2008
gennaio 2008
Piccoli politicanti crescono La Pagina:12 gennaio 2008
Ci risiamo Dialogo: gennaio 2008
Febbraio 2008
Le Istituzioni e la giostra La Pagina: 12 febbraio 2008
L’ergastolo, la poltrona e la catarsi Dialogo: febbraio 2008
Marzo 2008
La politica delle emozioni e delle suggestioni La Pagina: 14 marzo 2008
Il sacrificio di Torchi Dialogo: marzo 2008
Aprile 2008
Il medioevo siciliano La Pagina: 28 aprile 2008
La pattumiera d’Europa Dialogo: aprile 2008
Maggio 2008
I corvi e le aquile La Pagina: 12 maggio 2008
Il populismo e la demagogia La Pagina: 28 maggio 2008
Il coraggio di don Abbondio Dialogo: maggio 2008
Giugno 2008
La morte civile di Modica Dialogo: giugno 2008
Luglio
Le conversioni sulla via di Damasco La Pagina: 28 Luglio 2008
Settembre
I buoni e i cattivi La Pagina: 28 settembre 2008
La facciatosta della minoranza e le
contraddizioni della maggioranza Dialogo: ottobre 2008
La leggenda del partigiano La Pagina: 28 ottobre 2008
E la telenovela continua… Dialogo: novembre 2008
La spettacolarizzazione del dolore La Pagina: 28 novembre 2008
Dicembre
Tutti insieme appassionatamente Dialogo: dicembre 2008
I commercianti infastiditi La Pagina: 28 dicembre 2008
Gennaio 2008
PICCOLI POLITICANTI CRESCONO
Esattamente quattro anni fa, in un nostro articolo pubblicato sul mensile “Dialogo”, esprimevamo le nostre perplessità circa l’ennesima invenzione della politica – nella fattispecie, ci occupavamo di quella modicana - che, pur di sopravvivere con le sue tante nefandezze, non disdegnava di far ricorso alla più vacua demagogia e alla più becera propaganda, pur di partorire un’altra mostruosità: ci riferiamo al civico consesso “baby”, con tanto di sindaco e assessori. Quando si tratta di ottenere la famosa “visibilità”, i nostri amministratori, come tutti ormai sanno, non sono secondi a nessuno. Nella nostra città furono i genitori dei piccoli candidati ad offrire uno spettacolo risibile e sgradevole, protestando per presunti brogli elettorali nell’espletamento delle votazioni, come se non bastassero quelli veri! Un atteggiamento che consentì, e ancora oggi consente – la situazione non è certo mutata in questi quattro anni – di evidenziare la gravissima crisi, civile e morale, che imperversa nella nostra provincia – e nell’intera Italia, naturalmente – e che si esplicita nella perdita dei valori che contano e nella spasmodica ricerca della futilità e della stupidità. Allora inorridimmo al pensiero che gli adulti fremevano per vedere i loro pargoli sugli scanni comunali, mentre avrebbero dovuto provare orrore al pensiero che i loro figli venivamo strumentalizzati da una politica che arranca, sotto il vessillo dell’ignoranza e della falsità.
Dice un antico proverbio: “ Chi semina vento raccoglie tempesta”, e la sapienza popolare, come sempre, non sbaglia. I frutti amari, di questa ennesima farsa voluta dai politicanti – che ovviamente non è attecchita solo a Modica – li abbiamo raccolti appena un mese fa nella vicina Ragusa, e si tratta di frutti più velenosi di quelli colti a Modica quattro anni fa. In occasione della “campagna elettorale”, infatti, ha fatto la sua tetra apparizione il voto di scambio. Il malcostume dei politici si è insinuato fra i piccoli candidati, e non soltanto per quanto riguarda la propaganda: gli aspiranti consiglieri, infatti, si sono affidati agli slogan, proprio come gli adulti, e pertanto, sebbene nel loro caso in modo inconsapevole, hanno acquisito e praticato la “nobile” arte della retorica. Fin qui, nonostante si tratti di un evento certamente diseducativo, i danni subiti sono tuttavia di lieve entità. Il problema ha assunto connotazioni, gravi ed allarmanti, nel momento in cui alcuni candidati hanno dato la loro disponibilità a dare un euro in cambio di un voto. Più volte, abbiamo invitato i politici a stare alla larga dai bambini e dai ragazzi; per tale motivo giudichiamo assolutamente nocive le loro periodiche visite nelle scuole della nostra provincia. Ciascuno di loro, a livello personale, potrà anche essere un galantuomo, ma in quanto “politici” costoro rappresentano un mondo – che di per sé non è ovviamente negativo – che oggi, in Italia, è sinonimo di affarismo, clientelismo e corruzione. Nei loro incontri coi nostri ragazzi parlano di valori e nobili ideali, ma non sono credibili, e pertanto rischiano di vanificare il quotidiano e difficile lavoro dei docenti, impegnati a dare loro, sul serio, quelle nozioni di educazione civica, che vengono sistematicamente ignorate dalla politica che quegli amministratori rappresentano. Che se ne stiano alla larga, dunque; che la smettano con la loro insopportabile retorica, come quella del sindaco Di Pasquale, che, in relazione a tale vicenda, ha dichiarato: “ Mi rifiuto di crederci. L’attivazione del “baby consiglio” è un’iniziativa per favorire il coinvolgimento diretto dei bambini, per sentire il loro punto di vista e misurare la città anche con il loro metro, partendo dalle loro esigenze”. Anziché stupirsi, il sindaco di Ragusa sarebbe dovuto andare a Canossa col capo cosparso di cenere, nella consapevolezza che è colpa dei politici adulti, e pertanto anche sua, se dei bambini della città che amministra hanno compiuto delle azioni che contrastano con l’innocenza che dovrebbe contraddistinguerli.
Le colpe, a nostro parere, vanno equamente distribuite: da un lato, come abbiamo detto, c’è la politica di oggi, corrotta e inquinata, che offre alle nuove generazioni modelli di comportamento altamente diseducativi; dall’altra, le famiglie, molte delle quali, oggi, trasmettano ai figli obiettivi che non li renderanno mai persone oneste e consapevoli: ci riferiamo al successo, alla carriera e al denaro, che, in sé, non sono ovviamente il male, ma se diventano le coordinate attraverso le quali dare senso alla propria esistenza, questa non sarà più fondata sull’autenticità ma sull’alienazione. C’è poi la Scuola, quella primaria innanzitutto, che spesso non educa come dovrebbe: il problema non riguarda, naturalmente, solo Ragusa, ma l’Italia, nella sua interezza. Nel caso in questione, presidi e docenti, in quanto educatori, e pertanto forniti delle necessarie competenze e della giusta sensibilità, avrebbero dovuto e potuto smascherare quest’altro inganno della politica, e salvaguardare, in tal modo, la sincerità e l’innocenza dei loro piccoli alunni.
CI RISIAMO !
Nel corso della tradizionale conferenza di fine anno, il sindaco Torchi, oltre alla consueta e stucchevole autocelebrazione alla quale ormai siamo da tempo rassegnati – e che quest’anno è risultata particolarmente offensiva per quelle centinaia di famiglie che, a causa della sua pessima amministrazione, non possono contare, mensilmente, su uno stipendio sicuro - ha affermato per l’ennesima volta:” Cambieremo questa città”. Dobbiamo confessare che siamo rimasti, ancora una volta perplessi e delusi: è da sei anni che Torchi ripete questa frase, ma mai ha specificato in cosa debba consistere questo tanto sbandierato cambiamento. La friabilità concettuale di questo ossessivo slogan, col quale il Sindaco ci tormenta da anni, è evidente: prospettare, in maniera assillante, che la città dovrà cambiare, e, nel contempo, non indicare quali sono le coordinate entro le quali tale cambiamento dovrà avvenire, lascia trasparire un vuoto progettuale allarmante e nello stesso tempo conferma la teoria, che da anni sosteniamo, e cioè che siamo governati da un Sindaco che predilige la forma e non il contenuto, che ama l’apparenza e disdegna la sostanza, che preferisce gli slogan alla concretezza del fare. Il cambiamento, quando non è sorretto da un progetto chiaro, organico e preciso, è un concetto vacuo, inutile e demagogico. Riproponendo questo monotono discorso del cambiamento alla fine del 2007, inoltre, Torchi non s’accorge d’infilarsi in un tunnel senza uscita, perché è legittimo chiedere, a questo punto, ad un Sindaco che di questo discorso ha fatto il suo cavallo di battaglia, che cosa ha compiuto in questi sei anni per realizzare questo famoso cambiamento della città, considerato che egli stesso afferma che deve ancora cambiarla.
Noi non pretendiamo che Torchi debba avere dimestichezza con la Filosofia e in modo particolare coi principi della Logica, ma, ancora una volta, non possiamo non constatare che le sue contraddizioni offendono l’intelligenza altrui. Torchi chiarisca: questa città o è cambiata o non lo è.
A nessuno è concesso violare il principio di non contraddizione, nemmeno al Sindaco di Modica, ovviamente. Se non è cambiata, il nostro Sindaco la smetta, una buona volta, di dire che cambierà, perché dopo sei anni non ci crede più nessuno; se è cambiata, ci dica finalmente in che cosa. Con quanto finora detto, abbiamo voluto mettere in evidenza le aporie presenti nelle argomentazioni del Sindaco, ma tutto ciò, ovviamente, non è per noi motivo di sofferenza, semmai di fastidio, perché, in quanto modicani, mal sopportiamo un Sindaco, il quale non s’accorge che, con le sue stantie e ossessive argomentazioni, di fatto, persevera nel far fare ai suoi concittadini la figura degli utili idioti. Che cosa diventano, infatti, i cittadini di questa città, nel momento in cui il Sindaco, a proposito del dissesto finanziario del Comune, dichiara: “ Bisogna conoscere assai bene la vicenda prima di potersi esprimere. I nostri sono problemi di cassa e non di competenze. Una mancanza di liquidità, dunque, dovuta al mancato trasferimento delle somme previste e promesse dalla Regione e dallo Stato. I problemi sono tutti qui”. Peccato che Torchi dimentichi di spiegare per quale arcano motivo, quei Comuni italiani, che hanno le stesse caratteristiche di Modica, in ordine alla situazione produttiva, demografica e infrastrutturale, non abbiano anch’essi, tutti, le linee telefoniche interrotte, agguerriti creditori che minacciano pignoramenti e migliaia di dipendenti sull’orlo della disperazione. Questa faccenda dei contributi statali e regionali è diventata un altro ossessionante ritornello col quale Torchi, inutilmente, tenta di nascondere le vere cause del disastro finanziario dell’Ente che amministra, e che vanno ricercate, soprattutto, nel clima di perenne campagna elettorale in cui la città è costretta a vivere da quando si è insediato a Palazzo San Domenico. Ma torniamo all’ormai celeberrimo e prodigioso cambiamento della città: non è logicamente accettabile sostenere, per sei lunghi e rovinosi anni, che la città deve cambiare senza spiegarne ai modicani il motivo; e non è scientificamente ammissibile che si possa continuare a discutere dell’effetto, senza prima averne indicato la causa. Noi riteniamo che il silenzio di Torchi, sulle modalità e sugli eventi coi quali sarebbe avvenuto lo straordinario cambiamento di Modica, sia legato a un fenomeno psicoanalitico che Freud definiva con il termine “Rimozione”. Egli, pertanto, tace, non perché in malafede, ma perché, possedendo certamente la nozione del Bene, censura inconsciamente il male che, con la sua Amministrazione, si è impadronito della città e dei suoi abitanti, che come burattini, ormai, si muovono in uno scenario fatuo, avvilente e degradato.
Il discorso sul mutamento non è così semplice come forse il nostro Sindaco immagina: questo, infatti, non riguarda gli atti politici e amministrativi, ma problematiche di più vasto respiro, che riguardano l’etica, la sociologia, e, per taluni aspetti, anche l’antropologia. Quando si parla di cambiamento entrano in gioco fattori che attengono alla sfera della mentalità, dei mutamenti sociali, degli stili di vita e dei modelli di comportamento: per tale motivo, è necessaria un’analisi lucida ed obiettiva della situazione, per valutare, in una prospettiva immediata e futura, verso quale avvenire la città si sta incamminando.
Noi riteniamo che in questi sei anni la città sia veramente cambiata, e benché consapevoli di trattare problematiche sulle quali ci siamo già più volte soffermati, avvertiamo il dovere, morale e civile, di ricordare ancora, ai nostri disattenti concittadini, che cosa è avvenuto e cosa sta avvenendo. La naturale vocazione agricolo-artigianale della città è stata soffocata per far spazio, in maniera spasmodica e non equilibrata, ad una dimensione affaristico-commerciale che, in questi termini, le è sicuramente estranea; e di ciò la città ha già cominciato a pagare le conseguenze: ci riferiamo all’insorgenza di fenomeni delinquenziali, prima assolutamente episodici ed oggi caratterizzati da un’ allarmante e inquietante frequenza. La sciagurata affermazione della mentalità imprenditoriale – sciagurata perché imposta con smoderatezza e non con equilibrio - ha determinato la sfrenata ricerca dei quattrini e la loro volgare ostentazione, con la conseguenza di aver distrutto la sobrietà e la modestia che facevano di Modica una città d’impareggiabile signorilità. Il nepotismo dilagante ha inquinato le coscienze, diffondendo l’aberrante convinzione che sia la parentela a determinare capacità e competenze e a conferire il diritto ad usurpare i posti di comando. La purulenta piaga del clientelismo ha ridotto il sacrosanto diritto al voto in un atto senza alcun valore etico e politico: non più espressione di un convincimento ideale ma pedaggio da pagare al potente di turno, con la conseguenza che lo spirito della democrazia è stato sacrificato sull’altare della miserevole prassi dei favoritismi. La politica dell’immagine e del frastuono, infine, ha alimentato la sorgente avvelenata della superficialità e dell’esteriorità, a discapito della serietà e dell’autenticità.
Modica è davvero cambiata: non possiamo che sperare che tale mutamento si arresti. E’ già una pena vedere la città ridotta in questo stato, non oltraggiamola ancora con altri ulteriori cambiamenti.
Il nostro Sindaco ha dichiarato: “ Questa deve essere la stagione delle riforme, in cui nessuno deve immaginare di poter continuare a camminare avanti con la testa rivolta all’indietro”. Dopo avergli opportunamente ricordato che il suo compito è quello di governare la città e non di amministrare l’immaginazione altrui, e che pertanto noi continueremo a immaginare ciò che ci pare, vogliamo invitare i nostri Lettori a leggere attentamente queste affermazioni del Sindaco: sono la chiave, infatti, per capire i motivi della sua sciagurata amministrazione. Immaginare di costruire il futuro distogliendo lo sguardo dal passato è come pretendere che un albero cresca senza le radici; significa non possedere il senso della Storia; progettare il futuro, dando un calcio al passato, non è progresso: è avventurismo! Se continueremo ad alimentare questo fiume, putrido e fangoso, le sue acque malsane tracimeranno, e quando il signor Sindaco deciderà di raccontare il futuro della sua città rischierà di dover parlare di un cumulo di macerie: ciò che resterà di una città, che, prima che subisse favolosi e mirabolanti cambiamenti, seppe crescere e progredire, senza per questo dover rinnegare il suo passato, la sua tradizione e la sua identità.
Febbraio 2008
LE ISTITUZIONI E LA GIOSTRA
Le dimissioni di Cuffaro, e il prossimo scioglimento dell’assemblea regionale, hanno già scatenato i consueti e famelici appetiti di migliaia di siciliani, pronti a sacrificare il loro tempo e ad alleggerire i loro portafogli, nella speranza di ottenere uno scanno a Palazzo dei Normanni. Per noi, che da un po’ di tempo, forse per l’inesorabile avanzare dell’età, siamo facili alla commozione, queste competizioni elettorali sono diventate come una boccata d’ossigeno, in questo clima in cui siano costretti a vivere, inquinato dall’arrivismo e dal malaffare. Ci conforta, infatti, ed è motivo di speranza in un futuro migliore, sapere che migliaia di nostri corregionali si agitano, fremono e scalpitano per andare a Palermo, mossi da un’unica e nobile motivazione: l’amore incondizionato per la loro terra!
Anche il sindaco Torchi è tra quelli che sono già pronti al sacrificio; egli ha infatti dichiarato: “ Mi rimetto alle decisioni del leader, l’onorevole Peppe Drago, e del partito”, ma è ovvio che, per compiere quest’atto benemerito, dovrà dimettersi da Sindaco della città. La notizia l’abbiamo appresa dalla stampa locale, ed è stata per noi come un fulmine a ciel sereno, come un violento nubifragio che ha oscurato una radiosa giornata di sole e che ha suscitato nel nostro animo una profonda amarezza e tanta tristezza. E’ vero, non siamo mai stati teneri col Sindaco di Modica, perché non abbiamo condiviso e non condividiamo quasi nulla del suo modo di fare e d’intendere la politica, ma il suo attaccamento alla città ha costituito l’unico tassello positivo di un mosaico altrimenti negativo e addirittura infausto.
Ricordiamo perfettamente i giorni della sua sofferenza, allorquando, due anni orsono, in occasione delle regionali, sciolse all’ultimo istante l’amletico dubbio se andare a Palermo o restare a Modica, alla guida della città. Non possiamo, pertanto, non ricordare alcune tra le sue sofferte dichiarazioni di allora: “ Non posso permettermi di privilegiare le mie legittime ambizioni rispetto al mandato conferitomi e alla fiducia che mi è stata accordata”. Poi, dopo aver ricordato che la città era preoccupata di restare senza guida e senza riferimenti istituzionali, il nostro Sindaco, dimostrando una commovente abnegazione, dichiarò: “ Per queste ragioni ho deciso di continuare nel mio impegno amministrativo e di servire i modicani con immutata dedizione, amore ed impegno”.
