Home Giuseppe Ascenzo 

2010 

 

Gennaio 2010
La civica assise, i cani e i microchip                                          Dialogo: gennaio 2010

Febbraio 2010
Alla ricerca della ribalta perduta                                                Dialogo: febbraio 2010

Marzo 2010
La “notte in cui tutte le vacche sono nere”                                 Dialogo: marzo 2010
I Popolari per la Sicilia: l’apoteosi dell’ovvio                            Dialogo:marzo 2010

Aprile 2010
Modica: la fortezza delle mostruosità                                           Dialogo: aprile 2010
La città-azienda, Cecchi Paone e la discontinuità                         La Pagina: 12 aprile 2010
Il bozzolo e il paternalismo                                                           La Pagina: 28 aprile 2010

 
Maggio 2010
“Operazione Modica bene”                                                             Dialogo: maggio 2010
Una bolla di sapone o un concreto segnale di discontinuità?          La Pagina: 28 maggio 2010

Giugno 2010
Una intollerabile egemonia                                                              Dialogo: giugno 2010
I galantuomini e i farabutti                                                               Dialogo: giugno 2010

Luglio 2010
Berlinguer, la Moratti, la DC e la Sinistra: povera Scuola!             La Pagina: 28 luglio 2010

Settembre 2010
Riapre il sipario sul teatrino della politica                                       La Pagina: 28 settembre 2010

 

Ottobre 2010
 Un danno irreversibile                                                                    Dialogo: ottobre 2010
Anche la morte gestita dai privati? No, questo è troppo!                La Pagina: 28 ottobre 2010


Novembre 2010
Una iniziativa lodevole ma insufficiente                                          Dialogo: novembre 2010

Dicembre 2010
E Modica sprofonda tra feste e banchette                                         La Pagina: 12 dicembre 2010
Pragmatismo: il padre di tutti i voltagabbana                                   Dialogo: dicembre 2010

 

 

Gennaio 2010

         

   Le dimissioni di Paolo Garofalo da Presidente del Consiglio Comunale di Modica

                               LA CIVICE ASSISE, I CANI  E I  MICROCHIP

 

Le dimissioni di Paolo Garofalo da presidente del Consiglio comunale di Modica, a seguito degli attacchi subiti dal consigliere Nino Gerratana, sono l’ennesima conferma che sono nel giusto coloro che da anni denunciano il livello assai mediocre che la politica ha raggiunto nella nostra città. Per quanto riguarda Gerratana, riteniamo che, con i suoi attacchi al presidente del civico consesso – “Purtroppo va ammesso che è incapace di svolgere il ruolo di presidente. L’unico ruolo in cui riesce ad eccellere è quello di microchippare (sic!) i cani “ -  abbia veramente oltrepassato i limiti della normale dialettica democratica, che a volte può anche essere aspra, ma non deve mai sfociare nell’offesa,  per il rispetto che è dovuto ad ogni persona, ed ancor più quando l’altro ricopre una carica istituzionale.
Gerratana, tuttavia, non è che la punta di un iceberg che da anni ondeggia sull’oceano della politica modicana, e sul quale, prima o poi, finirà per schiantarsi la nave sulla quale viaggiano i cittadini di questa martoriata città.  Gerratana, infatti, come la maggior parte dei suoi colleghi, ha il torto di trovarsi nel posto sbagliato, ma la sua colpa è, per così dire, “veniale”, perché tutti, anche coloro che talvolta hanno cadute di stile o che non sono particolarmente attrezzati sul piano culturale, aspirano ad emergere e guadagnare prestigio. Il peccato “mortale”, invece, è commesso dai nostri concittadini che, da tempo, mostrano di non possedere una coscienza politica, e quindi “spediscono” nel civico consesso personaggi che umanamente potranno anche essere  persone irreprensibili, ma che sono inadatti sul piano politico e fragili su quello culturale.
Gli intrighi, i compromessi, i cambi di casacca sono lo specchio di una classe politica che non ha i requisiti per governare e rappresentare una città come Modica, che, per ovvi motivi, meriterebbe una classe dirigente ben diversa, ed è invece costantemente offesa da politici avvisati, indagati, condannati e da consiglieri che non trovano di meglio che parlare di cani e microchip, in un’aula che dovrebbe assistere a discorsi di ben altra levatura politica e intellettuale.
Se il modo deplorevole in cui tanti presunti politici nostrani intendono la politica ci preoccupa, la loro impudenza ci irrita. Si pensi ai frequenti  interventi sulla questione morale da parte del consigliere Paolo Nigro, il quale sarà anche una persona dal comportamento ineccepibile, ma, come già ho avuto modo di far notare, appartiene ad un partito che, quanto meno in Sicilia, quando si affronta tale questione, farebbe bene a nascondersi o alle dichiarazioni di  Giorgio Aprile – il più assenteista fra i consiglieri comunali di Modica - che più d’una volta si è permesso di criticare l’attuale situazione del traffico nella nostra città, cercando di far dimenticare che è proprio con lui che il traffico, a Modica, è diventato caotico ed infernale, e che da assessore alla viabilità dimostrò una gigantesca  incapacità amministrativa.
Il consigliere Gerratana, e come lui tanti suoi colleghi dell’opposizione, si ostinano a parlare di regolamenti e procedure, per cui ci sembra condivisibile, ma solo in parte, come vedremo, l’analisi di Vito D’Antona – capogruppo consiliare di Sinistra Democratica – quando sostiene che questa spasmodica attenzione sugli aspetti formali e non contenutistici dell’attività consiliare, oltre a far perdere tempo prezioso al Consiglio, è stata in verità lo strumento per colpirne il presidente.Si può infatti stigmatizzare il fatto che l’attenzione ai criteri e ai regolamenti abbia assunto, da parte dell’opposizione, dei livelli esasperati, ma non può, tuttavia,  essere taciuto il fatto che Garofalo, nell’espletare il suo ruolo di presidente della civica assise, abbia mostrato delle carenze non indifferenti. Il fatto che, oltre agli esponenti dell’opposizione, egli sia stato criticato anche dal segretario generale, non ci sembra un dato da sottovalutare. Garofalo, infatti, nella seduta consiliare in cui ha subito la pesante critica di Gerratana, ha consentito la discussione su due atti che in quella occasione non dovevano essere affrontati.  Il primo, ossia la mancata attivazione dell’acquedotto in contrada Zappulla, non era un ordine del giorno, non era una mozione e nemmeno un’interrogazione; per quanto riguarda il secondo, la proposta di modifica al regolamento Tarsu, non poteva essere affrontato giacché, al riguardo, nulla era stato depositato presso l’ufficio di segreteria della Presidenza, con l’aggravante che il relativo incartamento è stato consegnato a Garofalo dal capo gruppo del PDL durante la seduta del consiglio: non c’è dubbio che un simile modo di procedere si presta a numerose e differenti critiche. Le osservazioni di Gerratana, dunque, possono essere biasimate nel metodo, un po’ meno nel merito!
Nel momento in cui inviamo il pezzo al giornale non sappiamo come questa vicenda andrà a finire; è probabile che quando i Lettori lo leggeranno il consiglio avrà di nuovo un presidente, ma, indipendentemente dall’esito, qualche considerazione riteniamo sia possibile farla.
Per quanto riguarda Garofalo, comprendiamo naturalmente il suo risentimento per gli attacchi subiti, ma le  motivazioni da lui addotte per giustificare l’abbandono della carica istituzionale che ricopriva ci convincono poco: la presenza, per quanto “inquietante”, come lui la definisce, del consigliere Gerratana, non può “ far venir meno le condizioni di serenità e soprattutto di democrazia all’interno del consiglio comunale”.
Le dimissioni del presidente Garofalo hanno rivelato, a nostro parere, due atteggiamenti riprovevoli. Il primo è legato al fatto che non è riuscito a tollerare le critiche ricevute: quando queste sono particolarmente pesanti si può ricorrere nelle opportune sedi, ma non sono un valido motivo per abbandonare una carica istituzionale e poi fanno nascere il sospetto che, in quanto presidente, Garofalo si ritenga “intoccabile”. Il secondo è assai più spiacevole del primo: il presidente di un civico consesso non può infastidirsi quando ad essere attaccato è lui e rimanere quasi impassibile quando lo è invece un  consigliere: ricordiamo ancora tutti quanto accaduto in consiglio comunale lo scorso 21 maggio, quando Drago, Pitino, Cavallino ed altri “aggredirono” ed insultarono il consigliere Nino Cerruto, al quale Garofalo negò persino la possibilità di riprendere la parola e quindi gli proibì, di fatto, la possibilità di replicare.
Garofalo ha dichiarato che le sue dimissioni sono irrevocabili: ci aspettiamo che mantenga fede a quanto annunciato; caso contrario confermerebbe quanto detto da Gerratana, ovvero che lo ha fatto
per farsi riproporre candidato alla carica e farsi rieleggere per poter dire di essere il presidente di tutto il consiglio”. In questo caso, da questa vicenda, ne uscirà bene la coalizione di maggioranza, ma molto male Garofalo. Se quest’ultimo, invece, non sarà riletto, sarà legittimo pensare che il “caso Gerratana” sia stato utilizzato per dare la presidenza a qualcun altro, secondo la logica perversa che prima o poi tutti devono gustare l’ebbrezza di sedere sulle poltrone che contano. In questo caso, da questa vicenda, ne uscirà male Garofalo, e malissimo la coalizione cui appartiene.
Ancora una volta, comunque, dobbiamo registrare l’avvilente degrado nel modo d’intendere  la politica, quel degrado che non ci stancheremo mai di denunciare. Abbiamo appena appreso, infatti, dagli organi d’informazione, che Garofalo è disposto ad accettare un’ eventuale ricandidatura: le dimissioni, come si vede, nell’arco di dieci giorni, sono diventate  revocabili. Ogni  commento, a questo punto, ci sembra davvero superfluo!
Ciò che in definitiva emerge da questa vicenda, al di là delle dimissioni di Garofalo, è l’ipocrisia che a nostro parere caratterizza l’attuale maggioranza. Se quella precedente viveva di apparenza e di retorica, quella attuale sventola, in modo costante e fastidioso, la bandiera del buonismo – che ovviamente è cosa ben diversa della bontà – e quella di una presunta omogeneità e coesione, che invece non c’è, all’interno della coalizione: basti pensare che, in occasione del già citato episodio di Cerruto,  l’MPA si guardò bene dall’emettere un comunicato di ferma condanna nei confronti dei suoi “aggressori”. Le lacerazioni tra l’MPA e il resto della maggioranza – ampiamente previste – sono già emerse, tra l’altro, in occasione delle critiche di Minardo a Buscema ed è fisiologico che emergeranno ancora. Quel che inoltre ci irrita è che l’attuale coalizione al governo non perde occasione per sottolineare la sua differenza dalla precedente, alla quale si ritiene alternativa.
Peccato che le parole siano smentite dai fatti!
 Le accuse infamanti ( che non significano ovviamente colpevolezza) continuano, si pensi alle ultime vicende giudiziarie riguardanti Riccardo Minardo  (e che adesso non ci si venga a parlare di differenze e non si cerchi di fare dei distinguo: se si è alleati, lo si rimane nella buona e nella cattiva sorte!); il carosello delle poltrone assessoriali non si è fermato, la cementificazione della città non si è arrestata, la situazione disastrosa delle strade è addirittura peggiorata, e, per finire, abbiamo assistito ancora una volta allo spettacolo demenziale della Notte Bianca.
Che Iddio ci aiuti!

 

Febbraio 2010

 

  La verifica amministrativa del Ministero della Funzione Pubblica al Comune di Modica

                      ALLA RICERCA DELLA RIBALTA PERDUTA

 

