Gennaio 2007
La città virtuale Dialogo: gennaio 2007
L’endemica ipocrisia dell’Occidente La Pagina: 12 Gennaio 2007
Febbraio 2007
La terra dei privilegi e delle clientele Dialogo: febbraio 2007
Una moltitudine senza voce La Pagina: 12 Febbraio 2007
Il Paradosso, dimostrato secondo
l’ordine geometrico La Pagina: 28 Febbraio 2007
Marzo 2007
La pericolosa involuzione della Democrazia Dialogo: marzo 2007
La politica inquinata La Pagina: 14 marzo 2007
La prova inconfutabile La Pagina: 28 marzo 2007
Aprile 2007
Ricacciamo nell’anonimato i mestieranti della politica Dialogo: aprile 2007
Quella lacrima sul viso La Pagina: 28 aprile 2007
Maggio 2007
Il sogno infranto Dialogo: maggio 2007
I segni della sconfitta La Pagina: 12 maggio 2007
Il mercato della malattia La Pagina: 28 maggio 2007
Giugno 2007
Per interposta persona Dialogo: giugno 2007
I cavernicoli del XXI secolo La Pagina: 12 giugno 2007
Settembre 2007
Il dibattito sul nulla è incominciato La Pagina: 12 settembre 2007
Oltre al danno, la beffa La Pagina: 28 Settembre 2007
Ottobre 2007
Il tribunale della discordia Dialogo: ottobre 2007
Il trasloco dell’onorevole Minardo La Pagina: 12 ottobre 2007
Novembre 2007
Una Democrazia incompiuta Dialogo: novembre 2007
La ricomposizione della dicotomia La Pagina: 12 novembre 2007
Quel luogo sopra il cielo La Pagina: 28 novembre 2007
Dicembre 2007
Notte di Natale Dialogo: dicembre 2007
Lacrime di commozione Dialogo: dicembre 2007
Uno spettro s’aggira per la provincia Iblea La Pagina: 28 dicembre 2008
Gennaio 2007
LA CITTA’ VIRTUALE
“Modica è cambiata”: e intanto il Tribunale condanna il Comune,
un quartiere sta crollando e le pazze cartelle esattoriali imperversano
Le autocitazioni, lo sappiamo, sono poco eleganti, ma talvolta sono talmente necessarie che non si può fare a meno di ricorrervi. Poco tempo fa scrivemmo di un dubbio che ci assillava, e cioè se Torchi fosse il Sindaco di Modica come realmente è, o di Modica come egli immagina che sia: la tradizionale conferenza stampa di fine anno ha definitivamente dissipato tale dubbio. La nebbia dell’incertezza si è diradata: il nostro Sindaco amministra una città virtuale. Abbiamo recentemente elencato, in un nostro articolo, le innumerevoli inefficienze della sua Amministrazione e gli enormi guasti che essa ha prodotto in questi anni. Com’è suo costume, il nostro Sindaco non replica e preferisce ignorare le critiche che da più parti gli vengono mosse. Il motivo del suo silenzio possiamo solo intuirlo e comunque non ci interessa: non è a noi che deve rispondere, ma alla città, quella vera, ovviamente, e non quella immaginaria. Impermeabile alle critiche, dunque, e tacendo le innumerevoli carenze della sua gestione, Torchi si è abbandonato alla consueta, stucchevole autocelebrazione ed ha lanciato il solito e insignificante slogan “Modica è cambiata”. Come i pastorelli di Fatima, ai quali soltanto era consentito vedere la Santa Vergine, mentre la folla poteva solo immaginare ciò che essi vedevano, così il nostro Sindaco, ma solo lui, può guardare le meraviglie compiute dalla sua Amministrazione, mentre noi, comuni mortali, dovremmo credergli sulla parola, non avendo il dono di queste soavi visioni. Nell’attesa che il Sindaco spieghi, non a noi ma alla città, l’arcano significato di questo stupefacente cambiamento, ci pare doveroso ricordare ai nostri concittadini che il Comune di Modica – sulla cui poltrona più alta è seduto lui, Piero Torchi Lucifora, che pertanto ne è il primo responsabile, nel bene e nel male – sotto la sua gestione è rimasto un carrozzone fatiscente dove non funziona quasi nulla. Come sottolineava Carmelo Modica, basta chiedere la visione di un fascicolo dell’archivio: “ Un fascicolo qualsiasi ed allora si potrà constatare il livello allucinante di arretratezza operativa, lo sperpero di denaro pubblico e la totale assenza di ogni analisi e controllo della spesa”. Intanto, le modalità utilizzate per il calcolo dell’ICI stanno facendo impazzire i cittadini, provocando disagi non indifferenti, dall’eccessivo carico fiscale, dovuto al pagamento di interessi spropositati, all’invio di doppie cartelle esattoriali, a tal punto che i commercialisti modicani hanno dovuto chiedere a questa Amministrazione che opera meraviglie di invitare il civico consesso – che ormai, per i continui cambi di casacca dei consiglieri, potremmo definire una sorta di laboratorio politico – a riapprovare il regolamento, opportunamente modificato. Riguardo a tale grave disfunzione, è da registrare, altresì, la dura presa di posizione della CGIL, che rileva, tra le altre cose, l’inadeguatezza del Comune a gestire quanto sta accadendo; non è infatti possibile che un esiguo numero di impiegati possa affrontare le giuste proteste e risolvere i casi di migliaia di persone. Ma il nostro Sindaco sembra non accorgersi di queste gravi inefficienze dovute alla sua cattiva Amministrazione, e, riferendosi alla crescita del commercio in città, ha dichiarato: “ Questa è la risposta più importante e coerente a quanti si ostinano a non voler ammettere una crescita, senza precedenti, della città”. A riprova della sua unilaterale concezione della politica: la città cresce se gli affari vanno bene. Ciò che maggiormente ci preoccupa è il fatto che tanti modicani non si rendono conto di quanto danno ha fatto e potrà ancora fare alla città, dal punto di vista umano, sociale e culturale, un’Amministrazione che misura lo sviluppo della città che amministra soltanto sulla base della quantità di denaro che vi circola. Visto che il Sindaco tesse le lodi di se stesso e della sua maggioranza, riteniamo opportuno, così, per par condicio, rinfrescare le idee ai nostri concittadini, ricordando loro che, mentre governava questa eccelsa Amministrazione, il Comune da essa guidato rilasciava concessioni per costruire un kartodromo in contrada Zimmardo e un impianto di biomassa in contrada Cava Giarrusso, che, se realizzati, avrebbero deturpato in maniera indelebile delle zone sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici: per tali fatti, alcuni funzionari del Comune - quello stesso guidato da Torchi - sono imputati nel processo davanti al Collegio Penale del Tribunale di Modica: ciò non significa, naturalmente, che essi siano colpevoli. Non siamo noi che dobbiamo emettere sentenze; tuttavia, il fatto che le concessioni siano state date non depone certo a favore di questa Amministrazione, e cantarne le lodi appare pertanto fuori luogo. L’apologia effettuata da Torchi risulta invece paradossale alla luce della recente sentenza del Giudice del Lavoro che ha condannato il Comune – sempre quello, quello guidato da Torchi - ritenendolo colpevole nella vertenza che lo ha visto contrapposto ad una propria dipendente, Vincenza Garrafa, la quale era stata ingiustamente trasferita, dal dirigente del sesto settore, con un comportamento che il giudice ha ritenuto“deliberatamente vessatorio, tollerato dal segretario generale e dall’assessore al Personale, che non solo non fecero alcunché per porre termine alle gravi denunce, ma assecondarono le richieste del dirigente, avallandone le incongrue decisioni, e disponendo il trasferimento << punitivo>> della dipendente”. Ricordiamo che la vittima di tale sopruso fu allontanata dal suo ufficio e relegata ad oziare in un monolocale per essere infine trasferita ad altro settore. La Garrafa sarà pertanto risarcita e reintegrata nelle sue funzioni. Se il nostro Sindaco, in questi anni, avesse evitato di sprecare il suo tempo per l’autoincensamento e per promuovere questo fantomatico e misterioso cambiamento della città; se si fosse occupato di far funzionare sul serio quell’enorme pachiderma che è la struttura burocratica del suo Comune; se non avesse sperperato energie per inaugurare rotonde e piccoli, insignificanti parcogiochi – che ha l’ardire di definire bambinopoli – se si fosse occupato, infine, di controllare il comportamento e l’efficienza dei suoi funzionari e dei suoi dirigenti, forse avrebbe potuto evitare ai suoi concittadini di ammattire tra le cartelle esattoriali, d’impazzire nell’infernale bolgia del traffico cittadino e soprattutto che si potessero verificare episodi sgradevolissimi, come quello di cui s’è detto. Se il nostro Sindaco si fosse congratulato con se stesso per essere riuscito ad evitare tali fenomeni di arroganza avrebbe certamente avuto il nostro plauso e quello dell’intera cittadinanza, purtroppo, invece, egli si complimenta con se stesso perché, dopo la visita di Ciampi, la foto di Modica è stata per tre giorni nella ” home page” del sito della Presidenza della Repubblica. Se non ci fosse di mezzo una situazione di estrema gravità, sarebbe fonte di sicura ilarità il fatto che nello stesso giorno in cui il Sindaco faceva il panegirico della sua Amministrazione, nel quartiere di Treppiedi accadeva l’ennesimo episodio di quella che oramai è una vera e propria frantumazione degli edifici di edilizia popolare: crollavano, infatti, dei cornicioni da un balcone, danneggiando le autovetture parcheggiate nella zona sottostante, senza per fortuna provocare danni alle persone: a testimonianza dello stato di abbandono in cui versa quel quartiere, i cui abitanti, ne siano sicuri, non si sono mai accorti di questo mirabolante cambiamento. Puntuale, come Babbo Natale e la Befana, ogni anno, nelle feste natalizie, arriva per noi modicani un inconsueto pacco dono: basta scartarlo, e, come per incanto, vengono fuori le infinite meraviglie operate durante l’anno da Torchi e dai suoi assessori: ma non ci chiedete quali, perché ormai abbiamo perso il conto e non lo sappiamo neppure noi. L’utopia è una categoria che ci è cara. Quando è correttamente intesa, essa diventa la linfa vitale che nutre l’agire quotidiano, e che, sollevando il pragmatismo dalla sua mediocrità, rende possibile disegnare il futuro all’insegna degli alti ideali e dei grandi progetti e rende considerevoli anche le più piccole cose. Con questa Amministrazione, purtroppo, accade esattamente il contrario: ogni cosa, anche la più stupida e insignificante, viene rivestita di una magnificenza che non può non essere ridicola e spropositata. Non è più la dignità del pensare che nobilita la concretezza del fare; è la politica delle inezie che si autoconferisce un retroterra culturale che non ha, innescando un processo perverso, il cui approdo non può che essere l’utopia, ma nel suo significato etimologico e dunque peggiore: “quel luogo che non è in alcun luogo”.
L’ENDEMICA IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE
Riflessioni sull’esecuzione di Saddam Hussein
Che l’Occidente fosse affetto da un’endemica ipocrisia lo sapevamo da un pezzo, e ci ha sempre alquanto infastidito che le tante e frequenti condanne emanate, con troppa disinvoltura, nei confronti di altre Nazioni, provenissero da un pulpito che non aveva e non ha le carte in regola per emetterle. Quella parte del mondo, la cui storia è intrisa di gigantesche infamie, non ha titoli per ergersi a paladina della giustizia, della pace e della libertà. Il fatto d’essere stati noi ad inventare la Democrazia, ad aver prodotto le fondamentali analisi del Montesquieu e i nobili ideali del Beccarìa, non può costituire un alibi per porre nell’oblio le nefandezze delle quali ci siamo macchiati: dal genocidio dei Pellerossa e degli Indios all’Imperialismo moderno e contemporaneo; dall’Antisemitismo, che abbiamo spudoratamente allevato e nutrito per due millenni, alla follia del Nazismo fino alla Shoah, la più indelebile ignominia della nostra storia. L’endemica ipocrisia è tornata prepotentemente alla ribalta in occasione dell’ impiccagione di Saddam Hussein. Che si trattasse di un uomo violento e sanguinario non saremo certo noi a negarlo; che si sia macchiato di crimini orrendi – dalla cruenta repressione della rivolta sciita del ’91 al massacro dei Curdi dell’88 – è un dato incontrovertibile, ma altrettanto inoppugnabile ci sembra il fatto che non può essere il capo di uno Stato straniero, sebbene il più potente del pianeta, a deciderne le sorti politiche e addirittura quelle umane: a meno che ci sia ancora qualcuno che ritenga gli Stati Uniti estranei al processo e alla condanna del dittatore iracheno. Nelle recenti vicende dell’Iraq, dall’invasione americana all’esecuzione di Saddam – una storia intricatissima e complicata che non stiamo cercando, naturalmente, di analizzare in questa sede; il nostro intento, infatti, è solo quello di offrire ai nostri lettori qualche spunto di riflessione – ci sono quanto meno due situazioni che a nostro parere confermano l’ipocrisia di cui s’è detto. La prima è che l’Amministrazione americana non prova alcuna vergogna per aver condotto un’operazione politica, mediatica e militare che facesse di Saddam, agli occhi del mondo, un essere spregevole e disumano – e certo non neghiamo che in parte lo sia stato – dopo averlo sostenuto, economicamente e militarmente, quando ciò le tornava comodo per piegare l’Iran sciita e fondamentalista e soprattutto acerrimo nemico del popolo americano. Gli interessi economici e geopolitici, evidentemente, coprivano il lezzo dei suoi crimini e della sua tirannia. La seconda è la faccia tosta dei politici italiani, tutti uniti e concordi, da Bertinotti a Berlusconi, nel biasimare la barbara esecuzione del dittatore. Bene ha fatto Yassim Majid, consigliere del premier iracheno, ad invitare Prodi a guardare alla storia del suo Paese prima di mettere il naso in quella altrui, con un esplicito riferimento alla sorte di Mussolini: dal processo-farsa ( della durata di un minuto! ) alla scempio di Piazzale Loreto, al confronto del quale, aggiungiamo noi, l’impiccagione di Hussein rischia di diventare un fatto quasi incruento. Un popolo, che è stato in grado di compiere un atto barbaro e vile come quello del 28 dicembre del ’45, non ha titoli per esprimere deprecazioni e condanne per eventi di tal genere, a meno che non abbia avuto il coraggio di chiudere degnamente i conti con quel tipo di passato. Alcuni uomini politici, poi, che fanno parte di questa maggioranza, e che ancora oggi inneggiano a un dittatore torvo e sanguinario come Castro, avrebbero dovuto avere il buon gusto di non condannare Saddam quand’era in vita e di non biasimare, oggi, la sua condanna a morte, visto che da sempre si sono disinteressati di quelle emesse a Cuba: per costoro, evidentemente, è la latitudine a determinare il plauso o il disprezzo per la pena capitale!