Anche noi, allora, non riuscimmo a sottrarci alla commozione, davanti ad un uomo che metteva da parte le sue ambizioni pur di continuare a servire la città. Nel nostro Paese, si sa, tutto è possibile: due anni fa i siciliani hanno rieletto alla più alta carica politica dell’Isola un inquisito per fatti di mafia e questo signore, divenuto nel frattempo condannato, prima di togliere il disturbo ha festeggiato perché un Tribunale lo ha ritenuto colpevole di aver fatto gli interessi di alcuni mafiosi, ma non della mafia in quanto tale ! Ogni Paese ha le leggi che si merita! il nostro Sindaco è stato ed è per noi, nonostante le critiche che non gli abbiamo fatto mai mancare, un punto di riferimento, proprio per l’attaccamento alla nostra Modica. Sapere che siamo amministrati da un Sindaco che soltanto per amore, due anni fa, ha anteposto la sua città alla sua carriera politica, è per noi motivo di tranquillità, e il rischio (qualora dovesse partecipare alla competizione e risultare eletto) che Modica possa essere governata da qualcuno al quale della città non frega niente ci procura un brivido alla schiena. E’ vero che tale rischio è poco probabile, giacché la classe politica modicana – come quella regionale e nazionale – è costituita da persone che non hanno altro obiettivo che il bene della città e dei loro concittadini, ma, in mezzo a tanta dedizione e altruismo, può sempre saltar fuori la gramigna ad infestare questo splendido campo di grano, dove maturano le spighe della correttezza, della lealtà, della coerenza e della politica intesa come servizio e mai come mestiere. In altri termini, se il nostro Sindaco andrà a Palermo, chi ci garantisce che il prossimo metterà il bene della città, come ha fatto lui, al di sopra dei suoi interessi personali e di partito?
E chi continuerà nell’opera intrapresa, quella di cambiare questa città? E’ vero che dopo sei anni non ci ha ancora spiegato quali siano e quali dovranno essere questi straordinari cambiamenti, ma bisogna convenire sul fatto che è sempre preferibile il cambiamento – anche se non sappiamo dove ci condurrà – al reazionario immobilismo!
Avendo dato la sua disponibilità a voler traslocare a Palermo, Torchi si trova adesso in una situazione davvero imbarazzante: due anni fa, non volle partecipare per amore della sua città, se stavolta intende partecipare ( ora che la città, tra l’altro, sta molto peggio di allora, non fosse altro che per il dissesto finanziario in cui è stata trascinata) delle due l’una: o allora Torchi ci raccontò delle bugie o questa città egli non l’ama più.
Giacché escludiamo che il nostro Sindaco dica le bugie, non resta che la seconda ipotesi. Ma in tal caso, il Sindaco deve spiegare ai suoi concittadini perché si è fatto rieleggere alla guida di una città che, evidentemente, non gli è più cara e perché ha perseverato a farle, quotidianamente, ardenti dichiarazioni d’amore. La disponibilità di Torchi ad abbandonare Modica è per noi, lo confessiamo, un duro colpo: il suo amore per Modica, come abbiamo già detto, è l’unica realtà che ci ha permesso di sperare ancora in una redenzione della politica! Adesso, anche quest’ultima, tenue speranza è crollata, e noi siamo precipitati nel baratro esistenziale.
Il responsabile nazionale Enti locali de “La Destra”, Nello Musumeci, ha dichiarato: “Un Sindaco o un presidente della Provincia che lascia in anticipo la gente della propria città in cerca di altri ruoli istituzionali compie una scelta assai discutibile, almeno sul piano dell’etica politica. Abbandonare prima della scadenza naturale la guida della comunità che lo ha eletto assume il sapore di una diserzione o di un egoismo personale, comunque contrario agli interessi pubblici. In questo modo la politica appare sempre più un carrierificio da cui i cittadini si allontanano con giustificato disgusto”. Non possiamo non condividere integralmente le osservazioni di Musumeci.
Il fatto che Torchi, nel dare la sua disponibilità alla candidatura, si trovi in affollatissima compagnia, non cancella comunque l’inopportunità di voler salire e scendere dalle Istituzioni, come fossero una giostra!
L’ERGASTOLO, LA POLTRONA E LA CATARSI
Durante l’assemblea dell’UDC, che si è svolta l’1 Febbraio a Ragusa, alla presenza di Saverio Romano, segretario regionale del partito, stando al resoconto che ne ha fatto il giorno dopo “Il Giornale di Sicilia”, l’on. Drago “ fa fatto sorridere la platea” dichiarando:” Per la Presidenza della Regione avevano proposto il mio nome. Ho detto subito di no perché altrimenti, per la storia dei fondi riservati, potrebbero pensare di darmi l’ergastolo”. Confessiamo che siamo rimasti attoniti e sbigottiti. Per quanto ne sappiamo, per questa faccenda, risalente al periodo in cui Drago era presidente della Regione, il leader dell’UDC modicano è già stato condannato, ma, giacché , se non andiamo errati, manca ancora l’ultimo grado di giudizio, anche per lui non può che valere la presunzione d’innocenza. E’ il caso di ricordare, però, che anche la sentenza che ha condannato Cuffaro – fatte, ovviamente, le debite differenze per quanto riguarda il capo d’imputazione – non è quella definitiva, eppure egli ha dovuto abbandonare la sua alta carica politica: ed è stato giusto così, non soltanto perché la sua permanenza alla guida della Regione gettava un’ombra di imbarazzante sospetto su tutta la Sicilia, ma anche perché – considerato che tutti i cittadini devono essere uguali dinanzi alla legge – è giusto che egli si difenda, nei prossimi gradi di giudizio, con le armi del comune cittadino, e non usufruendo di una situazione di privilegio e di prestigio. L’on. Drago, e in questo è certamente in affollatissima compagnia, non ha ritenuto di fare altrettanto: l’accusa, come abbiamo già detto, è diversa, ma che egli ci scherzi su, lo riteniamo eticamente poco opportuno e politicamente assai grave. Nella tanto disprezzata italietta di un secolo fa, per molto meno, un politico abbandonava la scena e si chiudeva in un impenetrabile e definitivo silenzio. Come sempre, il tempo fa giustizia: l’italietta di allora, pur coi suoi limiti, era impregnata di valori alti e intramontabili; quella di oggi si manifesta in tutta la sua avvilente e mortificante decadenza. Non meno biasimevole è stato l’atteggiamento della platea democristiana; la presunzione d’innocenza, infatti, non esclude, a priori, la possibilità della colpevolezza: pertanto, finché non sarà sancita la prima ed esclusa la seconda, una platea seria e consapevole avrebbe dovuto assumere un atteggiamento di responsabile neutralità. Né fischi né sorrisi di compiacimento, dunque, ma un comportamento esteriore che rispecchiasse un corretto atteggiamento interiore, che, in questi casi, non può non essere che una naturale sospensione del giudizio. Abbiamo voluto citare questo episodio perché è emblematico della situazione di decadenza che sta vivendo la nostra città, la nostra Regione e l’intero Paese. Il fatto che Drago scherzi sulle sue vicende giudiziarie è certamente grave, ma noi riteniamo ancor più grave il dato culturale che soggiace all’intera vicenda: qui non si tratta, infatti, di non capire la gravità della propria “battuta” – Drago è infatti una persona intelligente – ma di ritenere, evidentemente, che i fatti in questione non siano preoccupanti. Ma è preoccupante per noi, che per lui non lo siano!
Il problema, ovviamente, trascende l’episodio cui abbiamo fatto riferimento e assume delle connotazioni a dir poco allarmanti: Drago, infatti, è figlio del suo tempo e di un modo d’intendere la politica che ovviamente non condividiamo. Ci sembra opportuno, comunque, precisare, e non per motivi facilmente intuibili ma perché tale è la nostra intenzione, che quanto diremo adesso non è più a lui specificamente riferibile, ma, in generale, alla classe politica che governa Modica e la Sicilia. Una classe politica che porta il peso di una responsabilità, che sarà la storia, in futuro, a porre bene in evidenza, perché sia di monito alla generazioni che verranno. Noi, che ci muoviamo nella cronaca, abbiamo il dovere di lasciare ai posteri la nostra umile testimonianza, che aiuti coloro che verranno dopo di noi a comprendere eventi che oggi, purtroppo, non vengono recepiti nella loro intrinseca drammaticità. La decadenza di Modica, ad esempio, ha dei contorni talmente sfumati che non è facilmente intellegibile, anche perché sapientemente camuffata da chi ordisce, nell’ombra, i suoi nefasti progetti, e la politica, da luogo di progettualità si è fatta strumento di finalità che la trascendono. Molte volte, ad esempio, abbiamo rimproverato al sindaco Torchi il suo ossessionante ritornello di voler cambiare Modica: da un po’ di tempo, ci chiediamo se egli si sia mai domandato a chi giova l’esasperazione della mentalità mercantile, dello spirito concorrenziale, il proliferare delle banche, l’esponenziale aumento del fiume di denaro che ha inondato la città: sono queste infatti le coordinate entro le quali si è sviluppata la sua azione politica. Parlavamo della classe politica, e allora come non ricordare che questa vive nei compromessi con una naturalezza che dà i brividi, che cambia casacca con disgustosa disinvoltura; una classe politica abbarbicata alla poltrona, prigioniera di un ripugnante nepotismo che offende il buongusto e la democrazia. Lo scandalo del Consorzio bonifiche di Ragusa e quello dell’ATO ambiente di Palermo non sono più l’eccezione ma la regola: naturalmente non spetta a noi emettere sentenze e pertanto aspettiamo che la Magistratura si pronunci. Quel che ci indigna è che i casi, per i quali attendiamo tali pronunciamenti, aumentano con un ritmo così vertiginoso che non possono non destare una legittima preoccupazione. La situazione di degrado in cui vive Modica l’abbiamo già descritta innumerevoli volte e pertanto non è il caso di sottolinearla ulteriormente. Noi avvertiamo il diritto e il dovere di invitare i nostri concittadini ad ascoltare, in silenzio, la voce della loro coscienza e chiedersi quale città vogliono lasciare in eredità ai loro figli e ai loro nipoti: siamo certi, infatti, che il danno che questa Amministrazione sta infliggendo a Modica non è di quelli che scompariranno quando Torchi, Drago e i loro alleati saranno usciti di scena, ma è un danno che si farà sentire per tanto, tantissimo tempo. Vogliamo lasciare ai nostri figli una città fondata sul culto del denaro e dell’arricchimento, sul chiassoso divertimento, sulla volgarità, sul vacuo apparire, sul materialismo sfrenato; una città che sta diventando sempre più violenta, mortificata da innumerevoli atti di teppismo e persino da delitti, pochi anni fa inimmaginabili da queste parti? O vogliamo restituirle la dignità e la tranquillità perdute, ridarle i valori dello spirito calpestati dagli affari e dalle egoistiche leggi del mercato, ricondurla alla dimensione umana che le è stata letteralmente strappata e che la rendeva unica e straordinaria? Le elezioni politiche e regionali, e probabilmente quelle per eleggere il nuovo consiglio comunale, ci offriranno, fra non molto, l’ennesimo e disgustoso spettacolo di centinaia di candidati pronti a sbranarsi, come un branco di lupi affamati, per accaparrarsi la preda, che in questo caso è la poltrona, qualunque essa sia. Alla volgarità dei fatti si affiancherà l’ipocrisia, non meno triviale, delle consuete dichiarazioni di amore e di servizio alla città e ai Modicani.
Ancora una volta, a Modica come in tutta la Sicilia, il denaro sarà il criterio inappellabile della selezione e il conto in banca deciderà chi dovrà governare nei prossimi anni: l’ignoranza, l’imbecillità e la disonestà non saranno, come sempre, categorie preclusive. Ma quel che è maggiormente grave è che i cittadini saranno disposti, ancora una volta, a vendere Modica e la Sicilia, per il classico piatto di lenticchie. I Sindaci e i Presidenti delle Province lasceranno le loro poltrone per tentare di accomodarsi su altre più importanti e redditizie, fregandosene del mandato ricevuto pochi anni prima e trattando le Istituzioni come fossero lo zerbino dei loro lussuosi appartamenti. E’ triste pensare a decine di migliaia di poveri diavoli schiacciati dalla plutocrazia e convinti di vivere in democrazia. Anche il sindaco Torchi ha dato la sua disponibilità ed è pronto al sacrificio: se dovesse partecipare alla prossima competizione per le regionali, gli auguriamo – non essendo ipocriti – di perdere, per il bene della città e suo personale. Modica, infatti, si libererebbe di un Sindaco che l’ha trasformata in una città-mercato e in un permanente parco-giochi, e lui, non più sindaco e nemmeno onorevole, ridiventerebbe un comune cittadino, e allora, forse, libero dalle demagogiche promesse elettorali, dai compromessi e dalle sudditanze di partito, probabilmente si accorgerebbe di quanto male ha fatto alla sua città: potrebbe essere l’inizio della sua catarsi politica, e questo, lo diciamo senza alcuna ironia, glielo auguriamo in modo sincero e disinteressato.
Marzo 2008
LA POLITICA DELLE EMOZIONI E DELLE SUGGESTIONI
Le dichiarazioni di Nino Minardo, che abbiamo letto su “Il Giornale di Sicilia” dello scorso 10 Febbraio, rappresentano l’ennesima conferma che molti mali che affliggono la società odierna affondano le loro radici nella crisi del linguaggio, intendendo con ciò l’uso disinvolto e spesso poco appropriato della parola. Intendiamo riferirci al fatto che tutto ciò crea una pericolosa dicotomia tra la dimensione linguistica e quella concettuale. La parola non è più rivelatrice della realtà logica e ontologica della persona, nel senso che non è più manifestazione di ciò che si pensa e di ciò che si è. Il linguaggio, per dirla con Heidegger, si trasforma nella chiacchiera e diventa pura forma, senza contenuto.
Pur riconoscendo che la Sofistica ha lasciato a noi occidentali delle riflessioni ancora oggi attuali e positive, non possiamo però nascondere che in questo nostro tempo stanno riproponendosi, invece, quelli che furono, a nostro parere, gli aspetti più deleteri di quella stagione filosofica: ci riferiamo, in particolar modo, al nostro conterraneo Gorgia e alla sua tesi che il linguaggio è altra cosa dalla realtà. Un altro aspetto che consideriamo assai nocivo alla società è la frattura tra parola significante e cosa significata: basta leggere come scrivono, o cosa dicono, tanti presunti giornalisti per rendersi conto di come, troppo spesso, l’ignoranza dell’etimologia fa dire loro una sciocchezza dietro l’altra. E’ a causa di tale ignoranza che, con gran disinvoltura, si può affermare di “fare cultura”, dimenticando che la cultura non si fa, ma si possiede; o utilizzare il verbo insistere in maniera a dir poco ridicola: per tale motivo – a Modica, ad esempio – ci ritroviamo con i negozi che “insistono” sul polo commerciale e coi palazzi fatiscenti che “insistono” a Treppiedi nord.
Abbiamo voluto sottolineare queste dicotomie (quella tra pensiero ed essere e quella tra significante e significato) perché è proprio il consolidarsi di tale situazione che consente oggi ai politici di poter dire tutto e il contrario di tutto, di poter dare lezioni di moralità nonostante abbiano guai con la giustizia, di poter fare un discorso cui attribuiscono un significato totalmente opposto a quello che tutti gli altri percepiscono.
Le dichiarazioni di Minardo ne sono la prova inconfutabile. L’enfant prodige della politica modicana afferma: “ C’è un solo modo per risvegliare gli umori della gente di fronte ai minimi storici di fiducia verso la politica: un’onda emozionale reale, che annulli un pessimismo che, purtroppo, sembra fondato” La sfiducia nella politica, in verità, nasce dalla corruzione che la inquina, dall’interesse privato che prevale su quello pubblico, dai compromessi che offuscano la trasparenza, dall’opportunismo che distrugge la coerenza. Anziché gridare ai quattro venti l’urgenza di portare un po’ di pulizia nella politica, il nostro futuro deputato si preoccupa di diffondere ottimismo; ma l’aspetto più preoccupante di ciò che egli afferma sta nel ritenere che questo lo si può ottenere attraverso emozioni e suggestioni: “ il gusto della partecipazione e della politica condivisa” può rinascere, nei cittadini, se la politica da carriera diventa servizio e se i partiti danno prova di onestà, lealtà e trasparenza. Nelle dichiarazioni di Minardo l’uso disinvolto e inappropriato della parola appare in tutta la sua gravità: l’ottimismo, per lui, deve rinascere da un vivo e intenso turbamento provocato da commozione e da apprensione (questo il significato di Emozione) e da una situazione psicologica in cui un’idea o un’aspirazione s’impone alla coscienza per azione diretta o indiretta di un’altra persona cui non si riesce a opporre una valida resistenza (questo il significato di Suggestione) e non invece da un convincimento di natura logico-razionale, frutto di un’analisi attenta e ponderata dei fatti. Probabilmente senza accorgersene, Minardo ha rilasciato delle dichiarazioni che sono indiscutibilmente gravi.
Per quanto riguarda invece la frattura tra parola ed essere, segnaliamo quest’altra asserzione del giovane rampollo di casa Minardo: “Una politica, spesso, del <<nulla di nuovo>>, gattopardesca, e che allontana sempre più la gente” In questo caso, davvero, la parola non è per nulla rivelatrice di ciò che si è e di ciò che si fa. Come può, infatti, Minardo, rammaricarsi che nulla di nuovo si afferma nella politica, se egli incarna l’antitesi del nuovo? Come può lamentare la scarsa attenzione verso la quotidianità e le intelligenze, se queste vengono mortificate da quella stessa politica che lui condivide e nella quale agevolmente si muove?