Innumerevoli volte abbiamo scritto dell’infimo livello che la politica ha raggiunto, in questi anni, nella nostra città. Adesso, in occasione della verifica amministrativa effettuata al Comune dal Ministero della Funzione Pubblica, crediamo che si sia davvero toccato il fondo. Il funzionario ministeriale, Maria Rita Longo, prendendo in esame gli atti amministrativi prodotti dal 2002 al 2009, e soprattutto quelli che vanno dal 2005 al 2008, ha accertato delle irregolarità nel conferimento degli incarichi esterni, che sarebbero stati affidati in modo illegittimo; nell’attribuzione di mansioni superiori – leggi: promozioni e avanzamenti di carriera -  considerati illegittimi per difetto di motivazione, con un presunto danno erariale all’Ente di 354 mila euro; nelle assunzioni, infine, effettuate tramite selezione interna anch’essa giudicata illecita.
Che l’Amministrazione Torchi sia stata disastrosa ed abbia messo in ginocchio Modica, sotto tutti i punti di vista, ormai lo hanno capito tutti: il fatto di averlo intuito un po’ prima degli altri e di averlo sempre denunciato non è per noi, tuttavia, motivo di orgoglio; avremmo preferito di gran lunga sbagliarci, piuttosto che vedere ridotta in questo stato la nostra città, da un uomo che ha attuato una politica irresponsabile, che svuotava le casse comunali per organizzare giostre, sagre e fiere d’ogni tipo per finalità elettoralistiche, sapendo già che il Comune non aveva il becco d’un quattrino.
Dinanzi a quella che potrebbe essere un’altra pesantissima eredità che Torchi lascia alla sua città, l’ex sindaco, come al solito, non ha avuto il buongusto di tacere, e, pur di tornare alla ribalta, sebbene solo per un giorno, ha rilasciato la consueta, inutile e stucchevole intervista, che ci appare doppiamente fuori luogo. Non sentendo più parlare di lui, avevamo pensato che, finalmente, avesse capito che il silenzio era l’unica strada che gli rimaneva da percorrere: il silenzio come penitenza, come espiazione dei peccati politici commessi. Prendiamo atto di esserci sbagliati!
Torchi interviene sulla questione e lo fa col solito, fastidioso tono di chi si ritiene infallibile. Tale atteggiamento è sempre sgradevole, ma lo è ancor più quando è assunto da chi, ben lungi dal possedere l’infallibilità – che tra l’altro non è di questo mondo – ha invece dimostrato limiti gravissimi sul piano politico e amministrativo.
Indagato per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro – naturalmente facciamo salva la presunzione d’innocenza, ma con la consapevolezza che questa non esclude la possibilità della colpevolezza – ha dimostrato di aver fatto ancora una volta una scelta inopportuna: non sarebbe stata  poi così peregrina l’idea di aspettare la sentenza - d’innocenza, ovviamente – prima di cantare, come è sua consuetudine,  le lodi della sua Amministrazione.
Il suo intervento, poi, è criticabile, oltre che sul piano formale, anche su quello dei contenuti, e la logica dei suoi ragionamenti rivela il perché egli abbia condotto Modica nel baratro. Egli afferma che l’attuale Amministrazione anziché usare, in occasione di questa vicenda, toni preoccupati e mesti, dovrebbe rassicurare i dipendenti, basandosi sulla certezza “che ognuno ha visto riconosciuti e legittimati prestazioni e ruoli che di fatto già occupava all’interno della struttura comunale” e si ritiene orgoglioso “per aver dato dignità di lavoratori agli ex articolisti” offrendo loro  “la possibilità di uscire dall’ombra del precariato”.
Il solito intervento di Torchi, infarcito di retorica! Ma è mai possibile che a quest’uomo non passi per la mente che all’attuale Amministrazione e a i suoi concittadini non importa proprio nulla del fatto che continui a spargere incenso sulla sua passata attività politica, e che l’una e gli altri, invece,  intendono  sapere se la dignità che lui dice di aver dato ai dipendenti è stata data rispettando  le regole?
Appare poi paradossale che Torchi si erga a paladino dei diritti dei lavoratori della Multiservizi e dei dipendenti comunali, quando fu proprio sotto la sua sindacatura che iniziò il calvario dei dipendenti del Comune, con gli enormi ritardi nei pagamenti degli stipendi; quello dei fornitori dell’ente che non vedevano saldati i loro crediti; quello degli operatori ecologici: e ci fermiamo qui soltanto per motivi di spazio. E mentre accadeva tutto questo, l’ex sindaco, invece di stringere la cinghia l’allargava, per organizzare sciocchezze, seguendo la logica deplorevole del panem et circenses.
Nonostante ciò, ancora oggi, osa parlare della sua sindacatura come esempio di buona amministrazione! Un’affermazione che fa veramente rabbrividire, come fa inorridire quella del dottor Peppe Drago, quando afferma: “ mancano mille giorni perché l’UDC torni al governo di Modica”.
Se Torchi, a nostro parere, farebbe bene a stare “politicamente” in silenzio, in attesa che le indagini facciano il loro corso, Drago, alla luce delle ben note vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto – e che illegittimamente continua a frequentare Montecitorio – farebbe bene a sparire: politicamente, s’intende. Egli, invece, vuol tornare in sella nella sua città, evidentemente per completare l’opera che, tramite il suo ex pupillo, per nostra fortuna, non riuscì a portare a termine.
Anche lui, mollando uno schiaffo all’intelligenza altrui, si permette di affermare che l’UDC -  il partito di Cuffaro e quello che vanta, in Sicilia, il maggior numero di avvisati, indagati e condannati – “non ha complessi d’inferiorità nei confronti di alcuno”.
Il solo fatto che queste persone possano pensare di tornare a Palazzo San Domenico fa tremare; evidentemente sanno di avere ancora dalla loro parte moltissimi elettori: ed è questo il dramma, quello di una città che non sente il dovere morale di farla finita coi politicanti - a qualunque schieramento appartengano - che continuano a spacciarsi per politici!

 

 

Marzo 2010

 

 

                                                         Accade nella politica modicana

                                 LA NOTTE IN CUI TUTTE LE VACCHE SONO NERE

 

Vorrei sottoporre ai Lettori una mia riflessione sul recente attacco di Riccardo Minardo all’Amministrazione Buscema: non è la prima volta che ciò accade e probabilmente non sarà l’ultima. Sarebbe facile lasciarmi prendere dal compiacimento di aver visto giusto, quando più di una volta ho ricordato a Buscema di essere caduto in quella che io continuo a ritenere una trappola: il nostro Sindaco ha sempre risposto che senza l’alleanza con il Movimento per l’Autonomia non avrebbe potuto governare la città. Infatti, anche se fosse stato eletto Sindaco, senza l’appoggio di Minardo, non avrebbe poi avuto la maggioranza in Consiglio comunale e pertanto la sua Giunta sarebbe stata condannata al totale immobilismo.
Ciò è sicuramente vero, ma io ritengo che non ha alcun senso e alcuna utilità governare la città sotto il costante ricatto di Minardo e dei suoi assessori. Meglio lasciare!
 Il tono perentorio usato dai suoi alleati autonomisti non può essere accettato dal Sindaco: se ciò accade vuol dire che ci troviamo dinanzi ad un primo cittadino che non gode di piena autonomia decisionale. Proprio mentre invio al giornale queste note, leggo, quasi incredulo, la risposta di Buscema:  “ Queste dichiarazioni confermano la pressoché totale sintonia con cui la Giunta e l’intera coalizione stanno lavorando (…) e non poteva essere altrimenti visto il confronto franco e leale (sic!) che c’è sempre stato” ! A questo punto, sarebbe il caso che questa Amministrazione si decidesse a fare finalmente chiarezza: che Minardo faccia il Sindaco e Buscema il suo vice!
Lo stesso, deprecabile  atteggiamento è stato assunto da Giancarlo Poidomani, il quale,  come coordinatore del Partito Democratico, continua ad usare toni concilianti con chi attacca dall’interno l’attuale Amministrazione, al solo scopo di mettere in chiaro, di tanto in tanto, che Buscema può occupare quella poltrona finché non ostacola i programmi e gli obiettivi di Minardo!
Sulle critiche del Movimento per l’Autonomia c’è poco da dire: siamo alla schizofrenia politica!
Esso è come l’assoluta identità degli opposti di Schelling, che giustamente Hegel definì “ la notte in cui tutte le vacche sono nere”!
Considerata la venerazione che il suo leader nutre per San Pio da Pietrelcina, probabilmente l’intero Movimento s’illude di possedere anch’esso il dono dell’ ubiquità: è l’unico movimento politico che sta al governo e nello stesso tempo attacca quel governo con la veemenza di chi è convinto di starne fuori!

 

 

                   

               I  “POPOLARI PER LA SICILIA” :  L’APOTEOSI  DELL’OVVIO

 

Anche a Modica è ormai presente il movimento politico “Popolari per la Sicilia”, presieduto, a livello regionale, dal nostro concittadino Antonio Borrometi. Lo diciamo con franchezza: non se ne avvertiva la mancanza!
L’Italia del dopoguerra, ormai è chiaro – quanto meno per coloro che non hanno ancora perso la sana abitudine di pensare con la loro testa e non con quella del loro padrino mafioso o politico – è più mefitica di una cloaca. La corruzione dilaga in ogni settore della società civile; corrotti e condannati siedono impunemente nel parlamento, nelle assemblee regionali e nei consigli provinciali e comunali; la vita di questo Paese è involgarita quotidianamente da un popolo che ha perduto da tempo i più elementari principi della moralità: di quelli relativi all’identità nazionale è stata persa addirittura la memoria.
Non intendiamo, ovviamente, in questa sede, fare un’analisi esaustiva del perché l’Italia repubblicana sia stata ridotta ad un cumulo di macerie: ci limitiamo, pertanto, a porre in risalto quelle considerazioni, fra le tante, che ci sembrano più rilevanti. E’ ovvio che quando un Paese è allo sbando le colpe non stanno mai da una sola parte, ma quelle della vecchia Democrazia Cristiana ci sembrano così macroscopiche che non possono essere taciute: basti, per tutte, la connivenza che alcuni suoi esponenti siciliani ebbero con la mafia. Lo sdegno per tale contiguità, sfociata spesse volte in vera e propria complicità, è reso ancora più grande dal fatto che si trattava di un partito che si ispirava ufficialmente al Cattolicesimo.
In un Paese malato come il nostro, dunque, ci risulta insopportabile l’idea che ci siano ancora persone disposte a perdere tempo per fondare partiti e movimenti: si pensi ai vari Di Pietro, Lombardo e Rutelli. Adesso, per quanto in un contesto assai meno ampio, ci si mette anche Borrometi! La conferenza stampa con cui il movimento è stato presentato a Modica ha sancito il  trionfo della retorica e dei soliti luoghi comuni: abbiamo appreso che Borrometi e i suoi – notizia di straordinaria originalità!  - intendono porre in primo piano i problemi relativi all’ordine pubblico, alla creazione di posti di lavoro e all’aiuto alle imprese e che intendono elaborare proposte e soluzioni per la collettività. L’apoteosi dell’ovvio, com’è facile vedere! Ma quale partito o movimento avrebbe detto oggi cose diverse da quelle dette dall’ex deputato?  Borrometi e i suoi collaboratori ci dicano piuttosto per quali motivi, dette da loro, queste cose dovrebbero essere più credibili!
Le affermazioni degli esponenti di questo nuovo movimento lasciano intravedere l’assoluta mancanza di progettualità politica, di volontà innovativa, di slanci ideali, che si esplicita in fastidiosi  luoghi comuni: abbiamo così avuto da Salvatore Cassarino, coordinatore cittadino del Movimento, l’annuncio – sconvolgente! -  che Modica ha tantissimi problemi e che loro, i Popolari per la Sicilia, sono pronti a dare il loro contributo; siamo stati resi poi edotti, da Enzo Rizza, su una rivelazione davvero sorprendente,  e cioè che questi nuovi salvatori della Patria non vogliono guardare al passato e che le loro idee guardano al futuro, e abbiamo scoperto, infine, - notizia cui è sicuramente interessata l’intera cittadinanza! -  che Giovanni Favaccio si ispira agli ideali di Sturzo e La Pira e che si rammarica per il fatto che ormai si siano smarriti!
Non abbiamo mai condiviso le idee di don Sturzo ma nutriamo stima per l’uomo – la stessa cosa non possiamo dire per La Pira - ma occorre non dimenticare che il richiamo al prete di Caltagirone non impedì alla Democrazia Cristiana di inquinare in modo indelebile la politica e l’etica di questo Paese. Al contrario di Favaccio, noi, e lo diciamo da cattolici, ringraziamo il Padreterno per il fatto che questi ideali siano andati perduti,  perché il diavolo e l’acquasanta non possono convivere e quando ciò accade il disastro è inevitabile, come la storia italiana dell’ultimo cinquantennio ha ampiamente dimostrato.
Noi che per abitudine pensiamo male – è l’unica cosa su cui siamo d’accordo con Andreotti, e questo ai Popolari per la Sicilia non dovrebbe dispiacere – abbiamo il sospetto che quest’ennesimo movimento sia nato per soddisfare  l’aspirazione di Borrometi a riacquistare un po’ di visibilità nel tentativo di riguadagnare una qualche posizione politica. Da questo punto di vista la cosa ci lascia ovviamente indifferenti; ciò che ci infastidisce, al di là delle banalità politiche che il Movimento esprime, è il fatto che rende ancora più confusa una situazione, come quella modicana (della Sicilia non ci occupiamo, giacché non riteniamo che il Movimento possa avere qualche riscontro elettorale fuori dalla nostra città)  che avrebbe invece bisogno di chiarezza e di rompere con un passato che non vuole passare. Modica non  ha alcun bisogno di uomini ormai ai margini della vita politica ed animati dall’ambizione di tornare alla ribalta.
Il movimento di Borrometi è come una donna vecchia, cui basta un po’ di cipria e di rossetto per ritenere di essere tornata giovane e avvenente, ma è soprattutto l’ennesima conferma che a Modica non esiste una classe politica che sappia elaborare un progetto veramente antagonista, per liberare la città dai lacci dei potentati economici, dallo squallido spettacolo dei voltagabbana, dai condannati che continuano a stare a Montecitorio, dai democristiani riciclati a destra e a sinistra, dai compagni, rimasti comunisti nel cuore e nella mente, ma convertiti – per gli allocchi! – ai principi della libertà e della democrazia.
Ci vorrebbe un’impresa titanica per liberare la città da queste catene. Non pretendiamo certo che sia Borrometi a farlo, ma che Modica debba anche occuparsi della vacuità del suo progetto politico, ci sembra davvero troppo. Riesumare, poi, sotto altre spoglie, il cadavere della Democrazia Cristiana ci sembra un’operazione inutile, visto che purtroppo sopravvive sotto altri simboli e altre bandiere

 

 

 

 

 

 

 

 

Aprile 2010

 

 

                    LA CITTA’- AZIENDA,  CECCHI PAONE  E LA DISCONTINUITA’

 

