interdetto dai pubblici uffici, Modica si ritroverebbe senza due protagonisti della politica locale perché rimossi dalla Magistratura e non perché i suoi cittadini hanno deciso di cambiare pagina, di farla finita con una classe politica ormai

inadeguata e di voler finalmente guardare al futuro. A dimostrazione che la maturità politica di questa città è ancora di là da venire!

 

 

Dicembre 2011

 

 

CARMELO OTTAVIANO:  UN GRANDE MODICANO DA RISCOPRIRE

 

Sabato, 10 dicembre, nell’Auditorium del Liceo Scientifico di Modica, si è svolto un incontro sulla figura e l’opera del filosofo modicano Carmelo Ottaviano (1906-1980). Relatori sono stati il prof. Francesco Rando, studioso del pensiero dell’Ottaviano e il pittore Franco Cilia. Alla instancabile azione del primo, dobbiamo il lodevole impegno per strappare all’oblio, al quale, dopo la sua morte, l’Ottaviano è stato condannato.

Tra le sue iniziative più importanti, ricordiamo quella che è poi sfociata nelle celebrazioni del centenario della nascita di Carmelo Ottaviano, che si sono svolte all’Università di Catania e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Insieme a Francesco Solitario, Rando ha poi curato il volume “Carmelo Ottaviano nella filosofia del Novecento”, che raccoglie gli Atti dei Convegni e dunque gli interventi di 37 autorevoli studiosi, oltre alle toccanti testimonianze  dei figli del filosofo modicano.

Al secondo, il maestro Franco Cilia, il merito di avere espresso, attraverso il linguaggio a lui più congeniale, quello pittorico, alcuni temi fondamentali del pensiero dell’Ottaviano, primi fra tutti, la sua tensione verso l’infinito e la struggente malinconia, legata alla lucida consapevolezza che il destino degli enti finiti è il progressivo, ineluttabile annientamento: ogni ente è condannato a scomparire; nell’uomo, la certezza della fine genera sgomento, essendo questa un’avventura verso l’ignoto.

All’incontro è stato presente anche il dirigente scolastico del Liceo, prof. Sergio Carrubba, e il sottoscritto, in qualità di moderatore,  che ha fortemente voluto che questo incontro avvenisse, non soltanto per ricordare colui che fu suo indimenticabile maestro nella facoltà di Filosofia dell’Università di Catania, ma soprattutto perché negli alunni delle quinte classi del Liceo, per i quali la conferenza è stata organizzata, fosse suscitato quanto meno l’interesse per questo loro insigne concittadino: sarebbe stato infatti pretenzioso, oltreché assurdo, pretendere di far loro comprendere, in meno di due ore, il pensiero dell’Ottaviano, la cui complessità, per essere capita e acquisita, richiede ben altro tempo e soprattutto altri contesti.

Della vastissima produzione dell’Ottaviano, che fu tra i più grandi specialisti italiani di filosofia medievale, vanno certamente ricordate: “Critica dell’Idealismo”, tradotta in tedesco (in Germania la sua filosofia è studiata e conosciuta, mentre in Italia il suo nome è scomparso da tutti i manuali di filosofia per i Licei, anche dai migliori: pochi, in verità); “Metafisica dell’essere parziale”, ovvero la sua opera più importante, visto che vi è esposto il suo sistema filosofico, ovvero la filosofia della quarta età, come egli amava definirlo e infine il celebre “Manuale di Storia della Filosofia”, dove l’Ottaviano sa mirabilmente coniugare la sua riconosciuta chiarezza espositiva con il rigore scientifico e terminologico.

Dotato di una intelligenza ben al di sopra della media – studente al Campailla di Modica, nel luglio del 1923 conseguì la licenza liceale senza sostenere l’esame finale dal quale fu esentato in virtù degli altissimi voti ottenuti in tutte le discipline; nel 1930 vinse il concorso nazionale per insegnare Storia e Filosofia nel Licei, classificandosi primo assoluto in Italia – ebbe una vita assai travagliata a causa dell’invidia e dell’intolleranza di alcuni suoi illustri colleghi.

Insegnò nelle Università di Cagliari, Napoli e Catania: in quest’ultima vi rimase ininterrottamente dal 1946 al 1976. Per il suo acceso antiidealismo fu osteggiato, con indicibile acrimonia, dal Gentile e soprattutto dal Croce, che in quegli anni esercitavano una vera e propria dittatura culturale sull’intero mondo accademico italiano. Fu proprio a causa della ostilità di Benedetto Croce che a Napoli l’Ottaviano poté rimanere soltanto un anno. Negli anni Settanta, lui convinto cattolico, dovette riprendere la battaglia, per poter liberamente esporre le proprie convinzioni, contro una nuova e più temibile intolleranza, quella delle forze politiche e culturali marxiste e contro quella, più subdola, dei cattocomunismi. Forse per tale motivo, a proposito della sua vita, scriveva: “ Così povera di gioia e così esperta di amarezze e di disinganni” e ancora: “ Si è così soli nella vita: una solitudine che desta sgomento”.

L’Ottaviano, nel 1923, a ventisette anni, fondò la rivista “Sophia” che diresse ininterrottamente fino al 1974, e che fu tra le più prestigiose d’Europa. In possesso di una cultura smisurata, Ottaviano  fu per decenni indiscusso protagonista della filosofia italiana ed europea.

Nella realtà accademica italiana del Novecento, dominata dal neoidealismo, prima, e dal marxismo, dopo, si può capire – ma in alcun modo giustificare – il silenzio che gli si voleva imporre, ma dopo la morte, l’oblio non è né comprensibile né giustificabile. Si può infatti condividere o meno la sua filosofia, ma la moralità cristallina dell’uomo e la grandezza intellettuale del filosofo andavano salvaguardate e custodite.

La vicenda umana di Carmelo Ottaviano ripropone il problema della grandezza e della miseria umana – magistralmente descritto da Pascal – in modo particolare per quanto riguarda la dimensione morale. Ottaviano, sebbene non esente, ovviamente, dai limiti e dai difetti che sono propri di ogni creatura umana, ha saputo incarnare la grandezza, avendola cercata proprio nel pensiero, che è l’unica cosa, come diceva Pascal, che può sollevare l’uomo dalla sua miseria. Ha incarnato la grandezza perché non ha abdicato al dovere e al diritto di conservare ad ogni costo la libertà di pensiero ed ha lottato, per difenderla, contro l’ignoranza dei presuntuosi e la tracotanza degli intolleranti.

Non ha mai voluto essere un intellettuale organico ed ha pagato questa sua scelta di libertà con gli attacchi, anche personali, quand’era in vita, e con l’oblio, quando dalla vita si è congedato, nel più assordante silenzio.

E adesso, mettiamoci in piedi, e rendiamogli omaggio!

 

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