Nei nove mesi in cui ha guidato, malissimo, il Consorzio Autostrade Siciliane e adesso che si è trasferito su un’altra poltrona presidenziale, quella della Fondazione Federico II, si è mai chiesto in virtù di quali titoli e quali competenze ha raggiunto tali prestigiosi traguardi? Si è mai domandato se, in quanto a titoli e competenze, centinaia di giovani siciliani, quei giovani cui sempre si rivolge, avrebbero magari potuto tranquillamente scavalcarlo, se quelle poltrone, anziché essere assegnate dall’alto, fossero state democraticamente assegnate sulla base di pubblici e trasparenti concorsi?
Noi non pretendiamo che Minardo dimostri coerenza tra ciò che dice e ciò che fa: questo è un problema suo. Ma offendere la nostra intelligenza non lo consentiamo a nessuno: e non è certo per lui che faremo un’eccezione!
IL SACRIFICIO DI TORCHI
Finalmente se n’è andato! L’espressione è assai dura, lo sappiamo, ma fra i tanti difetti che abbiamo, ce n’è uno che proprio non riusciamo ad attribuirci, ed è quello dell’ipocrisia. Per noi, dunque, che non abbiamo mai sopportato la politica-spettacolo di Torchi, il fatto che non sia più sindaco di Modica lo consideriamo per la città un’autentica benedizione. Le sue dimissioni, ovviamente, hanno suscitato in noi delle considerazioni che, con la consueta franchezza, esponiamo ai nostri lettori. La prima lo riguarda indirettamente, perché si riferisce alle dichiarazioni fatte lo scorso 25 Febbraio dal segretario dell’UDC di Modica, Gino Veneziano, in occasione del direttivo cittadino del partito della vela. Questi ha dichiarato: “Non ci siamo voluti sottrarre alle nostre responsabilità ed abbiamo chiesto un sacrificio al nostro uomo migliore che è Piero Torchi” Come abbiamo recentemente scritto, viviamo in un tempo caratterizzato dalla “chiacchiera”, ossia da un linguaggio sganciato dalla realtà, dove le parole, anche le più significative, vengono bistrattate e piegate agli interessi propri o del gruppo cui si appartiene. Per Veneziano, dunque, il povero Torchi, candidandosi alle regionali, sta sacrificandosi, il che vuol dire che sta vivendo una condizione che comporta una privazione grave, con aspetti che vanno dal disagio alla sofferenza. A noi non sembra che questa sia la situazione dell’ex sindaco, ciò infatti non emerge né dal punto di vista formale né da quello sostanziale. Per quanto riguarda il primo, invitiamo i nostri lettori a sfogliare Il Giornale di Sicilia del 5 Marzo e guardare attentamente la foto che ritrae il nostro Sindaco (lo era ancora) insieme a Drago e allo stesso Veneziano: ci aspettavamo, visto il sacrificio, di vedere un volto contrito e rattristato e ci siamo ritrovati a guardare una faccia che sprizzava felicità da tutti i pori. Per quanto riguarda l’aspetto sostanziale, è veramente paradossale usare il termine sacrificio per indicare il tentativo di approdare a Palermo e guadagnare, oltre ai tanti privilegi connessi alla carica di deputato regionale, la ragguardevole somma di 14000 euro al mese, mentre i tanti lavoratori delle cooperative comunali non sanno dove sbattere la testa per poter arrivare a fine mese, a causa della sua dissennata politica finanziaria, che ha creato un buco stratosferico nel bilancio comunale, anche per organizzare feste, sagre e quant’altro, finalizzate, esclusivamente, a ottenere quel consenso che adesso potrebbe consentirgli di realizzare il progetto che insegue da anni: il grande salto da Modica a Palermo.
Al segretario cittadino dell’Udc consigliamo di usare le parole con maggiore competenza, anche perché definire la candidatura di Torchi un sacrificio potrebbe risultare assai offensivo per tutti coloro che i sacrifici li fanno sul serio. Coloro che vivono del loro lavoro, che hanno sudato le proverbiali sette camice per ottenerlo senza dover ringraziare qualche padrone o qualche padrino, coloro che hanno conseguito un elevato titolo di studio e che guadagnano il 10 % di quello che Torchi si metterà in tasca ogni mese se andrà a sedere a Palazzo dei Normanni; lui che non ha mai conosciuto, se non andiamo errati, l’impegno e le fatiche del lavoro quotidiano. La si smetta, dunque, di adoperare a sproposito parole impegnative: il sacrificio lasciamolo agli eroi, una categoria che in Italia, tra l’altro, si è estinta ormai da un bel pezzo. Per quanto riguarda Torchi, non ci soffermiamo sui danni, alcuni irreparabili, che la sua amministrazione ha inferto alla città e ai cittadini, perché li abbiamo denunciati innumerevoli volte, per cui ci limitiamo a qualche considerazione sulle modalità con le quali è uscito di scena. Da questo punto di vista gli diamo atto di essere stato coerente, come dimostra la sua ultima dichiarazione da Sindaco: “ Non è un abbandono della città, ma solo il prosieguo di un progetto, in una sede importante quale l’ARS, per far sì che questa provincia e questo territorio tornino a recitare un ruolo da protagonista sui palcoscenici regionali e nazionali”. Con una ragguardevole dose di retorica si insediò a Palazzo San Domenico e con una dose altrettanto considerevole ne esce. Adesso che ha lasciato la carica di primo cittadino, sentiamo il dovere di dare a Torchi quel che è di Torchi: noi lo abbiamo sempre ritenuto, e lo abbiamo scritto, un politico dotato di discrete doti amministrative, fornito di una buona oratoria, capace di esprimersi in un corretto italiano – cosa non frequente fra i politici modicani – e al quale non manca una buona dose di scaltrezza. Purtroppo, queste sue doti non sono state messe al servizio della collettività, ma sono state utilizzate esclusivamente per i suoi fini personali, per programmare, insomma, la sua carriera politica. Se fosse riuscito a conciliare le sue ambizioni personali – che sono ovviamente legittime – con l’interesse della città che ha amministrato, probabilmente la sua amministrazione sarebbe stata un po’ meno catastrofica. Come abbiamo già detto, non è il caso di ripetere, ancora una volta, le motivazioni della nostra opposizione – che in questi anni è stata dura e costante – a Torchi: chi avesse voglia di rinfrescarsi la memoria non ha che da leggere quanto in proposito abbiamo scritto. Ora che è calato il sipario su questa deludente esperienza – con l’augurio che la si smetta di dire che è finita un’era: si tratta di Torchi che lascia Palazzo S. Domenico, non di Napoleone che parte per Sant’Elena – vogliamo mettere in evidenza, fra gli innumerevoli difetti del politico Torchi, i due che maggiormente infastidiscono le persone dotate di buon senso e raziocinio. Il primo è quello di aver puntato tutto sulla politica-spettacolo. Sappiamo bene che oggi l’appartenenza ad un partito non ha radici profonde e legami resi saldi da un’ideologia forte, ma Torchi, comunque, si è presentato con un simbolo impegnativo, che richiama i valori del cattolicesimo liberale. E’ stata questa una delle grandi contraddizioni della sua amministrazione: non si può conciliare l’ideale cristiano con una visione capitalistica e dunque materialistica della società; non si può stare sotto le insegne cristiane e nel contempo creare un clima politico che favorisce soltanto il mercato, gli investimenti e gli appalti. Un politico che si dice cristiano ha il dovere di tenere con sé, come fosse una reliquia, la dottrina sociale della Chiesa, che è inconciliabile con l’impostazione socio-economica che Torchi ha dato in questi anni alla sua azione politica. Crediamo che lui appartenga alla categoria dei “berlusconiani impliciti”, che agiscono e pensano come il signore di Arcore, ma non lo sanno. Non si tratta di una contraddizione da poco: egli sta dove non dovrebbe stare. Il partito cui appartiene è ben altra cosa dal partito di plastica in cui idealmente milita. La diversità, ovviamente, riguarda il piano dei valori: su quello della correttezza e della pulizia morale stendiamo invece un velo di pietoso silenzio! Anziché richiamarsi ai valori forti della tradizione cristiana cui il suo partito si ispira, Torchi ha abbracciato la politica- spettacolo del signor Berlusconi.
Il secondo difetto del politico Torchi, che in questi anni ci è risultato tante volte insopportabile, è quello dell’uso e dell’abuso della retorica, con cui ha creduto, sbagliando, di poter nascondere persino l’evidenza. Anche adesso, che è chiaro a tutti che ha utilizzato e strumentalizzato la città per programmare la sua carriera politica e che si comporta come un capitano che, anziché affondare con la nave, l’abbandona per primo nel bel mezzo della tempesta, il nostro ex sindaco ribadisce l’amore per la sua città e addirittura presenta il suo abbandono come un ulteriore atto di dedizione: egli non tenta di andare a Palermo per acquisire i privilegi di varia natura che ciò comporta, ma perché spinto unicamente dal desiderio di continuare a “servire” la sua città da una sede più importante. E noi, ancora una volta, meno male che è l’ultima, non riusciamo a trattenere la nostra commozione!
Adesso che si è dimesso, i suoi oppositori – ci riferiamo ai cittadini che non l’hanno amato e non ovviamente ai consiglieri dell’opposizione: a parte qualche eccezione, infatti, il centro sinistra, a Modica, non è certo diverso dal centro destra – penseranno che finalmente Modica potrà rinascere. Indipendentemente dalle dichiarazioni di Drago - “Non ci tiriamo mica indietro, nessuno si illuda! Tra qualche giorno vi mostreremo come e con chi abbiamo intenzione di essere ancora protagonisti del progetto da completare a Modica” , segno che hanno deciso, dopo averla ridotta in frantumi, di procedere alla sua totale demolizione – non è proprio il caso di nutrire speranze: coi personaggi che si aggirano fra le stanze di Palazzo San Domenico, potrebbe anche capitarci di dover rimpiangere Piero Torchi!
Aprile 2008
IL MEDIOEVO SICILIANO
Le recenti elezioni hanno purtroppo confermato quanto temevamo: è crollata ogni speranza di vedere risorgere la nostra terra, “bellissima e disgraziata”. C’è un dato che tante persone non riescono a scorgere, frastornate come sono da un caotico vortice di chiacchiere, di sondaggi e percentuali e dalle solite alchimie dialettiche per rendere storiche le vittorie e per nascondere le sconfitte. Il dato è che la Seconda Repubblica, su cui tanto hanno discusso giornalisti, politologi e sociologi, non esiste, per il semplice motivo che non è mai nata. Una Seconda Repubblica che sarebbe sorta sulle ceneri della prima, travolta da scandali, tangenti, concussioni e corruzioni. Evidentemente, come italiani, siamo destinati ad essere di pessimo esempio per le nazioni serie e civili: quel che abbiamo combinato nel XX secolo, infatti, resterà una macchia indelebile nella nostra storia, complessa e travagliata. Nel primo conflitto mondiale, alleati con gli uni, entrammo in guerra con gli altri; per quanto riguarda il secondo, lo iniziammo – a torto o a ragione – con un alleato e lo finimmo insieme a coloro che fino al giorno primo erano stati nemici nostri e del nostro alleato. Per quel che concerne la Prima Repubblica, sorse probabilmente da un inganno e sempre da un inganno – sebbene di altra natura – è sorta la presunta Seconda. E’ vero che l’operazione tangentopoli nacque dalla complicità fra il Partito Comunista e certi settori della Magistratura per demolire la Democrazia Cristiana e il partito di Craxi, ma ciò non toglie che la scomparsa della vecchia balena bianca suscitò in noi la speranza che l’Italia potesse finalmente liberarsi di un partito corrotto, connivente, in ampi suoi settori, con la malavita organizzata, clientelare, nepotistico e ipocrita, considerato che inalberava il vessillo cristiano all’ombra del quale compiva le più abiette nefandezze morali e politiche. Il dato preoccupante, già da tempo emerso, e che queste elezioni hanno confermato in modo ancora più netto e inequivocabile, è che l’Italia e la Sicilia, soprattutto, sono ancora in mano alla Democrazia Cristiana, che non è affatto defunta, ma, come si suol dire, ancora viva e vegeta. La situazione è tale non soltanto perché molti protagonisti di questo partito si sono abilmente riciclati nelle nuove formazioni politiche, con una prevalenza in quelle di centro destra, ma soprattutto perché è democristiano il modo di intendere e di fare politica dei vari Berlusconi, Fini, Casini, Rutelli, Veltroni, Marini, Mastella e tanti e tanti altri. L’essere democristiano, infatti, è un modo ben preciso di pensare e di agire: è quello di accettare i compromessi, di compiere le scelte non sulla base dei principi ma a seconda della convenienza del momento, è il non prendere posizioni chiare, nette e quando è il caso anche irrevocabili, è il saper dare un colpo al cerchio e uno alla botte; è, insomma, l’arte di essere disposti a tutto pur di conquistare una poltrona.
E’ la capacità di dichiararsi cristiani, frequentare le sagrestie e nel contempo – quelli della mia generazione lo ricordano bene – andare sottobraccio coi figlioletti di Marx e di Mao o coi sostenitori – come fanno adesso con Fini e Berlusconi – del capitalismo selvaggio ed egoista che la Chiesa, al pari del Comunismo, da molto tempo ha condannato. Per quanto riguarda la Sicilia, il dato allarmante è che questa, al contrario di quanto accade in altre Regioni, dove l’eterogeneità delle forze politiche consente una dialettica che è essenziale per la vita democratica,
era e rimane un feudo della vecchia DC. Non pensavamo, davvero, che sarebbe arrivato per noi il giorno in cui ci saremmo vergognati di essere siciliani; di far parte di un popolo che due anni fa ha rieletto Cuffaro alla presidenza della Regione e che oggi vi spedisce il democristiano Lombardo: un uomo buono per tutte le stagioni, amico di “ Totò vasa vasa ” e soprattutto esponente di spicco del “cuffarismo”, ovvero della politica delle clientele e dei favoritismi. Alla luce delle nostre idee politiche, che i lettori sanno, giacché proprio su questo giornale le abbiamo chiaramente esposte, non possiamo certo essere sospettati di avere delle simpatie politiche per Anna Finocchiaro: gli steccati ideologici, però, non devono impedirci di valutare le situazioni in modo obiettivo e razionale. Per tale motivo, riteniamo che i siciliani, ancora una volta, hanno voltato le spalle alla trasparenza e alla correttezza e hanno dimostrato di voler continuare a vivere come servi della gleba, al servizio di nuovi vassalli, valvassori e valvassini, di protestare per la mancanza di lavoro e mandare a Palermo dei signori che considerano il lavoro non un diritto di tutti ma un privilegio riservato a parenti, amici e conoscenti; di indignarsi perché quest’Isola è prigioniera della mafia e non contenti di averlo rieletto Governatore spediscono Cuffaro a Palazzo Madama e a Palermo Lombardo, il quale non può parlare di rinnovamento e nello stesso tempo usufruire del consistente appoggio del suo predecessore. Ed è paradossale che il partito di Casini, che in questa campagna elettorale ha parlato incessantemente di valori e principi, lo abbia candidato al Senato e per giunta come capolista: d’altronde, i valori e i principi si innalzano e si sotterrano in base alle convenienze del momento, ma i voti portati da Cuffaro restano! Quanto accaduto nella nostra provincia conferma la sciagura che si è abbattuta sull’Isola. Drago, che in questa campagna elettorale ha condannato i cambia casacca, come se lui la casacca non l’avesse mai cambiata, transitando disinvoltamente da un partito laico a uno dichiaratamente cattolico, è stato naturalmente rieletto; ed eletto è stato Nino Minardo, del quale aspettiamo ancora di conoscere, in modo dettagliato, le capacità e le competenze che gli hanno consentito, in pochissimi anni, di eccellere su tutti, a tal punto da poter passare, con una versatilità che ha dello straordinario, dal turismo alle autostrade e infine alla Fondazione Federico II, sempre ai posti di comando, naturalmente. Adesso che ha raggiunto Montecitorio, aspettiamo di vederlo all’opera come ministro della Repubblica! Lo zio, invece, ha pensato, furbescamente, di puntare a Palermo e ovviamente ci è arrivato: anch’egli premiato per aver cambiato casacca più d’una volta, fino a scoprirsi autonomista: il tutto, ovviamente, per il bene nostro e della sua città. Naturalmente Minardo va a Palermo in buona compagnia: vanno con lui Ragusa, Incardona, Leontini, Di Giacomo e Ammatuna. Fra i non eletti non possiamo non ricordare Carpentieri che raccoglie a Modica oltre duemila preferenze e soprattutto i 4700 modicani che hanno voluto ringraziare Torchi per avere abbondato la città nel momento più delicato della sua storia amministrativa. Come dire la Sicilia che guarda al futuro e vuole rinnovarsi! Ci lamentiamo della politica perché non sa più guardare ai problemi veri delle persone e perché è incapace d’interpretare e orientare la storia, e quando ci è data la possibilità di rinnovarla ridiamo le leve del comando a una classe politica – ci riferiamo ai vecchi democristiani e ai loro eredi di oggi – che non ha nulla da dire, perché non ha progetti culturali ed è priva di passione. Saremo anche intelligenti e geniali noi siciliani, ma politicamente apparteniamo ancora al Medioevo.