Come i nostri Lettori certamente sanno, più di una volta abbiamo espresso il nostro rammarico per la discontinuità nei confronti dell’Amministrazione Torchi sempre annunciata dall’Amministrazione Buscema e mai concretamente realizzata. L’unica, che abbiamo sempre lealmente riconosciuto, è quella fra l’ex sindaco e l’attuale. L’ex, infatti, è un uomo dotato di discrete doti amministrative che ha però utilizzato nel peggiore dei modi; è sicuramente il principale responsabile del dissesto finanziario di Modica, ed è colui che ha cercato di realizzare un progetto disastroso, quello di voler dare il volto di una metropoli ad una piccola città di provincia, danneggiando, speriamo in modo non irreparabile, l’equilibrio socio-economico e culturale di Modica.
L’attuale è una persona che stimiamo per le sue doti di onestà e correttezza e per il fatto che, al contrario del suo predecessore, non pratica l’arte pericolosa della retorica. Per governare la città, tuttavia, come tutti sanno, è dovuto scendere a patti con Riccardo Minardo e ritrovarsi in Giunta uomini legati al parlamentare regionale. Il dato più inquietante di questo ibrido connubio è sicuramente di ordine culturale: uomo di sincera formazione cattolica, Buscema si trova a dover gestire la cosa pubblica con chi finora del Cattolicesimo, almeno pubblicamente, ha colto soltanto gli aspetti più superficiali e folcloristici, e che non ci pare abbia mai dato al suo modo di fare politica una connotazione autenticamente cristiana.
Ciò impedisce al sindaco di trarre fuori la città dal dissesto in cui è stata condotta dalla precedente Amministrazione, dissesto che non è soltanto finanziario ma soprattutto spirituale. Modica, infatti, è ormai una città senz’anima,  che ha dimenticato l’altruismo e la solidarietà.
La città è stata ed è protagonista di un cambiamento epocale: assistiamo infatti ad una lenta ma costante affermazione di una mentalità politeistica che sta annientando la sua storia e la sua tradizione, una mentalità che si esplicita nella venerazione di nuove divinità, che si chiamano denaro, affari, arrivismo, apparenza, superficialità, menefreghismo, arroganza e maleducazione.
Per tale motivo, non riusciamo a vedere  nulla di positivo nel fatto che Stefano Giaquinta, “account director”, per l’Italia e il Centro Mediterraneo, della Starwood Hotels &Resort,  sia stato scelto come consulente del sindaco per il settore turistico. Sappiamo che si tratta di un giovane preparato, e difatti la nostra critica non riguarda in alcun modo la sua persona, ma il fatto che, ancora una volta, il turismo sembra essere l’unica preoccupazione di coloro che si alternano al governo della città, e soprattutto ciò che Giaquinta ha dichiarato, ovvero che occorre interpretare la città come un’azienda. Comprendiamo, naturalmente, che si tratta di una persona dalla mentalità manageriale, e che pertanto il termine azienda fa parte del suo lessico, ma a noi, sentir parlare di Stato-Azienda o Città-Azienda, fa ancora accapponare la pelle.
Noi ci rifiutiamo di diventare insignificanti e anonimi ingranaggi di un sistema che ha come unico obiettivo i quattrini e non rinunceremo mai all’idea di una città che metta al centro la persona e non gli affari. Una città attenta ai bisogni e alle necessità di tutte le categorie sociali: una città che si preoccupi degli anziani, perché siano finalmente ascoltati, rispettati e non abbandonati; degli uomini e delle donne, affinché  abbiano un lavoro stabile e sicuro, una città che li aiuti a riscoprire la dimensione etica e non contrattualistica della famiglia; dei giovani perché possano trovare nella comunità in cui vivono valori di alta moralità e sani modelli comportamentali; dei bambini, affinché  siano educati alla legalità, al rispetto e alla tolleranza.
La città-azienda evoca invece le nuove divinità che abbiamo prima elencato:  una  tetra e funesta corte divina assisa attorno al trono su cui siede la somma divinità, quella che Cristo, giustamente, indicò come il supremo nemico di Dio.
Dopo gli anni della finanza allegra, del proliferare di banche e centri commerciali, insomma dopo l’ubriacatura morale dovuta al dilagare della mentalità aziendalistica portata avanti dalla Giunta Torchi, ci aspettavamo che la città fosse  ripensata in termini diversi, ed invece ci viene riproposto quello stesso modello che ha inferto a Modica delle ferite che difficilmente si potranno rimarginare.
Sarebbe questa la discontinuità fra le due Amministrazioni?
E non è finita! Il conduttore televisivo Alessandro Cecchi Paone, che tra l’altro non è mai stato a Modica, è in procinto di diventare portavoce degli eventi culturali e turistici della nostra città.
Non c’è che dire, un bel “testimonial” per  Modica: l’uomo che si è illuso di essere Piero Angela; colui che si è autoconferito la patente di giornalista scientifico sol perché cercava di imitare il grande divulgatore che da anni, sulla Rai, è il punto di riferimento di coloro che vogliono assistere a programmi intelligenti e di elevato livello culturale; l’uomo che partecipa ai programmi-spazzatura,
dov’è spesso protagonista di furibonde litigate.
Un’altra perla, dunque, si aggiunge alle tante che già ci rappresentano, culturalmente e politicamente! D’altronde, in una città come la nostra, dove tutti si autoconferiscono titoli,  non poteva mancare il giornalista che si è attribuito quello di divulgatore scientifico. Insomma la città sarà rappresentata da una persona che non ci sembra molto dotata dal punto di vista culturale e che troppo spesso manifesta delle cadute di stile.
Giaquinta, persona che ci è simpatica e che stimiamo, e Cecchi Paone, che ci è antipatico e non stimiamo affatto, rappresentano due mondi -  quello che mette al primo posto l’economia e quello che venera l’apparenza e la superficialità - di cui Modica, non ha certamente bisogno, visto che sta vivendo, probabilmente, il periodo di maggior degrado, materiale e spirituale, della sua storia millenaria. Evitare tutto questo sarebbe stato un autentico segno di discontinuità nei confronti della precedente Amministrazione: se non si ha il coraggio di fare scelte coraggiose che siano segno di vera rottura col passato, la conclamata discontinuità rischia di rimanere confinata, per sempre, nella dimensione del mito!

 

 

 

 

 

 

 

 

                          MODICA: LA FORTEZZA DELLE MOSTRUOSITA’

 

Da un po’ di anni,  Modica somiglia sempre più ad un ammalato in gravi condizioni, al cui capezzale si alternano medici che non concordano né sulla diagnosi né sulla terapia. Mentre questi  “insigni luminari” litigano sulle cure da somministrare, il paziente si aggrava ogni giorno di più e difatti possiamo ormai considerarlo in coma: non ci resta che sperare  che non sia irreversibile!
La drammaticità della situazione dipende dal fatto che i parenti dell’ammalato – ovvero i modicani - non si rendono conto che il paziente è stato affidato alle cure di medici generici che non hanno le necessarie competenze per guarirlo.
Sarebbe necessario, invece, un  consulto tra un vero luminare della neurologia e un altrettanto autentico genio della psichiatria, affinché insieme possano provare a trarre l’ammalato fuori dalle secche della confusione mentale in cui è precipitato.
Fuor di metafora: la classe politica modicana, a qualunque schieramento appartenga, è in grado di gestire  l’ordinario, e non sempre lo fa nel migliore dei modi; può occuparsi di rifiuti, illuminazione pubblica, manutenzioni varie, ma non sembra avere le carte in regola per confrontarsi con progetti di ampio respiro, per guardare oltre il ristretto orizzonte dei piccoli eventi quotidiani e soprattutto per effettuare un’analisi accurata e profonda della realtà che è chiamata ad amministrare, affinché sugli esiti di questa disamina possa programmare il futuro della città.
Al contrario, si continua a navigare a vista, senza una rotta chiara e definita, smarriti in una nebbia che non consentirà di avvistare in tempo utile l’iceberg che ci porterà alla deriva.
Noi non crediamo che la città possa uscire dalle sabbie mobili in cui è caduta, finché l’effetto sarà scambiato per la causa: non vogliamo certo negare o sottovalutare i tanti problemi che affliggono la città, dalla mancanza di liquidità nelle casse comunali alla difficile situazione dei lavoratori precari, dalle strade ormai impercorribili alla viabilità da terzo mondo, ma è bene rendersi conto che tutto ciò è la conseguenza della miopia politica di coloro che  hanno governato la città e di coloro che la governano.
Non si può amministrare una città in maniera seria ed efficace senza avere una visione chiara delle sue dinamiche sociali, delle sue risorse, della sua vocazione economica e delle sue connotazioni storiche e culturali. Ci rendiamo conto che non è facile chiedere tutto questo ad amministratori che hanno una concezione logora e assai modesta della politica: quella che si preoccupa esclusivamente del fare e mai del progettare, e, soprattutto, siamo consapevoli di quanto sia arduo domandarlo a consiglieri comunali che, in taluni casi, non hanno un adeguato bagaglio culturale che consenta loro di compiere un’operazione del genere. Non si dimentichi che in un recente passato, e forse anche oggi, il consiglio comunale è stato il rifugio di molti disoccupati – senza arte né parte – che hanno trovato nella politica una “buona sistemazione”.
La conferma di questa mancata analisi e di una conseguente e seria progettualità è data dalla passata amministrazione Torchi, che ha snaturato le sembianze di questa città. Occorreva puntare sulla zootecnia e sull’agricoltura – che invece, come tutti sappiamo, stanno vivendo momenti di gravissime difficoltà -  – visto che da sempre sono stati un punto fermo della nostra economia; sarebbe stato necessario intervenire con processi di ammodernamento, trovare risorse, ottenere tutti i finanziamenti necessari per farne il volano del tessuto economico modicano, con la certezza che tutto ciò avrebbe avuto un positivo riverbero sul problema occupazionale.
Bisognava puntare sull’artigianato, e invece anch’esso, oggi, vive una situazione di grave precarietà, strutturale e infrastrutturale.
E’ stato giusto collocare le aziende più grandi in contrada Michelica,  ma nel contempo bisognava favorire la rinascita delle botteghe nel centro storico, che avrebbe certamente determinato delle ricadute virtuose sull’occupazione e sul turismo. Occorreva, insomma, trovare gli strumenti e i modi per salvaguardare i tradizionali settori della nostra economia, favorendone,  naturalmente, la necessaria modernizzazione. Con l’amministrazione Torchi, invece, è stato dato un impulso irrefrenabile allo sviluppo commerciale della città.
E’ vero che il polo commerciale non è nato con Torchi, ma è sicuro che negli anni della sua amministrazione ha subito un’espansione senza precedenti. Ciò ha determinato il proliferare di banche e ipermercati, e con questi rapine e fenomeni delinquenziali da sempre estranei alla nostra città e coi quali adesso, invece, siamo purtroppo costretti a convivere. L’espansione del polo commerciale, poi, ha contribuito a rendere ancora più infernale il traffico cittadino.
Il risultato di questa politica dissennata è che ci ritroviamo a vivere in una cittadina di provincia con un giro di affari e un traffico degni di una metropoli: era inevitabile che avremmo pagato le conseguenze di uno squilibrio socio-economico devastante!
Adesso ci si mette pure l’amministrazione Buscema. Nell’aprile 2011 sulla strada che collega Modica ad Ispica, appena fuori città, su un’area di 68.000 metri quadrati, al posto delle querce e dei carrubi, sorgerà un altro mostro: un nuovo centro commerciale, “La Fortezza”,  che intaserà ulteriormente il traffico e che farà felici i tanti  alienati che vi trascorreranno delle ore portandosi appresso anche i figli, così potranno illudersi di essere in quel parco che la città non possiede: quel parco sempre promesso e mai realizzato. D’altronde, che importanza volete che abbiano il relax e la salute dei modicani dinanzi agli affari e ai quattrini!
Nascerà un nuovo mostro, dunque, per continuare a fare di Modica una città senz’anima, senza storia e senza passato, e defraudata,  pertanto, anche del suo futuro!

 

 

 

      

 

                                         IL BOZZOLO E IL PATERNALISMO

 

Le considerazioni espresse da Luisa Montù nel suo articolo, pubblicato accanto al mio sull’ultimo numero de “La Pagina”, mi inducono a fare delle precisazioni. Non posso riconoscermi, infatti, in quella visione di Modica che la Montù, anche se con la sua consueta e amichevole cordialità, mi attribuisce: probabilmente non ho espresso con chiarezza le mie opinioni, e pertanto mi riprometto di farlo adesso, sperando di riuscirci.
Luisa Montù ritiene che io vorrei che Modica restasse “un piccolo centro agrario, chiuso in un bozzolo, in cui una gestione paternalistica dell’amministrazione indicasse ai cittadini la strada da percorrere sul piano etico e culturale”. Non si tratta ovviamente di questo!
Ciò io non lo auspico né sul piano teorico né su quello pratico, intendendo con quest’ultimo termine la realtà politica locale. La mia disistima, espressa innumerevoli volte su questo e su altri giornali, per l’amministrazione Torchi e per quella attuale – anche se per motivazioni diverse – poco si potrebbe conciliare con l’attribuire all’ex sindaco, ai suoi assessori e a taluni assessori dell’attuale giunta – per non dire dei tanti consiglieri comunali politicamente incapaci e assai spesso culturalmente deboli – le doti e le qualità per indirizzare eticamente e culturalmente i loro concittadini. Figuriamoci!
Quando affermo che un’amministrazione locale dovrebbe – tra le altre cose da me elencate nel mio articolo – aiutare gli adulti a riscoprire la dimensione etica e non contrattualistica della famiglia, intendo dire che coloro che governano la città avrebbero il dovere di fare delle scelte politiche
 atte non a distruggere il passato, perché sulle rovine nulla si può costruire, ma a preservarlo, perché solo in tal modo si può costruire un futuro armonioso e positivo.
Io rivendico, semplicemente, il mio diritto di cittadino di chiedere ai politici di non spazzare via la cultura e le tradizioni di questa città: soltanto custodendone i valori, i cittadini di una “polis” possono ritrovare ciò che li unisce, e solo l’unità può garantire l’attenzione per le categorie sociali più deboli, e conservare quegli ideali che non devono mai passare di moda: il rispetto per gli anziani, il lavoro per i giovani e la sacralità della famiglia.(Sacralità intesa ovviamente nel suo significato etimologico: ciò che è intoccabile).
Come sosteneva Hegel, la famiglia non può non avere una valenza etica. Basandosi sulla spiritualità dei sentimenti e sulla naturalità del sesso, essa non può essere ridotta ad un fatto meramente contrattualistico.
E’ ovvio che il turismo è importante per Modica, ma se questo, insieme al commercio, diventa la stella polare della città  lo sviluppo di quest’ultima diventa fittizio: è come l’evangelica casa costruita sulla sabbia e non sulla roccia.
In quest’ultimo decennio si è creato, a Modica,  uno squilibrio socio-economico che non potrà produrre nulla di buono. Come ho più volte scritto su questo giornale, e più recentemente su “Dialogo”, una cittadina di provincia non può avere un giro di affari di una metropoli. E mi fa piacere constatare di non essere l’unico a pensarla così: su “Il Giornale di Sicilia” del 20 aprile, infatti, a proposito dell’inchiesta sul presunto riciclaggio di denaro e sulle presunte tangenti, che ha coinvolto noti politici locali e vari imprenditori, Gaetano Criscenti, referente del circolo cittadino dell’ Italia dei Valori, afferma:   “ Quello che, comunque, nessuno finora ha colto è l’enormità, per una città delle dimensioni di Modica, delle cifre in gioco: 14 milioni di euro accertati”.
Come ho recentemente osservato, occorreva valorizzare l’agricoltura, la zootecnia e l’artigianato, ovvero le tradizionali risorse economiche di questa terra. Si è invece puntato esclusivamente sul turismo e soprattutto sul commercio, creando un polo commerciale - spropositato in rapporto alla realtà locale - che dal mio punto di vista ha arrecato solo danni alla città, in termini di viabilità  e creando, in una cittadina di 60 mila abitanti, una tale circolazione di denaro che non ritengo sia estranea ai tanti fenomeni delinquenziali (furti, rapine) che le erano estranei.
E che dire della stupenda campagna modicana mortificata e devastata da una selvaggia e costante cementificazione. Se voler chiudere Modica in un bozzolo vuol dire preservarla – anche se ormai mi sembra davvero troppo tardi – da queste scelleratezze, allora l’amica Luisa ha bene interpretato il mio pensiero!
Nessuno vuole sminuire l’importanza delle attività commerciali e del turismo, ma nello stesso tempo mi pare che non si possa negare che il loro sviluppo, a Modica, somiglia tanto a quello caotico che ha caratterizzato la nascita e l’espansione della zona nuova della città, e non è col caos che si può costruire uno sviluppo sano e rispettoso delle esigenze di tutti e non soltanto dei soliti furbi.
Per quel che riguarda lo Stato, invece – come la Montù sa bene, conoscendo le mie idee politiche – sono convinto che una sua dimensione etica non potrebbe che giovare a questo nostro Paese offeso da un governo che vuole imbavagliare i magistrati e da una parte della magistratura che usa i suoi poteri per fini squisitamente politici; degradato da ladri e da condannati per reati di mafia che impunemente siedono in parlamento; vilipeso da una classe politica sempre più affollata di avvisati, indagati e condannati.
Ma la questione dell’eticità dello Stato è talmente ampia e complessa che meriterebbe ben altro spazio e non certo le poche righe che, in questa sede, potrei ormai dedicarle.