Febbraio 2007
LA TERRA DEI PRIVILEGI E DELLE CLIENTELE
Le vicende legate alla travagliata approvazione della finanziaria regionale sono state l’ennesima conferma dell’infimo livello politico e del basso grado di correttezza morale che caratterizzano il governo regionale della nostra Isola. Il presidente Cuffaro ha scavato, ancora una volta, un solco profondissimo tra quel che dice e ciò che fa; ha dimostrato, per l’ennesima volta, quanto poco credibili siano i suoi atteggiamenti populistici, ed ha palesato, suo malgrado, l’enorme dose di demagogia che lo avvolge, ogni qualvolta si fa paladino dei bisogni reali e urgenti di noi siciliani. Come spiegare altrimenti la veemenza e l’ostinazione con le quali ha affrontato la battaglia perché gli stipendi degli alti funzionari della Regione non scendessero sotto la soglia delle 250.000 euro. A titolo di cronaca, ricordiamo che tale soglia, al momento, è ampiamente superata da Felice Crosta, che guida l’Agenzia delle acque, ma soprattutto da Gabriella Palocci, ossia da colei che programma la spesa di Agenda 2000, alla quale, durante le ultime festività natalizie, la giunta regionale ha pensato bene di elevare il compenso annuo a 500.000 euro: un miliardo delle vecchie lire! Il fatto è ovviamente in sé deplorevole, ma, se accade in una regione come la nostra, diventa scandaloso e intollerabile: per tale motivo, non possiamo non chiederci per quanto tempo ancora dovremo subire l’onta di essere rappresentati da un Governatore che, oltre ad essere indagato per i fatti ben noti che tutti conosciamo, continua, imperterrito, a praticare quella politica clientelare che, in sessant’anni di storia repubblicana, ha fatto scempio, nella nostra terra, della giustizia e della legalità. Per tale motivo, non possiamo non domandarci per quanto tempo ancora dovremo tollerare che sullo scranno più alto dell’Assemblea regionale segga quel Gianfranco Miccichè, la cui unica preoccupazione, in vista della finanziaria, è stata quella di salvaguardare gli incarichi ai giovani professionisti e la possibilità per i Consorzi ASI di vendere i rustici industriali: a riprova che il clientelismo è una piaga che difficilmente potrà essere estirpata dalla nostra Isola. Ma stavolta, noi siciliani non abbiamo attenuanti: questa piaga l’abbiamo democraticamente voluta e adesso non possiamo che democraticamente tenercela! Consentire ad una casta di privilegiati di percepire ogni anno oltre mezzo miliardo delle vecchie lire, in una terra che ha un tasso di disoccupazione altissimo, un reddito pro-capite di gran lunga inferiore alla media nazionale, che ha ancora oggi gravi problemi di approvvigionamento idrico ed una realtà infrastrutturale da terzo mondo è una scelta politica dissennata, ma, soprattutto, è un atto moralmente riprovevole e diventa addirittura scandaloso, se voluto da chi non fa mistero di richiamarsi ai valori del cattolicesimo sociale. In Sicilia c’è un altissimo numero di persone che non sanno come garantire ai figli il necessario: riteniamo pertanto immorale che Cuffaro, disinteressandosi della disperazione altrui, impieghi le sue energie per rimpinguare il portafoglio dei suoi amici miliardari, mentre poliziotti e carabinieri quotidianamente rischiano la vita per una busta paga miserevole. L’ispettore Raciti, in quel giorno maledetto del derby, dunque in una situazione ad altissimo rischio, avrebbe guadagnato, come supplemento, l’astronomica cifra di 12 euro! Chissà se il nostro Presidente avrà provato vergogna e si sarà interrogato sull’opportunità di queste sue proposte indecenti. E’ evidente che egli non ha alcuna diretta responsabilità sulla misera paga delle Forze dell’Ordine – essendo queste alle dipendenze dello Stato – ma non c’è dubbio che queste situazioni di ingiustizia dovrebbero indurre ad assumere iniziative ispirate a ben altra sensibilità e ad evitare decisioni che possono risultare offensive nei confronti di una categoria a rischio e non adeguatamente remunerata. Per fortuna, 28 deputati della maggioranza – non sappiamo se per un’improvvisa crisi di coscienza o se per qualche fine meno nobile – nel segreto dell’urna, hanno voltato le spalle al Presidente e pertanto hanno consentito all’opposizione di bloccare alcune norme della finanziaria, concepite col solo scopo di perpetuare privilegi e clientele. Il signor Cuffaro ha dovuto pertanto rinunciare ad innalzare ulteriormente gli stipendi d’oro, ha dovuto ingoiare il rospo della soppressione di molti “enti inutili” e della riduzione dei rappresentanti della Regione nei consigli d’amministrazione. Ma, in questa poco edificante vicenda, il Governatore è riuscito a superare se stesso: non ci aspettavamo, ovviamente, che andasse a Canossa col capo cosparso di cenere, ma era legittimo attendersi, da un politico che ricopre un ruolo istituzionale così elevato, un maggiore rispetto delle regole democratiche. La sua reazione alla sconfitta è di quelle che fanno rabbrividire: abbandonare l’aula e minacciare le dimissioni è segno di una tracotanza politica che dovrebbe indurre ad una profonda riflessione tutti quei siciliani che lo hanno votato. Affermare, dopo la sconfitta, di aver già trovato un accordo coi partiti che gli consentirà di riproporre all’assemblea regionale le norme democraticamente bocciate è l’ulteriore conferma che la politica arrogante della vecchia classe dirigente democristiana dell’Isola non è mai scomparsa: di quella Cuffaro è figlio, a tutti gli effetti. Per tale motivo, l’unica sua coerenza non può che essere quella dell’incoerenza. Mentre scriviamo, apprendiamo la notizia che la Corte dei Conti ha bocciato il nuovo contratto dei dirigenti regionali sottoscritto dalla giunta Cuffaro: un altro colpo è stato inferto, grazie a Dio, alla politica iniqua di questo governo. I lavoratori di questo Paese, alla scadenza di ogni contratto, sono costretti a ricorrere a tutte le forme consentite di protesta, per ottenere alla fine aumenti irrisori ed offensivi, mentre ai soliti privilegiati di Palermo il signor Cuffaro intendeva concedere aumenti medi mensili di oltre 500 euro, con arretrati che si aggiravano intorno alle 20.000: un altro lodevole esempio di correttezza politica e di sensibilità sociale! Quando, in occasione dell’ultima, travagliata finanziaria, ha minacciato di dimettersi, era sorto in noi un barlume di speranza, subito spento, però, dall’amara consapevolezza che a un democristiano come lui si può togliere tutto, ma la poltrona mai!
UNA MOLTITUDINE SENZA VOCE
Apprendiamo da “Il Giornale di Sicilia” del 27 Gennaio che il neoassessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Modica, Simona Lo Bello, si è fatta promotrice, recentemente, di una iniziativa in sé lodevole, ma che, per i motivi che esporremo oltre, non ci sentiamo di condividere. Si tratta della consegna, a tutte le scuole dell’obbligo della nostra città, del celeberrimo “ Diario di Anna Frank”. L’iniziativa va inserita, naturalmente, nel quadro delle molteplici attività promosse, a tutti i livelli, per celebrare la Giornata della Memoria, in ricordo delle vittime della Shoah. La decisione dell’Assessore modicano ci offre lo spunto per alcune riflessioni che non mancheranno, ne siamo certi, di attirarci addosso le contumelie di coloro che praticano la poco nobile arte del ricordo a senso unico e di coloro che hanno la poco elegante abitudine di valutare e classificare i morti. Da sessant’anni, lo sterminio degli Ebrei viene studiato, ricordato e analizzato in tutte le sue molteplici e complesse sfaccettature. Dai libri di scuola alle opere teatrali e cinematografiche, dai testi autobiografici a quelli narrativi, l’Occidente ha letteralmente sradicato la Shoah dalla sua pur drammatica storicità, collocandola nella dimensione del mito. Naturalmente, usiamo questo termine non nel senso di evento fantastico, ma in quello di elemento capace di elevarsi a simbolo attorno al quale creare una coesa aggregazione di convincimenti e di tensioni ideali. Qui non è in discussione, ovviamente, la condanna di quella che noi stessi, in un nostro recente articolo, abbiamo definito “ la più indelebile ignominia della nostra storia”. Pertanto, non mettiamo in discussione la necessità, storica e morale, del non dimenticare, nella certezza che una civiltà ha il dovere di interrogarsi sul suo passato, anche quello più indegno e disonorevole: non c’è crescita, infatti, senza autocritica. Ciò che invece riteniamo controproducente è l’esasperazione di tale evento, nel senso che noi occidentali ne abbiamo fatto una vera e propria indigestione, col rischio, molto concreto, di raggiungere un livello tale di saturazione che, prima o poi, non ne vorremo più sentire parlare. Purtroppo, i primi sintomi di questa preoccupante reazione cominciano timidamente a manifestarsi, come si evince dalla recente inchiesta cui fa cenno Anna Bravo, nel suo articolo apparso su “La Repubblica” dello scorso 31 Gennaio. Se potessimo applicare alla storia le regole dell’economia, potremmo dire che l’argomento “Shoah” è ormai talmente inflazionato che finirà per subire una inevitabile svalutazione, che non potrà non essere grave e devastante per la coscienza storica del mondo occidentale. Noi riteniamo che l’eccessiva e talvolta ossessionante riproposizione di tale evento sia il prodotto di un fenomeno inconscio che riguarda noi tutti, e, nel medesimo tempo, il frutto di una ignobile finalità ideologica che dura da oltre cinquant’anni. Il primo è, secondo noi, connesso a problematiche che attengono alla sfera della psicologia di massa: nel fare della Shoah l’evento cruciale della storia del XX secolo, nell’esasperarne la memoria e nel riproporla costantemente, ci sembra di cogliere il tentativo dell’Occidente di emendarsi di una colpa che invece resterà indelebile. Non è con le cerimonie e coi minuti di silenzio che laveremo le nostre coscienze; non è con le lapidi e con le nostre facce smunte che cancelleremo questa pagina orrenda della nostra storia. Sarebbe ora di smetterla con la spettacolarizzazione del dolore e sarebbe certamente più serio riportare la consapevolezza di questo male immenso, che l’umanità è stata capace di compiere, nella sede che gli compete: il silenzio di ogni singola coscienza. Per quanto riguarda l’ignobile fine ideologico cui si accennava, abbiamo il fondato sospetto che per sessant’anni alcune forze culturali e politiche, attraverso la stampa, l’editoria e il cinema, abbiano occultamente manovrato quel processo che ha condotto alla configurazione della Shoah come mito, nel senso già descritto. Per oltre cinquant’anni, l’opinione pubblica del mondo occidentale è stata sapientemente indirizzata ad interrogarsi su un’unica nefandezza, quella voluta da un omino tedesco, feroce e perverso, e compiuta dai suoi spietati sicari. Totalmente impegnato nella condanna, peraltro sacrosanta, del Nazismo e delle sue efferatezze, l’uomo occidentale ha conosciuto e disprezzato l’omino tedesco, ma non ha avuto la possibilità di fare altrettanto con l’omone baffuto d’oltrecortina, la cui ferocia ha provocato un numero di vittime certamente superiore a quelle del Nazismo. Riteniamo doveroso ricordare i 5 milioni di contadini che si erano arricchiti a seguito della politica economica varata nel ’21, deportati, con le loro famiglie, nei lager della Siberia e della Russia settentrionale e nel giro di pochi anni sterminati dal freddo, dagli stenti o dalle armi “proletarie” del regime. Ed è giusto non dimenticare tutti coloro che perirono nel periodo delle “grandi purghe”(1934-1938): milioni di esseri umani fucilati senza nemmeno conoscere i loro capi d’imputazione. Troviamo davvero ripugnante che intellettuali, storici, registi e giornalisti abbiano steso su quelle vittime il velo della dimenticanza. Per meschine logiche di appartenenza si è giunti a classificare i morti: per quelli trucidati in Germania o in Polonia è stato sancito il perenne ricordo, per quelli massacrati nell’Unione Sovietica è stato decretato l’oblio. Non crediamo possano esistere parole in grado di definire la grettezza intellettuale e la bassezza morale di coloro che sono stati artefici o complici di una simile infamia. Chiudiamo queste nostre riflessioni con un accenno all’episodio che le ha suscitate: il prossimo anno, l’Assessore alla Pubblica Istruzione di Modica, chiunque egli sia, regali alle scuole della nostra città un altro libro, da scegliere tra quelli che si sono occupati dei lager siberiani; noi ci permettiamo di suggerirne, fin d’ora, uno che ci sembra davvero illuminante: “ Una giornata di Ivan Denissovic” di Solgenitsin. Non per dimenticare Anna Frank, naturalmente, ma soltanto per dare la parola, finalmente, alla moltitudine senza voce di altri oppressi. E’ una questione di par condicio: non quella ridicola della politica, ma quella drammaticamente seria della Storia, dell’Etica e della Civiltà.
IL PARADOSSO ( DIMOSTRATO SECONDO L’ORDINE GEOMETRICO )
Giacché, in vista delle prossime amministrative, che decideranno da chi questa martoriata città sarà governata nei prossimi cinque anni, ci siamo assunti l’onere, da taluni certamente non gradito, di dare il nostro modesto contributo al risveglio di tanti nostri concittadini narcotizzati da cinque anni di tumazzu, fave cottoie, cioccolato, giostre e notti bianche, non possiamo esimerci, per l’ennesima volta, dal ricordare loro le affermazioni paradossali del sindaco Torchi e del suo méntore, l’on. Drago, grande manovratore della politica modicana. L’assurdità di quanto essi vanno da tempo sostenendo, i nostri lettori la potranno dedurre alla fine delle argomentazioni che stiamo per esporre. Abbiamo deciso, per l’occasione, di procedere seguendo un metodo geometrico-deduttivo già utilizzato in parte da Cartesio, apprezzato da Hobbes ed estremizzato da Spinoza; parafrasando quest’ultimo, abbiamo deciso di definire il nostro metodo “ Il Paradosso, dimostrato secondo l’ordine geometrico”. Così come, posto un triangolo, necessariamente ne discendono definizioni, assiomi e dimostrazioni, così, poste le affermazioni di Drago e Torchi, ne deriveranno, con assoluto rigore logico-matematico, le conseguenze, cosicché i modicani di quelle affermazioni ne potranno valutare il grado di coerenza e di veridicità. Questo metodo, inoltre, come già aveva intuito Spinoza, consente un distacco emotivo dall’oggetto della trattazione. Al grande filosofo olandese ciò servì per occuparsi con obiettività di tematiche di altissimo spessore teoretico, come Dio, l’uomo, il mondo e la morale; al sottoscritto – sia detto col massimo rispetto – di questioni di tutt’altro spessore: d’altronde, né Torchi né Drago, ne siamo certi, avrebbero l’ardire di collocare ciò che dicono e fanno sullo stesso piano dei grandi problemi metafisici coi quali da sempre l’uomo pensante ha dovuto misurarsi. E veniamo ai fatti. In questi cinque anni di Amministrazione Torchi – varata con la “benedizione” di Drago e tenuta in vita dalla sua forza politica - è “cresciuta” a dismisura la maleducazione dei modicani. Ciò è facilmente verificabile da tutti coloro che hanno la sventura di tuffarsi in quella bolgia infernale che è il traffico cittadino: e di ciò è responsabile la giunta Torchi, giacchè – e questo è un dato incontrovertibile – cinque anni fa la situazione non aveva i tratti allarmanti di oggi. E’ evidente che il nostro Sindaco non ha dirette responsabilità sull’aumento della circolazione veicolare, che in questi anni è cresciuta dappertutto, ma il non aver fatto assolutamente nulla per porvi un qualche rimedio è una colpa indelebile nella sua esperienza amministrativa. In questi cinque anni di Amministrazione Torchi-Drago è altresì “cresciuta”, a dismisura, la maleducazione dei nostri ragazzi: gli atti vandalici – una vera e propria guerriglia urbana – compiuti la sera della Domenica di Carnevale hanno rappresentato per molte famiglie un incubo, a tal punto che mestamente hanno dovuto fare ritorno a casa. Anche in questo caso, naturalmente, la colpa non è da attribuire al Sindaco, ma tuttavia non possiamo non rilevare che tali episodi sono nati e si sono moltiplicati in questi ultimi cinque anni. Ed è nell’arco di questi cinque anni che sono drammaticamente “cresciuti” lo spaccio e la diffusione della droga – l’Operazione antidroga “Overtime”, che ha portato in questi giorni a condanne per oltre 26 anni, è del 14 Aprile del 2004 – e il degradante fenomeno del favoreggiamento e dello sfruttamento della prostituzione: l’Operazione “ Privèe” è del 9 Aprile del 2004. E’ durante l’Amministrazione Torchi che Modica, per la prima volta, nella sua civilissima storia, ha dovuto innalzare le barricate per difendersi da un fenomeno delinquenziale che le era sconosciuto: in quest’ultimo, periodo, infatti, sono nati e poi “cresciuti”, in modo esponenziale, i furti negli appartamenti, che tanta apprensione stanno creando all’intera comunità cittadina. Ribadiamo, ancora una volta, che, non essendo stati colpiti da un’improvvisa forma di cretineria acuta, non ci sfiora nemmeno l’idea di porre una relazione tra l’Amministrazione Torchi e questi fenomeni così degradanti. Ciò che rimproveriamo al nostro Sindaco, al suo potente sostenitore e alla Giunta – e per taluni aspetti alla gran parte del Consiglio Comunale – è di aver diffuso una visione della vita e di aver avuto dei comportamenti che non hanno aiutato le altre realtà della società civile – famiglie, scuola, parrocchie, associazioni – a porre le premesse per scoraggiare l’affermarsi di un degrado che ci auguriamo possa essere ancora arginato. Quando la politica dimostra di essere schiava dei potentati economici non può che allontanare i giovani dall’impegno e dalla partecipazione; se si lancia il messaggio che il portaborse prevale sempre su chi invece vorrebbe affermarsi volendo e potendo contare soltanto sulla sua intelligenza e sulla sua integrità morale, non può che avvenire una dissociazione tra la politica e la parte onesta della società civile: e non occorre essere dei sociologi per comprendere il danno incalcolabile che questo produce nel tessuto sociale della città. Quando si cambia casacca dall’oggi al domani, e anziché arrossire di vergogna si va a riscuotere il premio dal nuovo padrone, si insinua nelle menti dei ragazzi, soprattutto in quelle dei più giovani, la consapevolezza che l’incoerenza, l’opportunismo e la faccia tosta sono di gran lunga più redditizi della lealtà, del pudore e della coerenza. Quando un’Amministrazione, per cinque anni, si fa portatrice di una concezione materialistica della vita, ponendo il denaro come unico criterio per misurare la “crescita” della città, essa ha arrecato alla stessa un danno enorme, ingenerando nei giovani una misera concezione dell’esistenza umana, vanificando, altresì, il lavoro di quei tanti genitori responsabili che per fortuna ancora esistono, dei docenti e di tutte le agenzie educative, siano esse laiche o religiose. Giunti alla fine delle nostre argomentazioni e coerenti col metodo di analisi che abbiamo adottato non ci resta che trarne le conseguenze. Durante il recente Congresso cittadino dell’UDC, l’on. Drago ha dichiarato che Modica, oggi, è una città sicura; non ritenendo che Drago dica delle bugie, delle due l’una: o l’onorevole non ha le idee chiare su cosa voglia dire la parola Sicurezza, e la cosa sarebbe preoccupante, o non è informato su quanto accade nella sua città, e questo, se è grave per qualsiasi cittadino, diventa “paradossale” per un parlamentare che la sua città è chiamato a rappresentarla! Per quel che riguarda Torchi, considerato che non perde occasione per ricordarci che grazie a lui Modica è cambiata e soprattutto che è stata protagonista di una “crescita” senza precedenti, il “paradosso” che caratterizza le sue argomentazioni assume livelli iperbolici. Per uscirne basterebbe completare la sua ricorrente affermazione con un’aggiunta, piccola, ma al tempo stesso di straordinaria rilevanza: è vero, in questi cinque anni Modica è “cresciuta”, nel degrado morale, nella maleducazione e nell’inciviltà. Altri cinque anni così e sarà spacciata. Per sempre!