LA PATTUMIERA D’EUROPA
Il grande filosofo Soren Kierkegaard sosteneva che il vero problema con cui deve misurarsi ogni uomo è quello di scegliere che cosa vuole essere, nel senso di decidere che tipo di esistenza intende condurre. Abbiamo sempre ritenuto che la politica, se vuole essere seria e propositiva, deve interiorizzare quanto sostenuto dal filosofo danese, operando, ovviamente, una trasposizione dall’ambito soggettivo – che è quello preso in considerazione da Kierkegaard – a quello oggettivo, e chiedersi che tipo di società vuole edificare. Si tratta, naturalmente, e ne siamo consapevoli, di un impegno culturale profondo e di un progetto politico complesso, ma riteniamo che la sua mancata realizzazione sia la causa della crisi che avvolge la politica italiana, dal piano nazionale a quello locale. La politica, infatti, da nobilissima arte è diventata volgare ricettacolo delle meschine debolezze umane: uno strumento per fare soldi e carriera; un mezzo per coltivare clientele e, troppo spesso, un comodo rifugio per ignoranti, falliti e disoccupati. Modica, naturalmente, non fa eccezione e difatti, anche durante quest’ultima campagna elettorale – in cui coloro che hanno deciso di “sacrificarsi” a Palermo o a Roma per il bene della città, e che ci hanno guardato sorridenti e ammiccanti dai manifesti elettorali affissi senza regole e senza alcun rispetto per la città che dicono di amare – non uno di questi “martiri”, sia di quelli eletti sia di quelli che han dovuto rinunciare al martirio, si è degnato di dirci che tipo di Stato e di Regione vuole costruire; nessuno si è preoccupato di comunicarci quale sia la sua visione del mondo – ammesso che ne abbia una – entro cui collocare poi il suo progetto politico. Non c’è alcuno che si sia reso conto che la politica non è soltanto prassi. Se non è sostenuta da un progetto culturale chiaro, definito e complessivo è come una nave che naviga a vista e basta un po’ di nebbia perché vada a sfracellarsi sugli scogli. Quanto detto è facilmente riscontrabile in quello che sta accadendo in questi giorni a Modica: sembra, infatti, che il destino di questa città dipenda dal “famigerato” Eurochocolate. La programmata edizione del 2008, infatti, è stata per parecchi giorni al centro di quotidiane polemiche, e la città, nell’attesa di ingurgitare chili di cioccolato, intontita e frastornata, fra le minacce di Guarducci, le pretese del Consorzio di tutela e le rassicurazioni di Provincia e Comune, ha vissuto il suo dramma: si farà o no la grande kermesse? Vivremo o no la mirabile ed emozionante notte fondente?
A questi interrogativi vogliamo aggiungerne un altro: ma i modicani si sono resi conto o no di quanto la città è caduta in basso? Ma è possibile che il problema dei problemi in questa martoriata città è quello di una manifestazione che crea soltanto caos, sporcizia e frastuono e che non è utile a nessuno, come dimostrano le recenti dichiarazioni degli albergatori, che, per la fine di Aprile, registrano il tutto esaurito, senza che questo abbia alcuna relazione con la kermesse del cioccolato !
Ma davvero dovremmo perdere il sonno per una sagra paesana istituita al solo fine di ottenere consensi? Ci chiediamo, costernati, se c’è ancora una speranza, anche piccola, che i modicani si possano ravvedere, e possano capire che coloro che, in questi anni, hanno amministrato la città li hanno usati ed hanno trattato Modica come un mercato, dove sono state vendute finte promesse, impegni solenni poi miseramente naufragati sulla polvere della falsità e pomposi proclami stracolmi di retorica. Noi riteniamo che sia giunto il momento che i nostri concittadini si rendano conto che le sagre e le fiere sono uno strumento per non farli pensare, affinché la loro attenzione sia dirottata verso ciò che è futile e inutile. Per tale motivo, li esortiamo a porre, a coloro che grazie al loro voto sono stati eletti, alcune domande e di pretendere delle risposte chiare e inequivocabili: cosa vogliono fare di questa Regione e di questa città? Chiedano loro se e come intendono porre fine alla vergogna del lavoro come privilegio di pochi e non come diritto di tutti; se e come vogliono debellare la piaga del nepotismo e del clientelismo; se e come intendono farla finita con le connivenze mafia-politica. Domandino loro se e come ritengono di liberare la sanità siciliana dalla sudditanza alla politica, affinché i cittadini siano sicuri che un primario sta in quel posto grazie alle sue competenze e non perché figlioccio di qualche padrino politico o mafioso. Ci dicano, costoro, che adesso andranno a “sacrificarsi” a Roma e a Palermo, se e come credono di liberare la nostra terra da una situazione infrastrutturale da terzo mondo. Siamo certi, purtroppo, che queste domande resterebbero senza risposta, e il nostro pessimismo nasce da un’amara considerazione. E’ in atto, ormai da tempo, un perverso connubio per ottenebrare le menti dei cittadini: da un lato, li si stordisce con le sagre e le feste di paese – a Modica abbiamo quella del cioccolato, e per tale motivo ne abbiamo parlato, ma ognuno ha ovviamente le proprie – dall’altro, si fa in modo di intontirli facendo loro credere che la politica sia soltanto l’arte di provvedere a illuminare una strada, a coprire una buca, a invertire un senso di marcia. E di tutto questo il popolo discute nei bar, nelle piazze, come faceva col calcio il lunedì mattina, quando questo era il protagonista della Domenica, prima che anch’esso fosse stravolto dall’umana idiozia. Il decadimento della politica non è in verità che la fine della politica. Il capitalismo sfrenato, che si è ormai impadronito anche della nostra terra, crea delle disuguaglianze inaccettabili; il dominante liberismo ha posto il mercato e le sue leggi al di sopra di tutto e lo Stato, non potendo intervenire, si fa complice di questo attentato, vile ed egoista, verso i meno abbienti e i meno fortunati; le nostre frontiere sono state rese inutili da una politica demagogica che accoglie tutti, anche coloro che andrebbero rispediti subito al mittente;
assassini e stupratori stanno ai domiciliari o in permesso premio, e tornato a delinquere, e un giudice, che impiega otto anni per depositare le motivazioni di una sentenza di mafia - consentendo, nel frattempo, a sette condannati di essere scarcerati – viene mantenuto in servizio dal Consiglio Superiore della Magistratura; i grandi Enti sono stati quasi tutti privatizzati, col risultato che il servizio al cittadino non conta più nulla, sacrificato sull’altare degli affari e del profitto; la Campania è sommersa dai rifiuti e il suo Presidente rimane tranquillamente al suo posto: i cittadini devono vivere in mezzo alla sporcizia e respirare veleno, e nessuno paga per le colpe commesse; il Parlamento accoglie indagati e condannati che i partiti ricandidano e che il popolo regolarmente rielegge. Ma a questi autentici disastri che inquinano la politica – e che in un popolo civile provocherebbero una incontenibile repulsione – il popolo italiano, purtroppo, sembra essersi abituato. La politica è finita perché questo popolo non ha la dignità di mandare a quel paese, per sempre, una classe politica che ha fatto dell’Italia, dal punto di vista morale, la pattumiera d’Europa. L’ex sindaco di Modica fece scrivere in suo manifesto elettorale: un futuro da raccontare.
Ma gli italiani, e i siciliani in particolare, hanno ancora un futuro?
Maggio 2008
I CORVI E LE AQUILE
Noi non sappiamo quanti siano i nostri concittadini che leggono con regolarità i quotidiani locali; di una cosa però siamo certi: o sono pochissimi, o quelli che li leggono lo fanno in modo veloce e superficiale. Se i modicani, infatti, leggessero, in maniera puntuale e attenta, la locale cronaca politica, potrebbero forse rendersi conto del fatto che la classe politica modicana non è in grado di amministrare la loro città, e dunque potrebbero forse decidere di attuare un ricambio che a nostro parere non è più prorogabile.
Leggendo il “Giornale di Sicilia” del 3 Maggio, abbiamo colto due autentiche “perle” che, come di consueto, sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori. Una riguarda le dichiarazioni rilasciate dal presidente del consiglio comunale, Enzo Scarso, in relazione alla nota vertenza riguardante i ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti comunali. Per cogliere, nella sua interezza, l’aspetto paradossale e politicamente assai modesto di tali dichiarazioni, è necessario, però, ricordare, brevemente, quanto accaduto.
Mercoledì 30 Aprile, il civico consesso si è riunito per discutere su alcune varianti al piano regolatore. Crediamo sia il caso di ricordare che il piano deve essere ancora approvato, e, pertanto, introdurre delle varianti prima che ciò accada significa condizionarne il futuro assetto; a tale scorrettezza se ne aggiunge un’altra non meno grave, che è quella di discutere e deliberare su tali questioni nell’ultimo giorno utile per farlo: davvero un bel modo, non c’è che dire, di rappresentare gli interessi dei cittadini e di programmare con ponderatezza il futuro della città.
A tutto questo si aggiunga che alla riunione erano presenti i dipendenti comunali che da due mesi non percepiscono il loro sacrosanto stipendio, ma il consiglio comunale ha pensato bene di anteporre la discussione sulle varianti a quella ben più importante che riguarda centinaia di famiglie che da due mesi sono costrette a fare i conti con la precarietà. La seduta è stata poi rinviata per mancanza del numero legale, giacché i consiglieri Giannone, Cerruto e Stracquadanio hanno abbandonato l’aula: i primi due per sottolinea la loro contrarietà a discutere delle varianti, il terzo in segno di solidarietà coi dipendenti presenti.
Qualche giorno dopo, “grazie anche alla mediazione del deputato regionale Riccardo Minardo” la situazione è stata finalmente sbloccata e i lavoratori municipali potranno finalmente incassare gli emolumenti loro dovuti.
Detto ciò, non ci resta che riportare la dichiarazione del presidente Scarso: “ Il consiglio comunale ha dimostrato, ancora una volta, seppur in un momento difficilissimo per l’ente, di saper volare alto e di saper fare gli interessi della collettività tutta senza guardare ai colori politici. Un chiaro esempio di quel genere di politica che la città chiede da tempo e di cui abbisogna”.
Più d’una volta abbiamo rimproverato all’ex sindaco Torchi di amministrare una città virtuale: non pensavamo che anche Scarso presiedesse un consiglio comunale virtuale. Le sue affermazioni sono lo specchio di quell’immensa frattura che si è ormai creata fra la città e la sua classe politica, che sembra aver perso ogni contatto con la realtà che dovrebbe amministrare. Com’è possibile, infatti, tessere le lodi di un consiglio comunale che si comporta in tal modo!
L’intervento di Minardo, poi, dimostra, ancora una volta, che in questa nostra disgraziata terra, ciò che è un diritto deve apparire una generosa elargizione dovuta all’intervento del potente di turno.
Ma torniamo al civico consesso; non ha deliberato su nulla – e d’altronde, come abbiamo visto, non poteva farlo – ha mostrato un comportamento che abbiamo già dimostrato essere scorretto e non ha avuto alcun merito nella risoluzione del problema dei dipendenti comunali: che cosa ha fatto di così straordinario per sostenere che sa volare alto?
Se, per il suo presidente, il consiglio comunale vola alto perché qualche consigliere si fa vedere interessato al problema sostando coi dipendenti davanti alla banca tesoriera del comune non c’è davvero di che stare allegri: la politica, a Modica, è veramente giunta al capolinea.
Forse, e lo abbiamo scritto più d’una volta, sarebbe il caso di usare le parole con maggiore prudenza e non mischiare il sacro col profano. Cosa c’entra la politica delle correnti, del nepotismo, delle mediazioni, delle sudditanze e del cambiare casacca con il volare alto? L’altezza si raggiunge quando non si hanno padroni, quando si risponde soltanto al tribunale della propria coscienza, quando si è disposti a rinunciare anche alla più comoda delle poltrone pur di non vendersi al migliore offerente, quando l’interesse della collettività si antepone al proprio, quando i valori e gli ideali prevalgono sul miserabile obiettivo di riempire, sempre più e in qualunque modo, il proprio portafogli.
Siamo proprio sicuri che siano queste le caratteristiche della classe politica modicana?
Nella nostra città, svolazzano ancora troppi corvi: il “volare alto” lasciamolo alle aquile!
Avevamo parlato di due autentiche “perle”, ma ci rendiamo conto di non avere più spazio per raccontarvi della seconda, ossia della iniziativa del PDL e del suo leader, Nino Minardo, di chiedere ai modicani quali sono le priorità amministrative. La politica, insomma, chiede alla società che cosa deve fare!
Ci ripromettiamo di parlarne nel nostro prossimo articolo.
IL POPULISMO E LA DEMAGOGIA
Come avevamo annunciato nello scorso numero di questo giornale, oggi ci occupiamo dell’altra “perla” apparsa sul “Giornale di Sicilia” dello scorso 3 Maggio. Il giorno successivo, alcuni rappresentanti del Popolo delle libertà - noi che non ne facciamo parte siamo stati inscritti d’ufficio, ovviamente, in quello delle dittature; purtroppo, fra le tante idiozie che contraddistinguono questo nostro tempo, quelle linguistiche sono all’ordine del giorno - hanno presidiato alcune piazze della nostra città, distribuendo ai modicani dei volantini contenenti le dodici priorità amministrative alle quali occorreva dare un voto da 1 a 5. Ci sembra opportuno, per chiarezza, elencarle: riqualificazione periferie, riqualificazione quartieri storici, miglioramento viabilità, revisione convenzioni onerose, revisione costi di gestione società partecipate, razionalizzazione del personale, valorizzazione beni culturali, miglioramento dei servizi, coinvolgimento delle attività produttive, pianificazione canali di finanziamento, ambiente, risanamento finanziario.
Come si può vedere ce n’è per tutti i gusti! Un calderone onnicomprensivo, che, proprio perché tale, è insignificante sul piano programmatico; anche l’ultimo degli imbecilli si renderebbe conto della sua irrealizzabilità. Si tratta di un fatto esecrabile sul piano politico, trattandosi di demagogia allo stato puro: chiacchiere, che hanno il solo scopo di produrre un po’ di fumo che nasconda la mancanza dell’arrosto. Imbrigliate nelle reti di un pessimo italiano e nei lacci del solito politichese, queste magnifiche priorità sono soltanto lo specchietto per le allodole, che, nella fattispecie, sono i soliti sprovveduti, sempre pronti, purtroppo, a cadere nelle trappole della politica, quella che si vende al mercato delle illusioni e delle vane promesse.
La trovata di Minardo è moralmente deprecabile e politicamente risibile. Il leader cittadino del PDL e i suoi amici – ogni qualvolta i democristiani si chiamavano fra loro in tal modo, il grande Montanelli esclamava: “Dio li perdoni” - si sono scoperti all’improvviso operativi e pragmatici: la città è in crisi (sull’orlo del baratro, aggiungiamo noi), le casse comunali sono vuote, i processi e gli avvisi di garanzia non mancano, il civico consesso è latitante, il traffico ha ormai abbondantemente superato i limiti dell’umana sopportazione, e, allora, questi volenterosi cultori delle libertà hanno deciso che è venuto il momento di ascoltare i modicani e risanare questa povera città, individuandone, naturalmente, le priorità.
Dobbiamo confessare che tale iniziativa, in un primo momento, ci ha messo in serio imbarazzo con noi stessi: abbiamo infatti temuto per la nostra stabilità mentale.
L’azione intrapresa da Minardo, infatti, ce lo ha fatto collocare, nella precedente amministrazione Torchi, sui banchi dell’opposizione, a redarguire, anche con veemenza, sindaco e assessori, man mano che le loro scelte affossavano la città; i fatti, invece, ci attestano il contrario e cioè che lui e i suoi amici – Dio li riperdoni! – stavano con Torchi, sedevano nella stanza dei bottoni, votavano i bilanci che hanno distrutto Modica e condividevano le scelte dell’ex sindaco, quando, per mantenere nella città un clima di perenne campagna elettorale, dilapidava il pubblico denaro per organizzare fiere, sagre e quant’altro.
E’ dunque moralmente deplorevole che questi signori, adesso, si propongano come i risanatori del disastro che hanno contribuito a creare.
L’altro aspetto della vicenda è illuminante, perché apre uno squarcio su quello che è l’avvilente statura politica di coloro che si propongono per amministrare la città. Una classe politica che domanda alla società che cosa deve fare e che ha bisogno dei cittadini per stilare una graduatoria delle priorità. Ci si potrebbe rispondere che non si tratta di questo, ma di impegnarsi, se eletti, a risolvere i diversi problemi, sulla base delle indicazioni dei cittadini. Ci auguriamo che le cose non stiano così, perché sarebbe ancora peggio. Le contingenze, le disponibilità economiche, le possibilità di ottenere finanziamenti, gli accordi sopra o sotto i banchi: da tutto questo dipendono le scansioni temporali dei progetti da realizzare e non certo dalle speranze dei cittadini.
Si tratta, pertanto, di un fatto che giudichiamo assai grave, anche se, naturalmente, non ci sconvolge, per il semplice motivo che sappiamo da tempo quanto siano grandi i limiti politici di coloro che in questa città la politica – per svariati motivi – si ostinano a volerla fare.
Noi riteniamo che questo episodio sia preoccupante, e lo abbiamo già detto, ma per certi aspetti anche esilarante. Il dato allarmante sta nel fatto che la politica è tale quando sa guardare con attenzione alla società, riesce a interpretarne i bisogni e le aspettative e ad orientarla democraticamente verso finalità condivise; quando avviene il contrario, siamo di fronte a forme deleterie di demagogia e populismo. L’aspetto esilarante sta, a nostro parere, nell’aver scambiato il “sapere ascoltare” la società – che avviene, naturalmente, con modalità molto complesse, dove entrano in campo fattori sociologici, statistici, economici e culturali - con l’andare realmente in piazza a proporre quesiti ai cittadini.
Siamo sicuri che i nostri lettori capiranno la nostra angoscia, al pensiero che questa classe politica, quasi certamente, per altri lunghissimi cinque anni, avrà nelle mani il destino della nostra città.