 

 

 

Maggio 2010

                                               “OPERAZIONE  MODICA BENE”


Confessiamo di essere rimasti assai perplessi nell’apprendere che la Camera Penale di Modica ha emesso “un verdetto” di condanna nei confronti del Procuratore della Repubblica, Francesco Puleio, per violazione della privacy. La “condanna” si riferisce alla decisione del Procuratore di divulgare l’impianto accusatorio, in maniera estremamente dettagliata, dell’indagine che riguarda imprenditori e ben noti politici locali; il dottor Puleio, infatti, ha deciso di rendere pubblici numeri di conticorrente e somme di denaro che tra l’ottobre 2003 e il settembre 2007 sarebbero state versate ad amministratori comunali, a consiglieri provinciali e al deputato Giuseppe Drago (che secondo Puleio sarebbe  stato il promotore e l’organizzatore di questa presunta associazione a delinquere) per ottenere concessioni edilizie.
Non riusciamo davvero a giustificare la presa di posizione della Camera Penale, espressa dal suo presidente, Salvatore Poidomani, e dai membri del direttivo: Ignazio Galfo, Giovanni Favaccio, Francesco Riccotti e Carmelo Scarso. Anziché stigmatizzare l’operato di Puleio, avrebbero dovuto esprimere apprezzamento per la sua decisione, giacché questa ha consentito alla cittadinanza di poter finalmente conoscere, e in modo dettagliato, i fatti per i quali queste persone sono indagate.
I membri della Camera Penale di Modica, invece di criticare la scelta di Puleio, che rimane in ogni caso legittima, avrebbero dovuto chiedersi, piuttosto, quali sono stati i motivi che per lungo tempo hanno impedito che questa indagine potesse avere il suo naturale decorso.
Non va dimenticato, infatti, che i capi di accusa sono gravissimi: associazione a delinquere, riciclaggio di denaro e concussione aggravata e continuata. Al centro della delittuosa vicenda sarebbe stata  la Sezione Urbanistica dell’Ufficio Tecnico del comune di Modica e lo Sportello Unico per le Attività  Produttive del medesimo comune: tangenti, insomma,  in cambio di favori nel rilascio di autorizzazioni amministrative e concessioni edilizie.
Naturalmente, giacché i processi non si fanno nelle piazze o sui giornali, ma nelle aule dei tribunali, aspettiamo pazientemente di sapere come stanno le cose, ma, se alla fine dell’iter processuale dovesse arrivare una sentenza di condanna, crediamo che i modicani non potranno ancora una volta fingere di non vedere; l’intera città dovrà trarne le necessarie conclusioni politiche e non si dovrà più tollerare che questi personaggi possano ancora aggirarsi nei palazzi della politica, perché i loro partiti avranno l’obbligo, legale o morale che sia, di procedere alla loro espulsione.
 Nel contempo, bisognerà attivare tutti gli strumenti atti a favorire l’avvio di una riflessione collettiva sul degrado della classe politica modicana.   Ci auguriamo, ovviamente, che dell’intervento dei partiti non ci sia bisogno, in quanto auspichiamo che, in caso di colpevolezza, queste persone siano interdette per sempre dai pubblici uffici e che siano costrette a restituire il maltolto.
 Il nostro discorso, ovviamente, non può non essere ipotetico, giacché in questo momento deve prevalere il principio della presunzione d’innocenza.
Il dato allarmante è costituito dal fatto che la questione della “casta” è ormai diventata davvero intollerabile: la scelta della Procura della Repubblica non andava pertanto biasimata, perché implicitamente ha sancito un principio sacrosanto, che è quello dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge: al di là della colpevolezza o della innocenza degli indagati – questo lo stabiliranno i giudici – il troppo tempo trascorso prima di dare avvio al processo ha ingenerato il sospetto che non è affatto vero che davanti alla legge siamo tutti uguali, perché troppo spesso la “casta” appare “un po’ più uguale” degli altri.  Per tale motivo stigmatizziamo l’operato della Camera Penale, che avrebbe dovuto, piuttosto, congratularsi col Procuratore per aver restituito ai cittadini modicani un po’ di fiducia nell’operato della magistratura.
Ci auguriamo che la scelta del Procuratore preluda a nuove “operazioni trasparenza”: il silenzio, infatti, sembra essere sceso su vicende che riguardano altri due politici modicani. Nello scorso mese di marzo, infatti, un avviso di garanzia è stato  inviato a Paolo Garofalo, per una questione riguardante non la sua attività politica ma quella professionale, ed in particolare per quanto concerne l’installazione di microchip a dei cani che alcuni mesi fa erano stati portati nel suo ambulatorio. In particolare gli vengono contestati i reati di falsità commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, truffa, corruzione e omessa denuncia di un reato da parte di un pubblico ufficiale. Garofalo è accusato di non aver denunciato il cattivo stato in cui erano tenuti i cani e di aver registrato i cani cui aveva applicato i microchip a carico di persone diverse, mentre nel suo ambulatorio erano stati portati da una sola persona. La vicenda è sicuramente meno grave di quella che segue, ma, considerato che si tratta del presidente del civico consesso, sarebbe opportuno che al più presto venisse fatta chiarezza.
Ben più grave ci sembra l’altra questione. Nel dicembre del 2009, il deputato regionale Riccardo Minardo, la moglie Giuseppa Zocco, il presidente del COPAI ( Consorzio per la promozione dell’area iblea) Sara Suizzo e il collaboratore dello studio tecnico di Minardo, Giuseppe Ruta, sono stati inseriti nel registro degli indagati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ,  truffa aggravata ai danni dello Stato,  estorsione e  indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. La gravità dei reati ipotizzati indusse il Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale della Guardia di Finanza ad effettuare delle perquisizioni nel domicilio, nello studio tecnico e nella segreteria politica del deputato regionale. Anche di questa vicenda non si è più saputo nulla!
Dalla “casta”, naturalmente, non possiamo più attenderci niente di buono, e che di casta si tratta lo dimostra il fatto che le ben note vicende giudiziarie del deputato Drago, che continua illegittimamente a frequentare Montecitorio, erano giunte all’esame della Giunta delle Elezioni della Camera dei deputati nei primissimi giorni dello scorso mese di febbraio, e, a quanto ne sappiamo, non ci pare che Drago sia stato ancora convocato dalla Giunta. Siccome questa potrebbe anche  decidere di privarlo del posto  in Parlamento (anche se, a dire il vero, ci sembra assai improbabile che questo avvenga!), anche questo silenzio conferma che l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in Italia, è  una chimera e temiamo che lo resterà ancora per tanto tempo, almeno che questo Paese non si svegli da un letargo che dura ormai da troppo tempo.
Non ci resta che sperare, dunque, che il Procuratore della Repubblica, infischiandosene delle critiche, informi dettagliatamente i cittadini modicani anche su queste due altre vicende: le sentenze, come abbiamo già detto, le emettono i Tribunali, ma in una democrazia i cittadini hanno il sacrosanto diritto di conoscere, e in tempi brevi, la statura morale di coloro che li governano!

 

 

 

 

                        La chiusura domenicale del Corso Umberto nelle ore antimeridiane

UNA BOLLA DI SAPONE O UN CONCRETO SEGNALE DI DISCONTINUITA’ ?


Su “La Pagina” del 28 aprile ho scritto: “E’ ovvio che il turismo è importante per Modica, ma se questo, insieme al commercio, diventa la stella polare della città lo sviluppo di quest’ultima diventa fittizio”. La questione relativa alla pedonalizzazione del centro storico e le polemiche che ne sono seguite dimostrano, infatti, in maniera inequivocabile, che il commercio è ormai diventato l’essenza di questa nostra città: insomma è l’attività mercantile che fa essere Modica ciò che è. Tutto questo è aberrante dal punto di vista filosofico, destabilizzante sotto il profilo sociale e  squallido
 dal punto di vista morale.
Sul problema del commercio a Modica ho scritto innumerevoli molte, ed anche adesso sono consapevole, considerato quel che dirò, che sarò accusato di nutrire poca simpatia per i commercianti: ovviamente ciò non è assolutamente vero. Il commercio, naturalmente, è un elemento fondamentale delle dinamiche socio-economiche di una città; il problema, come più volte ho scritto, è che a Modica, nel periodo dell’amministrazione Torchi, nel gestire tale problema si è  spesso smarrito il senso della misura.
L’iniziativa della giunta Buscema di avviare la sperimentazione per la pedonalizzazione del centro storico nelle ore mattutine della domenica è lodevole e va sicuramente incoraggiata. I miei coetanei certamente ricorderanno quando, intorno alla metà degli anni Settanta, a causa della cosiddetta “austerity”, i cittadini italiani trascorsero delle splendide e indimenticabili domeniche.
Allora vivevo a Siracusa, e ricordo Ortigia senza smog e senza chiasso. L’unico, piacevole rumore era quello del vocìo delle persone, che finalmente avevano ritrovato il gusto di incontrarsi e parlarsi e quello dei bambini che giocavano spensierati nelle piazze e  sulle strade del centro storico aretuseo. La stessa aria di tranquillità e di festa si respirava anche in periferia e la città acquistava finalmente un volto nuovo: i cittadini, infatti, si riappropriavano di uno spazio quotidianamente invaso da quei contenitori di latta in cui trascorriamo gran parte del nostro tempo e che ci isolano ancora di più; come se non bastassero le altre, innumerevoli situazioni che hanno distrutto il dialogo, i rapporti epistolari, la conversazione e il piacere di incontrarsi.
Passare alcune ore della domenica passeggiando serenamente sul corso Umberto, incontrando amici e conoscenti, e portare i propri figli o i propri nipoti a giocare per le strade o i vicoli del centro, è un fatto che ha delle implicazioni di grande rilievo sul piano sociale e culturale.
La città non può rinunciare a tutto questo per la solita pretesa di alcuni commercianti di anteporre i loro interessi al benessere dell’intera comunità.  E mi fa molto piacere che alcuni esponenti del Movimento autonomo dei commercianti (MAC) abbiano preso le difese dell’Amministrazione, criticando la posizione dell’ASCOM che pare abbia chiesto al sindaco “l’immediata revoca” del provvedimento.
La posizione dell’Associazione commercianti è da stigmatizzare quanto meno per tre motivi.  In primo luogo, mi sembra legata ad una considerazione intellettuale preconcetta, che sta nel coniugare, sempre e comunque, il successo negli affari col traffico veicolare; ed è da questa convinzione, infatti, che è derivata la loro opposizione alla istituzione dei sensi unici nella via Sacro Cuore e nella via Resistenza Partigiana. Non riesco davvero a comprendere come si possa pensare che la caotica circolazione veicolare in corso Umberto possa determinare un maggior numero di clienti, e non rendersi conto che ciò può avvenire se si verifica esattamente il contrario, ovvero quando i cittadini e i turisti percorrono a piedi la principale via del nostro centro storico ed hanno, quindi, maggiori occasioni di fermarsi in un bar per un caffè o un aperitivo.
Se poi fosse vera la questione che la pedonalizzazione penalizza gli affari – e questo è il secondo motivo di critica -  la posizione dell’ASCOM,  derivante dall’ esasperazione della logica del profitto, mi sembra moralmente assai discutibile. Nessuno, ovviamente, mette in discussione la giusta ricerca del guadagno, ma non credo che l’eventuale perdita di alcune decine o di poche centinaia di euro possa condurre sul lastrico delle attività commerciali ben avviate. A volte, bisogna avere il coraggio di guardare al di là del proprio orticello e di saper coniugare gli affari con il bene della collettività.
Il terzo motivo per cui non condividiamo la tesi dell’Associazione commercianti è quello su cui tante volte ho scritto. E’ bene che, una volta per tutte, questa categoria si renda conto che viviamo in una società democratica che non prevede oligarchie di sorta. Le isole pedonali sono ormai un dato di fatto in tante città d’arte italiane: non è possibile che a Modica siano i commercianti a stabilire se ciò vada fatto o meno, così come mi sembra inaccettabile che debbano essere loro a stabilire i sensi unici da adottare in città. Mi rendo conto che non è facile rinunciare ad un potere ormai acquisito – altra deprecabile  eredità dell’Amministrazione Torchi – ma è bene che se ne facciano una ragione. Mi auguro che l’Amministrazione Buscema voglia eliminare per sempre questa anomalia e proseguire sulla strada intrapresa.
La speranza è che non finisca tutto in una bolla di sapone e che si dia finalmente, in modo concreto, un segnale di discontinuità con la disastrosa, precedente Amministrazione.
Una città non può crescere sotto il profilo sociale e civile finché l’intera cittadinanza dovrà sottostare alle pretese di una ristretta minoranza: nella fattispecie, tre o quattro esercenti che pretendono di imporre la loro volontà, procurando, tra l’altro, un danno non soltanto a tutti i loro concittadini, ma anche al turismo, che non sarà certo incentivato dal rumore, dallo smog e dalle autovetture, guidate, come purtroppo è ormai consuetudine, con arroganza e maleducazione.