Marzo 2007
LA PERICOLOSA INVOLUZIONE DELLA DEMOCRAZIA
La Democrazia, a Modica, regge sul piano formale, ma, mancando
di un fondamento etico e religioso, è in crisi su quello sostanziale
Nell’ambito del complesso dibattito che, nel corso del ‘900, si è sviluppato intorno al problema della rifondazione della democrazia, due sono le impostazioni fondamentali alle quali questo può essere ricondotto: quella d’ispirazione religiosa e quella di matrice scientifica. Essendo questo un argomento verso cui abbiamo sempre nutrito molto interesse, ci siamo posti l’obiettivo di definire a quale delle due impostazioni si ispira il sistema democratico di Modica – quanto meno sul piano formale, la sua esistenza è ovviamente indiscutibile. Le motivazioni che stanno all’origine di questo compito non facile che ci siamo assegnati sono due: una di carattere filosofico, e pertanto scaturita da una necessità squisitamente intellettuale che è quella di voler capire; l’altra di natura politica, nata da situazioni contingenti: le prossime elezioni amministrative costituiscono senza dubbio un’occasione favorevole per misurare e valutare la dimensione democratica della nostra città. I risultati ai quali ci ha condotto la rilettura dei brani più significativi di alcuni fra i maggiori pensatori del Novecento che si sono occupati di tali problematiche sono a dir poco preoccupanti. Siamo dunque giunti alla determinazione di ritenere che oggi, a Modica, sul piano sostanziale, la democrazia vive una pericolosa involuzione: il sistema vigente a Modica, infatti, non rientra in nessuna delle due categorie, quella religiosa e quella scientifica, che, come abbiamo già ricordato, non sono le uniche, ma certamente le due fondamentali impostazioni alle quali può essere fatta risalire la forma democratica del vivere civile. Per motivi di spazio, ci occupiamo stavolta di dimostrare l’inconciliabilità della democrazia, come viene concepita e vissuta a Modica, con la dimensione religiosa della stessa, e ci proponiamo di provare, nel nostro prossimo articolo, la sua incompatibilità anche con quella scientifica. Il nesso democrazia-religione è stato sostenuto, in modo e misura diversi, da numerosi autori cattolici, non soltanto in Italia, si pensi a Sturzo, Dossetti, Lazzati, ma anche, e soprattutto, in Francia, basti ricordare Gilson e Maritain: ed è stato soprattutto quest’ultimo a suscitare le considerazioni che stiamo per fare. Abbiamo ripercorso questi ultimi cinque anni di vita politica modicana ed abbiamo amaramente constatato che la democrazia, nella nostra città, non rientra in nessuna delle forme nelle quali si sostanzia quella che abbiamo definito impostazione religiosa della democrazia. Essa non è “Personalista”; se lo fosse non assisteremmo al dominio di una categoria sociale sulla massa del popolo, un dominio che mortifica la dignità della persona. Che nella nostra città il mercato sia diventato il perno attorno al quale ruota l’intera vita cittadina, lo abbiamo scritto e denunciato innumerevoli volte. Ciò non poteva non determinare il prevalere di una sola categoria sociale, quella dei commercianti, per non scontentare i quali l’intera cittadinanza è costretta, addirittura, a subire un traffico veicolare caotico e infernale; e per far lievitare il loro volume di affari, i modicani sono costretti a vivere, per troppe volte all’anno ormai, nel caos e nel disordine delle sagre e delle fiere di paese, che mortificano il glorioso passato della città. Il dominio di una categoria sulle altre determina, sul piano sociale, il mancato rispetto della persona umana negli individui che compongono la massa. La democrazia, a Modica, non è “Umanista”. Essa si definisce “ nel fatto di riconoscere i diritti inalienabili della persona umana e la vocazione della persona come tale alla vita politica, e perché vede nei detentori dell’autorità i vicari della moltitudine” (1). Ci chiediamo quale persona di buon senso, oggi, nella nostra città – escludendo, ovviamente, clienti e portaborse – possa affermare che i nostri amministratori, nella loro quotidiana attività, siano i rappresentanti dei bisogni e degli interessi della popolazione. Le oligarchie partitiche ed economiche, a Modica, come nel resto dell’Italia, si servono della politica per curare i loro privati interessi ed il popolo è soltanto una comparsa su un palcoscenico che ha ben altri protagonisti. Il liberismo sfrenato e il capitalismo selvaggio hanno soffocato, nella nostra città, la dimensione umanistica del vivere, e nella scala dei valori lo sviluppo della spiritualità occupa ormai il gradino più basso, sopraffatto da un occulto materialismo che si è ormai insinuato in tutti i gangli della società modicana, e nella cultura materialistica non può esservi il rispetto della dignità umana: non nell’individuo astratto, ma in ogni persona concreta ed esistente nel contesto storico della sua vita. Una democrazia, quella modicana, che non è nemmeno “Evangelica”. Per salvaguardare la dignità della persona, i diritti umani e la giustizia, per sostenere il senso d’uguaglianza senza cadere nell’egualitarismo, sono necessarie “ un’ispirazione eroica e una fede eroica che fortifichino e vivifichino la ragione” (2). E non v’è dubbio che la società modicana sia terribilmente lontana da questi ideali, che dovrebbero costituire i suoi fini più alti e più veri. La profonda religiosità - che ha contribuito, attraverso i secoli, a dare alla nostra gente uno stile di vita improntato all’accoglienza e alla solidarietà - indebolita dall’esasperato laicismo che regna da decenni in quella che fu la cattolicissima Europa, non è stata certo sostenuta, nella nostra città, da questa Amministrazione, che ha invece sancito la sacralità del denaro, della carriera e della competizione. L’imperante egoismo, conseguenza della mentalità concorrenziale e aziendalistica pervicacemente sostenuta da questa Amministrazione, non può conferire alla vita politica cittadina nemmeno la qualifica di democrazia “Fraterna”. Essa non è nemmeno “Organica”, giacché questa implica che il comando appartenga ad uomini liberi, a coloro che non sono al servizio di altri uomini e che pertanto hanno la piena disposizione di se stessi, e, nel contempo, che gli uomini devono essere governati come persone e non come cose. Né l’una né l’altra condizione ci sembrano essere presenti nella nostra città. Qualunque uomo, e pertanto anche quello politico, è libero quando non ha padroni, se ha la dignità di rinunciare a poltrone e prebende pur di salvare la sua indipendenza, se ha il coraggio di perseverare con coerenza nelle proprie opinioni e convinzioni, se non è disposto a vendersi al migliore offerente. Ci spiace doverlo dire, ma non ci sembra che queste doti siano presenti nella classe politica modicana, al di là della sua collocazione ideologica. Né ci sembra che essa sia immune dalla tentazione di considerare i cittadini come cose anziché come persone e ciò accade ogni qualvolta da fine la persona diventa mezzo: è certamente difficile negare che questa Amministrazione abbia praticato la politica del “ Panem et circenses”. Eurochocolate, il Palio, la Festa dei Sapori, e chi più ne ha più ne metta, sono l’espressione concreta e visibile di un popolo che viene usato e strumentalizzato. La nostra non è nemmeno una democrazia “Maggiorenne”. Per godere “ dei suoi privilegi di maggiorenne, infatti, senza correre il rischio di un fallimento, un popolo dev’essere in grado di agire da maggiorenne(…) “ deve possedere “ le consuetudini e le virtù senza le quali l’intelligenza che dirige l’azione oscilla ad ogni vento e l’egoismo distruttore prevale nell’uomo” (3). Ci sembra davvero assai arduo affermare che noi modicani, dal punto di vista politico, abbiamo raggiunto la maggiore età; al contrario, per dirla con Kant, forse siamo ancora in uno stato di minorità intellettuale, giacché le nostre scelte politiche, anziché essere il frutto della capacità di servirci autonomamente della nostra ragione, sono invece il prodotto del tornaconto personale, dei favoritismi e dei compromessi clientelari. La nostra, infine, non è una democrazia “Pluralista”. Questa si realizza quando “ uomini in possesso di convinzioni metafisiche o religiose del tutto diverse e perfino opposte(…) possono trovare una convergenza, non in virtù di una qualche identità dottrinale, ma in virtù di una somiglianza analogica nei loro principi pratici(…) perché venerano, allo stesso modo, la verità e l’intelligenza, la dignità umana, la libertà e il valore assoluto del bene morale” (4). Noi non riteniamo che il Consiglio comunale di Modica, ad esempio, sia il luogo dove albergano convinzioni metafisiche o religiose; non ci pare che esso abbia un così alto livello intellettuale e culturale: lo vediamo, piuttosto, come un luogo popolato da tanti opportunisti – non tutti, per fortuna, lo sono - che non hanno dimestichezza con le convinzioni, per limiti intellettuali o per disinteresse, che sono invece impegnati a cambiare troppo spesso casacca, a chiedere maggiore visibilità e a lottare strenuamente per accaparrarsi l’agognata poltrona. E non ci pare che i nostri consiglieri comunali sprechino le loro energie per trovare convergenze per il bene della città. Assai spesso, invece, offendono il luogo in cui siedono: anziché essere, infatti, la sede dove si confrontano programmi e idee, diventa troppo spesso il luogo ove si compiono agguati, tradimenti e infedeltà. Come crediamo di aver ampiamente dimostrato, la democrazia, nella nostra città, è ben lungi dall’avere un fondamento cristiano. Sulla necessità che essa venga rifondata sul messaggio evangelico, sicuramente non tutti i nostri lettori concorderanno, ma siamo certi che tutti converranno sulla necessità di ricostruirla sulle solide basi dell’Etica: impegnarsi per questo, crediamo sia un dovere al quale ogni modicano, che abbia a cuore le sorti della sua città, non possa e non debba sottrarsi.
1) J. Maritain “Le crépuscule de la civilisation” in Scritti e Manifesti politici
Morcelliana, Brescia 1978, pg. 193
2) J. Maritain “Cristianesimo e Democrazia”, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp. 54-56
3) J. Maritain Ibidem, pg. 54-56
4) J. Maritain “Ragione e Ragioni”, Vita e Pensiero”, Milano 1982
LA POLITICA INQUINATA
Dalla politica degli interessi economici, del nepotismo
e dei disoccupati alla Politica del confronto e del servizio
Come molti sanno, Platone riteneva che la comunione dei beni e delle donne fosse una delle condizioni imprescindibili ai fini della realizzazione di una Città fondata veramente sul Bene e sulla Giustizia. Egli riteneva, insomma, che i governanti non dovessero avere né famiglia né alcuna proprietà: solo in tal modo, costoro, avrebbero potuto mettere al primo posto, nella loro attività di governo, il bene dello Stato. E’ evidente che le tesi platoniche esprimono una radicalità oggi, come allora, improponibile, e difatti egli stesso ne era consapevole, a tal punto da affermare: “ poco importa se ci sia o possa esserci “ tale città; quel che era importante era che ciascuno vivesse secondo la legge di questa città: quella del bene e della giustizia. Platone, insomma, nel tratteggiare il suo Stato ideale, era pienamente cosciente della sua irrealizzabilità; tuttavia, ne coglieva l’importanza del suo porsi come modello e come punto di riferimento per coloro che detenevano il potere politico. Lungi da noi, dunque, l’idea di strappare i nostri governanti all’affetto dei loro cari o di sequestrare loro case e conti in banca; detto questo, però, occorre dire che il grande filosofo ateniese aveva visto bene e mostrato una lungimiranza pari alla sua immensa statura intellettuale. Non occorre andare tanto lontano nel tempo e nello spazio per avere una conferma di quanto detto: chi può negare, infatti, che gli interessi economici privati abbiano prevalso su quelli collettivi quando le prime leggi varate dall’ultimo governo Berlusconi hanno riguardato l’abolizione della tassa di successione, la depenalizzazione del falso in bilancio e le modifiche alle disposizioni in materia di rogatorie internazionali? E, restringendo il campo della nostra osservazione, non è forse legittimo pensare che, anche a Modica, gli interessi economici di alcuni politici condizionano la vita amministrativa della città? Ed è possibile negare che la politica modicana sia condizionata dalla “Famiglia”? Cos’altro è, infatti, l’imperante nepotismo, che è sicuramente tra i fenomeni che maggiormente inquinano e stravolgono la politica, che, in questo caso, da amministrazione della “cosa pubblica” viene ridotta a strumento per soddisfare i bisogni e le ambizioni della “cosa privata” ? A Modica, aspettiamo da decenni il nuovo piano regolatore: si susseguono le amministrazioni, cambiano i governanti, ma del piano nemmeno l’ombra: come non sospettare che la sua mancata elaborazione sia legata a motivazioni di ordine economico? Come non dubitare che l’aver accantonato una questione vitale per la vita della città sia dipeso dalla necessità di tutelare certi interessi o di evitare di danneggiarne altri? Ovviamente, non possiamo che manifestare dei sospetti, giacché ci stiamo muovendo sul piano delle supposizioni e non su dati di fatto in nostro possesso, ma se così fosse, la cittadinanza avrebbe non soltanto il diritto ma il dovere di interrogarsi sull’opportunità che la sua classe politica continui a governare questa città. Per quel che riguarda il nepotismo, la sua costante diffusione nella vita politica modicana è un dato di fatto: esso rimane una prassi assai deleteria per la crescita civile e politica della nostra città, perché compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’ opportunità di accedere alla politica e pertanto mina le fondamenta della stessa democrazia. Con lo stesso intento di Platone, che, come abbiamo visto, dava al suo Stato ideale una valenza squisitamente paradigmatica, ci permettiamo d’integrare, con grande e riverente rispetto, le osservazioni platoniche, convinti che l’aggiunta di un’altra regola potrebbe rendere ancora più virtuosa la città e la politica più attenta ai reali bisogni dei cittadini. Si tratterebbe d’impedire ai disoccupati di fare politica: dovendo con essa campare, il politico è costretto a piegarsi a qualunque compromesso e non può offrire alcuna garanzia in ordine all’indipendenza, alla trasparenza e alla certezza di operare sempre per il bene dei suoi concittadini. Se i modicani ritengono che la politica, nella loro città, sia effettivamente inquinata dagli interessi economici di alcuni, che prevalgono sempre e comunque su quelli della collettività, dai favoritismi verso fratelli, nipoti, cognati, cugini e quant’altro e da tanti, troppi disoccupati, che hanno trovato nella politica lo strumento per oziare e nel contempo ottenere lauti guadagni, se, lo ripetiamo, i modicani pensano che tutto ciò a Modica ci sia, crediamo sia giunto veramente il momento che trovino il coraggio di dire basta; perché la politica torni ad essere il luogo del confronto delle idee e del servizio ai cittadini, soprattutto a coloro che ne hanno materialmente e spiritualmente più bisogno.