IL CORAGGIO DI DON ABBONDIO
Da qualche tempo, i politici della nostra città hanno acquisito l’insopportabile vezzo di condire ogni loro discorso con la frase “ per il bene della città”, intendendo sottolineare, con un’ ipocrisia che è pari alla loro sfacciataggine, che ogni loro azione non è volta al soddisfacimento di interessi personali, ma solo ed esclusivamente alla salvaguardia del bene comune. Alla luce dei disastri che questi signori hanno combinato, non possiamo non tremare al pensiero di cosa avrebbero potuto provocare se non fossero stati sorretti da un così “ nobile sentimento”. Oggi, probabilmente, vivremmo nel ricordo di una città dalla storia prestigiosa e dall’architettura maestosa, giacché Modica sarebbe una landa desolata e i suoi cittadini si aggirerebbero fra le sue vie, un tempo impreziosite dal suo impareggiabile barocco, come automi, dalle facce smunte e inespressive. Ma, per fortuna, non è così, e dunque abbandoniamo l’orrore per un futuro che non si è ancora avverato e torniamo al presente: esso non è catastrofico come l’avvenire che abbiamo immaginato, ma certamente è ben lontano dal possedere le sembianze di quel paradiso terrestre in cui ci hanno voluto far credere di vivere, soprattutto il nostro ultimo Sindaco e la sua allegra brigata.
Quella stessa che ha inferto il colpo mortale al già dissestato bilancio comunale, a tal punto che dopo il Municipio anche il Tribunale – forse unico caso in Italia – non può più usufruire delle linee telefoniche, sulle quali è piombata a troncarle la spada impietosa della Telecom Italia; è l’ennesimo anello dell’umiliante e avvilente catena degli impegni non mantenuti dal nostro indebitatissimo Comune.
Di tutto ciò, ovviamente, il maggiore responsabile è il nostro ex Sindaco, colui che più d’ogni altro ha amato in questi anni la sua città – così ha dichiarato – e tuttavia l’ha abbandonata, lasciandole un’eredità pesantissima. Ovviamente, non prendiamo nemmeno in considerazione la sua tesi, secondo cui il suo tentativo di andare a Palermo non è nato da ambizioni personali, ma dal desiderio di servire ancora meglio la sua città: non ci soffermiamo su questo perché da molto tempo, per ragioni anagrafiche, abbiamo smesso di credere alle favole.
L’altro insopportabile vezzo di molti politici modicani è quello di attribuire a tutto ciò che pensano e a tutto ciò che fanno – o credono di fare – una valenza quasi metafisica: ciò che li riguarda viene sempre assolutizzato, a tal punto da assumere le fattezze della grandiosità e da essere collocato sulle più alte vette del pensiero e dell’azione politica; ciò vale non soltanto per l’ex sindaco, ma anche, ad esempio, per il presidente del consiglio comunale, che più d’una volta ha magnificato le opere del consiglio che presiede: una quindicina di giorni fa, assalito da un’ incontenibile ammirazione per il civico consesso, ha addirittura osato affermare che quest’ultimo dimostra di “saper volare alto”. In questi ultimi anni, insomma, Modica è stata governata da una classe politica che non si è mai risparmiata nel ricordarci il suo sconfinato amore per la città e che non ha mai evitato – e la
cosa non è certo elegante – di autocomplimentarsi e di autocompiacersi per le magnificenze che ha saputo realizzare.
Ad un mese dalle prossime amministrative, di queste magnificenze, ci sembra doveroso ricordarne alcune, come quella che vede come protagonisti alcuni funzionari del Comune, retto da Torchi per sei anni, per i quali la pubblica accusa chiede multe e condanne, nell’ambito del processo per le vergognose autorizzazioni concesse per la costruzione dell’ormai tristemente noto kartodromo e dell’altrettanto tristemente celebre impianto di biomassa in zone sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici; e come non ricordare il traffico infernale in cui l’amministrazione uscente ha costretto e costringe a vivere i suoi concittadini e che tale non era, lo sappiamo tutti, nel momento in cui si insediò per la prima volta a Palazzo S. Domenico; come dimenticare la cementificazione della città, che l’ha trasformata in un cantiere perenne, provocando a tutti noi una quotidiana intossicazione da polvere e frastuono e le proteste dei dipendenti comunali che hanno dovuto sudare le proverbiali sette camice per poter percepire il loro legittimo stipendio. Ci sembra doveroso, poi, ricordare ai nostri concittadini il buco stratosferico nel bilancio comunale, cui hanno certamente contribuito gli Eurochocolate, le Notti Bianche, e tutto il variopinto campionario di fiere e sagre, che hanno caratterizzato l’amministrazione Torchi, e che sono state sempre e fortemente volute, per assecondare la logica della perenne campagna elettorale in cui questa città è stata costretta a vivere per ben sei anni; e come non ricordare i tredici avvisi di garanzia a politici e funzionari comunali, indagati per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro. Naturalmente, aspettiamo l’esito delle indagini prima di esprimere un qualunque giudizio: i tredici, infatti, devono essere considerati innocenti finché una sentenza non dimostrerà il contrario.
Non c’è dubbio, tuttavia, che questo non contribuisce a migliorare l’immagine di una città alla quale, in questi ultimi anni, sono stati cambiati i connotati: è diventava sporca, invivibile, chiassosa e volgare. Giorno dopo giorno, abbiamo assistito al triste sfiorire della sua bellezza e della sua eleganza. Non possiamo infine tacere la situazione a dir poco disastrosa in cui versa la raccolta dei rifiuti solidi urbani e i problemi drammatici degli operatori ecologici, alle prese, da anni, con i mancati pagamenti del loro salario e con una situazione lavorativa al limite della sopportazione; a tal punto che il 6 Maggio, mantenendo fede a quanto avevano promesso, hanno occupato l’aula consiliare. A proposito della protesta dei netturbini, vogliamo segnalare una situazione dal sapore grottesco: ci riferiamo alla presenza, accanto agli occupanti, di alcuni consiglieri del centro destra, che si son fatti vivi per portare la loro solidarietà, come se non fossero stati loro a votare quei bilanci che hanno ridotto in condizioni pietose le casse comunali, e dunque a determinare la precarietà di coloro che adesso vanno a consolare. Pare che qualcuno abbia anche portato dei viveri agli occupanti.
La situazione, come sappiamo, si è momentaneamente risolta, ma, se quanto ci è stato riferito è realmente accaduto, questi solidali consiglieri, in cerca di facili consensi, potrebbero avere inaugurato, a Modica, una prassi assai pericolosa, che andrebbe ad aggiungersi agli innumerevoli disastri che hanno già combinato: ci riferiamo al rischio che possano provocare, in tutti coloro che oggi pagano le conseguenze della pessima amministrazione Torchi, la pericolosa sindrome di Stoccolma, e che pertanto le vittime possano finire per ringraziare i loro carnefici. Noi riteniamo sia giunto il momento di smascherare l’inganno che da qualche tempo intorpidisce il cervello dei modicani; essi si sentono cittadini, protagonisti del loro presente e artefici del loro futuro, e non s’accorgono d’essere diventati sudditi di personaggi senza scrupoli, che, a dispetto dei pomposi annunci, questa città non l’hanno mai amata ma sfruttata, non l’hanno mai adeguatamente valorizzata, perché incapaci di guardare al di là del cioccolato e delle giostre fasulle. La nostra Modica, per quel che è stata e per quel che potrebbe essere, avrebbe certamente meritato di più e di meglio. Adesso, in prossimità delle elezioni, ricomincerà il valzer delle solite promesse e delle consuete dichiarazioni d’amore alla città. Un’anteprima ci è stata offerta dal deputato Riccardo Minardo – uno fra i maggiori responsabili del declino della politica nella nostra città – il quale auspica la formazione di un governo di salute pubblica, perché ridia credibilità alla classe dirigente che andrà a governare la città nei prossimi anni.
Della decadenza di Modica, ovviamente, non è certo responsabile solo Minardo, citiamo lui perché le sue affermazioni ci danno la misura di quanto sia ristretto l’orizzonte politico dei nostri amministratori. A suo parere, insomma, il governo di salute pubblica può ridare credibilità alla classe politica - è già qualcosa che abbia ammesso che l’ha persa, anche se noi avremmo detto “dare” anziché “ridare” – come se la credibilità di una persona fosse una merce che si può comprare al mercato delle alleanze, dei compromessi e degli esperimenti istituzionali. Come se bastasse un tavolo di confronto o quello che, poco elegantemente, viene definito “inciucio”, per conferire credibilità ad un essere umano. In questo nostro mondo, dove tutto si può comprare, anche le persone, la credibilità, per fortuna, resiste ancora alle spietate leggi del mercato. Essa è come il celebre coraggio di don Abbondio; o si ha o non si ha: “ tertium non datur”
Uno dei grandi equivoci del nostro tempo è che molti, stupidamente, ritengono che basti una poltrona, una cravatta e un cellulare per poterla avere. Noi quasi mai l’abbiamo riscontrata in questi patetici personaggi; molte volte, invece, l’abbiamo apprezzata in coloro che non hanno niente, che vanno avanti grazie alla fatica del lavoro quotidiano, che vivono nell’autenticità della vita, perché conoscono la sofferenza, il dolore, ma anche i sogni e le speranze. E’ di questa autenticità che Modica ha bisogno, per uscire dal baratro in cui l’hanno fatta precipitare. Fra un mese andremo a votare: ci auguriamo che finalmente i modicani possano esprimere un voto consapevole e libero, dimostrando di sapersi affrancare dalle promesse e dai ricatti e di volere affidare la città a persone oneste. Solo l’autenticità e l’onestà, infatti, potranno salvare Modica dalla deriva e ricondurla sulla rotta giusta.
Giugno 2008
LA MORTE CIVILE DI MODICA
Sul “Giornale di Sicilia” del 6 giugno è stato dato ampio spazio – articolo e relativa foto – ad un avvenimento che in una società seria ed evoluta sarebbe passato inosservato. Non si tratta, ovviamente, di mettere il bavaglio all’informazione, ma, in questo caso, ci sembra che la rilevanza data alla vicenda sia stata eccessiva: ci riferiamo all’incontro romano fra Berlusconi e il candidato sindaco Scucces, sotto lo sguardo compiaciuto del deputato Nino Minardo, artefice del colloquio, che si è svolto nientemeno che nella residenza romana del premier.
Molte sono le riflessioni che ci ha suscitato tale avvenimento. La prima riguarda l’inutilità della trasferta di Scucces, al quale Berlusconi avrebbe detto: “ Il tuo programma, la tua serietà, la tua determinazione, la tua conoscenza sono i mezzi ideali per il futuro di Modica . Mi ha convinto il tuo progetto. Mi convince la tua convinzione nel portarlo avanti e mi convince il contenuto delle tue idee”. Sembrerebbe, leggendo tale dichiarazione, che Berlusconi conosca assai bene Scucces – a noi francamente non risulta – e che abbia le idee chiare sui programmi che intende realizzare. Il fatto è esilarante, demagogico e preoccupante.
Scucces ha infatti dichiarato: “ Era fondamentale per me, nell’accettare la candidatura a sindaco della città, che ci fosse la sensibilità delle parti politiche che sono mio diretto riferimento. E mi pare che, dopo l’incontro avuto a Roma con il presidente del Consiglio, questa sia ormai un’assoluta certezza”. La vicenda non può non produrre una situazione di irresistibile ilarità, da qualunque lato la si esamini. Se Scucces è andato a Roma per accertarsi che Berlusconi fosse d’accordo con la sua candidatura, non siamo più nella politica, ma nel paradosso: evidentemente il candidato Sindaco ritiene che Berlusconi abbia le stesse doti del Padreterno, in questo caso quella dell’onniscienza, giacché dovrebbe sapere tutto su tutti i candidati sindaci della sua coalizione sparsi nell’intera penisola; oppure lo ritiene così fesso da fidarsi ciecamente di ciò che su di lui gli ha riferito Nino Minardo, come se il premier non sapesse che è proprio Minardo lo sponsor di Scucces e pertanto non può che cantarne le lodi.
Ma la vicenda diventa anche comica se si pensa che a ricevere l’avallo del premier non è andato il candidato sindaco di Roma o di Milano, ma quello di Modica, ossia di una cittadina di provincia del profondo sud, che probabilmente lo stesso Berlusconi fatica ad individuare sulla carta geografica della Sicilia. Scucces, evidentemente, vuole emulare il suo amico Torchi, che purtroppo è sempre stato convinto di amministrare una metropoli, ed è proprio da questo equivoco che sono nati i grandi disastri prodotti dalla sua amministrazione.
Il fatto, comunque, non può non mettere di buonumore, qualora pensassimo, per un istante, che cosa diventerebbe palazzo Grazioli se tutti i candidati sindaci di tutta Italia – del PDL, naturalmente - decidessero di andare a trovare Berlusconi per ricevere la sua benedizione. Siamo sicuri, essendo note le manie di grandezza del capo del governo, che deciderebbe di trasferirsi al Colosseo.
L’aspetto demagogico di questo incontro è quello di averlo utilizzato ai fini elettorali, e questo la dice lunga sulla qualità della politica: si va a Roma per portare a casa una bella foto col premier per poterla esibire agli elettori. Come se ciò bastasse a conferire a un candidato delle grandi capacità politiche e un’indiscussa integrità morale. Scucces potrà anche possederle entrambe, ma il fatto che a certificarle debba essere un altro – che sia il presidente del consiglio, ovviamente, non cambia i termini della questione – è un dato allarmante. Un tempo, le qualità di un uomo politico emergevano dalle sua azioni quotidiane, dai suoi progetti di ampio respiro, dalla sua condotta integerrima, dalla sua rettitudine morale: oggi, qualunque candidato, se le autoconferisce, e molto spesso si rivolge a qualche amico perché se ne faccia garante. E’ il segno dei nostri tempi: poveri di ideali e stracolmi di ipocrisia e superficialità!
Per quanto riguarda l’aspetto preoccupante, lo abbiamo, naturalmente, lasciato per ultimo. Esso riguarda il deputato Nino Minardo. Più volte ci siamo occupati di lui, per esprimere la nostra indignazione per il modo in cui costui ha scalato così velocemente la montagna della politica, fino a collocarsi, non diciamo sulla vetta, ma certamente nelle sue vicinanze. Di ciò che ha ottenuto in Sicilia – in virtù di quali meriti, attendiamo da tempo che si decida a spiegarlo ai suoi concittadini – dalla presidenza dell’azienda turismo di Ragusa, a quella del consorzio autostradale, per finire con quella della fondazione Federico II a Palermo, ne abbiamo scritto svariate svolte. Siamo certi – anche questo lo abbiamo detto e lo riconfermiamo – che fra non molto ce lo ritroveremo prima sottosegretario e poi ministro.
Ci chiediamo come sia possibile che un giovane parlamentare, che alla Camera, nel foltissimo gruppo del PDL, è una presenza insignificante – dal punto di vista politico naturalmente – possa recarsi a palazzo Grazioli, portando con sé il suo candidato sindaco, farsi ricevere dal premier ed ottenere pure la foto ricordo.
Già, com’è possibile! Come si spiega che nel giro di pochissimi anni costui sia diventato il leader cittadino della coalizione berlusconiana? Perché, in occasione delle ultime politiche, è stato inserito nella lista in posizione blindata, e dunque con la certezza di andare a Montecitorio?
Abbiamo la netta sensazione che i nostri concittadini preferiscano non vedere e non capire. E non si rendono conto che, se continueranno a non ascoltare le loro coscienze, a chiudere i loro occhi e ad oscurare le loro menti, finiranno per decretare la morte civile di questa nostra città.
Luglio 2008
LE CONVERSIONI SULLA VIA DI DAMASCO
Abbiamo provato, in questo periodo, a resistere alla tentazione di dire la nostra sulla recente competizione elettorale che ha visto Buscema prevalere su Scucces; abbiamo deciso di tacere per svariati motivi che naturalmente non diciamo, perché siamo convinti che non interessino per nulla ai nostri lettori. Se adesso abbiamo deciso di rompere il silenzio che ci eravamo imposti è perché non ne possiamo più del buonismo, dell’ipocrisia e della faciloneria che sembrano aver contagiato tutti, soprattutto coloro che hanno sempre militato a sinistra – giornalisti, politici, comuni cittadini – e per i quali Riccardo Minardo, inavvicinabile fino a qualche tempo fa, è all’improvviso diventato un alleato leale e affidabile.
Prima di analizzare questo repentino cambio d’opinione, vogliamo però dire che l’alleanza fra Buscema e Minardo ha determinato certamente qualcosa di positivo: ha liberato la città – soltanto dal punto di vista politico; non illudiamoci – dalla perniciosa intesa Drago-Minardo ( la famiglia Minardo, s’intende!) che tanti danni ha prodotto in questi sei anni, e che aveva in Torchi – la cui assenza dalla scena politica è per Modica un’autentica benedizione – il fedele esecutore del loro modo d’intendere la politica e che non abbiamo mai condiviso.
La “Modica da bere” – che ci ricorda tanto la Milano craxiana, comunista e democristiana degli anni Ottanta, affogata poi miseramente nella melma di tangentopoli – si è rivelata un bluff, come abbiamo sempre denunciato in questi anni. E difatti noi modicani abbiamo “bevuto” smog, cemento, appalti, indagini e avvisi di garanzia!
Aver prodotto la sconfitta politica di un potere economico onnipresente e di un deputato
che, attraverso il suo ex pupillo, ha contribuito in modo determinante a portare la città sull’orlo del baratro, e che ve l’avrebbero gettata se avesse vinto il loro nuovo pupillo, è l’unico elemento positivo che riusciamo a scorgere nell’accordo tra l’MPA e il Centro sinistra. Certo non è poco, ma una città non può essere tirata fuori dal fango facendo leva soltanto sulla “pars destruens” che una coalizione è capace di attuare: è naturale che si punti l’attenzione sulla “pars construens” che è quella che veramente conta.