Giugno 2010

 

 

                            Sulla revoca del divieto di traffico sul corso Umberto

 

                                      UNA INTOLLERABILE EGEMONIA

 

Su “La Pagina” dello scorso 28 maggio è stato pubblicato un nostro articolo, in cui auspicavamo che la decisione, presa dal sindaco di Modica, di vietare il traffico veicolare sul Corso Umberto nelle ore antimeridiane della domenica non si risolvesse nella solita bolla di sapone, ma fosse invece un segno di reale discontinuità fra l’attuale Amministrazione e la precedente.
Constatiamo, con amarezza, che i nostri timori erano fondati: come tutti sappiamo, infatti, anche Buscema si è piegato al volere di quella che molte volte abbiamo definito “l’oligarchia mercantile”, ed ha prontamente revocato quanto aveva stabilito. La decisione di Buscema di tornare sui suoi passi è ancora più grave di quelle prese, in tal senso, dal suo predecessore, perché in questo caso l’intera cittadinanza è costretta a fare la volontà di un gruppo di esercenti veramente esiguo.
Il fatto di attuare la pedonalizzazione nelle ore pomeridiane è un palliativo, e come tale non risolve il problema alla radice ed è un contentino dato alla cittadinanza che si doveva e si poteva evitare.
La decisone del sindaco e dell’assessore alla viabilità è criticabile ed è inaccettabile sotto molti punti di vista. Proviamo a spiegarne le ragioni.
Sul piano filosofico e ideologico essa ha delle implicazioni gravissime: nel momento in cui un’Amministrazione non si fa garante delle necessità e delle aspirazioni della collettività, per salvaguardare gli interessi economici di quattro o cinque commercianti, tale Amministrazione consente che nella città che amministra vi sia, di fatto,  una ristretta oligarchia che impone il suo volere ai governanti e a tutta la cittadinanza; inutile sottolineare che in una società democratica ciò non può e non deve mai accadere.
Il sindaco ha il dovere e il diritto di ascoltare il parere dei commercianti – purché questo non diventi vincolante – ma a condizione di tenere presente, anche, le esigenze ed il parere delle altre categorie che compongono la società che amministra, e dunque le necessità dei bambini, dei giovani, degli anziani, delle famiglie ed anche di coloro che sono costretti a trascorrere la vita su una carrozzella
(ai quali, ne siamo certi, non dispiacerebbe poter trascorrere la domenica mattina nel centro storico senza l’ansia di essere da un momento all’altro travolti da automobilisti arroganti e maleducati)
che già pagano un prezzo altissimo all’immobilismo e all’indifferenza della politica, dovendo vivere in una città che di fatto li tiene ai margini della vita sociale, visto che  il problema delle barriere architettoniche non è stato mai affrontato in maniera seria e definitiva.
 Se ciò non avviene, la città è destinata a una deriva antidemocratica!
Ci si potrà obiettare che non possono essere questi fatti a mettere in crisi la democrazia: il problema è che qui non stiamo esaminando il concetto di democrazia da un punto di vista politico e pertanto non è in discussione la problematica della partecipazione alla vita politica; qui stiamo analizzando un problema che è innanzitutto filosofico, e sul piano concettuale non v’è dubbio che il problema della deriva antidemocratica è presente, è serio e va affrontato e risolto: lo abbiamo sollevato innumerevoli volte durante l’Amministrazione Torchi e continueremo a sottoporlo all’attenzione dei Lettori ogni qualvolta si riproporrà.
Non è possibile che sessantamila persone debbano sottostare alla volontà di qualche migliaio
di loro concittadini!
La decisione di Buscema ci appare inoltre contraddittoria sul piano etico : fin dal suo insediamento questa Amministrazione non ci sembra abbia mai fatto mistero di richiamarsi politicamente alla tradizione del cattolicesimo sociale, ed è pertanto discutibile che, ritornando sulle sue decisioni,  abbia di fatto messo i soldi e gli affari al di sopra della “persona”. Un’Amministrazione, che proprio per il suo richiamo al Cattolicesimo, ha sempre parlato di solidarietà e di attenzione alle categorie deboli della società,  non è più credibile se poi, nel momento della prova, mette da parte quei valori per fare spazio alla logica del profitto e a una concezione edonistica e materialistica della vita: qui si è posto il denaro al di sopra della “persona”. Diciamo questo perché siamo pienamente convinti che una decisione opposta non avrebbe penalizzato affatto altre persone, ovvero quei pochi esercenti di cui abbiamo detto. Con la pedonalizzazione, infatti, come è avvenuto in tante altre città italiane, gli affari non soltanto non diminuiscono ma crescono, ma se anche avvenisse il contrario – parliamo per assurdo ovviamente – poche ore senza macchine non potrebbero condurre sul lastrico nessuno!
Sul piano politico e amministrativo la scelta del sindaco di fare dietro-front è demoralizzante.
Più di una volta abbiamo ricordato di aver riposto molte speranze nell’attuale sindaco e che poi sono via via scemate quando abbiamo constatato che “politicamente” è diventato  ostaggio del Movimento per l’Autonomia, che la cementificazione della città non si è arrestata, che il traffico veicolare da terzo mondo è rimasto, che le strade della città costituiscono una vergogna e un pericolo per tutti: modicani e turisti.
Avendo stima di Buscema come uomo, però, ci era rimasto un barlume di speranza, ovvero che quei valori ai quali si richiama prima o poi avrebbero prevalso: la sua decisione di sottomettersi alla logica del profitto di pochi (anzi, pochissimi) a discapito del benessere di molti (anzi, moltissimi) quel barlume lo ha definitivamente oscurato.
Pensavamo che con l’uscita di scena di Torchi, fosse finita, su questa città, l’intollerabile egemonia di una categoria. L”oligarchia mercantile”,dunque, è ancora saldamente al potere, e, anche in questa vicenda, l’Amministrazione Buscema rivela, purtroppo, una deludente continuità  con la precedente, catastrofica Amministrazione!

 

 

A proposito delle celebrazioni del 65° anniversario della Liberazione in provincia di Ragusa

                                          I GALANTUOMINI E I FARABUTTI

 

Sullo scorso numero di Dialogo è stato pubblicato un articolo “ 65° Anniversario della Liberazione: Iniziative negli Iblei” a firma di Luca Spadola. Non conosciamo l’estensore dell’articolo ma nel leggerlo ci siamo resi conto, per l’ennesima volta, di quanta strada dobbiamo ancora percorrere per liberarci dai condizionamenti di una storiografia faziosa e bugiarda che ha indottrinato intere generazioni di italiani. L’articolo in questione offre della Resistenza un’ interpretazione in pieno stile veteromarxista anni Settanta che lascia esterrefatti.
Constatiamo, con amarezza, che il libro “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa è stato rimosso dalla sinistra radicale italiana, che non ha perso il vizio di occultare tutto ciò che nuoce alla causa. Evidentemente,  il comunista Palmiro Togliatti ha fatto scuola: colui che ebbe sulla coscienza la morte di tanti italiani, infatti, nascondeva le critiche che dal carcere Antonio Gramsci gli muoveva sul suo modo di dirigere il PCI e sul suo rapporto con la casa madre (URSS).
L’articolo, lo diciamo senza perifrasi, ci sembra fazioso; si parla solo di estremismo di destra e di una “continuata e pericolosissima apologia del Fascismo”: è probabile, pertanto, che in questi decenni ci siamo distratti, perché abbiamo sempre creduto che a massacrare D’Antona e Biagi, tanto per fare due nomi, non siano stati gli estremisti di destra  ma quelli di sinistra!
Quando Spadola omette di parlare del pericolo che proviene anche dall’estremismo di sinistra
si ritrova, suo malgrado, in una situazione imbarazzante: o ne nega l’esistenza, il che sarebbe grave e paradossale, o ritiene che questo non sia pericoloso, e questo sarebbe ancora più grave, alla luce degli efferati delitti che ha compiuto.
E’ giusto esaltare la libertà e la tolleranza, ma solo a condizione di condannare tutto quello che le mette in pericolo, da qualunque parte provenga. Se ciò non avviene tale esaltazione non è credibile ed assume le sembianze di una deprecabile faziosità.
L’aspetto più inquietante dell’articolo è che descrive il ruolo dei partigiani col consueto e ormai logoro tono agiografico, come  fossero dei santi da venerare! Ancora una volta la storia viene letta e descritta a senso unico e ciò non lo lasceremo mai passare, utilizzando l’unica arma che possediamo e che vogliamo usare: la penna.
Vediamo dunque di rimettere le cose a posto, evitando di fare la solita e inaccettabile, storicamente e moralmente, divisione tra buoni e cattivi.
Fra i tanti presunti santi partigiani vorremmo innanzitutto ricordare “gli eroi” di via Rasella a Roma, che, agendo nell’ombra, uccisero 32 soldati tedeschi – ma era la guerra e può starci – ma che poi manifestarono tutto il loro eroismo quando preferirono portare a casa la pelle anziché salvare la vita a 335 persone massacrate dalla barbarie nazista alle Fosse Ardeatine. E che dire del loro silenzio sugli eccidi compiuti dai loro amici e compagni titini che scaraventavano poveri innocenti nelle foibe!
Tutti conoscono i fratelli Cervi uccisi dai nazisti, ma quanti sanno dei sette fratelli Govoni? Si trattava di una famiglia contadina che viveva a Pieve di Cento nel bolognese, e che pagò un tributo di sangue altissimo, perché il maggiore dei fratelli aveva aderito alla Repubblica Sociale. I  partigiani che lottavano per la libertà (!) li massacrarono tutti e sette. Ciò che è ancora più indegno è il fatto che dopo 55 anni dall’eccidio (11 maggio 1945) in quel luogo nulla è stato posto a ricordo di queste vittime innocenti: nessuna indicazione per raggiungere il luogo della strage, nessuna scritta, nessun cippo commemorativo.
Due giorni prima, altri 12 innocenti erano stati uccisi in un casolare di Voltareno nei pressi di Argelato (Bologna). L’11 aprile del ’44, davanti alla sua casa di Firenze, i partigiani avevano già provveduto ad ammazzare il filosofo Giovanni Gentile, la cui bontà e mitezza  sono state sempre riconosciute anche dagli avversari. A Castelvetrano, città natale del grande filosofo idealista, nulla lo ricorda, e, constatato personalmente, i suoi concittadini non sanno neppure chi sia:
altro segno tangibile dell’alto senso democratico e della grande tolleranza della nostra Repubblica nata dalla Resistenza!
Nel cosiddetto “triangolo rosso”, nel modenese, tra l’aprile del 1945 e la fine del 1946, oltre un migliaio di persone caddero per mano dei partigiani comunisti: pochi gli ex fascisti, moltissimi coloro che furono eliminati in quanto “nemici di classe”. E come non ricordare i 108 sacerdoti uccisi anch’essi dai partigiani comunisti in Emilia, Veneto e Toscana: 53 caddero durante la Resistenza, 14 nei giorni immediatamente precedenti il 25 aprile  e 41 dopo la liberazione.
Non furono solo i fascisti a praticare la violenza: molti furono i partigiani che ne fecero largo uso, soprattutto sulle donne, fino allo scempio finale di piazzale Loreto: appendere per i piedi delle persone già morte – anche quando si fossero macchiate di crimini orrendi – scaraventarli a terra e colpirle al volto con inaudita violenza, la dice lunga sul concetto di libertà, democrazia e tolleranza di questi presunti santi.
Spadola scrive: “ Questo falso revisionismo è la più grave offesa che si possa porre a tutti quegli italiani che pagarono con la loro vita la nostra libertà”.
 La più grande offesa, invece,  è continuare a mistificare la storia. Occorre avere il coraggio, dopo sessant’ anni di menzogne, di fare in modo che le nuove generazioni sappiano come sono andate realmente le cose. Bene ha fatto Giorgio Napolitano, in occasione della commemorazione della Liberazione, a dire: “Il 25 aprile è il giorno della Liberazione e insieme il giorno della riunificazione dell’Italia, a conclusione di una drammatica divisione in due e di una profonda lacerazione del nostro Paese”. Con buona pace di chi ancora si ostina a negare che in quegli anni l’Italia visse una vera e propria guerra civile.
L’errore più grande che Spadola commette è, a nostro parere, quello di vedere il movimento partigiano come un’ organizzazione compatta ed omogenea. Al contrario, molti furono i riferimenti ideologici e politici che animarono le diverse formazioni partigiane. Ma diversa fu anche la loro statura morale: occorre infatti distinguere coloro che si comportarono da persone civili, e furono tanti, da quelli che si comportarono come barbari, e furono anch’essi numerosi, facendo razzie, violenze gratuite e  stupri. La distinzione fondamentale, ovviamente, è tra quelli che combatterono per la libertà del nostro Paese (azionisti, monarchici, cattolici) – ai quali deve andare la nostra gratitudine e il nostro rispetto -  e coloro ( le Brigate Garibaldi di ispirazione comunista) che lottavano per abbattere  una dittatura, non per amore della libertà ma col solo intento di sostituirla con una di gran lunga più  totalitaria, e verso i quali non riusciamo davvero a provare alcuna stima.
Loschi personaggi agli ordini di Mosca: e che i comunisti fossero alle dipendenze di Stalin lo dimostra, in modo incontrovertibile, la svolta di Salerno, nell’aprile del ’44, voluta dal dittatore sovietico e prontamente eseguita da Togliatti e dai suoi seguaci.
E  veniamo all’infamia più grande, compiuta, in questi ultimi sessant’anni, da storici prezzolati e da giornalisti ignoranti e faziosi: quella di discriminare i morti, dividendo, con una superficialità che fa rabbrividire, i buoni dai cattivi; inutile sottolineare chi sono i primi e chi i secondi!
Forse sarebbe ora di smetterla col mito della Resistenza: che si trattò di una guerra civile non lo nega più quasi nessuno, nemmeno un capo dello Stato ex comunista. Spadola sbaglia a definire i ragazzi di Salò, “rappresentanti dell’ultimo colonialismo nazista”, perché in tal modo autorizza noi a definire i membri delle “Brigate Garibaldi” (ovvero la stragrande  maggioranza dei partigiani) come rappresentanti dell’ultimo colonialismo comunista. Egli è naturalmente libero di non condividere le idee dei giovani che aderirono alla Repubblica Sociale,  ma ci sembra ingiusto  condannare dei ragazzi che morirono per un ideale in cui in buona fede credevano, e questo ideale non aveva nulla a che fare con l’ideologia criminale di Hitler e nemmeno con il fascismo regime. Semmai, per usare una terminologia cara al De Felice, col fascismo movimento, dunque col programma di San Sepolcro del 1919, che in alcun modo può essere accostato ai lager, alla violenza e all’antisemitismo del regime nazista.
Per tanti anni abbiamo dovuto sopportare in parlamento la presenza di politici che esaltavano la Resistenza, che a loro dire aveva consentito la liberazione dal Fascismo (altra falsità storica, visto che è assodato che l’Italia fu liberata dagli Alleati e non certo dai partigiani)  e aveva ridato la libertà al Paese, e lo dicevano sotto le bandiere con la falce e il martello, simbolo di una ideologia che aveva creato i gulag, i manicomi criminali e  che aveva provocato quasi il quadruplo dei morti
causati dall’altra criminale ideologia: quella nazista.
Smettiamo pertanto di discriminare i morti: i fatti dimostrano in modo inoppugnabile che dall’una e dall’altra parte vi furono  galantuomini e farabutti: onoriamo i primi e lasciamo nell’oblio i secondi. Pretendere che i galantuomini fossero tutti da una parte e i farabutti tutti dall’altra, non è  un’operazione scadente soltanto sul piano intellettuale e su quello dell’analisi storica, lo è anche, e questo è assai più grave, su quello morale.