LA PROVA INCONFUTABILE
Pio XII soleva affermare che il più grande peccato è l’aver perso il senso del peccato! Parafrasando questa celebre massima di papa Pacelli, possiamo affermare che il più grande difetto dell’attuale modo di intendere la politica è l’aver perso il senso della misura e del rispetto delle regole. A suscitarci queste riflessioni è stata la recente nomina di Nino Minardo al vertice del Consorzio autostradale siciliano. La vicenda costituisce l’ennesimo esempio di una politica che ormai è legata soltanto alla logica della spartizione delle poltrone. Il fatto in questione è certamente da biasimare, ma ciò che maggiormente preoccupa è che sia stato presentato all’opinione pubblica come un dato che rientra nella norma e che può essere annoverato tra le cose moralmente e politicamente accettabili. Non è così, ovviamente! Vanno condannate con forza, innanzitutto, le dichiarazioni del forzista Alessandro Pagano, commissario del partito in provincia di Ragusa, il quale, per far rientrare la candidatura di Minardo alla presidenza della Provincia – che avrebbe rotto il già precario equilibrio faticosamente raggiunto dai partiti della Casa delle Libertà sulla ricandidatura di Antoci – ha tranquillamente affermato che, per premiare il ritiro di Minardo, avrebbe trovato una soluzione “all’interno della geografia del sottogoverno”, vantandosi di aver già sperimentato questo tipo di iniziativa ad Agrigento, dove il primo dei non eletti è stato “ricompensato” con la presidenza dell’AST e che lo stesso procedimento sarebbe stato attuato a Messina, Catania e Trapani. Sappiamo, ovviamente, che tutto ciò non rappresenta una novità nella politica italiana, ma, quanto meno, un tempo tutto ciò veniva realizzato cercando di dargli il minimo possibile di notorietà. E’ evidente che anche allora il fenomeno era da considerare negativo e degradante, anzi l’ipocrisia con cui veniva gestito lo rendeva per certi aspetti ancora più abietto, ma il tentativo di agire dietro le quinte tradiva comunque la consapevolezza di attuare una politica squallida e di basso profilo. Non era molto, ma era già qualcosa. Solo se si è consapevoli di essere peccatori, si può nutrire qualche speranza di non peccare più! Le dichiarazioni di Pagano sono gravissime perché esplicitate nella convinzione che spartire i posti di potere rientri nell’ambito e nelle competenze della politica, mentre invece, in una società autenticamente democratica, ai quei posti si dovrebbe accedere solo in virtù di capacità e abilità dimostrate in concorsi pubblici e trasparenti. Va biasimato, a nostro parere, anche il comportamento di Minardo, il quale ha sempre sostenuto di essere entrato in politica per portarvi una ventata di freschezza e di rinnovamento: in antitesi, dunque, al vecchio modo di fare politica, nei confronti del quale, più d’una volta, egli stesso si è scagliato, accreditandosi, altresì, come portavoce dell’esigenza dei giovani di poter fare politica in modo libero e nuovo. A noi sembra, a giudicare dai fatti, che l’unico giovane per il quale Minardo sta conducendo le sue battaglie sia proprio lui, e che avanzare la sua candidatura alla provincia per poi ritirarla dopo aver ottenuto la poltrona più alta del Consorzio autostrade non abbia affatto il sapore della freschezza e del rinnovamento, quanto, piuttosto, l’odore stantìo del vecchio e deleterio modo d’intendere la politica. Quella politica che, ancora una volta, si fa beffe della democrazia e della giustizia, annientando il sacrosanto diritto dei siciliani ad avere tutti le stesse opportunità. Fa rabbia pensare a quei nostri conterranei – e fra loro quei giovani di cui Minardo si fa paladino – che, potendo vantare un ottimo curriculum che avrebbe potuto spianare loro la strada per accedere alla presidenza dell’Ente autostrade, dovranno invece tollerare che questa sia stata data ad un signore che non ci risulta essere in possesso di un titolo professionale o di specifiche competenze che possano giustificarla. Ci è sembrato, tra l’altro, poco opportuno affidare la presidenza del Consorzio autostrade ad un esponente della famiglia Minardo: possibile che nessuno si sia posto il problema che ciò possa determinare un evidente conflitto di interessi? Non possiamo, infine, non disapprovare l’atteggiamento dei consiglieri Assenza, Rosa e Militello, facenti parte del gruppo creato da Nino Minardo, i quali hanno espresso viva soddisfazione per la nomina di prestigio conferita al loro leader dalla Giunta regionale. Anche per loro vale quanto già detto: il peggior peccato è l’aver perso il senso del peccato! Essi, infatti, interpretano tutto ciò come un segnale di cambiamento, di freschezza e di innovazione della classe dirigente. Preferiamo credere che la loro dichiarazione sia nata dall’esigenza, comprensibile, di essere solidali con Minardo, perché se quanto detto, invece, è l’espressione delle loro reali convinzioni, non c’è davvero di che stare allegri: la spartizione delle poltrone, infatti, è stata rimossa dalla sua sede naturale – la limacciosa giungla del sottogoverno – per essere elevata a nobile strumento di innovazione e di rinnovamento. Per l’ennesima volta, non possiamo non chiederci se i modicani avranno il coraggio di sbarazzarsi, elettoralmente, di tutti coloro (non importa se di destra, di centro o di sinistra, giacché l’arte assai diffusa del cambiare continuamente casacca ha reso tali categorie obsolete e inutili) che in questi anni, in maniera gattopardesca, hanno gridato ai quattro venti d’aver cambiato tutto, con l’unico obiettivo di non cambiare nulla: e il caso Minardo ne è la prova inconfutabile.
Aprile 2007
RICACCIAMO NELL’ANONIMATO I MESTIERANTI DELLA POLITICA
Dobbiamo confessare che l’approssimarsi della competizione elettorale per l’elezione del Sindaco e del nuovo Consiglio comunale di Modica ci tiene non poco in apprensione, non per la sorte dei candidati, ovviamente, della quale poco ci importa, ma per quella che attende la nostra città. Tutte le elezioni amministrative - al di là del solito fiume di retorica che travalica, come sempre, gli argini del buon gusto e del buon senso – rivestono sempre molta importanza, giacché toccano da vicino il nostro vivere quotidiano, ma quelle che si svolgeranno nel prossimo mese di Maggio riteniamo siano decisive per la storia di Modica. Stavolta si tratta di decidere quale futuro vogliamo costruire per la nostra città, quale strada vogliano che essa percorra, non soltanto sotto il profilo socio-economico, ma soprattutto dal punto di vista umano. Ed è questa la peculiarità che conferisce alle prossime elezioni un significato che trascende il dato squisitamente politico, che resta naturalmente importante e che non intendiamo sicuramente sottovalutare. In questi anni abbiamo duramente criticato l’Amministrazione Torchi, e non intendiamo tediare i nostri lettori riproponendo il lunghissimo elenco delle motivazioni che ci hanno indotto a biasimare con forza l’operato del Sindaco uscente. Non intendiamo, pertanto, denunciare, attraverso una minuziosa sequela di fatti, le tantissime promesse non mantenute e i gravissimi fallimenti della sua amministrazione. E’ inutile nascondercelo: ci troviamo a un bivio, e guardando in ambedue le direzioni non riusciamo a intravedere la luce; siamo avvolti da una totale oscurità! E la salvezza non sta nel prendere l’una o l’altra via, ma nella speranza che ci illumini un improvviso bagliore e che ci permetta di evitarle. Fuor di metafora: se ci incamminiamo sulla strada che conduce all’Amministrazione uscente, rischiamo di compromettere, e stavolta per sempre, il futuro di Modica. La nostra città, infatti, esce stremata da questi cinque anni di pessimo governo, ma se la gettiamo, per altri cinque, tra le braccia di questo centrodestra, dai leaders ai loro amici e portaborse, la conduciamo ad un abbraccio che potrebbe risultare letale. Lo spettacolo poco edificante offerto in questi anni dal centrodestra continua, naturalmente, in piena campagna elettorale: basti pensare alla “faida politica” nella famiglia Minardo. La candidatura alla Provincia dello zio e del nipote sta ovviamente alimentando malumori all’interno del partito, a tal punto che Moltisanti, presidente del Consiglio comunale di Ispica e collaboratore di Leontini ha dichiarato: “ Questa campagna elettorale si sta sempre più trasformando nello svolgimento delle primarie in casa Minardo che hanno completamente occupato ed usurpato il partito”. L’onorevole Riccardo predica l’umiltà, e tuttavia, non contento di sedere a Montecitorio vuole occupare un posto anche a Via del Fante; il nipote Nino auspica il rinnovamento della politica, e tuttavia, non contento d’aver ottenuto la presidenza del Consorzio autostradale siciliano, vuole guadagnare anch’egli un posto alla Provincia. Possibile che i modicani non si rendano conto che il bene della città è per costoro l’ultimo dei loro pensieri? Noi abbiamo il dovere morale di non riconsegnare Modica alla logica antidemocratica del nepotismo, alla pratica deleteria del clientelismo, alla politica del sottogoverno e delle ambizioni personali, alla volgare consuetudine del cambiare casacca, alla miserevole girandola degli assessori, attuata nel totale disinteresse per le capacità e le competenze dei prescelti e nel pieno interesse, invece, degli appetiti dei singoli e dei loro partiti di riferimento. Noi abbiamo il dovere civile di non riconsegnare la città a coloro che ne hanno fatto un gigantesco mercato, a chi non ha impedito che si tentasse di compiere, nel suo territorio, un vero e proprio scempio ambientale e paesaggistico. Non possiamo e non dobbiamo riaffidare la nostra città a chi ha fatto dello sfrenato liberismo la bandiera della propria azione politica, dimenticando che una città sopravvive non se viene immersa nella palude della competizione e dell’egoismo, ma se è alimentata dall’acqua trasparente del dialogo, del confronto e della solidarietà. Non possiamo riconsegnare la città a chi, come il presidente Enzo Scarso, si ritiene orgoglioso di aver coordinato un Consiglio “ qualificato, ordinato, rispettoso, maturo, responsabile e politicamente lungimirante”. Alla città virtuale amministrata da Torchi si è aggiunto, adesso, il Consiglio Comunale virtuale presieduto da Scarso! In ugual modo, sebbene per motivazioni diverse, temiamo d’intraprendere la strada che conduce a quelle forze politiche che sostengono Buscema. Confessiamo, infatti, di non fidarci di tale coalizione. In questi cinque anni di Amministrazione Torchi, non abbiamo affatto apprezzato le modalità con cui questo centrosinistra ha interpretato il suo ruolo di opposizione. Troppo spesso, in Consiglio comunale, le forze che lo compongono non hanno avuto il coraggio di contrapporre alla demagogia del centrodestra una visione del mondo alternativa; sovente ha manifestato una deplorevole arrendevolezza ed un’opposizione strumentale che non ha prodotto alcunché di positivo per la nostra città. Avremmo voluto vedere un’opposizione costruttiva, proponente e alternativa ed invece la sua azione politica è stata sterile e troppo spesso si è concretizzata nell’inutile rimprovero, all’Amministrazione al governo, di essersi attribuita il merito di aver portato a compimento progetti elaborati da altri; basti per tutti l’esempio della contestata fontana di piazza Rizzone: viene elevato a motivo di vanto ciò che dovrebbe essere, invece, motivo di vergogna. Perché mai dovremmo fidarci di una coalizione che in Consiglio comunale ha offerto anch’essa, talvolta, lo spettacolo poco edificante del cambiare bandiera. Un Consiglio comunale che non ha fatto nulla per dare alla città, dopo oltre mezzo secolo, un nuovo piano regolatore, determinandone, così, uno sviluppo caotico e selvaggio. Non ricordiamo, da parte dell’attuale opposizione, dei gesti eclatanti, delle vigorose denunce, delle manifestazioni che coinvolgessero la cittadinanza per dire basta ai misfatti compiuti dall’Amministrazione al governo. Certo, le critiche, effettuate nel civico consesso, sono state fatte, ma sono stati episodi di routine nell’ambito della normale dialettica democratica tra maggioranza e opposizione. Dinanzi ai danni giganteschi prodotti da questa maggioranza, avremmo avuto bisogno di un’opposizione che criticasse gli avversari a causa del loro operato e non mossa dall’unico intento di prenderne il posto; un’opposizione che avesse veramente a cuore le sorti della città e non le proprie. Oltre al danno di una maggioranza politicamente incapace, abbiamo dovuto subire anche la beffa di un’opposizione protesa egoisticamente a programmare il suo futuro, anziché far di tutto per porre un argine al declino politico, morale e civile della città. In questi cinque anni avrebbe dovuto costruire intorno a sé un consenso autentico, che avrebbe potuto ottenere se avesse gridato forte la sua diversità politica e morale rispetto all’Amministrazione al governo, se alle logiche devastanti che hanno guidato le forze al governo avesse contrapposto i valori della coerenza e della trasparenza: abbiamo il timore che l’opposizione si sia trovata nell’impossibilità di farlo, perché consapevole che se andasse al potere sarebbe incapace di essere autenticamente alternativa a coloro che attualmente lo detengono: le recenti dichiarazioni di Buscema, che nel complesso ha valutato positivamente l’attività di questo Consiglio comunale – certamente il peggiore nella storia della città – ne sono la conferma. Gli uni e gli altri, insomma, sono figli di quella cultura politica che ha fatto dell’Italia dell’ultimo sessantennio la Repubblica delle banane che tutti conosciamo: l’Italia dei compromessi e dei favoritismi, delle clientele e degli opportunismi. Persino nelle piccole cose, il centrosinistra modicano non è riuscito a differenziarsi dal suo avversario: si pensi all’affissione selvaggia dei manifesti elettorali, che sta deturpando la città, nonostante le solite, ipocrite promesse non mantenute. I lettori si sono certamente resi conto che siamo ritornati nel bivio, e mentre avvertiamo la seducente tentazione di restarci, fanno capolino nella nostra mente degli scenari che sono fonte di una irresistibile ilarità, che ha il merito di mitigare la gravità della situazione descritta: politicanti che tornano disoccupati, mediocri personaggi che ripiombano nel loro meritato anonimato, ignudi voltagabbana, nonostante le tante casacche accumulate in tanti anni di indecorosa militanza politica, ossequiosi portaborse che ritornano nel nulla da cui erano partiti. Non ci spiacerebbe, lo dichiariamo apertamente, che questo immaginario scenario assumesse i tratti della concretezza e della realtà. Sarebbe salutare per noi e utile per la loro redenzione non gratificarli con una valanga di voti: chi ottiene consensi, e soprattutto chi ne guadagna tanti, si sente autorizzato a perseverare in ciò che ha fatto prima, e dunque continua imperterrito ad inquinare la politica e ad annientare la città. Puniamoli, una buona volta, questi mestieranti della politica: ricacciamoli nell’anonimato, dando loro, in tal modo, la punizione che temono più di ogni altra. Essi hanno bisogno della visibilità per poter sopravvivere: è questa, infatti, che concede loro l’illusione di essere usciti dalla devastante mediocrità in cui si trovano. Votare chi ha trovato nella politica un mestiere, chi l’ha trasformata in un mezzo per far carriera e rimpinguare il conto in banca, chi la utilizza per sistemare i propri parenti, vuol dire diventare complici di questo degrado e portare il fardello di una grave e pesante responsabilità.
QUELLA LACRIMA SUL VISO
Dobbiamo confessare ai nostri lettori che stiamo vivendo questa vigilia elettorale con commossa partecipazione. Ciò che tocca le corde del nostro animo, suscitandoci sentimenti di commozione e gratitudine, è il constatare che oltre cinquecento nostri concittadini sono animati da un amore immenso e gratuito per la nostra Modica; una dedizione e un altruismo che credevamo ormai spenti. Abbiamo dovuto ricrederci! Non possiamo tacere l’emozione che ci assale ogni qualvolta ci soffermiamo a meditare sulla profondità delle frasi che campeggiano sui manifesti elettorali, accanto alle facce sorridenti e ammiccanti di tutti coloro che sono disposti ad immolarsi per il bene della città: e come si potrebbe restare indifferenti dinanzi a pensieri così elevati da fare impallidire i più grandi pensatori del nostro Occidente! Quel che ci consola e rassicura, e che ci fa sperare in futuro migliore, è la certezza che nessuno di loro sta spendendo tempo e denaro nel tentativo di trovare un lavoro che non ha o nella speranza di iniziare una carriera politica che domani, chissà, potrebbe essere foriera di grandi benefici in termini di potere e di quattrini. Nessuno di loro, e lo ribadiamo, sta spendendo energie per conquistare, un giorno, una qualche poltrona, che gli consenta di sistemare parenti, amici e amici degli amici. Nossignori! Questo stratosferico numero di candidati a trenta posti di consigliere comunale ha qualcosa di eroico: ci ricorda, infatti, l’epopea risorgimentale. Ci è capitato, infatti, più d’una volta, di scorgere nelle loro facce, amene e rassicuranti – come in una sorta di trasfigurazione - i volti dei vari Mazzini, Pellico, Menotti, Pisacane; d’altronde, perché meravigliarsi: quelli rischiarono o diedero la vita per la Patria, questi non rischiano certo la vita, ma, tuttavia, non fuggono dinanzi al sacrificio. Non dimentichiamo, infatti, che stanno lì, in lista, non per ambizioni o egoistici progetti, ma per due nobilissimi motivi: l’obbedienza al partito e un insopprimibile anelito a mettersi al servizio della città. E adesso, sfidiamo chiunque a dimostrare che la nostra commozione non sia ampiamente giustificata! Non possiamo, naturalmente, per ovvi motivi di spazio, confidare ai nostri lettori tutte le considerazioni che ci hanno suscitato le frasi celebri dei nostri candidati. A proposito dei quali ci sembra giusto fare una doverosa precisazione: sappiamo bene, ovviamente, che tra loro c’è una minuscola pattuglia che invece è scesa in campo col solo obiettivo di fare i propri interessi; ma non c’è da preoccuparsi. Essa è come un’isola d’ipocrisia e mediocrità in mezzo ad un oceano di trasparenza e di onestà; pertanto, l’opportunismo, l’ignoranza e il clientelismo che la caratterizzano saranno sommersi dalle onde travolgenti del disinteresse, dell’altruismo e della dedizione che qualificano, invece, i cinquecento filantropi che si contendono l’onere di salvare la città. Qualcosa, tuttavia, riguardante il Sindaco e la sua frase celebre “ Un futuro da raccontare” intendiamo dirla: in fondo, come primo cittadino, ha diritto ad una visibilità maggiore degli altri; non si dimentichi, tra l’altro, che su questa ha costruito i suoi cinque anni di buon governo. Noi auguriamo al sindaco Torchi un esaltante successo politico, per il bene dei nostri figli e dei nostri eventuali nipoti. Alla luce del glorioso presente che ha costruito, gli riconosciamo la capacità d’inventare un futuro ancora più luminoso. Quando i posteri – questa la speranza che nutriamo – parleranno dell’ingloriosa storia di questa città, non potranno tacere e dovranno “raccontare” che vi fu un tempo in cui il buio, che aveva avvolto la città, fu illuminato dalla luce dell’Amministrazione Torchi, che mai cedette alle lusinghe dell’insopportabile autoincensamento, delle nauseanti interviste e dell’inconcludente apparire e che si distinse, al contrario, per la concretezza del fare e la lungimiranza del pensare. La nostra ultima considerazione vogliamo dedicarla a Minardo zio e Minardo nipote, deputato, il primo, e presidente del consorzio siciliano autostrade, il secondo. Se il sacrificio degli altri candidati è riuscito a commuoverci, quello dei Minardo, lo confessiamo, è riuscito a far sgorgare qualche lacrima dai nostri occhi: e come potrebbe essere altrimenti! Provate a immaginare il giovane Nino: nonostante si trovi – senza alcun merito, in verità – ad occupare la poltrona più alta di un Ente di notevole rilevanza, con tutte le fatiche e i fastidi che ciò comporta, era disposto, per il bene della nostra Provincia, a sopportare un altro peso non indifferente. L’intervento di Alfano, coordinatore regionale di Forza Italia, lo ha fatto recedere dai suoi propositi. Quel che ci conforta, in questa vicenda, è che il giovane rampollo dei Minardo ha obbedito non per paura di inimicarsi il proconsole di Berlusconi in Sicilia, ma, come egli stesso ha dichiarato, per il bene del partito e della sua famiglia. Insomma, il giovane Minardo si sarebbe comunque sacrificato: nell’uno o nell’altro caso! E provate a immaginare il Minardo zio: dopo anni trascorsi a Palazzo Madama, prima, e a Montecitorio, dopo, con tutte le noie e i problemi che ne derivano, non si tira indietro, e, incurante dei consigli di Angelino Alfano, persevera nella sua decisione di sacrificarsi per il bene di tutti noi. Egli ha infatti dichiarato: “ Scendo in campo per amore della mia terra e della mia gente, e questa candidatura nasce nell’interesse del territorio che affronterò con il fervore, la lealtà, la dedizione e l’umiltà di sempre”. Scommettiamo che, a questo punto, anche nel vostro animo è sorto un inaspettato intenerimento e sul vostro viso, forse, come sul mio, è apparsa, inattesa, una lacrima di commozione.