L’accordo Buscema-Minardo ci ricorda i matrimoni d’una volta, quelli combinati dai parenti dei futuri sposi, per trarne un qualche vantaggio in termini di prestigio o di quattrini.
Pur essendo politicamente distante da noi, abbiamo sempre avuto stima per il nuovo Sindaco, anche se lo abbiamo spesso giudicato una gran brava persona in pessima compagnia. E difatti, forse succube di tale compagnia, ha finito per dar vita a un governo cittadino che – ci auguriamo di essere smentiti – non promette nulla di buono. L’alleanza con Minardo rischia di stritolare in una morsa le sue buone intenzioni. Alla luce della sua riconosciuta onestà e della sua disinteressata passione politica, era legittimo aspettarsi da Buscema il coraggio di correre da solo: non facendolo, ha insinuato in molti suoi concittadini – e noi non siamo tra questi – il sospetto di tenere più alla poltrona che al bene della sua città. Da lui è legittimo aspettarsi un cambiamento reale, una ventata di pulizia e di trasparenza nelle stanze di palazzo San Domenico, che in questi anni sono state rese cupe e irrespirabili dalla demagogia e dalla mediocrità politica di Torchi e del suo entourage.
Non è possibile, far finta di nulla, e dimenticare che Riccardo Minardo, cui oggi Buscema s’aggrappa per poter politicamente sopravvivere, per cinque anni ha dato il suo pieno sostegno all’ex sindaco, ovvero a colui che ha portato Modica al collasso amministrativo e al dissesto finanziario; non si può cancellare con un colpo di spugna il fatto che Minardo rappresenta la perfetta incarnazione di quel modo tutto democristiano di fare politica sul quale è meglio stendere un pietoso velo di silenzio!
E che dire del vicesindaco, quell’Enzo Scarso che per anni ha presieduto il peggior consiglio comunale che la città abbia mai avuto, e da lui più d’una volta elogiato e addirittura esaltato. Delle due l’una: o non credeva o credeva realmente a quel che sosteneva. Ma sia vera l’una o l’altra ipotesi, Enzo Scarso ne esce male e risulta politicamente poco affidabile. Adesso la pensa diversamente: ma le fulminee conversioni sulla via di Damasco – a meno che non si tratti di San Paolo – non ci hanno mai convinto. E come non ricordare che nella stanza dei bottoni ci ritroviamo Giorgio Cerruto, che per anni è stato assessore nella giunta Torchi e fervente sostenitore della politica dell’ex sindaco, quella politica che è stata per la città una calamità, a tal punto che ci vorranno decenni per eliminare i guasti che ha prodotto.
Ci sembra doveroso, infine, complimentarci con D’Antona, che alla poltrona ha preferito la coerenza, e non saranno gli steccati ideologici che ci dividono ad impedirci di apprezzare il suo encomiabile gesto.
Noi siamo convinti che Buscema potrebbe veramente far soffiare sulla città il vento del cambiamento, ma nutriamo seri dubbi che possa farlo, collaborando con coloro che per anni il cambiamento l’hanno impedito e che sono corresponsabili del disastro politico e finanziario
di Modica. Auguri, signor Sindaco, nonostante tutto!
Settembre 2008
I BUONI E I CATTIVI
Le ultime vicende legate alle dichiarazioni di Alemanno e La Russa sulle leggi razziali del ’38 e sui ragazzi di Salò mi hanno fatto tornare in mente la rabbia e il tormento che anche caratterizzarono il mio impegno politico negli anni del Liceo, prima, e dell’Università, dopo. Furono gli anni in cui presi piena consapevolezza di vivere in un Paese di opportunisti e voltagabbana, e, soprattutto, di appartenere ad un popolo afflitto da una insopportabile disposizione al manicheismo, che è intellettualmente fragile quando è connesso alla concezione della vita e alla visione del mondo, abietto e spregevole quando diventa criterio per selezionare i morti, e separare in tal modo i buoni dai cattivi. Ricordo, come fosse adesso, gli studenti e gli operai “ uniti nella lotta” dar vita a interminabili cortei per gridare forte la loro indignazione – che era ovviamente giusta - per la morte di qualche giovane di sinistra, che ci aveva rimesso la pelle in uno dei tanti scontri frontali, allora molto frequenti, con le forze dell’ordine e coi giovani missini.
L’Italia intera si fermava; nelle scuole e nelle fabbriche, studenti e operai in sciopero davano vita a comizi infuocati, denunciando i poliziotti “servi dei padroni” e i ragazzi di destra “assassini”.
Ondate di sdegno si levavano da ogni parte d’Italia, e cominciava, in televisione e sui giornali, l’interminabile sequela dei dibattiti e delle inchieste sulle immancabili “trame nere”, mentre i “democratici” comitati studenteschi dei licei e delle università rendevano impossibile la vita a chi non sopportava l’eskimo e non si abbeverava al verbo marxiano, quotidianamente diffuso sul giornale del PCI. A questo ricordo, però, se ne aggiunge un altro: è quello del giovane Sergio Ramelli, morto col cranio spappolato dalle spranghe “ democratiche e antifasciste” di qualcuno che non sopportava l’idea che qualcun altro potesse pensarla in modo diverso dal suo; ricordo il rogo di Primavalle, con due bambini carbonizzati: pagavano la colpa di avere un padre che aveva osato non appartenere alla “triplice sindacale” – democratica e antifascista, ovviamente – e, cosa ancora più ignominiosa, aveva avuto l’ardire di militare in un sindacato di destra.
Mi tornano i brividi quando penso che davanti a quei morti – ne ho citati tre, ma furono tantissimi – l’Italia continuava tranquillamente a lavorare e produrre; nelle scuole e nelle università ai ragazzi di destra non venivano concessi il tempo e gli spazi per commemorarli; la stragrande maggioranza degli studenti si accomodava serenamente in classe con la superficialità e l’insensibilità tipica degli utili idioti; gli operai si recavano nei cantieri e nelle fabbriche come se nulla fosse successo e gli abitanti delle nostre città non venivano disturbati da chiassosi e fastidiosi cortei.
A riportare la mia mente a quegli anni politicamente difficili – per altri aspetti, ovviamente, meravigliosi, come solo sanno essere gli anni dell’adolescenza e della gioventù - sono state, come ho detto all’inizio di queste mie considerazioni, le affermazioni di La Russa che ha reso omaggio ai ragazzi di Salò e quelle di Alemanno che ha giustamente affermato che le leggi razziali furono il “male assoluto” ma non tutto il Fascismo.
Apriti cielo! Gli antifascisti in servizio permanente effettivo ( anche quelli che nel Ventennio furono fascisti fino al midollo: ormai son rimasti in pochi, per l’ineluttabile trascorrere del tempo)
hanno immediatamente lanciato anatemi e scomuniche, perché non è tollerabile che nel parlamento italiano – quello stesso in cui sedette Cicciolina e siedono deputati e senatori corrotti e in odor di mafia - possa esserci qualcuno che osa vedere qualche, e sottolineo qualche, aspetto positivo nel ventennio fascista o in quei ragazzi di Salò che morirono per un ideale che in buona fede ritenevano giusto.
Bene ha fatto Roberto Menia, sottosegretario all’ambiente, a dire che è ora di smetterla di fare alla destra “gli esami del sangue” e a portare il suo personale esempio di figlio di un’esule istriana e a chiedersi chi stava dalla parte sbagliata: i volontari della RSI che difendevano Trieste e l’Istria o i partigiani che si macchiavano dell’infamia delle foibe?
Ancora una volta questo disgraziato Paese è vittima del suo endemico doppiopesismo.
Mai qualcuno che abbia chiesto – prima che le ultime elezioni li facessero scomparire dal parlamento – simili “analisi” ai vari Bertinotti, Cossutta e Diliberto. I figlioletti di Stalin e Pol Pot e gli amici di Castro potevano tranquillamente occupare gli scranni del parlamento nazionale e, con una buona dose di sfacciataggine, impartire lezioni di democrazia e dichiararsi fedeli servitori della Costituzione.
Per gli ammiratori e i seguaci di quei carnefici non è mai stata chiesta nessuna abiura ed hanno potuto pontificare, in questi anni, sul sacro valore della libertà.
Ritengo che sul Fascismo valgano le considerazioni che lo storico Ernst Nolte fece sul Nazismo: è un passato che non passa, che non soggiace ad alcun processo di indebolimento e di dissoluzione, “ma sembra, al contrario, diventare sempre più vivo e vigoroso: non come modello bensì come spauracchio, come passato che si pone come presente o che pende sul presente come una mannaia”. Ovviamente, questa affermazione di Nolte ha una valenza storica assai profonda e un significato molto complesso e non è certo questa la sede per affrontarli. Coscientemente, quindi, la utilizzo in modo superficiale, affermando che in Italia per troppo tempo molti hanno avuto interesse a fare del Fascismo un passato che non passa, avendo costruito sull’antifascimo – dopo aver pensato e agito da fascisti durante il Ventennio – brillanti carriere politiche e ingenti fortune economiche.
I loro eredi perseverano a tenerlo in vita per altri scopi: evidentemente, senza contrapporsi ad un nemico – anche se questo si è estinto sessant’anni fa - faticano a trovare una loro identità e non sono capaci di consegnare alla storia ciò che a questa appartiene: si continua a guardare al passato perché si è incapaci di progettare il futuro.
Ciò che provoca avvilimento, in tutta questa vicenda, è che dopo trent’anni io sia ancora qui a chiedermi perché il mio Paese, nonostante il suo passato e la sua storia, non riesca a conquistare la serenità e la maturità, e ad essere veramente civile.
Sulle abiure di Fini e sui suoi colonnelli, costretti a ritrattare le loro affermazioni nel giro di poche ore, non mi soffermo: è una storia moralmente triste e malinconica; politicamente e storicamente oscena.
Ottobre 2008
Modica: la crisi della politica e il dissesto delle finanze
La facciatosta della minoranza e le contraddizioni della maggioranza
Sono passati quattro mesi dall’insediamento di Antonello Buscema a palazzo San Domenico, ma il cielo, sulla nostra città, rimane plumbeo e minaccioso. Modica si è liberata da colui che in questi ultimi anni, come Caronte coi dannati, l’ha traghettata sulle aride spiagge del declino politico ed economico, ma all’orizzonte non si vedono ancora spiragli di luce; la città è come avvolta da una notte boreale: il buio è costante, le tenebre non si diradano e i fantasmi hanno le sembianze del dubbio e dell’incertezza del futuro.
L’obiezione a queste nostre considerazioni è ovvia: in quattro mesi Buscema non poteva certo fare di più. Tale argomentazione sarebbe valida se il nostro sindaco avesse potuto fare qualcosa: il problema è che, come avevamo previsto, nulla o quasi egli può fare, nonostante le sue buone intenzioni. Come abbiamo più volte scritto, i danni inflitti alla città dalla precedente amministrazione sono talmente gravi che probabilmente anche la prossima generazione ne pagherà le conseguenze.
Modica è stata distrutta nella sua coscienza civile e persino i modicani non pensano e non agiscono come prima. Per tale motivo, i buoni propositi non bastano più. Senza un vero ricambio della classe politica e soprattutto senza un innalzamento del livello culturale di chi ha deciso di fare politica, la notte boreale, in questa città, rischia di diventare permanente. La mediocrità politica di deputati, senatori, assessori e consiglieri è un dato ormai assodato ed ovviamente ci preoccupa, ma quel che trasforma la nostra preoccupazione in profondo turbamento è l’aver preso atto che i politici modicani sono afflitti da un male assai grave, quello della facciatosta: questa presuppone, infatti, che il cervello dei loro concittadini o è offuscato da un’ assai labile memoria, o, peggio, stordito da una progressiva degenerazione della sua capacità d’intendere e volere. Troppo spesso, infatti, si lasciano andare a comportamenti poco opportuni e a dichiarazioni incoerenti e contraddittorie.
La veridicità di quanto sosteniamo è suffragata da innumerevoli esempi: per ragioni di spazio ci limitiamo a citare i più eclatanti. La palma del “migliore”, in questo senso, non può non essere conferita al rampollo della famiglia Minardo, il quale, scagliandosi con veemenza contro l’ASL ragusana, la mette sotto accusa, perché – a suo parere - elargisce consulenze amministrative ad esperti esterni, sperperando denaro pubblico; ma non è qui, naturalmente, che il deputato dà il meglio di sé. Egli supera se stesso nel momento in cui, a proposito dei professionisti esterni, afferma ironizzando: “ sulle cui competenze ci sarebbe molto da discutere”.
L’osservazione nasce ovviamente spontanea: da quale pulpito giunge la predica!
Può darsi che questa sia la volta buona e finalmente Minardo si decida a rispondere a ciò che attraverso la stampa locale più volte gli abbiamo chiesto, ossia di spiegare ai suoi concittadini in base a quali competenze ha diretto l’azienda del turismo di Ragusa, il Consorzio autostradale siciliano e infine la Fondazione Federico II di Palermo. I modicani aspettano di poter visionare la documentazione che attesta le sue, a questo punto eccezionali, competenze, che gli hanno consentito di poter passare da un settore amministrativo all’altro con gran disinvoltura. Il deputato Minardo potrà anche essere un genio, ma se la sua genialità gli ha permesso di stravincere sugli altri che aspiravano alle poltrone sulle quali si è comodamente seduto, egli ha il dovere morale e politico di documentarla. A pari merito di Minardo non possiamo non collocare Giorgio Aprile, che ha avuto l’ardire di criticare il nuovo piano del traffico e di fornire anche suggerimenti: lui, cui Modica deve la situazione di autentico disastro in cui versa la viabilità cittadina; lui che per cinque anni ha diretto – si fa per dire – un assessorato che non ha fatto nulla per rendere più accettabile la vita ai cittadini; lui che è stato comodamente seduto su una poltrona dove mai si sarebbe dovuto accomodare, avendo dimostrato di non possedere le cognizioni minime intorno al problema del traffico e della viabilità in generale; lui che ha regalato ad una cittadina il traffico di una metropoli.
In questa non esaltante classifica, riserviamo il terzo posto al deputato Peppe Drago, che tramite Torchi ha governato la nostra città per sei anni, ed è pertanto il primo responsabile dello sfascio.
In occasione delle ultime amministrative, dal pulpito di piazza Matteotti – e non abbiamo usato questo termine per caso, visto che più d’una volta abbiamo avuto la sensazione di ascoltare un’omelia episcopale - ha ribadito in modo assillante la necessità che i politici ascoltino le indicazioni che provengono dalla Chiesa. Noi lo ricordavamo laico e socialista. Che si sia convertito al cattolicesimo militante è un problema suo, ma questo non può consentirgli di denigrare, da quello stesso pulpito, coloro che cambiano casacca, di screditare una categoria di politici della quale, a pieno titolo, anch’egli fa parte.
Alle sue spalle collochiamo, a pari merito, il consigliere Paolo Nigro e il suo collega Nino Gerratana. Il primo, stigmatizzando l’amministrazione comunale per aver agito, a suo parere, in modo scorretto in occasione dell’approvazione della salvaguardia degli equilibri di bilancio, ha fatto notare la correttezza dei consiglieri di opposizione, che pur avendo la possibilità di far mancare il numero legale ( ma la sua affermazione è stata smentita dalla maggioranza il giorno dopo) hanno deciso di far valere il loro senso di responsabilità restando stoicamente in aula.
Ma dove è stato in questi anni il consigliere Nigro? Noi non abbiamo alcuna intenzione di assumere la difesa dei consiglieri dell’attuale maggioranza – ai quali, in questi anni, non abbiamo risparmiato critiche, per l’atteggiamento passivo, a volte quasi connivente, che hanno assunto quand’erano all’opposizione – ma un consigliere dell’UDC modicano non è abilitato a dare lezioni di correttezza istituzionale per quanto concerne il civico consesso. Se fosse opportuno, e se il direttore di questo giornale ce lo permettesse, saremmo pronti a dedicare a questa vicenda un’intera pagina di “Dialogo” per rinfrescare la memoria al consigliere Nigro su quante ne hanno combinate gli attuali consiglieri di minoranza quand’erano maggioranza. Il secondo (Gerratana), in occasione dell’affidamento del servizio di assistenza igienico personale al centro disabili di via Sacro Cuore, con una buona dose di enfasi, rivolgendosi a Buscema, ha dichiarato: “Se un uomo non è disposto a combattere per le proprie idee, o non valgono niente le sue idee, o non vale niente lui”. Al consigliere Gerratana – considerato che parla di idee con tanta passionalità - chiediamo di voler spiegare ai suoi concittadini quali sono le sue, perché, probabilmente, alla luce dei suoi
trasferimenti all’interno dell’emiciclo comunale, non le hanno ancora capite. Per la verità nemmeno noi!
E infine, come non porre nei primi posti Riccardo Minardo ed Enzo Scarso, diventati all’improvviso lombardiani e autonomisti, che puntano il dito contro le magagne commesse dalla precedente amministrazione; i due sono in una posizione per la verità assai scomoda. Dovrebbero spiegare ai modicani perché, se erano a conoscenza di tali magagne quando stavano anch’essi nella stanza dei bottoni, non le hanno denunciate e non sono poi andati via sbattendo la porta; se non ne erano a conoscenza, perché non se n ‘erano accorti, pur avendo ricoperto posti di rilievo e di potere, allora la situazione da preoccupante diventa allarmante.