 

 

 

Luglio 2010

 

     BERLINGUER, LA MORATTI, LA DC E LA SINISTRA: POVERA SCUOLA!

Una delle più fastidiose mistificazioni dei nostri tempi è quella di diffondere l’idea che le varie crisi di natura sociale e politica, . attraversate, dal secondo dopoguerra in poi, dal nostro Paese, abbiano avuto origini diverse e siano state, di volta in volta, legate alle diverse situazioni storiche e culturali. Non neghiamo che in questa analisi ci sia un fondo di verità; il problema è che non si è saputo, o non si è voluto, esaminare il problema alla radice e non si è saputo, o non si è voluto, cogliere il nesso che lega indissolubilmente le varie fasi critiche che l’Italia ha attraversato, e soprattutto non si è capito che tutte hanno un denominatore comune: l’Italia repubblicana non ha saputo confrontarsi in maniera seria e determinata con la realtà della nostra scuola.
Basti per tutti un esempio: sulla poltrona ministeriale sulla quale sedettero intellettuali del calibro di Francesco De Sanctis, Giovanni Gentile e Benedetto Croce, si sono accomodati, nel corso di questi decenni, mestieranti della politica intellettualmente mediocri, dalla Falcucci a Misasi, da Fioroni a Berlinguer, dalla Moratti alla Gelmini! Non è possibile non rendersi conto del baratro in cui siamo finiti. Ognuno di questi “signori” ha lasciato il segno della propria incompetenza, ma ci sembra che due, in particolare, vadano ricordati per le loro decisioni scellerate.
Si pensi a Berlinguer, il quale è assai probabile che debba al suo cognome la cattedra universitaria: quali sono, infatti,  i meriti accademici di questo personaggio; quali sono le pubblicazioni che gli hanno consentito di ottenere la cattedra, prima, e il rettorato dopo: un opuscolo riguardante la sua Sardegna! A lui dobbiamo la geniale idea di portare da 60 a 100 il massimo voto agli esami di Stato – come si può facilmente intuire si tratta di un cambiamento epocale per la nostra scuola! -  ma soprattutto la scellerata riforma degli esami: quella del percorso o mappa concettuale, che si continua impropriamente a chiamare “tesina”. Un cocktail micidiale di malafede e incompetenza: costui barattò  la serietà nello studio con il consenso elettorale dei diciottenni italiani. Chi ogni anno si misura con l’esame di Stato voluto da questo signore sa bene che i ragazzi non si preparano più agli esami, non ripassano un bel niente di ciò che hanno studiato durante l’anno e riescono soltanto a balbettare qualcosa sul famoso “percorso”, che ha elevato la capacità di operare collegamenti tra le varie discipline a criterio per misurare le conoscenze degli alunni e valutare le loro capacità critiche. Insomma basta accostare Schopenhauer a Leopardi o D’Annunzio a Nietzsche e il gioco è fatto.   Ci sembra assai evidente quanto ciò sia culturalmente misero! Tale idiozia ha dato il colpo di grazia alla conoscenza, all’impegno costante e profondo, all’orgoglio di emergere grazie ad uno studio serio e metodico: tutti valori ormai rilegati tra le cose inutili del passato. Si pensi alla signora Moratti, che nulla sapeva del mondo della scuola, alla quale ha ovviamente regalato la sua superficialità e la sua gigantesca incompetenza. Sono gli anni della scuola- azienda e delle tre i: impresa, inglese, internet. Anche in questo caso si è trattato di un micidiale cocktail di malafede e incompetenza. La seconda è dimostrata dalla riforma degli esami di Stato ( anche la signora ha voluto mettervi le mani!) con le commissioni tutte interne. Qui l’imbecillità è diventata iperbolica: gli insegnanti che conoscono gli alunni da tre o cinque anni e che li hanno valutati nello scrutinio finale sono chiamati a rivalutarli quindici giorni dopo!  La malafede sta nel fatto che tale modifica degli esami fu fatta per fare un regalo alle scuole private. Non parliamo di quelle serie che ci sono, anche se sono davvero poche, parliamo dei diplomifici: si provi a immaginare quale serietà poteva caratterizzare gli esami di Stato, con giovani e inesperti docenti che dovevano sottostare alla volontà dei cosiddetti “gestori”, pena la perdita del loro misero stipendio – sempre che lo percepissero - ma soprattutto del lavoro, con ciò che questo avrebbe significato in termini  di perdita dell’agognato punteggio. E si pensi ai tanti che uscivano con voti altissimi, senza aver mai studiato e talvolta nemmeno frequentato, e che poi in un pubblico concorso sarebbero stati favoriti rispetto ai loro colleghi della scuola pubblica. D’altronde la scuola della Moratti era quella che realizzava perfettamente  i piani del suo capo: favorire il privato, sempre e comunque, a danno del pubblico. La scuola italiana è diventata la scuola delle competenze a discapito delle conoscenze e sulle ceneri del sapere è stato eretto il monumento al saper fare!
A quanto detto va aggiunto poi il problema economico: ci riferiamo naturalmente alla classe docente che percepisce stipendi da fame e tra i più bassi d’Europa, e, come se non bastasse, il nostro ministro dell’Economia ha deciso di penalizzarla ancora di più, bloccando il rinnovo del contratto e probabilmente anche  le misere progressioni economiche legate all’anzianità di servizio. Una classe docente bistrattata economicamente e socialmente, visto che il suo prestigio sociale è prossimo allo zero. Ma tutto ciò era inevitabile che accadesse, visto che il corpo docente ha avuto un’espansione smisurata, e ciò è accaduto perché l’accesso alla professione è avvenuto senza alcuna selezione meritocratica, ed è per tale motivo che accanto a docenti preparati e che lavorano con dedizione e professionalità troviamo anche gli ignoranti, quasi sempre inconsapevoli di esserlo e con l’aggravante di essere anche presuntuosi. La scuola italiana ha pagato un tributo altissimo al populismo demagogico della Sinistra e all’ignobile clientelismo della Democrazia Cristiana e degli attuali suoi surrogati. L’assenza della meritocrazia ha fatto sì che accanto a dirigenti scolastici – e ne abbiamo conosciuti molti – che svolgono il loro compito con competenza e professionalità, ne troviamo  altri che non sembrano per nulla adatti alla delicata funzione che svolgono, per carenze culturali e per mancanza di autorevolezza; nulla è stato fatto  perché coloro che aspiravano all’insegnamento fossero sottoposti ad una ferrea selezione affidata alle più alte intelligenze delle varie discipline, intellettuali dalla moralità ineccepibile e pertanto immuni da condizionamenti politici e raccomandazioni; niente è stato fatto, infine,  perché, fra gli alunni, solo ai più meritevoli fosse consentito di proseguire gli studi: le percentuali bulgare di coloro che ogni anno conseguono il diploma sono la prova inconfutabile di una scuola che non sa più operare una selezione tra gli asini e i meritevoli. Oggi, uno studente che proviene da un istituto tecnico può inscriversi in Lettere Classiche e in Filosofia, e questa follia ha dato certamente un contributo non indifferente all’affossamento della nostra scuola. Ancora una volta paghiamo le conseguenze della demagogia socialcomunista e democratico-cristiana: pur di distruggere qualunque retaggio della scuola gentiliana, non si è avuta alcuna remora nell’equiparare i licei agli istituti tecnici e i  risultati di questa sciagurata decisione sono sotto gli occhi di tutti!
Ci si lamenta che gli italiani non leggono, che professionisti troppo spesso incapaci ricoprono cariche pubbliche e private di rilievo, che la politica è invasa da persone inette e corrotte, che la televisione è stracolma di programmi spazzatura, ma pochi si rendono conto che la grande crisi che viviamo non potrà trovare soluzione finché non sarà stato risolto il problema-scuola.
Questa, infatti, nonostante i gravi limiti di cui abbiamo detto, resta comunque il luogo del Sapere ed è anche il luogo in cui si formano le coscienze di coloro che formeranno le nuove classi dirigenti  e dove si cerca di fare tutto il possibile perché i ragazzi acquisiscano i valori del rispetto reciproco,  della solidarietà, della corretta convivenza civile. Se la scuola non funziona e viene abbandonata dallo Stato, non lamentiamoci, poi, se gli italiani continuano ad essere ignoranti, a scambiare la furbizia per intelligenza, ad usare la politica per i loro loschi affari, e ad essere guardati, all’estero, come un popolo inaffidabile e superficiale.

 

 

 

Settembre 2010

                      

 

                           RIAPRE IL SIPARIO SUL TEATRINO DELLA POLITICA

 

In questi giorni, a Modica, il teatrino della politica è tornato prepotentemente alla ribalta. Ciò non significa, naturalmente, che in questi ultimi due anni fosse uscito di scena, ma, più semplicemente, che, dopo i “trionfi” ottenuti durante l’amministrazione Torchi, aveva assunto una dimensione meno plateale. Il “teatrino”, dunque, torna prepotentemente in primo piano con l’azzeramento della giunta e le manovre, quelle ufficiali e quelle occulte, per varare la nuova squadra assessoriale.
Non va peraltro dimenticato che, in questo caso, il rimpasto è attuato anche per obbedire, come sempre, agli ordini di Riccardo Minardo, che ha deciso di  dare ad uno dei suoi la delega al bilancio.
Siamo consapevoli che occupandoci di questo argomento siamo costretti a ripetere cose già dette, ma, come dicevano i latini, “repetita iuvant”: questo non significa, ovviamente, che nutriamo la speranza che le nostre riflessioni possano in qualche modo giovare ai nostri politicanti. Figuriamoci!
Più semplicemente, vuol dire che auspichiamo che chi avrà la bontà di leggere queste righe possa essere aiutato ad  aprire gli occhi sullo squallore che caratterizza la politica italiana, e, nella fattispecie, quella modicana.
All’amministrazione Torchi abbiamo sempre rimproverato il valzer delle poltrone assessoriali e non possiamo non stigmatizzare ora Buscema che rifà esattamente le stesse cose del suo predecessore. E’ il problema della discontinuità di cui ci siamo tante volte occupati. Questa amministrazione ha vinto proponendo ai suoi concittadini una netta cesura fra quello che sarebbe stato il suo modo di intendere la politica e quello che aveva caratterizzato l’esperienza disastrosa dell’amministrazione Torchi. In questi due anni, non abbiamo mancato di fare più volte osservare che, sebbene con uno stile diverso, la giunta Buscema si è incanalata lungo i binari di una deludente continuità con l’amministrazione precedente, tradendo, in tal modo, coloro che l’hanno portata a palazzo San Domenico.
Con l’attuale rimpasto il sindaco ci delude ancora una volta, dimostrando di volare basso e soprattutto che non è per nulla portatore di una visione “alta” della politica, al contrario, rivela di essere perfettamente organico a quel sistema che ha l’ha ridotta a ciò che ormai tutti sanno: il luogo ove si coltivano ambizioni personali, si pianificano carriere e si spartiscono poltrone.
In questi giorni, con sdegno -  ma anche con rammarico, per quel che questa amministrazione avrebbe potuto essere e non è finora stata – stiamo rivivendo gli anni politicamente orrendi dell’amministrazione Torchi.
Assessori che senza rimpianti ed esitazioni (sic!) rimettono le deleghe – ovviamente la realtà è ben diversa, basti pensare ai malumori della Serra, di Scifo e della Sinistra per la sostituzione di Calabrese -  nelle mani del sindaco, il quale, esattamente come il suo predecessore, li ringrazia per la loro competenza e per la loro abnegazione e nel contempo li licenzia, non accorgendosi, o fingendo di non accorgersi, della micidiale contraddizione tra quel che dice e quel che fa.
E intanto, altri si preparano, “per il bene della città”, naturalmente, a salire finalmente sull’agognata poltrona. Che spettacolo edificante!
Uno  spettacolo reso ancora più squallido dalle immancabili dichiarazioni di rito dei protagonisti della vita politica cittadina; da Buscema, per il quale il rimpasto è attuato “ nella prospettiva di imprimere una forte accelerazione alla realizzazione del programma, con il contributo delle migliori risorse che tutti insieme individueremo per portare a termine il mandato”; crediamo sia legittimo chiedere  al sindaco come mai tali risorse non siano state individuate all’inizio del mandato e per quale arcano motivo ci si pone il problema di scovarle - guardo caso! – a metà sindacatura;  a Poidomani, coordinatore cittadino del PD, per il quale il rimpasto è necessario
 “ nell’ottica di un rilancio vero dell’azione amministrativa”, e pertanto, se le parole hanno un senso, non possiamo che dedurre che, finora, l’impegno della giunta è stato virtuale e non reale!
Certo ci sentiremmo un po’ tutti meno presi in giro se gli inquilini di palazzo S.Domenico, anziché arrampicarsi sugli specchi per dare una patente di rispettabilità a ciò che rispettabile non è, avessero il buon senso di dire ai loro concittadini: “ Signori, cambiamo gli assessori, perché riteniamo giusto che un sempre maggior numero di amici partecipi alla spartizione della torta, perché consideriamo utile che possa gustare i benefici economici e di immagine che una poltrona assessoriale è in grado di assicurare”.
Il danno resterebbe, ma almeno ci saremmo liberati della beffa!