Maggio 2007
IL SOGNO INFRANTO
Abbiamo coltivato il sogno di una Modica finalmente libera dall’insopportabile rampantismo in stile berlusconiano, che in questi ultimi cinque anni ha “regalato” alla nostra città un consiglio comunale popolato da troppi personaggi intellettualmente mediocri e politicamente incapaci, che hanno fatto dell’aula consiliare il sito miserevole delle banderuole; il sogno di una città affrancata dalla purulenta piaga del clientelismo e che si riappropria finalmente della sua dignità, calpestata e violata, da coloro che ritengono merce la persona umana, da poter comprare al mercato degli inganni e delle false promesse. Abbiamo inseguito il sogno di una Modica che desse un calcio alla vergognosa pratica del nepotismo, che regala la ribalta agli illustri sconosciuti e che è la negazione della democrazia, della logica e del vivere civile: la parentela, infatti, si fa criterio per assegnare i meriti, le qualità politiche e intellettuali e naturalmente le poltrone; una città libera da potentati economici e consorterie politiche che ne condizionano il corretto sviluppo, la vita sociale e persino la cultura. Una città che si ribella alla devastazione urbanistica che ha subito, al traffico infernale in cui è costretta vivere per l’inerzia e i calcoli politici di una classe dirigente troppo impegnata a programmare promozioni e carriere per prendere sul serio i problemi veri e quotidiani della gente. Abbiamo coltivato il sogno di una città senza sagre paesane e notti bianche, che non deve più subire lo squallido sciamare di turisti distratti e frettolosi, con le pance piene e le teste vuote; una città restituita alla sua secolare eleganza che, pur nella inevitabile dimensione della modernità, si riappropria delle silenziose atmosfere che le appartengono e che nessuno ha il diritto di annientare col chiasso di un triviale clima festaiolo, che ha fatto dei modicani un popolo di marionette, che danzano, su un palcoscenico triste e polveroso, senza più nemmeno il pudore di nascondere i fili che le muovono. Il sogno di una città non più soffocata dal proliferare di negozi, banche e centri commerciali, che hanno fatto scorrere sulle sue antiche strade fiumi di denaro, attirando gli appetiti delinquenziali della malavita: e ciò che prima era un’oasi di pace e tranquillità, è divenuta un arido deserto dove crescono i semi del degrado civile e morale. Abbiamo sognato una Modica non più al servizio del mercato e dello shopping, e riconsegnata, dopo cinque anni di devastante frenesia, alla sana e produttiva attività degli artigiani e degli allevatori; una Modica libera da una follia durata cinque anni: quella di poter essere ciò che mai potrà essere. Una cittadina di provincia non può, per soddisfare gli interessi elettoralistici di pochi, assumere le connotazioni di una metropoli, se non pagando un caro prezzo, quello di perdere il suo equilibrio socio-economico e la sua identità. Abbiamo immaginato una Modica affrancata dall’individualismo e dalla mentalità egoistica della concorrenza e della competizione e che sa invece incamminarsi lungo le strade luminose della condivisione e della solidarietà. Abbiamo coltivato il sogno di una città che non deve più correre il rischio di poter subire inqualificabili attentati alla salubrità dell’ambiente e alla bellezza dei suoi paesaggi, per la manifesta negligenza di chi l’ha amministrata in questi cinque anni, che hanno visto il trionfo della demagogia e la latitanza del lavoro serio, concreto, svolto per il bene della città e non per pavoneggiarsi davanti a telecamere e taccuini. Abbiamo sognato una Modica in cui non avremmo più assistito al ridicolo e deplorevole valzer degli assessori: nominati, lodati e licenziati, in una girandola di poltrone che non ha mai consentito, a coloro che si sono alternati in questo eterno carosello, di poter operare in piena tranquillità, essendo stati presi, ovviamente, dalla preoccupazione di salvare la poltrona, fin dall’inizio traballante, sulla quale si erano accomodati. Abbiamo nutrito la speranza di avere un Sindaco che preferisse l’essere all’apparire: quello appena riconfermato è stato il sindaco dell’immagine, dell’apparenza e dell’ottimismo a buon mercato, che in quanto tale è inutile e insignificante. Il nostro sogno è svanito e con esso la speranza che la nostra città possa risorgere dalle sue macerie. Abbiamo sperato di vivere in una città senza cafoncelli vestiti a festa, con orrende e sgargianti cravatte e con l’immancabile cellulare, che, accompagnandosi al potente di turno, coltivano l’illusione di essere buoni a qualcosa; abbiamo sperato di liberarci di questa nube tossica che da cinque anni avvelena la città coi fumi del servilismo, dell’incoerenza e della superficialità. Noi apprezziamo, di Antonello Buscema, le doti dell’onestà, della serietà e della correttezza morale, che un po’ tutti gli riconoscono, ma non essendo, la coalizione di centro sinistra che lo ha sostenuto, migliore di quella uscente e appena riconfermata, abbiamo il fondato sospetto che, se avesse vinto, le sue qualità umane sarebbero rimaste nel mondo delle buone intenzioni, soffocate da una coalizione che non ha saputo fare l’opposizione, che troppo volte è sembrata compiacente con le decisioni della maggioranza e che annovera nelle sue fila personaggi politici che soltanto una buona dose di sfacciataggine permette di presentare all’opinione pubblica come mezzo di rinnovamento politico e come strumento di una valida e credibile alternativa. La sconfitta del centro sinistra non è dunque un dramma, ma la vittoria plebiscitaria di Torchi e della coalizione che lo ha sostenuto è senza dubbio una tragedia. Questa testimonia, infatti, che il popolo modicano non anela al proprio riscatto morale e civile, è lieto di sguazzare nella pantano del clientelismo, è felice di vivere nella mediocrità, e, come un cane alla mensa del padrone, s’accontenta di raccogliere le briciole che questi, di tanto in tanto, lascia cadere per tenerlo a cuccia. In questi cinque anni abbiamo toccato il fondo della palude, quella della mediocrità politica e della decadenza civile: nei prossimi che ci aspettano, la sua acqua melmosa ci sommergerà tutti!
I SEGNI DELLA SCONFITTA
In questi anni, come i nostri lettori sanno, non abbiamo risparmiato critiche all’Amministrazione di centro destra che ha governato Modica. Abbiamo sempre cercato, per il bene della città, di denunciare i limiti culturali dell’attuale maggioranza: essa riflette, d’altronde, la crisi che tale coalizione vive a livello nazionale. Una crisi di credibilità. Quale attendibilità può avere, infatti, un partito-azienda come Forza Italia, che non è nato certo per un’esigenza propositiva, ma soltanto per impedire – anche se ciò è certamente legittimo – che l’allora PCI potesse avere il controllo del Paese, essendo divenuto il primo partito d’Italia, dopo che la magistratura aveva letteralmente spazzato via la DC e il PSI, per la storia, ormai ben nota, dei finanziamenti illeciti, ma risparmiato il PCI, che intanto incassava tranquillamente quelli provenienti dall’ex Unione Sovietica. Un partito, Forza Italia, senza valori e ideali, un gigante di cartapesta al servizio del mercato e di uno sfrenato liberismo, che riempie il portafogli di banchieri, finanzieri e grandi imprenditori e impoverisce sempre più le fasce più deboli della popolazione. Quale credibilità può avere Alleanza Nazionale, sorta dalle ceneri di un partito che invece trovava negli ideali la sua stessa ragion d’essere, che sosteneva il patriottismo, la socializzazione e l’anticapitalismo; un partito, Alleanza Nazionale, che ha svenduto un patrimonio di idee per il classico piatto di lenticchie, compiendo una degradante giravolta di 360 gradi, e ritrovandosi, così, sostenitore del liberismo, del federalismo e ammiratore della più iniqua democrazia dell’Occidente. Ci riferiamo, ovviamente, a quel modello americano che una stampa servile non cessa di esaltare, dimenticando che quel modello, quando cresce e avanza, lascia per strada le vittime del suo individualismo e del suo esasperato egoismo, che sono le minoranze etniche ancora umiliate e bistrattate e i poveri, che non potendo permettersi le salatissime assicurazioni sanitarie – lodevole esempio di alta democrazia! –sono costretti troppo spesso a rimetterci la pelle, nell’indifferenza del “civilissimo” popolo americano. Quale attendibilità può avere la Lega Nord, un partito folcloristico – si pensi alle grandi adunate sui prati della “Padania” a sorseggiare le acque “benedette” del Po – e che nasconde il progetto più egoistico e volgare che mai sia stato concepito nel nostro Paese: che la “Padania” si tenga i suoi quattrini e gli altri anneghino pure nelle loro difficoltà! La Lega rappresenta gli interessi della peggiore borghesia italiana, per la quale gli affari sono il fine della vita e il profitto ciò che le da senso. Una Weltanshauung che non può che provocare un senso di disgusto in chi crede nella sacralità della vita e in chi ritiene che il pensiero, e non i quattrini, possa elevarci al di sopra delle bestie. Che credibilità può avere l’UDC, erede di quella Democrazia Cristiana che certamente molto ha fatto per lo sviluppo dell’Italia, che doveva risorgere dalle macerie del secondo conflitto mondiale. Ma il prezzo che la DC ha fatto pagare agli italiani per realizzare tale sviluppo è stato altissimo: dalle contiguità, talvolta addirittura complicità, con la malavita organizzata al becero clientelismo disinvoltamente praticato dalla stragrande maggioranza dei suoi esponenti; dal trasformismo ideologico e politico ai turpi compromessi con chi era portatore di una visione della vita, atea e materialistica, assolutamente antitetica alla sua. Un partito che osava definirsi cristiano e che era pronto, tuttavia, a scendere a patti col diavolo, pur di conquistare prebende e poltrone. Gli eredi di costoro hanno l’ardire di presentarsi agli italiani come coloro in grado di rinnovare la politica nazionale! A Sinistra non si sta peggio, ma certamente non si sta meglio! Basta pensare al Presidente del Consiglio, quel Prodi che fin dagli anni novanta fu presentato all’opinione pubblica –troppo spesso distratta, dunque meglio approfittarne – come l’uomo nuovo della politica italiana: lui, uomo di De Mita e democristiano doc, artefice dello sfacelo dell’IRI. Il centro sinistra, oggi, è un mondo di voltagabbana, tale da far concorrenza a Fini, che di questa categoria è l’indiscusso leader. Basta pensare a Rutelli, laico, verde, ambientalista e radicale, diventato assiduo frequentatore di sagrestie, sostenitore irriducibile del verbo episcopale, insomma un uomo buono per tutte le stagioni. Una sinistra, quella italiana, che ha cambiato troppe volte nome, ma che mantiene intatta nel suo DNA l’esecrabile strategia della demonizzazione dell’avversario politico: si pensi alle modalità adottate per liberarsi dell’odiato Berlusconi: prima attraverso la via giudiziaria, adesso risuscitando la vecchia storia del conflitto d’interessi. Dimenticano, questi signori, che in democrazia l’avversario lo si batte prendendo più voti di lui: qualunque altro metodo è illegale e moralmente deprecabile. La sinistra che tiene al laccio Prodi è la stessa che lanciava monetine a Craxi, reo di accettare illeciti finanziamenti al suo partito, mentre fiumi di denaro, in modo non certo trasparente, dalle fredde stanze del Cremlino affluivano in quelle delle Botteghe Oscure. Adesso, cercano di far dimenticare agli italiani la storia dalla quale provengono: quella che nascondeva all’Occidente i misfatti di Stalin – che ha sulla coscienza un numero di morti tale da far impallidire quello provocato dal carnefice tedesco – e che tacque vergognosamente quando in Ungheria, nel ’56, l’Unione Sovietica mandò il suo “aiuto fraterno” a quel gran farabutto di Kadar, che costò la vita a Nagy, e che portò alla tristemente nota “normalizzazione”. Quella stessa sinistra che non fu del tutto compatta nel condannare l’altro, ben noto “aiuto fraterno” inviato a Praga nel ’68 e che stroncò il sogno di Dubcek di costruire un “comunismo dal volto umano”. E che dire dei vari Diliberto e Bertinotti, cioè di quella estrema sinistra che ancora oggi innalza un vessillo nel cui nome sono stati massacrati senza pietà milioni di esseri umani. Una falce e martello che grondano sangue e che in un Paese civile non troverebbero mai diritto di cittadinanza in un luogo, il Parlamento, che dovrebbe essere il tempio di ogni democrazia. Questi signori, che oggi si sono autoconferiti la patente di garanti e tutori della democrazia, sono gli stessi che urlavano nelle piazze il loro odio per le forze dell’ordine: fa rabbrividire il pensiero che oggi, il signore dalla erre moscia, rappresenta la terza carica dello Stato, quello che lui voleva abbattere nel nome dei proletari, che tuttavia non ha mai frequentato, preferendo i comodi e confortevoli salotti dell’alta borghesia romana. Questi signori sono quelli che danno lezioni di democrazia e, nello tesso tempo, si pensi al comunista Diliberto, vanno a trovare l’amico Fidel, che, come tutti sanno, è un campione della democrazia e della tolleranza! Sappiamo, naturalmente, che sia al centro destra, sia al centro sinistra, qui a Modica, non possiamo attribuire queste colpe e non possiamo caricarli di una responsabilità così pesante, che appartiene ai vertici e alla storia dei partiti nei quali si riconoscono, anche se forse non mancano, nell’una e nell’altra coalizione, persone che hanno condiviso quegli itinerari politici; mentre è certo che non mancano, anzi abbondano, coloro che più d’una volta hanno disinvoltamente cambiato bandiera. Tuttavia è a quel mondo che guardano, sono quelli i loro leaders di riferimento e se potessero ne prenderebbero volentieri il posto. Certamente qualcuno ci accuserà di qualunquismo. Ma se ciò significa disprezzare quel che la politica italiana è diventata, se vuol dire condannare coloro che vogliono derubarci della nostra civiltà – dalla filosofia greca al diritto romano, dalla spiritualità ebraica all’umanesimo cristiano – per costruire un mondo dove si venera il materialismo, non importa se di matrice socialista o capitalista, un mondo che non sa più distinguere ciò che è naturale da ciò che è contro natura; se significa tutto questo, allora, in tal caso, siamo noi che orgogliosamente ci attribuiamo la qualifica di qualunquista. Non sappiamo, nel momento in cui scriviamo, se, quando apparirà questo nostro articolo, saranno già noti i risultati delle elezioni amministrative: sappiamo, invece, che non ci saranno – o non ci sono stati – vincitori, perché tutti sul volto, avremo – o abbiamo – i segni della sconfitta!