Un posto fra i premiati lo riserviamo ovviamente al nostro attuale sindaco e alle forze di centro sinistra che lo sostengono, ricordando le loro invettive contro Torchi e compagni, e rammentando loro che adesso stanno al governo con gli ex amici di quello, ma soprattutto coi sostenitori di Lombardo, ovvero del cuffarismo sotto altre vesti, più raffinato e meno volgare, ma sempre foriero di quel clientelismo dal quale i siciliani non riescono, perché non vogliono, a liberarsi; si pensi alle ultime vicende riguardanti le assunzioni, per chiamata diretta, di figli, nipoti e sorelle nei posti dirigenziali della regione siciliana.
Come possono, coloro che hanno sostenuto e che sostengono Rita Borsellino, governare ora con Lombardo (leggasi Minardo e Scarso), amico ed erede di Cuffaro?
Come abbiamo già ricordato, Buscema, non andando da solo al ballottaggio, e dimostrando, dunque, di preferire la poltrona al bene della sua città – anche se così non fosse, questa è tuttavia l’immagine che ha dato di sé - è finito prigioniero nella tela sapientemente tessuta dai suoi avversari politici. Egli, che ha ereditato una città allo sfascio – di cui naturalmente non ha colpa – non ha via d’uscita: se il Comune crollerà a causa del dissesto finanziario, sarà ricordato come il sindaco del fallimento; se Minardo e Drago, ai quali si è rivolto per salvare la città, riusciranno a tirarla fuori dal baratro, diventeranno – loro che sono fra quelli che sull’orlo del baratro l’hanno condotta – i salvatori della Patria!
Ma davvero si può credere che questa classe politica, sia essa di centro o di sinistra (lasciamo perdere la destra, perché, nonostante le chiacchiere e le sigle, questa è assente dal nostro consiglio comunale), sia in grado di far rinascere la nostra città? Possiamo avere delle speranze, se durante un comizio, il parlamentare Peppe Drago informa con orgoglio i suoi concittadini che lui è uno dei pochi politici siciliani che può dare del tu a Berlusconi? Dinanzi ad un’affermazione di questo genere, si può ancora essere ottimisti sul futuro di Modica?
Ancora una volta, ribadiamo che, se davvero abbiamo intenzione di lasciare ai nostri figli quel poco che resta della Modica che avevamo ricevuto in eredità dai nostri padri, la Modica elegante, tranquilla, accogliente e solidale, la Modica della cultura e del lavoro onesto e produttivo, allora i modicani non possono esimersi dal mandare a casa, una volta per tutte, coloro che usano il loro voto per lasciare ai nostri figli un cumulo di macerie.
LA LEGGENDA DEL PARTIGIANO
Sono grato al signor Sammito per la sua garbata lettera, con cui contesta le mie opinioni, giacché mi offre la possibilità di tornare su un argomento che mi sta particolarmente a cuore, e, nel contempo, di chiarire, ove fosse necessario, alcune parti del mio articolo, che si fossero prestate a ingenerare degli equivoci.
Proverò, innanzitutto, a rispondere alle osservazioni del lettore, il quale sostiene che i ragazzi di Salò “combattevano contro l’instaurazione della Repubblica italiana”. Voglio ricordare, a tal proposito, che la Repubblica Sociale Italiana nacque nel settembre del 1943, ovvero nello stesso periodo in cui cominciavano a formarsi le prime formazioni partigiane. La Repubblica di Salò, dunque, sorse in pieno regime monarchico. Soltanto nell’aprile del ’44, Vittorio Emanuela III si sarebbe impegnato, una volta liberata Roma, a trasmettere i suoi poteri al figlio Umberto, ma soprattutto a consentire al popolo italiano di decidere le sorti del Paese, optando tra Repubblica e Monarchia.
Come potevano i giovani di Salò lottare contro la nostra Repubblica, se, quando decisero di aderire a quella mussoliniana, quella attuale non era nemmeno all’orizzonte e se, quando poi vi apparve - aprile 1944 – nessuno, ovviamente, aveva la certezza che sarebbe stata instaurata?
Quando poi lo fu – e tralascio di parlare delle modalità con le quali ciò avvenne – i nostri democratici e civilissimi combattenti per la libertà avevano già compiuto lo scempio di piazzale Loreto e la Repubblica di Salò era già morta e sepolta da più di un anno. Per cui, contrariamente a quanto ritiene il gentile lettore, coloro che aderirono alla Repubblica Sociale non combatterono mai contro quella attuale.
Egli afferma, inoltre “ Sono pronto a scommettere che se i Repubblichini avessero vinto, avrebbero messo in piedi uno Stato totalitario”. Ma il mio interlocutore ha doti divinatorie? (Lo dico bonariamente, senza alcuna acrimonia). Da dove trae questa assoluta certezza?
La storia, caro Sammito, non si fa con le supposizioni. Ma per una volta provo anch’io a farne una. Mussolini, da vecchio socialista qual era, non ebbe mai simpatia per la Corona, per le comodità, gli agi e la mentalità della borghesia italiana e ancor meno per il capitalismo.
Con tutto ciò, è vero, venne a compromessi per mantenere in vita il suo regime e questo non gli fa onore. Nel settembre del ’43 la Storia gli stava offrendo l’opportunità di poter dar vita allo Stato che se avesse potuto avrebbe già instaurato nel ’22. Era lo Stato descritto nel programma di San Sepolcro (23 marzo 1919); quello del fascismo movimento (per usare un termine caro a Renzo De Felice): lo Stato della socializzazione (partecipazione degli operai alla gestione delle aziende e alla divisione degli utili), della Repubblica laica fondata sul suffragio universale (compreso il voto alle donne), dell’abolizione del Senato e delle imposte adeguate al reddito. Non ritengo che Mussolini avrebbe perso per la seconda volta l’appuntamento con la Storia. Ragion per cui, se proprio vogliamo farla qualche supposizione, questo è ciò che io credo sarebbe accaduto se avesse vinto.
Il nostro lettore sostiene poi che questa democrazia dà il diritto agli ex e post fascisti di manifestare liberamente il loro pensiero, di sedere sugli scranni parlamentari e di ricoprire incarichi di governo.
Le cose, caro Sammito, non stanno proprio come lei crede.
Questa Repubblica, che mi pare di capire goda della sua incondizionata stima, non soltanto si è macchiata dell’abominevole colpa di selezionare i morti – come ho scritto – ma anche i vivi, pretendendo, con una buona dose di disprezzo per quei principi democratici che formalmente esalta e difende, di stabilire, in un passato non poi così lontano, quali voti erano da considerare puliti e quali sporchi: in tal modo era possibile, eravamo nel 1972, che tre milioni di italiani, che avevano votato per Almirante, venivano chiusi nel ghetto; i voti che venivano dati al Partito Comunista (ovviamente sto prendendo in considerazione solo i due partiti estremi) odoravano invece di democrazia, onestà e trasparenza: tutte qualità che il vecchio PCI aveva dimostrato di possedere, soprattutto quando nascondeva agli italiani le atrocità che venivano commesse nell’URSS o quando taceva dinanzi ai carri armati sovietici che invadevano Budapest.
Una Repubblica che si arroga il diritto di stabilire quali siano i voti sporchi e quali quelli puliti, in relazione alle idee politiche di chi li esprime, e pertanto di discriminare il popolo sulla base della sua ideologia, creando così italiani di serie A e italiani di serie B, una tale Repubblica, caro Sammito, non è migliore di quel Fascismo che lei tanto detesta.
Voglio poi ricordare che a Destra, per sedere con pari dignità in parlamento o nel governo, i cosiddetti Fascisti sono dovuti diventare ex e post e soprattutto hanno dovuto aspettare per mezzo secolo, mentre già nel ’46, il signor Togliatti, strettissimo collaboratore del carnefice Stalin, era ministro della Giustizia e negli anni settanta, quelli del compromesso storico e dei governi di unità nazionale, i cosiddetti Comunisti non hanno avuto bisogno di diventare ex e post per essere accolti dalle forze cattoliche e liberaldemocratiche di questo bel Paese, nonostante all’ombra di quella bandiera, sì, quella recante la falce e il martello, fossero stati compiuti, nel mondo, veri e propri genocidi.
Un’ultima considerazione. Mi sembra di capire che per Sammito i partigiani, a differenza dei giovani di Salò, lottavano per la libertà. Ma quali partigiani?
Certamente quelli di ispirazione cattolica e liberale, ma erano un’ esigua minoranza. Quelli di matrice monarchica lottavano ovviamente per il consolidamento di Casa Savoia. Le Brigate Matteotti erano sulle posizioni del loro partito, quello socialista, che a sua volta, in quegli anni – il ’47 non era ancora arrivato – era appiattito sulle posizioni dei comunisti, e costoro, da cui dipendevano le Brigate Garibaldi, in assoluto le più numerose, sognavano per l’Italia i Soviet e il Politburo. Se posso darle un consiglio, si liberi di questa leggenda, che è quella del partigiano italiano che combatte i fascisti per amore della libertà. La verità è meno nobile: ci si voleva disfare di un tipo di dittatura per instaurarne una di altro tipo, sanguinaria e sicuramente di gran lunga più totalitaria di quella.
Novembre 2008
E LA TELENOVELA CONTINUA…
Sullo scorso numero di “Dialogo” abbiamo cercato, ancora una volta, di dare il nostro modesto contributo al risveglio dei nostri concittadini dal “sonno della ragione” che da tempo ha oscurato la dinamicità del loro pensiero e la fecondità del loro agire.
Abbiamo tentato di destarli, facendo loro osservare la pochezza politica di coloro che si aggirano fra gli scranni del civico consesso: quelli che governano, perché vittime di macroscopiche contraddizioni e quelli che stanno all’opposizione, perché afflitti da una male ormai incurabile, che è quello dell’impudenza. Abbiamo anche messo in guardia il Sindaco, sulla trappola in cui rischia di restare impigliato, avendo chiesto aiuto, per risanare il bilancio comunale, ai deputati Drago e Minardo. Pensavamo che i due, dopo aver contribuito, soprattutto il primo, alla devastazione della città, cercassero, nella collaborazione con Buscema, l’occasione buona per avere un po’ di visibilità e soprattutto per presentarsi all’opinione pubblica come i salvatori della Patria
Constatiamo, con profonda amarezza, che la realtà è peggiore delle nostre congetture.
Le gravi dichiarazioni dei due parlamentari, infarcite di luoghi comuni, demagogia e velati ricatti, e del Sindaco, superano di gran lunga le fosche previsioni di chi, come noi, non riesce a lasciarsi accarezzare dalla brezza consolante, e assai spesso superficiale, del facile ottimismo.
Drago, in particolare, farebbe bene, prima di rilasciare dichiarazioni sulla passata competizione elettorale, ad esercitarsi nell’arte mnemonica, per non incorrere in contraddizioni e dimenticanze che lasciano intravedere l’opportunismo tipico del partito democratico cristiano: per dare una mano a Buscema, vuole prima vedere le carte ufficiali, per sapere a quanto ammonta il debito del Comune. In campagna elettorale, prima di un suo comizio, fu abilissimo nel creare un clima di grande attesa, sostenendo che in quella occasione, finalmente, avrebbe detto ai modicani qual era il reale debito dell’amministrazione Torchi, e infatti lo disse.
Adesso, invece, aspetta che a dirglielo sia Buscema, al quale, lui e Torchi, lo hanno lasciato in eredità.
Che di ciò si sia dimenticato o faccia finta di non ricordarsene è poco rilevante. Quel che è allarmante è che un deputato nazionale, che dovrebbe avere una visione ampia e globale della realtà politica e socio-economica, sia a livello nazionale sia a livello locale, sia invece prigioniero di piccole astuzie, che ci ricordano i vizi peggiori di quel mondo, quello che si muoveva all’interno del famigerato arco costituzionale, che tanti guai ha prodotto in Italia e soprattutto in Sicilia.
Vizi che lasciano trasparire un provincialismo politico che non potrà mai dare – e difatti non ha mai dato – alla nostra terra quel cambiamento morale, sociale ed economico che da troppo tempo aspetta. “ Torniamo da Roma – hanno dichiarato Drago e Minardo – con la convinzione di vedere finalmente chiuso il tempo delle chiacchiere e fantasie e di aver parlato in modo concreto delle strade da percorrere per arrivare alla soluzione dei problemi economici di Modica”
E con ciò, si abbandona la via rassicurante del reale, per avventurarsi lungo le impervie ed insidiose strade del virtuale!
I due, infatti, proseguendo nella politica della mera immaginazione, aggiungono: “ è finito il tempo delle passerelle, delle bugie e delle fantasie. Bisogna invece discutere di cosa fare ed agire in modo realistico”. In questi ultimi anni, Minardo ha avuto un’influenza non indifferente sul consiglio comunale, potendo contare su quei consiglieri che avevano lui come punto di riferimento; Drago, addirittura, tramite il suo ex pupillo, ha retto le sorti della nostra città per ben sei anni. E’ davvero uno strano modo di stare al mondo quello di essere infastiditi dalle passerelle altrui e nel contempo non fare ammenda delle proprie, soprattutto quando si è stati all’interno di una coalizione che a Modica sarà ricordata soltanto per la sua insopportabile ansia di protagonismo e per la sua nauseante sovraesposizione mediatica.
Vogliamo, a questo punto, sottolineare il fatto più eclatante e significativo della vicenda, perché è la cartina di tornasole di quanto nulla importi a Drago – e in questo è di sicuro in affollata compagnia – della sua città e dei modicani, a buona parte dei quali dovrebbe essere quanto meno riconoscente, considerato che gli permette di sedere a Montecitorio, con tutti i vantaggi che ciò comporta e che ben conosciamo.
Ciò che avevamo in qualche modo intuito si è puntualmente avverato.
Il nostro parlamentare è disposto ad aiutare il Sindaco – e dunque la sua città – ma a condizione di sostituire l’attuale giunta con una che “non risponda a logiche politiche ma che sia emanazione diretta del Sindaco come istituzione e che coinvolga le migliori energie a prescindere dall’appartenenza politica”. Non contento di avere inferto alla città una ferita che ne comprometterà per decenni la rinascita morale e civile, ha deciso di darle il colpo di grazia.
Uscito dalla porta, l’onorevole intende rientrare dalla finestra, piazzando qualcuno dei suoi a palazzo S. Domenico ed avverte che se ciò non dovesse accadere non ci sarà alcuna collaborazione.
Il che è come dire che il bene di Modica è subordinato a quello suo personale. Speriamo sia la volta buona perché i modicani si possano rendere conto che una città non può essere rappresentata a livello nazionale da chi pratica l’arte del ricatto politico, da chi, essendo già stato condannato per peculato e abuso d’ufficio, all’epoca in cui ricopriva la carica di presidente della regione siciliana, non ha avuto il buon gusto di non ricandidarsi più al parlamento nazionale, dove, tra l’altro, non ci sembra che si sia molto affaticato, se, dal 2001 ad oggi, su 4875 sedute si è assentato per ben 3126 volte! (*) Adesso è anche indagato, a Modica, per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro. Indipendentemente dalla sua innocenza o colpevolezza – questo lo deciderà la Magistratura - forse sarebbe ora, per il bene – quello vero - della città, che togliesse il disturbo. Tra l’altro, se ciò dovesse accadere, ma non accadrà, probabilmente ci libereremmo, in un sol colpo, della vasta pletora dei suoi servili adulatori, che da anni demoliscono la città con la loro ignoranza e la loro pochezza morale e intellettuale.
E infine riportiamo le dichiarazioni di Buscema, che sono l’ulteriore conferma di quanto l’autore del “Gattopardo” conoscesse a fondo la Sicilia e i Siciliani: “ La prospettiva positiva che si è aperta rappresenta la validità dell’iniziativa posta in essere dall’amministrazione comunale che ha inteso coinvolgere, in modo trasversale, la deputazione nazionale e regionale a cui va il mio sentito e non formale ringraziamento per l’opera sin qui svolta”.
Se i modicani pensavano che nella loro città le cose fossero finalmente cambiate sono stati serviti.
E la telenovela, purtroppo, continua!
(*) Cfr. P. Gomez – M. Travaglio
“Se li conosci li eviti”
Ed. Chiare Lettere, marzo 2008, pg. 320
La spettacolarizzazione del dolore
Riflessioni sul caso di Eluana Englaro
C’è, nella vicenda di Eluana Englaro, la giovane donna in coma vegetativo da sedici anni, l’intero e avvilente campionario dei vizi, delle depravazioni e della superficialità che caratterizzano l’epoca in cui viviamo. C’è, innanzitutto, la spettacolarizzazione del dolore, che ne è certamente l’aspetto più ripugnante. E ciò non è la prima volta che accade. Abbiamo ancora nitido, nella nostra mente, il ricordo dei fatti che, nel 1981, ebbero come protagonista il piccolo Alfredo Rampi, caduto in un pozzo artesiano, dal quale, purtroppo, non uscì vivo.
In quel caso, addirittura, la nostra televisione di Stato decise per la diretta non stop, incollando davanti ai teleschermi milioni di italiani. Persino il presidente Pertini, cui non faceva certamente difetto l’ansia di protagonismo, si scomodò, vittima di quel demagogico populismo che lo rese amato e apprezzato da un popolo, come quello italiano, che ama l’apparenza e non sa guardare alla sostanza delle cose. Questi avvenimenti alzano il velo sulle miserie degli uomini. C’è qualcosa di torbido nei più reconditi meandri della psiche umana, che di norma resta confinato nell’inconscio, ma che fatti come questi fanno emergere, permettendoci, pertanto, di prenderne consapevolezza.