 

 

 

 

Ottobre 2010

 

                                               UN DANNO IRREVERSIBILE

 

Le cronache quotidiane riguardanti Modica somigliano sempre più a bollettini di guerra; ciò che avviene nella nostra città, nelle ore notturne, sta diventando sempre più inquietante e sta radicalmente cambiando il volto di questa città, che, fino a quattro - cinque anni fa, aveva, in Sicilia,  il livello più alto di vivibilità: quasi un’oasi nel deserto della nostra martoriata Isola.
Le cronache ci raccontano di autovetture incendiate, di saracinesche che saltano in aria, di atti vandalici, furti e schiamazzi notturni: una cittadina di poco meno di sessanta mila abitanti che ha gli stessi problemi di una metropoli come Catania! E’ ovvio che siamo in presenza, dal punto di vista sociologico, di una vera e propria anomalia, la stessa che è riscontrabile nel traffico urbano, nella esagerata ampiezza del polo commerciale e nello spropositato numero di banche e negozi.
La situazione è diventata insostenibile, ma, né la politica né la cultura sembrano preoccuparsene, forse perché, se lo facessero,  emergerebbero, dall’oblio in cui sono furbescamente tenute, omissioni e responsabilità che potrebbero travolgere i tanti soloni che pontificano, spargendo a piene mani insipienza e superficialità. C’è persino chi -  in questa fase della nostra storia, in cui abbiamo smarrito la bussola perché abbiamo distrutto i valori fondanti della nostra civiltà - sul periodico “La Pagina” inneggia al progresso ad ogni costo e a non rimanere troppo legati al passato.
Ci riferiamo, ovviamente, a Saverio Terranova, il quale dimentica che una simile visione della politica ha prodotto, nella nostra città, persino la demolizione delle chiese.
La classe politica è in tutt’altre faccende affaccendata: la maggioranza è stata impegnata coi rimpasti e con il problema – che come si può facilmente intuire è vitale per tutti noi ! -  di assegnare le poltrone tentando di accontentare tutti e non scontentare alcuno: impresa ovviamente impossibile! Il sindaco è costantemente occupato a fare in modo che la città non s’accorga che egli è il sindaco di Modica di diritto, ma non di fatto. L’opposizione, anziché incalzare  un’amministrazione che sa soltanto guardarsi allo specchio per compiacersi delle tante cose promesse e mai realizzate, continua a rimproverare la maggioranza per la situazione finanziaria dell’Ente non ancora sanata, mostrando una facciatosta che è pari alla sua impreparazione culturale e politica: come si può ragionevolmente pensare di mettere a posto il bilancio del Comune più indebitato d’Italia  in soli due anni mezzo; un debito colossale, la cui responsabilità ricade, in massima parte, proprio sull’attuale minoranza, nel periodo in cui era maggioranza.
A tal proposito,  sono certamente patetici gli interventi sulla stampa dell’ex sindaco, che ogni tanto ci ricorda che la disastrosa situazione finanziaria del Comune è vecchia di trent’anni: Torchi, evidentemente, non ha perso il vizio di autoassolversi! Ma anche se fosse come lui dice, questo non mitigherebbe le sue responsabilità: un buon amministratore, quel debito avrebbe cercato di ridurlo, non di ingigantirlo, come ha fatto lui.
Quando uscì di scena gli consigliammo di tacere per sempre – politicamente, s’intende – e pertanto non possiamo che reiterare il nostro invito!
Non possiamo non rilevare, poi, a proposito degli atti delinquenziali che oramai caratterizzano la vita notturna di questa città,  l’imbarazzante silenzio della cultura. Le attività culturali o pseudo-tali nascono, fioriscono e si diffondono con un ritmo impressionante, soprattutto quelle che serie non sono ma che tali vorrebbero apparire.  E intanto, gli intellettuali veri – e non possiamo non pensare al caro amico Ciccio Belgiorno – cominciano ad essere riposti nell’oblio!
In ogni caso, che si tratti di  intellettuali veri o di presunti tali, di tale situazione drammatica non si parla e non si discute. E la città continua ad essere in mano ai vandali!
Sul perché, in questi ultimi anni, Modica abbia cambiato volto, ci siamo già più volte espressi. Solo per rinfrescare la memoria ai più distratti, ricordiamo che noi ne attribuiamo la colpa alla precedente Amministrazione, e in parte all’attuale, per non aver cambiato direzione: si pensi alla cementificazione selvaggia che non è stata fermata e che continua a devastare la città.
 Ovviamente, in questa sede, stiamo prendendo in considerazione soltanto le motivazioni locali che sono all’origine di tali fenomeni delinquenziali, essendo ben consapevoli che questi vanno poi inseriti all’interno di dinamiche molto più ampie, che sono di carattere sociale, economico e culturale e che trascendono le singole realtà locali.
Come più volte abbiamo detto, è naturale che anche una cittadina come Modica deve guardare avanti, che il commercio e il turismo devono progredire, ma quando ciò lo si fa senza aver valutato entro quali dimensioni ciò debba avvenire, quando lo si realizza trascurando la tradizionale vocazione economica del territorio, si provoca un danno enorme, che non è soltanto economico, ma anche sociale e culturale. Non abbiamo mai scritto o detto che Modica debba vivere soltanto di agricoltura e zootecnia, abbiamo sempre sostenuto, però, che queste dovevano rimanere i suoi settori trainanti: una politica lungimirante avrebbe dovuto certamente puntare anche sul commercio e sul turismo, ma senza realizzare quella “rivoluzione copernicana” dell’economia, che ha stravolto la storia e la tradizione della nostra città.
Se oggi Modica ha un giro di affari sicuramente spropositato rispetto al territorio e al numero degli abitanti;  se l’inchiesta sul presunto riciclaggio di denaro e sulle presunte tangenti – che ha coinvolto imprenditori e politici locali – ha accertato un giro di denaro di 14 milioni di euro; se la città è assediata  da banche, negozi e grandi magazzini; insomma, se Modica è stata trasformata nella “Modica da bere”, era così difficile immaginare che prima o poi sarebbero arrivati gli avvoltoi disposti a tutto pur di assaggiarne le prelibatezze?
Se tutti i valori (anche quelli legati alla tanto bistrattata civiltà contadina) sono stati annientati, per edificare l’altare all’unico dio (il denaro) che oggi si venera in questa città, era così difficile immaginare un degrado civile e morale che determinasse, prima o poi, una maleducazione e una delinquenza senza precedenti?
Dinanzi a tutto questo, Torchi interviene sulla stampa per cercare di giustificare l’ingiustificabile, Buscema spreca le sue energie per spartire le poltrone assessoriali e Minardo è contento perché finalmente ha in mano le chiavi della città. Molti hanno auspicato, compreso il Sindaco, un inasprimento della repressione: non ne vediamo l’utilità. Quando i buoi sono ormai scappati, costruire il recinto è ridicolo e inutile. Il fenomeno potrà anche essere represso, ma si riproporrà subito dopo, perché il terreno gli è stato reso fertile. Ancora una volta si vuole intervenire sugli effetti anziché sulle cause. Ma anche se lo si volesse, questa volta sarebbe inefficace. Il dramma, infatti,  sta nel fatto che le cause non possono più essere rimosse, perché il danno fatto, purtroppo, è irreversibile.

 

 

 

      

               ANCHE LA MORTE GESTITA DAI PRIVATI? NO, QUESTO E’ TROPPO!

 

 

L’Amministrazione comunale ha annunciato di avere ultimato la procedura di project financing  per l’ampliamento del cimitero di contrada Piano Ceci. Si tratta, in altri termini, di privatizzare il cimitero comunale e pertanto un’impresa privata sarà incaricata di realizzare e vendere loculi e cappelle.
Non crediamo sia il caso di ribadire la nostra disistima per i politici modicani: a coloro che ci leggono è più che nota. Siamo dunque abituati alle loro decisioni talvolta inutili, qualche volta inefficaci e altre volte addirittura scellerate.  Con quest’ultima, riguardante il cimitero, riteniamo che sia stato oltrepassato il limite della decenza!
Provenendo noi da un’area politica che avversava il socialismo nella stessa misura in cui contrastava il capitalismo e che vedeva nella socializzazione lo strumento per superare le nefandezze dell’uno e dell’altro, non abbiamo mai guardato con favore alle  privatizzazioni; tuttavia, se alcune possiamo tollerarle, altre, come quelle riguardanti un bene primario come l’acqua, suscitano in noi un senso di profondo sdegno.
Privatizzare i servizi cimiteriali, invece, ci procura amarezza e disgusto.
Come già detto, non abbiamo una buona considerazione della logica del profitto, non perché sia intrinsecamente negativa, ma perché nella sua esplicitazione quasi mai riesce ad armonizzarsi con l’Etica – e la cosa non è così impossibile come erroneamente si crede – a causa della voracità e della venalità degli uomini. Ma se, addirittura, si decide che la logica degli affari debba inserirsi  anche in un ambito così particolare come quello riguardante i  defunti, allora vuol dire che abbiamo davvero perso il senso della misura.
E’ evidente, infatti, che il privato agisce secondo una logica che è quella di trarre sempre un maggior profitto dal proprio lavoro, per cui non è improbabile che assisteremo ad una lievitazione dei costi, con grave nocumento per i meno abbienti: avremo pertanto loculi di serie A e loculi di serie B?
La vita, come tutti sappiamo, si incarica, purtroppo, di realizzare odiose e ingiuste discriminazioni, ma, come diceva il grande Totò, nella sua celeberrima poesia “A Livella”, “ste pagliacciate” lasciamole fare ai vivi: la morte, invece, è una cosa tremendamente seria e andrebbe lasciata fuori da queste buffonate!

 

 

 

 

 

Novembre 2010

 

            A proposito del “patto sociale” tra il Vescovo di Noto e il Sindaco di Modica

                              UNA INIZIATIVA LODEVOLE MA INSUFFICIENTE

 

Lo scorso 5 novembre è stato siglato il “patto sociale” tra Antonello Buscema, in rappresentanza del comune di Modica, e mons. Antonio Staglianò, in quanto Vescovo della diocesi netina. L’accordo prevede una collaborazione sulle politiche sociali e si pone come obiettivo quello di fornire un sostegno agli anziani, ai disabili, e alle persone e alle famiglie che si trovano in difficoltà economiche.
Mons. Staglianò ha precisato che “la chiesa è disponibile a collaborare in riferimento ai contenuti dei Piani di zona socio-sanitari, perché attraverso la Caritas diocesana si possano offrire consulenze di grande respiro”, aggiungendo che, oggi, “bisogna ripensare la città a favore dei deboli e delle nuove generazioni”. L’iniziativa ha degli aspetti certamente positivi, ma si pone in continuità con talune tendenze post-conciliari che, purtroppo, hanno procurato, a nostro parere, dei danni ai fedeli, al clero e alla Fede stessa.
Con ciò, ovviamente, non intendiamo esprimere un giudizio di condanna sul Vaticano II, ma rivendichiamo il diritto di poterne criticare alcune scelte e direttive che, a nostro giudizio, non hanno risolto alcuni atavici problemi della Chiesa e che ne hanno invece inficiato l’immagine e per taluni aspetti la credibilità. Che la chiesa, sia nel suo significato di gerarchia ecclesiastica, sia in quello di assemblea dei credenti, debba occuparsi dei poveri, degli ammalati, degli emarginati, non è in discussione, ma quando questo diventa l’unico vessillo attorno al quale la comunità cristiana è chiamata a riconoscersi, si commette un errore assai pericoloso dal punto di vista pastorale e sotto il profilo teologico-morale.  Oggi, a tanti anni dalla sua chiusura, è possibile esprimere dei giudizi sul Concilio Vaticano II, con il necessario distacco e senza incorrere nei rischi della faziosità, proprio perché quell’avvenimento non è più cronaca ma è stato consegnato alla storia.
L’opera di alcuni personaggi, come La Pira e Dossetti, ad esempio, con il loro tentativo  di voler conciliare il Cattolicesimo con dottrine atee e materialistiche – si pensi alla loro rivista “Cronache Sociali”-  fu il frutto di una esasperazione della dimensione sociale del Cattolicesimo voluta da Papa Roncalli, forse troppo radicale nell’intendere la fede in maniera univoca, dimenticando, probabilmente, che le strade per compiere il bene non passano soltanto attraverso l’impegno sociale e politico: per tale motivo, forse, non si rese conto del grande errore commesso nel perseguitare padre Pio, il quale, invece, aveva saputo mirabilmente coniugare la dimensione sociale del Cristianesimo (si pensi al grande Ospedale da lui voluto e realizzato) con quella mistica e spirituale.
Quando, intellettualmente, si procede con categorie totalizzanti, il pericolo di provocare danni irreparabili è sempre dietro l’angolo.
La unilateralità, dal punto di vista pastorale e teologico, è sempre deleteria: si pensi a papa Wojtyla e al suo esasperato ecumenismo. Al contrario di quanto comunemente si crede – ma è una nostra personalissima opinione – egli non offrì ai giovani un sicuro punto di riferimento, ma contribuì a rafforzare quel relativismo che ufficialmente combatteva. Basta ricordare, a tal proposito, gli incontri, di cui fu instancabile promotore, fra i capi delle diverse religioni, persino di quelle animistiche e di quelle col totem!
Il vicario di Cristo, il quale accetta che la Verità venga spezzettata in mille rivoli e la condivide persino con chi venera gli spiriti e i simulacri di legno!
Non intendiamo in alcun modo fare l’apologia dell’intolleranza: il dialogo con le altri fedi rimane anche per noi un dato altamente positivo e significativo, ma se un papa è veramente convinto che la Verità risiede in Cristo, potrà dialogare con tutti ed accettare tutti, ma quella Verità non potrà spartirla con nessuno!
Per questi motivi riteniamo che l’iniziativa del Vescovo di stringere un patto sociale coi comuni della Diocesi sia meritevole per un verso, ma insufficiente per un altro. E’ una iniziativa lodevole, ma cura gli effetti, non le cause!
Oltre ad aiutare i poveri e gli emarginati, occorrerebbe chiedersi per quale motivo, nella nostra società così avanzata e progredita, esistono ancora simili discriminazioni.
Le cause che le determinano non potranno essere rimosse né dalle politiche sociali né dalla Caritas.
Per questi motivi occorre liberarsi da una visione esclusivamente “sociale” del Cattolicesimo e saper guardare all’ampio spettro di possibilità di interventi che esso offre.
E’ vero che a Modica ci sono situazioni di povertà e di emarginazione e la solidarietà rimane anche per noi un valore irrinunciabile, ma bisogna andare in profondità, e allora scopriremmo che la nostra città è diventata la città  del menefreghismo, del lusso, della prepotenza, degli intrallazzi e della corruzione.
Sarebbe necessario, forse, che i preti – ecco un’altra eredità del Concilio che non condividiamo – lasciassero ai laici la psicologia e la sociologia, ed invece di adeguarsi ad un mondo ormai completamente secolarizzato, si dedicassero a ri-cristianizzarlo. Il compito della Chiesa non è quello di apparire evoluta e di lasciarsi condizionare dalla modernità; con questa deve certamente
confrontarsi, ma per saperla interpretare e far si che venga permeata dalla verità che essa, come chiesa, è chiamata a custodire. Una Verità che non può essere barattata col consenso e col proselitismo; una Verità che costituisca un approdo sicuro e intramontabile per i tanti naufraghi di questo mondo.
Modica ha bisogno, certo, di riscoprire la solidarietà, ma soprattutto ha bisogno che la chiesa, con la parola e con l’esempio, torni a parlare al cuore di ciascuno di noi. La nostra città è gravemente ammalata, e il cancro che la corrode non può essere curato con una semplice aspirina: è necessaria una terapia forte ed incisiva. Sarebbe urgente un’opera di autentica  ri-evangelizzazione, non soltanto per i lontani ma soprattutto per coloro che ritengono di aver fede, che si accostano ai sacramenti e che pensano di essere seguaci di Cristo: è a costoro, infatti, che guardano i lontani, e non sempre, per costoro, i loro comportamenti sono edificanti. Lo stesso crediamo valga per i sacerdoti: gli agi e le comodità in cui taluni vivono difficilmente si conciliano con le loro omelie in favore dei poveri. Non pretendiamo di essere noi a suggerire al Vescovo come attuare una vera ed efficace evangelizzazione della sua diocesi, ma riteniamo non ci sia altra strada per aiutare i modicani ad evitare il baratro della degradazione morale in cui stanno precipitando. E’ necessario che il messaggio di Cristo liberi questa città dall’inganno in cui vive.
 E’ il nostro modo di pensare e di sentire che deve cambiare !
Ben vengano dunque queste iniziative, ma non commettiamo l’errore di considerarle le uniche possibili