IL MERCATO DELLA MALATTIA
La vicenda della pensionata modicana cui è stato detto di attendere ben quattro mesi prima di poter effettuare una colonscopia presso l’Ospedale “Maggiore” di Modica è l’emblema di quel degrado civile del nostro Paese che da anni non ci stanchiamo di denunciare. La nostra città, naturalmente, non fa eccezione, e la Sicilia, ancora una volta, si conferma il fanalino di coda della sanità italiana, nonostante le trionfalistiche e demagogiche dichiarazioni di Cuffaro, che farebbe un regalo al buon gusto, all’eleganza e alla politica, se decidesse, considerato anche l’aggravarsi della sua situazione giudiziaria, di togliere finalmente il disturbo. Tali disfunzioni sono certamente il sintomo di una sanità, quella siciliana in special modo, devastata dalla piaga di un pluridecennale clientelismo: basti pensare a tutti quei managers, non medici, che grazie agli appoggi politici sono stati posti ai vertici degli Ospedali e delle Aziende sanitarie; basti pensare a quanto accaduto nel palermitano, dove le cliniche private, come quella di Aiello a Bagheria, hanno in questi anni usufruito di stratosferici rimborsi dalla Regione siciliana, mentre nel settore pubblico mancavano soldi, medici e attrezzature. A Modica, il problema, così come dichiarato da Elia, direttore sanitario dell’Ospedale, sarebbe connesso all’esiguità del personale. Crediamo sia legittimo domandarsi che cosa finora è stato fatto per porvi rimedio. Al di là di queste intollerabili disfunzioni, ciò che maggiormente ci amareggia, e nel contempo ci dà la misura di quanto degradata sia la società in cui viviamo, è il constatare che il denaro ha assunto ormai le sembianze di una vera e propria divinità, sul cui altare si è disposti a compiere qualsiasi sacrificio, anche quello della salute dei cittadini, e, talvolta, persino della loro vita. Abbiamo già scritto che la classe medica italiana, non tutta naturalmente, ha tradito il giuramento fatto; messo da parte il suo codice deontologico ed ha scambiato quella che avrebbe dovuto essere una missione – noi non abbiamo timore di usare ancora questo termine, giacché siamo convinti che tale dovrebbe essere la professione medica – con un lavoro che non ha più al centro l’uomo – con la sua malattia, le sue necessità e le sue paure – ma i quattrini. Ci sono medici ospedalieri troppo impegnati a programmare carriere e promozioni e poco propensi a mettere la loro professionalità, ad ogni ora e in qualunque momento, al servizio di chi soffre. Certo, e ci sembra doveroso sottolinearlo, ci sono medici, anche negli ospedali, che ancora oggi svolgono il loro lavoro con competenza e dedizione, ma tanti, forse troppi, sono presi dagli affari, per potersi dedicare con compassione – nel suo senso etimologico, ovviamente- a lenire le sofferenze fisiche e psichiche del prossimo. Siamo rimasti esterrefatti nell’apprendere che la nostra concittadina potrebbe effettuare subito l’esame di cui ha bisogno se mettesse mano al portafogli: il dio-denaro, infatti, è in grado di fare miracoli. Lo stesso Ospedale che le ha detto di attendere quattro mesi, se vuol cavarsela solo col ticket, è pronto a soddisfare anche subito le sue necessità, a condizione che la paziente sia disposta a sborsare duecento euro. Non possiamo non confidare ai nostri lettori la nostra amara constatazione: dobbiamo dedurre , infatti, che qualora un paziente, che ha urgente bisogno di sottoporsi ad un esame clinico, decide di presentarsi ugualmente, pur non avendo i mezzi finanziari per pagare, presso il servizio ospedaliero che lavora a pagamento, egli sarà fermamente invitato ad andarsene. Un sistema sanitario che discrimina i pazienti in base al conto in banca è spregevole e ingiusto. Qualunque ingiustizia l’uomo debba subire, in ogni ambito della vita associata, a causa delle sue scarse disponibilità economiche, non può che essere ignobile, ma quando ciò riguarda la salute, oltre che ignobile, diventa infame e oscena. Che negli ospedali convivano un sistema gratuito e spesso inefficiente e dai tempi biblici ed un sistema a pagamento velocissimo ed efficiente è una scelta esecrabile, frutto della continua e persistente demolizione di quello Stato sociale voluta dai sostenitori del liberismo ad ogni costo, ossia dell’egoismo vestito coi panni dell’economia. Lo ribadiamo ancora una volta: non è nostra intenzione criminalizzare in modo indiscriminato l’intera classe medica, anche perché abbiamo diretta conoscenza di professionisti dotati di grande umanità, ma siamo anche convinti che la sanità italiana, e soprattutto quella siciliana, se vuole davvero compiere un salto di qualità, sotto il profilo umano e morale, deve avere il coraggio di far piazza pulita di tutte quelle incrostazioni che troppo spesso la rendono un ripugnante “ mercato della malattia”.
Giugno 2007
PER INTERPOSTA PERSONA
Scriviamo queste note con amarezza e con una dose di pessimismo che ha ampiamente superato il suo consueto livello: la verità è che dobbiamo ancora elaborare il lutto, per la definitiva scomparsa di quel tenue filo di speranza che ci aveva permesso di sognare una Modica libera e autenticamente democratica, una Modica in cui il non voto – che, date le circostanze, sarebbe stato l’unico voto d’opinione – potesse trionfare su quello legato ai favori, al qualunquismo e alle clientele. Riteniamo che il risultato elettorale nella nostra città non debba essere archiviato troppo in fretta e con gran disinvoltura. Non si tratta di analizzare i motivi della batosta elettorale del centro sinistra: lasciamo volentieri questo compito a coloro che militano in quella coalizione, che, comunque, a nostro parere, non è certo migliore di quella che ha vinto. Il vero problema è un altro, ma la città non ha alcuna intenzione di porselo. Distratti dal rumore delle chiacchiere inutili, smarriti nel traffico diabolico di una città sempre più accerchiata dal cemento e intossicata dallo smog, perduti negli anonimi spazi dei grandi magazzini, i modicani sembrano aver perso la sana abitudine di pensare e riflettere. Torchi e i suoi alleati hanno stravinto e nessuno si chiede il motivo di un successo così eclatante. Il livello minimo raggiunto nell’analisi politica è riscontrabile nelle risposte dei suoi sostenitori, per i quali la vittoria di Torchi è riconducibile alla constatazione che ha fatto molte cose per la città. Certo, il Sindaco ha saputo vendere come pochi la propria immagine, è stato abile nel presentare come evento di portata storica persino l’inaugurazione di una rotonda, ma ciò non può spiegare l’adesione massiccia al suo progetto generale di sviluppo, che finora, per la città, è stato un autentico disastro. L’amministrazione appena riconfermata ha sancito l’affermazione di princìpi e modelli di comportamento politico sicuramente diseducativi per i giovani che guardano alla politica e al mondo degli adulti. Abbiamo un primo cittadino che è stato prigioniero dell’immagine e di una deleteria sudditanza politica verso i partiti che lo hanno sostenuto: come spiegare altrimenti l’inqualificabile giostra delle deleghe assessoriali? Non appena rieletto, è stato nuovamente succube degli appetiti famelici della sua coalizione, che ha offerto lo squallido spettacolo della spartizione della torta. Naturalmente, il nostro Sindaco, non potendo inimicarsi gli alleati, considerato che mira a Palazzo dei Normanni, è stato costretto ad usare il bilancino per accontentare tutti e non scontentare alcuno. E Modica, anziché avere una giunta composta da persone libere, capaci e competenti nei singoli settori dell’amministrazione, sarà, per altri cinque anni, governata da uomini che non guardano agli interessi della città, ma a quelli del partito che ha loro garantito la poltrona, e che presto dovranno dare il cambio ad altri che scalpitano per potercisi accomodare. Tutto questo, ovviamente, per il bene della città e per costruire il famoso futuro da raccontare! Siamo rappresentati, a Roma, da un parlamentare che è il mèntore del Sindaco, e dunque portatore del suo stesso modo d’intendere la politica; un novello Socrate, considerato che il signor Buscema, su “I Modicani” dello scorso 24 Maggio, definisce Torchi un suo discepolo. L’estensore dell’articolo dimentica, o non sa, che non può esservi discepolo senza maestro. Il nostro parlamentare sarà anche un abile politico, ma, considerato che a suo tempo ha già traghettato dalla sinistra alla destra, rivelando pertanto di non possedere la virtù della coerenza politica e il pregio di restare fedele ad un’idea, potrà essere tutto, ma non certo un maestro. L’altro parlamentare della coalizione è stato protagonista, alla vigilia delle elezioni, di un gravissimo atto di tracotanza politica – il depennamento di cinque candidati dalla lista del suo partito – e, non contento di occupare una poltrona a Roma, ha deciso, per il bene della città, naturalmente, di occuparne una anche a Ragusa. Il nipote, alla sua prima candidatura, raccoglie dodicimila voti, ottiene poi la presidenza del Consorzio autostradale siciliano e, come d’incanto, nell’arco di un paio d’anni, guadagna la qualifica di indiscusso leader di Forza Italia nella nostra provincia. Alla faccia dell’esperienza e della meritocrazia! Abbiamo poi avuto alcuni assessori che hanno mostrato un’allarmante incapacità amministrativa, primo fra tutti quello alla viabilità, che è rimasto al suo posto per cinque anni pur non avendo fatto niente: come premio per la sua manifesta inefficienza è stato ovviamente riconfermato. Decretando la vittoria del centro destra, Modica ha dunque premiato l’apparenza, la sudditanza, l’incoerenza, l’arroganza, il nepotismo e l’inefficienza. Naturalmente, ci siamo soffermati sul centro destra, essendo questa la coalizione che ha governato la città negli ultimi cinque anni, e pertanto è ovvio che, avendo avuto maggiore visibilità dell’altra, sia stata maggiormente esposta alle critiche. Ciò, però, non può far passare sotto silenzio che c’è un’altra Modica, quella che non ha vinto, ma che ha votato per una coalizione che annovera, fra i suoi esponenti, personaggi cui dobbiamo lo scempio del nostro centro storico, anni di inadempienze e inefficienze, che portano anch’essi – come quelli del centro destra – la gravissima responsabilità di non aver dotato la città di un piano regolatore che si aspetta ormai da mezzo secolo; una coalizione nella quale militano incalliti voltagabbana, autentici professionisti dell’incoerenza. Il problema, come i lettori hanno sicuramente capito, non è se sia migliore il centro destra o il centro sinistra, ma il degrado della politica italiana, qualunque sia il suo livello – nazionale, regionale o locale – e la sua colorazione ideologica. La coalizione che ha vinto – e non sarebbe stato diverso se a vincere fosse stata l’altra – non è che la proiezione di ciò che i modicani vogliono essere. Il degrado della politica è lo specchio della nostra società malata. Siamo noi che, da tempo, abbiamo rinunciato all’essere nel nome dell’avere, che non sappiamo più ascoltare l’altro perché infatuati di noi stessi, che non siamo più in grado di condividere i timori e le ansie di chi ci sta accanto. Siamo noi che abbiamo dimenticato la solidarietà, credendo di poterci realizzare attraverso l’individualismo della competizione, che abbiamo messo da parte il valore intramontabile della coerenza, perdendo la dignità ogni qualvolta siamo stati disposti a cambiare opinione pur di ottenere un qualche vantaggio. Noi, inebriati di potere, e che pratichiamo l’arte più ignobile che esista, quella di essere forti coi deboli e deboli coi forti. Siamo noi che possediamo una maschera per ogni circostanza, che programmiamo e pianifichiamo persino l’amicizia, che organizziamo beneficenze fregandocene dei poveri, mossi dall’unico scopo di ottenere qualche minuto di stupida notorietà. Noi, disposti a dare la mano a qualcuno, ma a condizione di poter poi passare alla cassa, a riscuotere il premio. Anziché vergognarci di ciò che siamo diventati, viviamo invece nell’autocompiacimento. Il responso delle urne era incerto, ma ciò che noi abbiamo fatto nel segreto della cabina elettorale era sicuro e già scritto: ci siamo dati la preferenza, abbiamo deciso, ancora una volta, di votare per noi, di collocare al potere noi stessi e ciò che siamo: sebbene, per interposta persona!
I CAVERNICOLI DEL XXI SECOLO
Sullo scorso numero de La Pagina è stato pubblicato un articolo firmato da Rosario Di Raimondo: non conosco l’estensore di quelle note, ma le affermazioni in esso contenute mi hanno procurato una tale insofferenza, che, alla fine, dopo molte esitazioni, ho deciso di comunicare ai nostri lettori. E’ giusto e lodevole che il nostro giornale si fondi sul pluralismo delle idee e delle convinzioni, ma sottolineare che in esso scrivono persone, come il sottoscritto, che la pensano in modo totalmente diverso da Di Raimondo, mi sembra che in questo caso sia una scelta necessaria e inderogabile. Le osservazioni del Di Raimondo, al di là del contenuto che può essere o meno condivisibile, sono inaccettabili sul piano della forma espressiva, ed è di questa che intendo prima occuparmi. Definire “ tetri e arcaici” i valori “etico-morali” della Chiesa è offensivo per chi, come il sottoscritto, in quei valori crede e su di essi ha fondato la propria vita. Che poi li si sappia realizzare nel quotidiano è un altro discorso, che comunque attiene alla sfera privata, della quale il credente deve rendere conto solo a Dio e a nessun altro. Un’altra affermazione assai discutibile sul piano formale e linguistico è la seguente: “ Il tutto ha le sembianze di uno pseudo- integralismo cattolico dal carattere medievale” Il di Raimondo condanna lo pseudo-integralismo cattolico, a tal punto che lo reputa responsabile del fatto che in Italia non si riesca ad accettare che una “coppia omosessuale possa convivere ed avere gli stessi diritti civili di una famiglia normale”. Al di là della contraddizione logico-linguistica – se si condanna l’integralismo cattolico falso, evidentemente si apprezza quello vero – si tratta di una tesi che lascia trasparire una posizione così radicalmente anticlericale, che pensavamo ormai definitivamente consegnata alla storia, e sepolta fra i reperti archeologici dell’Illuminismo e del vetero-marxismo. Si tratta, io credo, di affermazioni che scaturiscono da una imperfetta comprensione del cattolicesimo e del termine Integralismo. Cosa vuol dire, infatti, integralismo, se non accettazione incondizionata dei principi fondamentali di una dottrina? Ora, se per quanto riguarda un’ideologia, la posizione integralista può essere apprezzata o condannata, per quanto riguarda la fede, o meglio la religione, il problema non si può porre nei termini in cui è stato posto. La religione ebraico-cristiana, per un credente, è una religione rivelata da Dio stesso e pertanto non è un’idea che si evolve, che può mutare e può venire a patti con la cultura. La Chiesa, per il credente, è depositaria dellaVerità e non può certo barattarla per rendersi più simpatica ai gay, alle lesbiche, ai transessuali e via dicendo. La Chiesa può modernizzarsi – e ne ha dato prova col Vaticano II – nella liturgia o nella pastorale, ma i principi sono inamovibili: se vengono dal Creatore devono essere eterni e immutabili. Un vero cattolico, pertanto, non può non essere integralista. Si può non credere nella Chiesa ed accusarla di ogni nefandezza, ma pretendere che scenda a compromessi con la morale del mondo vuol dire sconoscere persino il Vangelo, considerato che Cristo, a tale riguardo, è stato chiaro e categorico. L’errore che a nostro parere compie il Di Raimondo sta nel ritenere che l’opposizione alla istituzionalizzazione delle coppie omosessuali sia da ricollegare soltanto alle interferenze della chiesa cattolica nella vita politica italiana. Il concetto di normalità non è così problematico come lui pensa, anzi è molto semplice, perché c’è un criterio altrettanto semplice per stabilirlo, ed è quello sancito dalla natura. Tutta la scienza, dalla psicanalisi alla chimica, dalla fisica all’anatomia, è scritta coi caratteri dell’opposizione: se così non fosse, il Di Raimondo, oggi, non potrebbe dire ciò che dice ed io non sarei qui a poterglielo contestare. E’ la natura, prima ancora che la Chiesa, a stabilire chi è normale e chi non lo è. Anche il concetto di progresso è relativo: troppo spesso corriamo il rischio di farne un idolo, dimenticando tutte le atrocità che nel suo nome sono state commesse. Si può definire progresso consentire a delle coppie omosessuali di adottare un bambino, con la certezza di procurargli un permanente danno a livello psicologico e di farne con altissima probabilità un altro futuro omosessuale? Riguardo ,invece, ai valori “ tetri e arcaici” della Chiesa, cercherò di essere sintetico, compito non facile, considerato che il problema richiederebbe di essere argomentato in modo dettagliato. Chiarito che i valori della Chiesa non possono essere definiti arcaici, per il semplice motivo che ciò implicherebbe un discorso sulla modernità che applicato alla Chiesa non ha senso, non resta che fare una breve considerazione sull’aggettivo tetro: “ ciò che è caratterizzato da un’atmosfera oscura e cupa, squallida, che stringe il cuore e incute paura” e in senso figurato” ciò che è improntato a piatta e squallida tristezza” ( Devoto-Oli, “ Dizionario della lingua italiana). Tetri sarebbero, pertanto, l’amore per il prossimo, la giustizia sociale, la fraternità, la lotta contro ogni forma di emarginazione per motivi sociali, etnici e razziali, l’attenzione agli ammalati e ai poveri, l’equa distribuzione della ricchezza fra i popoli, la condanna di ogni forma di violenza e della guerra. Sul significato negativo che il Di Raimondo attribuisce al termine Medievale avrei molto da dire, ma sarebbe necessario un altro articolo: mi limiterò, pertanto, a ricordare che a tale visione dell’età medievale – frutto della faziosità illuministica del Settecento – non crede praticamente quasi più nessuno. Ciò non significa, ovviamente, che quell’età non abbia avuto, come ogni altra, le sue pecche e persino le sue atrocità, ma magari potessimo attingervi quell’attenzione ai sentimenti, agli ideali, alla spiritualità e quell’anelito all’Assoluto che anche la caratterizzarono: noi che siamo impregnati di materialismo e che ci sentiamo moderni perché sostenitori del relativismo, cui dobbiamo la lungimirante tesi, sostenuta qualche anno fa in una conferenza internazionale sul tema, he i sessi non sono più due ma sono diventati cinque. Altro che progresso. Noi siamo i cavernicoli del XXI secolo!