E’ la morbosa attrazione per il male che colpisce il prossimo e per le disgrazie altrui, perché, in fondo, nascosto tra le pieghe del dispiacere che ostentiamo c’è il volgare compiacimento di non essere noi a patire il male e ad essere schiacciati dalla sofferenza. Per tale motivo, nelle nostre reti televisive, statali e private, proliferano trasmissioni strappalacrime, con l’ovvio compiacimento di personaggi alla De Filippi, che meriterebbero di scomparire per sempre dall’etere e di risarcire l’intero Paese per i danni morali che impunemente vi arrecano.
Si realizza, in tal modo, un perverso connubio fra questa nostra depravazione morale e quella professionale di cronisti, della televisione e della carta stampata, i quali, senza dignità e privi di principi morali, si pongono al servizio dei loro padroni e pertanto, per una mera questione di vendite, ossia di quattrini, provvedono a sfamare le bocche fameliche degli assetati di sangue, ovvero di tutti coloro che divorano tali notizie con una voracità che è pari alla loro bassezza morale.
Nella vicenda della Englaro, poi, c’è un altro protagonista che non ci piace affatto, ed è il padre di Eluana, che ci ricorda tanto la signora di Cogne, che frequentava tutti i salotti televisivi e, più d’una volta, fu immortalata mentre, sorridendo, salutava i giornalisti come fosse una diva, convinta, forse, di uscire da un sontuoso albergo, mentre più semplicemente – e drammaticamente – stava solo lasciando la villetta degli orrori.
Anche questo signore, Beppino Englaro, si è lasciato andare a troppe interviste a giornali e televisioni, e alla fine non ha resistito, addirittura, alla tentazione di scrivere un libro. Con quanto detto finora, ovviamente, non intendiamo certo mettere in dubbio il dolore di un padre, ma soltanto far rilevare coma la società in cui viviamo – che all’essere ha sostituito l’apparire – riesca persino a prevalere sulla più grave sofferenza dell’uomo, che è quella di veder soffrire il proprio figlio.
Persino il mistero del dolore non sfugge all’ansia del protagonismo, che è come un cancro ormai in metastasi e che sta divorando le emozioni più spontanee e i sentimenti più autentici della persona e la sta distruggendo nella sua specificità ontologica. Un uomo che non sa più relazionarsi col proprio essere (con ciò che egli veramente è ) ma soltanto interagire con l’apparenza ( con ciò che crede di essere e con ciò che vuol fare credere di essere) è destinato a perdere la centralità che Dio, o il Fato, gli hanno assegnato in questo mondo e a diventare la più abietta fra le creature che lo abitano.
C’è, infine, un’ultima considerazione che ci pare importante: da sempre, nella storia, la politica ha mostrato grande abilità nell’indirizzare l’opinione pubblica. Non escludiamo, dunque, che, anche nel caso di Eluana Englaro, far concentrare, quotidianamente, l’attenzione su di lei in modo così assillante e costante – le televisioni, addirittura, hanno indetto dei sondaggi per sapere il parere degli italiani – possa essere un modo per distrarre questi ultimi dai grandi problemi che li affliggono, specie in questo tempo di grave recessione economica, e mettere in ombra problemi allarmanti: si pensi, ad esempio, ai 51 mila morti palermitani ancora presenti negli elenchi degli assistiti. Come sempre, e non è una novità, il potere economico e politico decide cosa dobbiamo pensare, su cosa dobbiamo focalizzare la nostra attenzione e su cosa è meglio dimenticare.
Per quanto riguarda Eluana, non possiamo non constatare che nel nostro Paese coloro che si definiscono laici, e pertanto democratici e tolleranti, perdono spesso il senso del ridicolo sul piano linguistico e la coerenza logica sul piano teorico. Anche in questa vicenda, infatti, si sta ripetendo la scena esilarante cui diedero vita tempo fa coloro che impedirono al Papa di parlare alla Sapienza e lo fecero nel nome della laicità dello Stato! Anche adesso, i soliti laici, democratici e tolleranti, naturalmente, non tollerano che la Chiesa possa proclamare ciò in cui crede.
Noi non abbiamo alcuna intenzione di sottovalutare le complesse problematiche che il caso Englaro solleva, anzi riteniamo che sia urgente trovare una soluzione, anche se nutriamo molte perplessità che il problema possa essere risolto per via legislativa.
Ogni situazione è un caso a sé. Troppe componenti intervengono in queste vicende: situazioni familiari, convincimenti personali, religiosi e ideologici, per non parlare delle differenze riguardanti gli aspetti medico-sanitari. Non abbiamo nemmeno noi le idee chiare su cosa sia più giusto fare e non abbiamo difficoltà a confessarlo. Di una cosa, però, siamo sicuri: un evento come questo non può diventare uno spettacolo da mandare in scena sul palcoscenico nazionale. Sebbene sia giusto attivare tutte le strategie necessarie per la sua risoluzione, va però vissuto senza microfoni, luci ed interviste. Va affrontato nel silenzio e lontano dai riflettori, per recuperare quell’umanità che purtroppo stiamo irrimediabilmente perdendo.
Dicembre 2008
TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE
A Modica esiste una deleteria osmosi tra maggioranza e opposizione
La partecipazione degli attuali amministratori all’occupazione dell’aula consiliare, a causa del mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti comunali, è l’ennesima farsa che va in scena sul teatrino della politica modicana. Tuttavia, a differenza di ogni rappresentazione farsesca che si rispetti, questa non riesce a suscitare, in chi vi assiste, alcuna ilarità, giacché, in questo caso, è in gioco la serenità di centinaia di famiglie costrette a fare i conti con un bilancio sempre più precario.
Siamo rimasti basiti nell’assistere allo scambio di accuse fra maggioranza e opposizione, ma soprattutto alla rivendicazione dei relativi meriti.
I consiglieri di opposizione incensano la vecchia amministrazione perché lo scorso anno, di questi tempi, con l’aiuto dei parlamentari, era riuscita a pagare tutti gli stipendi e persino la tredicesima; quelli di maggioranza ribattono che non è colpa dell’attuale amministrazione se lo Stato e la Regione tardano ad accreditare le somme dovute.
Che il grado del dibattito politico, nella nostra città, fosse sceso ai livelli del pettegolezzo da cortile lo sapevamo e lo denunciamo da anni, ma che rimanga tale anche quando è in gioco la tranquillità di tante famiglie è davvero sconfortante sul piano politico e inaccettabile su quello morale.
Il caso di cui ci stiamo occupando dimostra la veridicità della tesi che da tempo sosteniamo – e non soltanto noi – e cioè che a Modica esiste una deleteria osmosi fra maggioranza e opposizione, indipendentemente dai gruppi politici che le rappresentano, in ossequio alla legge artitmetica che cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
La vicenda in questione è la fiera della politica d’infimo livello e ciascuno può trovarvi ogni sorta di mercanzia: vi sono esposti, in bella mostra, tutti gli elementi della degenerazione della politica, che adesso proveremo ad elencare.
C’è la demagogia populistica dell’occupazione effettuata da chi governa: si trascorre la notte coi lavoratori e si consuma insieme il pranzo, dimenticando che la solidarietà parolaia non serve a riempire il portafogli di chi, in questo momento, ha bisogno di quattrini e non di una complicità interessata e soprattutto inutile.
E’ presente l’incoerenza, riscontrabile nelle affermazioni del Sindaco, che si chiama fuori da ogni responsabilità, addebitandola per intero allo Stato e alla Regione: evidentemente, deve essere afflitto da poca memoria, giacché noi ricordiamo perfettamente che, quando tale giustificazione la utilizzava Torchi, lo si accusava di attribuire ad altri responsabilità che Buscema riteneva appartenessero soltanto all’ex sindaco.
Non manca l’opportunismo di qualche parlamentare dell’attuale maggioranza, vedi il deputato Ammatuna, il quale avverte soltanto adesso l’esigenza di un impegno diretto nell’interlocuzione con la Regione e del massimo sforzo per giungere ad una soluzione della vertenza: un po’ di visibilità non si nega a nessuno! Noi – che di solito pensiamo male – abbiamo il sospetto che il deputato pozzallese, attratto dalle luci dei riflettori che inevitabilmente si sono accese su palazzo San Domenico, abbia colto al volo l’opportunità di conquistare la scena. In questi anni, infatti, non ci è mai apparso particolarmente preoccupato dei gravi problemi dei dipendenti comunali di questa città, che tra l’altro non è nemmeno la sua.
Non manca, naturalmente, in questo squallido mercato, il prezzo “pregiato” e cioè la facciatosta di coloro che non hanno il buongusto di tacere, ma, al contrario, l’impudenza di apparire. Ci riferiamo, ovviamente, ad Enzo Scarso, anche lui fra gli occupanti, che pranza amabilmente con i lavoratori e che proclama il suo desiderio di star loro vicino in un momento così difficile.
Durante i cinque anni, che sono stati i più disastrosi per la vita della nostra città, quando questa veniva devastata e si ponevano le basi per il dissesto finanziario, quello di allora e quello attuale, il nostro vicesindaco sedeva sulla poltrona più alta del civico consesso, del quale non perdeva occasione per tessere le lodi, e collaborava attivamente con il peggior sindaco che Modica abbia mai avuto: è stato insomma nelle stanze del potere ed è dunque corresponsabile del ben noto dissesto finanziario.
Come può, adesso, farsi paladino di una categoria al collasso per colpa anche sua? Cosa ha fatto, in questi anni, per fare in modo che il Comune amministrasse saggiamente le sue finanze e per impedire che le sperperasse, per meri fini propagandistici, con l’Eurochocolate, con la giostra fasulla, col tumazzo e le fave cottoie?
Forse sarebbe opportuno che la smettesse di farsi immortalare nell’aula consiliare, con l’aria compunta e solidale; prenda il cilicio, piuttosto, e si ritiri in un eremo a meditare e a fare penitenza.
Se il comportamento di Scarso è da biasimare, quello di Riccardo Minardo oltre che riprovevole è paradossale e imperdonabile. Il peccato di omissione è proporzionale alle possibilità di agire, e, in politica, al grado di potere che si detiene. Per tale motivo, mentre Scarso, a nostro parere, trascorso qualche anno a far penitenza, potrebbe anche ritornare fra i suoi concittadini, naturalmente dopo aver dato segni tangibili di pentimento, l’onorevole meriterebbe la clausura a vita in un convento, in cima a una montagna inaccessibile. Non manca, naturalmente, la sconsideratezza, rintracciabile nelle dichiarazioni del gruppo consiliare del PDL, che si rammarica per il fatto che Modica ormai non è la città più viva ed effervescente della provincia: insomma, rimpiangono le sagre e le fiere, la cementificazione della città, il traffico da terzo mondo, le condanne per lo scempio ambientale e paesaggistico del nostro territorio e naturalmente gli avvisi di garanzia.
Terminiamo la carrellata degli orrori riproponendo, ancora una volta, la sfacciataggine, giacché questa, per la legge della par condicio, è presente nell’una e nell’altra coalizione.
I consiglieri del PDL, infatti, hanno avuto l’ardire di affermare che l’amministrazione Buscema non sa gestire l’attuale momento di crisi finanziaria e pertanto dovrebbe immediatamente dimettersi.
Ciò potrebbe anche essere vero, ma loro non hanno titoli per poterlo sostenere.
Anche Piero Torchi non ha resistito – figuriamoci! – alla tentazione di riassaporare, sebbene per un momento, l’emozione di tornare sul palcoscenico. Reso particolarmente astioso dalla consapevolezza di essere ormai definitivamente fuori dall’agone politico, ha addirittura definito Buscema una persona “amministrativamente immatura” ed “incapace di effettuare un’analisi politica”. Le affermazioni dell’ex sindaco ci ricordano la celebre parabola evangelica di colui che notava la pagliuzza nell’occhio altrui e non s’accorgeva della trave che aveva nel proprio. Riportiamo questa “perla” di Torchi, affinché i nostri lettori possano valutare la “maturità amministrativa” dell’ex sindaco. “ Di questo passo potremmo anche avere tra qualche mese una città coi conti migliori ma non riavremo mai quella città che aveva fatto dell’ottimismo e dell’entusiasmo la sua bandiera”.
Come sempre, per il signor Torchi, la forma vale più della sostanza.
Cosa volete che sia una città coi conti a posto (e pertanto in grado di pagare i lavoratori) in confronto ad una che vive nell’effervescenza economica di innumerevoli appalti, nelle luci colorate che adornano le belle sagre di paese, nel proliferare delle banche e dei mostri di cemento che la stanno soffocando. Per quanto riguarda poi il tentativo di non ammettere le sue responsabilità nel dissesto finanziario del Comune, crediamo che la cosa più giusta da fare sia quella di stendervi un velo di pietosissimo silenzio.
Ci rendiamo conto che quanto detto potrebbe attirarci addosso l’accusa di “disfattismo”, ma non si tratta affatto di questo. La mancanza, in noi, di un atteggiamento propositivo non nasce dalla volontà di distruggere, ma deriva dalla consapevolezza che le proposte e le sollecitazioni acquistano valore ed hanno un senso nel momento in cui la politica è disposta ad ascoltare, quando essa è servizio, coerenza, disinteresse e trasparenza.
Quando è àncora di salvataggio per i disoccupati, strumento per favorire amici e parenti, quando è popolata da arrivisti e voltagabbana e quando costoro, assai spesso, sono anche incompetenti, che utilità possono avere il dialogo e la collaborazione?
Non ci resta che sperare che il nostro “disfattismo” possa dare un contributo al risveglio delle coscienze dei nostri concittadini.
I COMMERCIANTI INFASTIDITI
Apprendiamo dai giornali che il Movimento autonomo commercianti è stato notevolmente infastidito dai controlli – voluti dall’assessore Calabrese ed effettuati dai vigili urbani - durante il ponte dell’Immacolata, per verificare se, effettivamente, in alcune attività commerciali della nostra città venivano praticati sconti prima del periodo in cui, secondo la legge, è possibile effettuarli.
Come si sa, ne è nata una polemica con Giancarlo Poidomani, coordinatore cittadino del Partito Democratico, il quale ha stigmatizzato la reazione dei commercianti, precisando che la decisione dell’assessore comunale è stata presa per verificare che tutti rispettino le regole, al fine di evitare concorrenze sleali e indebite posizioni di vantaggio. Raramente ci accade di condividere le idee e le dichiarazioni di Poidomani, non a causa di ostilità preconcette, ovviamente, ma perché è notevole la distanza politica, ideologica e culturale che da lui ci separa. Stavolta, però, non possiamo non essere d’accordo con lui: le regole vanno rispettate, e vanno rispettate da tutti. Noi nutriamo stima per i commercianti, perché apprezziamo tutti coloro che si guadagnano da vivere con il proprio lavoro, che oltre ad essere strumento di un eventuale innalzamento della situazione sociale ed economica della persona, ha una dirompente carica formativa. “La coscienza – ammoniva Hegel - proprio nel lavoro, dove sembrava che essa fosse un significato estraneo, ritrova se medesima e si avvia a trovare il significato proprio”. Sebbene a livello “speculativo”, il grande filosofo tedesco aveva intuito l’importanza del lavoro per la crescita spirituale dell’uomo. E’ per tale motivo che non smetteremo mai di denunciare la pochezza morale di quei disoccupati – naturalmente non ci riferiamo ai tanti che sono tali perché il lavoro, pur volendolo, non lo trovano - che un lavoro non l’hanno mai cercato, ed hanno intrapreso la carriera politica per non fare nulla e guadagnare tanto. Per quanto riguarda i commercianti, pur ribadendo che si tratta di una categoria che rispettiamo, è anche vero che più di una volta, nei nostri articoli, non siamo stati certamente teneri nei loro confronti, anche se, in verità, le nostre critiche li coinvolgevano indirettamente, essendo dirette soprattutto all’ex sindaco di Modica e al suo assessore alla viabilità. Non possiamo, infatti, non ricordare che l’amministrazione Torchi aveva creato una corsia preferenziale per questa categoria di lavoratori, e che costoro, con Torchi sindaco, hanno avuto spesso una parola definitiva sul traffico veicolare della nostra città, stabilendo persino la segnaletica stradale e gestendo, pertanto, un potere che non avevano. Ci è sembrato sempre alquanto inopportuno che, prima di intraprendere qualunque iniziativa che riguardasse il cambiamento di un senso di marcia o la chiusura del centro storico, l’allora assessore al ramo dovesse prima sentire il parere dei commercianti. Abbiamo sempre trovato tale prassi scorretta dal punto di vista istituzionale e ingiusta sul piano della civile convivenza. Perché se è vero che la chiusura di una strada o l’instaurazione di un senso unico possono avere ripercussioni negative sugli affari dei negozianti, è altrettanto vero che ciò non riguarda soltanto loro ma l’intera cittadinanza: da coloro che accompagnano i figli a scuola, a quelli che devono recarsi sul posto di lavoro. I disagi, insomma, li subiscono tutti. E’ inutile dire, poi, che un lieve calo nel guadagno è ben poca cosa dinanzi al fatto, ad esempio, di garantire un traffico scorrevole alle vetture dei vigili del fuoco, a quelle delle forze dell’ordine, e soprattutto alle ambulanze. Ci sembra di ricordare che su questo problema non ci siano mai stati discussioni e dibattiti tutte le volte che veniva deciso di apportare modifiche alla viabilità cittadina. Se ricordiamo male, ce ne scusiamo con Torchi e Aprile; ma se ricordiamo bene, ci auguriamo che i nuovi amministratori non si comportino come loro. Ci auguriamo, in conclusione, che questa iniziativa della giunta Buscema – al di là del sacrosanto diritto di chi amministra di colpire chi vìola le regole, nel caso questo avvenga – sia l’espressione della volontà di fare in modo che nella nostra città non ci siamo più categorie protette e che i cittadini abbiano tutti pari diritti e pari doveri.