 

Dicembre 2010

 

                              A proposito del Chocobarocco, oro della Contea

                     E MODICA SPROFONDA TRA I BANCHETTI E LE FESTE

Inviamo il nostro articolo in Redazione, quando mancano pochissimi giorni all’inizio di quell’evento, inutile e un po’ volgare, che come ogni anno farà saltare i nervi a coloro che non hanno ancora rinunciato a ragionare con la loro testa e che hanno da pensare a delle cose meno dolci ma più serie del cioccolato. Ci riferiamo, ovviamente, al Chocobarocco dell’Amministrazione Buscema, edizione riveduta e corretta dell’Eurochocolate dell’Amministrazione Torchi: un altro tassello che si aggiunge al mosaico dell’avvilente continuità fra le due amministrazioni; un avvenimento che non fa che confermare il vecchio adagio del “cambiare tutto per non cambiare niente”.
In occasione dell’approssimarsi dell’ “evento”, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Il segretario generale della Fine Chocolate Organization, Filippo Pinelli, ha dichiarato che la “festa di Modica è tra le poche che meritano di essere promosse (...) perché è rivolta alla promozione di un’autentica cultura (sic!) del cioccolato”. Che la cultura in Italia viva un momento di decadenza è notorio, ma che addirittura venga accostata al cioccolato ci sembra quanto meno discutibile. Da tempo, ci tocca sopportare la frase “fare cultura” (la cultura non la si fa, la si possiede) ma tollerare anche le castronerie ci risulta impossibile: il “cioccolato culturale” ci è indigesto e ne saremo sempre acerrimi nemici!
Il direttore del consorzio, Nino Scivoletto, da parte sua, ha invitato a “raccogliersi attorno ad un nuovo claim che ispira all’unità di azioni e di intenti (sic!) da parte di tutti gli attori coinvolti in questa operazione che sa già di miracolo”. L’unità di pensiero e azione ci ricorda personaggi, eventi e momenti della nostra vita nazionale che sarebbe stato opportuno non scomodare, soprattutto per accostarli ad una operazione commerciale festaiola e paesana!
Al di là dell’espressione Chocobarocco, che a nostro avviso è assolutamente demenziale, la nostra ostilità verso tale kermesse nasce dal fatto che la riteniamo inutile per la città, e non crediamo che questa possa trarne alcun beneficio, checché ne pensi il vicesindaco (si può cambiare partito e perdere il pelo, ma il vizio rimane!) dal fatto che la manifestazione attragga l’attenzione della stampa nazionale e delle più importanti emittenti televisive isolane. La nostra avversione nasce anche dal fatto che  non riusciamo a non giudicare volgare l’anonimo sciamare della massa; in questo caso con l’aggravante delle bocche impastate di cacao! Che poi la kermesse contribuisca a far lievitare i guadagni di pasticceri e negozianti confessiamo che si tratta di un dato che ci è assolutamente indifferente.
Il terzo motivo, ma il più importante, per cui non abbiamo mai condiviso Eurochocolate – espressione che almeno aveva il vantaggio di non essere ridicola – e adesso Chocobarocco, deriva dalla constatazione che si tratta di eventi che hanno lo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali della città, dirottandola sul divertimento e l’abbuffata.
E’scandaloso che un Comune perda tempo e sprechi energie per il Chocobarocco quando i suoi dipendenti da tre mesi non percepiscono lo stipendio. La città si tuffa nel cioccolato e in chissà quante altre prelibatezze, mentre ci sono famiglie modicane – si pensi soprattutto a quelle monoreddito – che in questo momento hanno sicuramente seri problemi a far quadrare il bilancio familiare. Il primo cittadino, nel tentativo di prevenire le critiche, ha dichiarato che è necessario fermare le strumentalizzazioni. Ci chiediamo se anche la nostra sarà considerata tale oppure valutata per quello che è: un richiamo a non sacrificare la morale sull’altare della propaganda  o, peggio, del  calcolo politico.
E’ inopportuno che un’Amministrazione perda tempo e sprechi energie per il Chocobarocco, con la situazione finanziaria che si ritrova e coi tanti problemi non ancora risolti: si pensi al randagismo che è ancora presente nelle nostre contrade rurali, alle tante strade cittadine che sembrano trazzere, al  traffico veicolare da terzo mondo, al cemento che avanza, inarrestabile, e che ci sta soffocando, e alla nostra meravigliosa campagna violentata dall’abusivismo edilizio.
Ovviamente, quelli elencati sono soltanto una piccola percentuale dei tanti problemi che affliggono la città, ma riteniamo siano sufficienti a far comprendere che una manifestazione come Chocobarocco sia assolutamente inopportuna.
Come già ricordato, la manifestazione, per qualche giorno, distoglierà l’attenzione dei cittadini dai gravi problemi che assillano Modica. Non sappiamo se ciò venga fatto, da chi governa, con lucida consapevolezza o in buona fede ( per quanto riguarda il Sindaco, conoscendolo, non possiamo che propendere per la seconda ipotesi; per quanto concerne l’onorevole, il vicesindaco e gli assessori non ci pronunciamo) ma il risultato, comunque, non cambia.
Finché a Modica ci sarà una sola famiglia che avrà problemi economici per colpa dell’Amministrazione Comunale (poco importa se le responsabilità sono da attribuire alla giunta precedente o all’attuale) riterremo sempre tale Amministrazione non legittimata, politicamente e moralmente,  ad organizzare feste, banchetti e divertimenti.

 

 

 

 

                  PRAGMATISMO: IL  PADRE  DI  TUTTI  I  VOLTAGABBANA

 

Quando crollò il Socialismo reale nell’Europa dell’est (esattamente diciannove anni fa : il 25 dicembre 1991, infatti,  la bandiera sovietica fu ammainata dal Cremlino), anche noi, ovviamente, ci rallegrammo, perché quella caduta significava la fine della “guerra fredda” (anche se, in verità, con Gorbacev, era già stata avviata la distensione), il tramonto di un sistema politico che aveva fatto del terrore lo strumento con cui perpetuarsi nel tempo e perché finalmente si ponevano le premesse perché quei popoli potessero gustare il fresco profumo della libertà.
Nello stesso tempo, e qui ci sentimmo in controtendenza rispetto all’opinione dominante, provammo un forte rammarico per il declino dell’Unione Sovietica e delle cosiddette ideologie.
Non siamo mai stati marxisti e non abbiamo mai amato il regime instaurato da Lenin e consolidato da Stalin, ma questo duplice crollo ci preoccupava: il primo per motivi di carattere geopolitico, il secondo per ragioni di ordine morale e ideale.
Finché il pianeta ebbe due superpotenze, l’equilibrio mondiale, sebbene basato sul “terrore”, fu garantito.  Crollatane una, è accaduto ciò che allora temevamo: gli Stati Uniti sono diventati il gendarme del pianeta. Se prima era l’America latina ad essere da loro considerata “il cortile di casa”, adesso è il mondo intero ad esserlo diventato.  E’ quasi superfluo ricordare che le vicende riguardanti l’Afghanistan e l’Iraq, tanto per citarne solo alcune, costituiscono la prova incontrovertibile della veridicità di quanto sosteniamo.
Se le conseguenze geopolitiche sono state e rimangono preoccupanti, quelle di ordine morale e ideale sono catastrofiche. La fine delle ideologie non ci ha mai entusiasmato. E’ vero che, nella storia, nel loro nome sono stati compiuti atti scellerati e quindi non è certo per questo che le rimpiangiamo. Se alla dissoluzione delle ideologie fosse seguita una più moderata e razionale valutazione delle proprie idee, una visione meno estremistica delle proprie convinzioni, se le idee non fossero state più radicalizzate, anche noi avremmo guardato con favore a quel crollo. Il dato allarmante è che le ideologie sono scomparse ed è apparso il nulla, quello che molti, per malafede o ignoranza, si sono subito affrettati a definire “pragmatismo”, che d’improvviso è diventato il nuovo idolo da venerare, sacro, e pertanto intoccabile.
Questi paladini e adoratori della prassi non si rendono conto che se l’azione concreta non è sostenuta da una elaborazione di tipo concettuale di quel che si fa, questa diventa  un “agire”senza finalità, un “fare” che non ha obiettivi: insomma un puro e semplice fatto; ma i fatti, quando non sono sorretti dalle idee e quando mancano del momento interpretativo, sono “stupidi”, ammoniva Nietzsche, e pertanto insignificanti.
Dobbiamo al pragmatismo l’avvilente scadimento della politica, e per quanto riguarda l’Italia ciò è  palese sia a livello nazionale sia a livello locale. La transumanza parlamentare, le campagne acquisti sono lo specchio del livello penoso e squallido raggiunto dalla politica e non è possibile non vedere la mediocrità degli uomini di oggi, che in questa nostra “mignottocrazia” – come l’ha definita Paolo Guzzanti – sono disposti a vendersi e a cambiare mille bandiere pur di fare soldi e carriera, e nel contempo non ricordare l’altissimo livello ideale e morale di altri che vissero durante la cosiddetta prima Repubblica. Uomini come Almirante e Berlinguer, per citarne solo due, per nulla al mondo avrebbero barattato le loro idee con una notte di sesso, con una consistente tangente o con un posto di ministro o sottosegretario.
Guardando, poi, alla nostra realtà locale, non possiamo non constatare quanto degrado abbia provocato la fine delle ideologie e la loro scomparsa dalle menti e dai cuori degli uomini. Per tale motivo, assistiamo a delle dichiarazioni e a dei fatti che, se sono esilaranti da un lato, sono sconfortanti dall’altro. Si pensi all’ex deputato  Drago che passa col partito di Cuffaro, affermando che lui si è sempre riconosciuto nell’area del centrodestra e pertanto non poteva più stare con Casini che adesso sta all’opposizione: ma l’ex deputato, prima di diventare un cattolico liberale dell’UDC, non stava con Craxi? Miracoli del pragmatismo!
Riccardo Minardo dopo aver militato per anni nel partito di Berlusconi, come San Paolo sulla via di Damasco, si converte all’improvviso, si scopre autonomista e passa con Lombardo, il quale, a sua volta, è giunto all’autonomia e all’accordo col PD passando prima, e per lungo tempo, attraverso la DC.  Altri miracoli del pragmatismo!
Non ci occupiamo, per mancanza di spazio e per carità di patria, della transumanza politica di tanti personaggi di minore rilievo politico che pascolano sui prati dell’aula consiliare modicana e che in questi anni hanno cambiato casacca innumerevoli volte. Il tanto osannato pragmatismo ha creato il “politico di plastica”, quello che si ritiene importante per la sgargiante (e volgare) cravatta che porta, per il costoso cellulare che sfoggia, per la macchina di lusso che ostenta: è l’uomo che si ostina a rimpinguare l’esteriorità, mentre la sua interiorità continua a restare tristemente vuota, a causa della sua attività cerebrale quasi piatta.
Questo fannullone, arrogante e ignorante, ma pragmatico, non può non far nascere in noi sentimenti di rimpianto per quei politici che sapevano coniugare la modestia e la sobrietà esteriore con una straordinaria ricchezza interiore, che nasceva dalla loro cultura, dalla forza delle loro idee, dalla rettitudine morale e dalla coerenza intellettuale; uomini che se ne infischiavano del pragmatismo, convinti, come lo fu Mazzini,  che se l’azione e il pensiero non si uniscono a formare una unità inscindibile, ogni fatto compiuto dagli uomini è condannato a rimanere sterile e insignificante.

 

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