Settembre 2007
IL DIBATTITO SUL NULLA E’ INCOMINCIATO
Le ultime vicende politiche, nazionali e locali, hanno trasformato quella che era una nostra forte convinzione in una certezza assoluta: coloro che governano – e coloro che hanno governato in questi sessant’anni di storia repubblicana – a Roma, a Palermo e nelle amministrazioni locali (e pertanto anche a Modica), sono convinti di governare una massa di utili idioti. La stragrande maggioranza di costoro vive nell’illusione che la loro scellerata convinzione non venga scoperta. Essi, ovviamente, sono tratti in quest’inganno dal loro livello intellettuale e culturale, spesso inadeguato al ruolo che ricoprono. Per tale motivo, si convincono che la gente sia sempre talmente stupida da scambiare i loro egoistici progetti – improntati a soddisfare i loro interessi o quelli della consorteria cui appartengono – con benemerite azioni, compiute, naturalmente, per il bene della collettività! La prova di quanto affermiamo è data, sul piano nazionale, dalla scomparsa di quel residuo di pudore che ci sembrava ancora permanere pur in mezzo al fango che ha ormai invaso i palazzi della politica romana. Ci riferiamo al tentativo dei vari Mastella, Follini e Casini di riesumare un cadavere nauseante e decomposto. Sono i nostalgici della Democrazia Cristiana: patetici nel loro tentativo di volerla rianimare. Con le loro facce inespressive e con il loro stucchevole e insopportabile linguaggio, non smettono di ricordarci che ricostruire un Grande Centro è l’unica strada percorribile per ridare all’Italia sviluppo e stabilità: come dire che tale progetto ha come unico scopo il bene di tutti noi! Ma noi, che non ci reputiamo degli utili idioti, naturalmente non ci crediamo, e sappiamo bene che questi signori tramano per ridestare un fantasma che per cinquant’anni ha intossicato il Paese, iniettando nelle vene di tanti nostri coetanei il seme malefico della moderazione, dell’equilibrio e dell’ equidistanza: ottimi principi, certo, ma che a vent’anni li resero già vecchi. Un partito, quello democristiano, che rovinò intere generazioni, inculcando nei loro cervelli il principio del compromesso e quello dell’incoerenza, e l’incapacità di sapere operare scelte radicali e irrevocabili, com’è giusto che sia, perché la gioventù – almeno quella – non deve conoscere accomodamenti e accondiscendenze. L’obiettivo di questi signori ci sembra chiaro: dopo essersi riciclati a destra e a sinistra ed essere stati oscurati dai vari Fini, Berlusconi, Bertinotti e Rutelli, hanno deciso di riconquistare il palco principale sul ben noto teatrino che tutti conosciamo. Un altro avvenimento a conferma della nostra iniziale tesi è la sceneggiata del futuro Partito Democratico: anche questo pargoletto, ovviamente, sta venendo al mondo per risolvere i nostri problemi ed alleviare le nostre sofferenze! Esso, invece, è il prodotto di un mondo popolato da voltagabbana e opportunisti. Un partito i cui fondatori mostrano per il pudore lo stesso disprezzo già visto nei signori del centro destra prima menzionati. Sono i campioni del doppiopesismo: cantavano le lodi della Magistratura, quando questa perseguitava Berlusconi; adesso che i “perseguitati” sono loro, hanno appeso le loro cetre “alle frondi dei salici”. Sono coloro che da sessant’anni vanno proclamando la loro presunta superiorità morale e che si coprono di ridicolo ogni qualvolta si ritengono – ci stiamo ovviamente riferendo ai militanti del PARTITO EX: ex PCI, ex PDS e ormai quasi ex DS – l’unica fucina in grado di sfornare uomini di autentica cultura. Una visione manichea – a sinistra tutti colti; a destra tutti ignoranti – che è la più radicale negazione dell’intelligenza, della capacità di analisi e nel contempo la prova di una cultura tipica degli indottrinati e non certo dei liberi pensatori. Il tanto decantato Partito Democratico, che chissà perché dovrebbe poter risolvere tutti i mali del Paese, in verità non è che un’operazione di tipo verticistico –si veda la dichiarazione di De Mita, che la definisce un progetto che parte dagli uomini e non dai contenuti – antiliberale – si pensi all’esclusione di Pannella – ed ipocrita: per dargli una parvenza di democraticità si organizza la farsa delle primarie, quando si sa perfettamente che il leader è già stato imposto dall’alto e non certo dalla base. La tanto sbandierata società civile – come ha recentemente sostenuto anche la Borsellino – non sembra essere per nulla coinvolta nella nascita di questo ennesimo e inutile soggetto politico. Si tratta, in verità, dell’ennesimo tentativo di consentire a certi signori di migliorare ulteriormente il loro grado di presentabilità, che altrimenti non potrebbero avere, essendo stati membri, alcuni, ed essendo eredi, molti, di un partito che tacque sulle più abiette atrocità d’oltrecortina: dalle purghe staliniane ai campi di rieducazione, da Budapest ai manicomi criminali. Per quanto riguarda la nostra realtà locale, essa dimostra come il cancro romano abbia ormai dato vita, in periferia, ad una metastasi inarrestabile. Alcuni esponenti della Margherita, Borrometi, Ammatuna, Piscitello, lanciano all’UDC e all’ MPA messaggi, con l’intento di aprire nuovi scenari di future collaborazioni, e il leader dell’UDC, Peppe Drago, si mostra disponibile ma ad una sola condizione: che sia il centro sinistra ad essere un po’meno sinistra e un po’ più centro e non il centro destra a guardare un po’ più a sinistra; noi non riusciamo a comprendere la sua intransigenza: essendo, a suo tempo, transitato dalla sinistra alla destra, non dovrebbe essere poi così traumatico, per lui, ripercorre al contrario lo stesso itinerario! Il senatore Mauro, invece, ritiene che le aperture degli avversari verso il centro destra siano una sorta di Cavallo di Troia, col quale portare il futuro PD al governo della Regione e degli enti locali. Il senatore ha dichiarato: “ Appare profondamente arido e privo di qualunque ancoraggio etico questo modo di concepire la politica come il luogo dove le alchimie anche più strane prendono il posto delle elaborazioni necessarie per la risoluzione dei problemi della gente”. Dobbiamo dunque dedurre che Mauro – avendo quest’alta concezione della politica – non ha mai mosso un dito per piazzare qualche suo uomo nelle aule consiliari, non ha mai avuto attriti con altri leaders del suo partito, vedi Leontini e Minardo, per la spartizione delle poltrone assessoriali e non ha mai fatto accordi per favorire la carriera politica di quanti riconoscono in lui il loro maggiore referente. In tutti questi anni, dunque, Mauro si è solo occupato della risoluzione dei problemi della gente! Il senatore ci perdonerà se noi, non essendo degli utili idioti, non siamo disposti a credergli! Come si può facilmente notare, in periferia sono cominciate le discussioni e le grandi manovre su possibili alleanze, su nuove aggregazioni, su veti, aperture e disponibilità: il dibattito sul nulla è dunque incominciato! La politica italiana è inquinata – e non lo scopriamo certamente noi – dalle tangenti, dalle collusioni con le organizzazioni mafiose, dall’arroganza,dal nepotismo, persino dalla droga e dalla prostituzione, e qualcuno ancora si trastulla con l’idea del Grande Centro. Ci sono innumerevoli persone che hanno trasformato la politica in un mestiere, politici che rubano, che cambiano casacca senza nemmeno il buongusto di arrossire e qualcuno perde ancora tempo per dar vita a nuovi e inutili carrozzoni politici. L’infezione dilaga e anziché con gli antibiotici pretendiamo di curarla con la semplice aspirina! Noi naturalmente non abbiamo la ricetta per liberare il nostro Paese da una classe politica inetta e menefreghista, ma, nel nostro piccolo, ci permettiamo di fornire soltanto un semplice suggerimento. Si impedisca di fare politica a chi non ha un mestiere, a coloro che hanno riportato condanne passate in giudicato, a quelli che hanno ingenti interessi economici da difendere, si faccia in modo che senatori e deputati ( anche quelli che siedono a Palermo) abbiano uno stipendio pari a quello che percepivano prima con il loro lavoro, non un euro in più; si impedisca a questi signori di usufruire di pensioni d’oro, sia loro preclusa la possibilità di scegliere manager e direttori di enti pubblici e di creare, in tal modo, una pletora di fedeli esecutori dei loro interessi; sia tolta loro, infine, ogni sorta di privilegio. Solo allora i palazzi della politica si svuoteranno e probabilmente avremo la certezza che i nuovi inquilini ne avranno occupato le stanze mossi dall’unico obiettivo di promuovere sul serio il bene della collettività e non per curare i loro interessi, quelli degli amici e degli amici degli amici!
OLTRE AL DANNO, ANCHE LA BEFFA
Da quando il sindaco Torchi si è reinsediato a Palazzo San Domenico, due sentimenti convivono in noi: da un lato, siamo profondamente amareggiati, giacché continua l’inesorabile decadenza della città; dall’altro, ci gratifica il fatto di aver visto giusto, quando, nel nostro piccolo, abbiamo lottato fino alla fine – attraverso i nostri articoli: l’unica arma che possediamo – perché coloro che in cinque anni avevano gravemente danneggiato la città non tornassero al potere. E’ una gratificazione che nasce dalla certezza di aver fatto fino in fondo il nostro dovere per il bene di Modica.
Incurante delle critiche, per nulla disposto ad ammettere gli errori compiuti, il nostro Sindaco continua, imperterrito, nella sua politica infarcita di forma e priva di sostanza. Sono anni che denunciamo il collasso economico del Comune, che è riscontrabile in una serie di vicende che mettono a nudo l’incapacità di questa Amministrazione di saper gestire con saggezza e oculatezza le finanze dell’Ente che amministra. Sono ormai all’ordine del giorno le proteste di coloro che non percepiscono con regolarità il loro sacrosanto e legittimo salario. E’ il caso degli operatori ecologici; si pensi alla ditta Busso, che ha in gestione il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, e che vanta, nei confronti del Comune, un credito di ben 400 mila euro. Dell’impegno preso, e cioè di saldare il debito entro il 4 Settembre, la cronaca locale non ne ha dato più notizia. E’ il caso dei dipendenti della Multiservizi, che, esasperati, hanno deciso di partecipare ad una seduta del Consiglio Comunale, nella speranza che, finalmente, qualcuno si accorgesse di loro. Dalle pagine dei quotidiani locali, apprendiamo con amarezza che “consiglieri e amministratori hanno quasi ignorato la massiccia presenza degli operatori in tuta blu”. Il fatto che una decina di giorni fa abbiano finalmente percepito lo stipendio di Luglio non cancella, ovviamente, né la gravità della situazione né le inadempienze del Comune.
Non possiamo poi dimenticare la situazione, quanto meno disastrosa, del Liceo Musicale, che non ha i mezzi per pagare i docenti e quella delle tante Cooperative che forniscono servizi al Comune e che da mesi non percepiscono un euro. Il quadro, grave ed allarmante, è completato dal debito di oltre un milione di euro contratto col comune di Ragusa per l’utilizzo, a suo tempo, della discarica di Cava dei modicani e soprattutto dalla ben nota vicenda del debito ormai stratosferico col comune di Scicli, riguardante la discarica di San Biagio. Non possiamo tacere, infine, l’ennesima inadempienza dell’Amministrazione Torchi, che rischia di determinare delle gravissime conseguenze per l’intera cittadinanza. Ci riferiamo al rischio che la Protezione Civile venga sfrattata dalla sua sede attuale, in contrada Musebbi, giacché dall’inizio del 2006 – quando fu stipulato il contratto – il Comune non ha mai versato nemmeno una mensilità al proprietario dell’immobile, che giustamente ha deciso di non tollerare più le mille promesse, mai mantenute, del nostro attivissimo Sindaco, il quale continua a diffondere ottimismo a destra e a manca, come se questa città non avesse problemi: probabilmente – come a suo tempo abbiamo scritto – perché la città che lui amministra è quella virtuale. La situazione, come si vede, non è affatto sotto controllo, come Sindaco e Assessori si ostinano a ricordarci, in palese spregio dell’evidenza. Palazzo San Domenico è, di fatto, accerchiato: il Sindaco di Ragusa gli ha dato quindici giorni di tempo per saldare il debito, caso contrario avvierà la procedura giudiziaria per il recupero coatto delle somme dovute. Quello di Scicli, ormai stanco delle reiterate e mai mantenute promesse di Torchi, ha addirittura avviato l’azione di pignoramento di alcuni beni immobiliari del nostro Comune, per recuperare finalmente l’annoso credito. Torchi ha così commentato: “ E’solo una provocazione e, perché tale, non va presa in considerazione”. La tranquillità del nostro Sindaco nasce dal fatto che, in base al codice urbano, Scicli non può pignorare i beni del nostro Comune, perché questi sono stati edificati da oltre cinquant’anni. Queste asserzioni di Torchi lasciano intravedere tutti i suoi limiti politico-culturali che da tempo denunciamo. Gli immobili del Comune di Modica sono al sicuro e pertanto il nostro Sindaco è tranquillo!
Emerge da questa posizione una visione assai ristretta della politica, la totale mancanza di una progettualità di ampio respiro, l’incapacità di saper attuare analisi profonde ed obiettive sul dissesto finanziario dell’Ente, la difficoltà nel saper dare risposte serie e convincenti a chi ha ragione di protestare, mascherando tale difficoltà con risposte arroganti e insignificanti al tempo stesso. Il Sindaco di Scicli chiede che Modica onori gli impegni presi, ed il nostro non trova di meglio che rispondere in tal modo: “La verità è che, ormai, l’amministrazione comunale di Scicli, politicamente parlando, è alla frutta”. Non c’è che dire! Anziché attivarsi per far riacquistare a Modica quel decoro che la sua amministrazione le ha tolto, il nostro Sindaco continua a defraudarla della sua dignità, con affermazioni litigiose, arroganti e inconcludenti. La situazione descritta è certamente assai grave, ma acquista le connotazioni di un paradosso, disastroso e oltremodo dannoso, nel momento in cui al danno si aggiunge la beffa, che consiste nel continuare, come se nulla fosse, a sperperare denaro.
Come se non bastassero le spese per la ridicola Giostra dei Chiaramonte, che è tale non soltanto perché è storicamente falsa, ma anche perché organizzata in maniera risibile e approssimativa; come se non bastassero quelle per la Notte Bianca, esempio di un provincialismo gretto e ridicolo: manco fossimo a Roma o a Milano; come se non bastassero i soldi spesi per sistemare una strada, inaugurata sapendo che comunque andava rifatta: ma eravamo ad un giorno dalle elezioni e il nostro Sindaco, come tutti hanno potuto osservare, ha pensato bene di anteporre i suoi interessi elettorali a quelli della città. Come se tutto ciò non bastasse, adesso si parte – sempre coi nostri soldi, naturalmente – alla volta di Cracovia, per invitare a Modica il cardinale Dziwisz, che fu Segretario particolare di Giovanni Paolo II. Confessiamo che, quando la notizia è apparsa su “Il Giornale di Sicilia” del 25 Agosto, abbiamo iniziato la lettura dell’articolo con la speranza che, finalmente, il nostro Sindaco andasse all’estero non per promuovere la solita cioccolata, ma per qualcosa di serio e di importante. Giunti alla fine, siamo stati colti da uno stato di irrefrenabile ilarità e, nel contempo, di profonda tristezza, all’idea che la nostra città, sicuramente, sarà diventata lo zimbello dell’intera diocesi di Cracovia.
Anche se il Cardinale dovesse venire tra noi – è pur sempre un uomo di Dio, e pertanto caritatevole – ciò non cancellerà il ridicolo di cui ci siamo coperti e l’ennesimo sperpero del pubblico denaro.
Noi amiamo infinitamente la nostra città, ma ciò non ci impedisce di conservare un sano ed opportuno realismo. Nonostante il suo importante passato, Modica rimane una cittadina di provincia e sarebbe ora di smetterla di volerla fare diventare ciò che mai potrà essere. Ma è soprattutto la motivazione dell’invito che non può non far sorridere. Si tenta di sprovincializzare la città attraverso scelte che la rendono ancora più provinciale. Pensavamo che il Cardinale fosse stato invitato per partecipare ad un importante seminario di studi o ad un convegno di livello internazionale: no; colui che per anni fu Segretario del Papa ed oggi Vescovo di una Diocesi importantissima come quella di Cracovia, viene invitato in una piccola città della Sicilia, per inaugurare una statua del Pontefice del quale fu Segretario. Ogni ulteriore commento sarebbe a questo punto superfluo! Se poi, attraverso questo, il nostro Sindaco intende ingraziarsi i cattolici della sua città, se lo scordi: chi ha puntato esclusivamente sul commercio e sugli affari per rilanciare la città; chi glorifica quotidianamente la cultura dell’apparire; chi ama i primi posti; chi ha fatto della politica un mestiere anziché un servizio ai cittadini, è portatore di una visione del mondo antitetica a quella evangelica, e pertanto non potrà mai avere il consenso dei cattolici modicani: quelli veri, naturalmente!
Ottobre 2007
IL TRIBUNALE DELLA DISCORDIA
Abbiamo seguito con molto interesse e particolare attenzione la controversa questione sul presunto credito di sei milioni di euro ( per il mancato pagamento del canone di locazione) vantato dal Comune di Modica nei confronti del Ministero della Giustizia. La nostra prima considerazione, che vogliamo porre all’attenzione dei nostri lettori, è di natura tecnica, intendendo con ciò l’analisi, breve e sintetica ovviamente, di quanto è accaduto. Il Sindaco, in una sua lettera al Ministero della Giustizia, del Maggio 2007, fa un accurato excursus sulla vertenza, ricordando le varie delibere delle Giunte Municipali che si sono susseguite dal 1969 in poi, anno in cui fu stabilito di redigere il progetto per la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia, ed in particolare la n. 1059 del 5.12.1979, con la quale la Giunta approvò il progetto “ per l’acquisizione e lo spianamento dell’area destinata al costruendo palazzo di Giustizia”. La lettera del Sindaco prosegue con l’ elencazione delle varie delibere riguardanti i mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti, per finanziare il progetto. Da quanto risulta dalle delibere n. 43 (14.4.1980), n. 55 (23.2.1994) e n. 61 (19.4.2002), il Comune di Modica ha contribuito alla costruzione del nuovo Tribunale per un importo complessivo di 4 miliardi e 400 milioni delle vecchie lire. Il Ministero, nel Gennaio del ’91, esprimeva parere favorevole sul progetto, e, ai fini del completamento dell’edificio, stanziava la somma di lire 19 miliardi e 800 milioni. Dalla relazione del Segretario Generale del Comune, invece, si evince che il contributo del Comune è stato di lire 5 miliardi e 700 milioni, su una spesa complessiva di 27 miliardi. La non corrispondenza fra i dati forniti dal Sindaco e quelli prodotti dal Segretario Generale dimostra come al Comune non abbiamo affatto le idee chiare sull’intera vicenda. Ad ogni modo, nell’uno o nell’altro caso, è evidente la sproporzione tra quanto speso dal Comune e quanto dal Ministero, e ci sembra, pertanto, più che giustificata la tesi di Francesco Mele – Direttore generale del Ministero – sostenuta nella sua lettera, in risposta al Sindaco Torchi, pervenuta al Comune di Modica nel mese di Luglio e protocollata in data 21.8.2007, là dove questi afferma che “ lo Stato non può corrispondere canoni di locazioni per un’opera pubblica che ha finanziato quasi integralmente per un importo rilevantissimo”; considerato, tra l’altro, che “l’impegno economico del Comune di Modica è stato minimo rispetto all’importo necessario per la costruzione dell’edificio, quasi totalmente finanziato dallo Stato”. Le pretese del Sindaco appaiono ingiustificabili alla luce del DPR 187/1998, che, al 1° comma dell’Art. 1°, recita testualmente: “ Il contributo – del Ministero – è determinato sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute dai Comuni nel corso di ciascun anno”. Ma il Comune di Modica, come fa giustamente osservare il Direttore Generale del Ministero, relativamente ai canoni di locazione, non sostiene alcuna spesa. Perché mai, dunque, dovrebbe essere rimborsato dallo Stato? Dobbiamo poi confessare di non aver capito nulla dell’autodifesa di Torchi su “Il Giornale di Sicilia” del 29 Settembre. Una confusa e caotica elencazione di date e di cifre dalle quali non si evince niente. Nutriamo la speranza, ovviamente, che un’ intelligenza superiore alla nostra sia in grado di chiarirci questo inestricabile labirinto di dati, che si susseguono senza ordine temporale e, a parer nostro, senza una logica consequenzialità. Non ci addentriamo nell’accurata analisi di leggi e decreti, sia perché non ci compete sia perché non abbiamo alcuna intenzione di torturare chi ci legge. Il nostro intento è quello di trarre, dall’intera vicenda, delle considerazioni di carattere etico-politico. Il Sindaco sostiene che, dal 2001, il Comune vanta – per il mancato pagamento del canone di locazione da parte del Ministero – un credito di quasi sei milioni di euro. Tuttavia, il fatto che ancora nel Maggio 2007 egli è costretto a sollecitare il Ministero a saldare il suo presunto debito dimostra non soltanto che il Ministero della Giustizia non ha mai versato nulla nelle casse comunali, ma, soprattutto, che la Giunta Torchi non ha mai avuto, in questi anni, la matematica certezza di poter incassare i soldi ministeriali. Nonostante ciò, ogni anno, ha puntualmente messo in bilancio la cifra non indifferente del canone di locazione, fino a raggiungere quella di 5 milioni e 7oo mila euro nel conto consuntivo per l’anno 2006. Non possiamo che constatare, amaramente, che il nostro Sindaco, oltre ad amministrare una città virtuale, come abbiamo più volte scritto, ha avuto, in questi anni, anche la pessima abitudine di fare altrettanto coi soldi dell’Ente che amministra: i soldi spesi – e purtroppo sappiamo che una buona parte lo sono stati per organizzare fiere, sagre e viaggi costosi e insignificanti, e pertanto per mera propaganda – facendo affidamento su un bilancio virtuale non possono che essere soldi virtuali. L’Amministrazione Torchi, pertanto, sarà ricordata non soltanto per aver distrutto l’Ethos di questa città e per averla trasformata in un mostruoso agglomerato di cemento, non soltanto per averla resa un grande e caotico mercato, che, inevitabilmente, ha creato un volume di affari ormai stratosferico ( ed è paradossale che il Sindaco si faccia ora paladino della tolleranza zero: non era necessario possedere doti di divinazione per capire che i soldi, per i delinquenti, sono come il nettare per le api), ma sarà ricordata, altresì, per l’ ”allegria” con cui ha gestito le finanze comunali, creando una voragine che non ci rende né sereni, né tanto meno allegri. Le casse comunali sono in condizioni pietose e la città è in ginocchio, ma il nostro Sindaco, come sovente gli capita, non ci sembra preoccupato: tra Eurochocolate, Notti Bianche e qualche sagra, il divertimento, per i suoi concittadini, sarà comunque assicurato, e col divertimento costoro dimenticheranno che il loro Sindaco ha condotto la città sul lastrico, e, non contenti, prima o poi lo manderanno a Palermo, col risultato che il Sindaco incrementerà sensibilmente le sue finanze e il Comune, senza più un soldo, non pagherà in ritardo i propri dipendenti, come avviene da anni: e non perché li pagherà in modo puntuale, ma, più semplicemente, perché non li potrà pagare più. La nostra ultima considerazione sull’affitto della discordia vogliamo riservarla all’aspetto più grave dal punto di vista della prassi istituzionale e più inquietante sotto il profilo della correttezza democratica. Nel bilancio di previsione per l’esercizio 2007, approvato il 9 Luglio, è stato inserito lo stanziamento di un milione di euro per il fitto del tribunale per l’anno 2007, “dovuto”, naturalmente, dal Ministero della Giustizia. Il Sindaco e la sua Amministrazione, pertanto, continuano ad inserire in bilancio, come se nulla fosse, fondi assolutamente inesistenti. E, come se non bastasse, l’11 Settembre il Consiglio Comunale approva il consuntivo 2006, in cui vengono inseriti, come residui attivi, 5 milioni di euro, “dovuti”, come sempre, dal Ministero, come canone di locazione per gli anni 2001-2006. I consiglieri, però, non vengono informati della lettera del Luglio 2007, con la quale il Direttore Generale del Ministero informava il Sindaco che “ nulla pertanto è dovuto a titolo di locazione per l’immobile utilizzato dagli Uffici giudiziari”. La scorrettezza istituzionale è gravissima; il colpo inferto ai principi più elementari della dialettica democratica è serio ed inquietante. Occorrerebbe ricordare a chi ci amministra che viviamo in una democrazia rappresentativa, e pertanto lo sgarbo istituzionale fatto al Civico Consesso è uno schiaffo dato all’intera cittadinanza. Su tutto ciò, che è più importante delle cifre, delle delibere e persino dell’enorme buco nel bilancio dell’Ente, il Sindaco, nella confusa autodifesa di cui abbiamo detto, tace! Ci auguriamo che abbia il pudore di tacere, e che nel silenzio della parola possa farsi sentire la voce della riflessione e del pentimento, quel 65% di nostri concittadini che lo ha rimandato a Palazzo San Domenico.
IL TRASLOCO DELL’ONOREVOLE MINARDO
La vicenda del trasloco di Minardo, e dei suoi fedelissimi, da Forza Italia al Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, costituisce un’ulteriore prova – qualora ce ne fosse ancora bisogno – dell’infimo livello che la politica ha ormai raggiunto a Modica, come nel resto del Paese. Ciò che maggiormente indispone, in questo ennesimo cambio di casacca – che già di per sé è un fatto sconfortante e avvilente – è la sfrontatezza con cui si pretende di farsi beffe dell’intelligenza altrui: si cerca di spacciare una mera questione di potere – di spartizione di poltrone, per parlar chiaro – per una causa nobile, riconducibile a tematiche di ordine valoriale e a problematiche di carattere ideale. Tutti sappiamo, infatti, che Minardo ha abbandonato Forza Italia perché riteneva che il suo ruolo, all’interno del partito, fosse stato ridimensionato, non avendo ottenuto i due assessorati da tempo richiesti: uno al Comune di Ragusa ed uno alla Provincia. In effetti, il malcontento di Minardo è iniziato nel momento in cui è sceso in politica il nipote; una rottura degli equilibri all’interno della famiglia, insomma, che tuttavia non impedisce a Minardo di criticare il suo ex partito, accusato di “ funzionare ad uso personale”: esclamare “ da quale pulpito viene la predica” è a questo punto inevitabile. Il documento redatto da Minardo e dai suoi amici, con cui si motiva la fuoruscita da Forza Italia, è un autentico capolavoro: è il politichese che uccide la trasparenza del linguaggio, la retorica che uccide la verità, la maschera che copre la vera identità. Benché consapevoli del rischio che corriamo – quello di tediare i nostri lettori – non possiamo non citare questo scampolo di prosa, che la dice lunga sulla politica che ha come fondamento il nulla, e della quale Minardo, a Modica, è probabilmente il suo massimo rappresentante. “ Non si è più nelle condizioni di poter fare politica secondo i dettami della propria coscienza e soprattutto non si possono perseguire i reali bisogni della gente in modo libero ed autonomo. Tra servire il partito secondo regole che non si condividono più, perché verticistiche, e servire la propria coscienza non c’è scelta. Il dovere di coscienza vince sempre”. E’ straordinario pensare che se l’onorevole fosse stato accontentato – nel senso che gli fossero stati offerti i due assessorati richiesti – questa invettiva non soltanto non sarebbe stata pensata ed espressa, ma, al contrario, avrebbe assunto le peculiarità di un giuramento di eterna fedeltà al partito e di imperitura gratitudine! Il tutto, naturalmente, e come sempre, per “perseguire i reali bisogni della gente”. Pensavamo che la coscienza e il dovere dovessero essere, sempre e comunque, in stretta connessione con i più alti e nobili ideali che talvolta albergano nell’animo umano: apprendiamo, non senza rammarico, che adesso è possibile connetterli con le cariche assessoriali. Appare poi paradossale che a lanciare accuse di regole verticistiche in Forza Italia è colui che mise in atto i famosi tagli al momento della presentazione delle liste per le elezioni comunali, “facendo fuori” i cinque candidati legati al nipote: fu quella un’azione da ascrivere alla normale dialettica democratica o un atto di arroganza politica più grave persino del verticismo che ora denuncia?
Si tratta di affermazioni che lasciano trasparire un’impudenza davvero inaccettabile. Qualcosa, infine, vogliamo dire sulla sua adesione al Movimento di Lombardo. Cambiare bandiera – lo sosteniamo da anni – è un fatto che disapproviamo e condanniamo con tutte le nostre forze, ma quest’ultimo cambio di Minardo – tutti sanno, infatti, che non è certamente il primo – getta, a parer nostro, un ulteriore discredito sulla politica, che è già abbastanza screditata di suo: come si può, infatti, diventare autonomista dall’oggi al domani? Come si può dichiarare, non appena indossata la nuova casacca, di condividere “ questo progetto per la Sicilia, che ha lo scopo principale di tutelare gli interessi della nostra terra e di contribuire a renderla più autonoma”?
L’adesione ad un progetto autonomista presuppone la conoscenza storica del fenomeno autonomista siciliano, delle sue affinità e delle sue differenze con quello federalista e soprattutto un serio percorso di riflessione, di analisi, e, infine, di adesione al progetto. Ci pare, francamente, che tutto ciò non sia riscontrabile nel caso in questione. Forse, il silenzio sarebbe stata la scelta più consona ad un’operazione come questa, che non va al di là del mero opportunismo. Sui fedelissimi che lo hanno seguito, lasciamo ai nostri lettori giudicare se sia più corretto seguire i propri convincimenti o gli ordini di scuderia. Un’ultima considerazione, che è per noi la più importante. Tutta la vicenda, come abbiamo già detto, non è che lo specchio del degrado della politica italiana ed è naturalmente da biasimare, ma, ciò che determina in noi un sentimento di profondo avvilimento non è ovviamente il cambio di casacca di Minardo e di tanti altri politici nostrani – di cui, in fondo, poco ci importa, non nutrendo per costoro alcuna stima – ma è la constatazione di quanto basso sia diventato il livello dell’elettorato modicano, che questi signori li ha votati e che sicuramente, ne siamo purtroppo certi, continuerà a votarli.
Novembre 2007
UNA DEMOCRAZIA INCOMPIUTA
Non più alimentata dall’acqua della Ragione e della Scienza, la Democrazia,
a Modica, è diventata come una pianta rinsecchita e sterile
Nel nostro articolo dal titolo “La pericolosa involuzione della democrazia” pubblicato su Dialogo di Marzo 2007, ci siamo occupati della grave involuzione democratica che, da alcuni anni, caratterizza la vita politica della nostra città, sostenendo che la democrazia, a Modica, non rientra in nessuna delle due categorie, quella religiosa e quella scientifica, che rappresentano le due fondamentali impostazioni alle quali questa può essere fatta risalire. Nel precedente articolo, riteniamo di aver dimostrato che la democrazia, nella nostra città, non ha alcun fondamento cristiano; in questo cercheremo di provare che essa non ha nemmeno una base scientifica. Per rendersi conto della veridicità di quanto affermiamo, basta valutare con attenzione le riflessioni di alcuni intellettuali del secolo scorso che si sono posti il problema di rifondare la democrazia, riedificandola sulle solide fondamenta della scienza. Non possiamo non prendere in considerazione, innanzitutto, lo Strumentalismo dell’americano John Dewey. E’ sufficiente citare la seguente sua considerazione per notare la distanza siderale che separa la sua concezione della democrazia dalle modalità con cui questa viene realizzata e vissuta nella nostra città. Scrive Dewey: “ La democrazia è discussione del tutto libera; è un metodo che permette di discutere ogni finalità; è dibattito senza fine; collaborazione, partecipazione e finalità congiunte”(1). Come dire l’esatto contrario di quanto avvenuto a Modica durante l’Amministrazione Torchi: non ci pare, infatti, che il dibattito, il confronto e la partecipazione siano stati al centro dell’attività politica della giunta Torchi. Non possiamo ovviamente citare, in questa sede, tutti i fatti che comprovano la nostra tesi – ma siamo in grado, in qualunque momento, di farne un dettagliato elenco – ma alcuni sono talmente eclatanti, che certamente saranno ancora presenti nella memoria collettiva: dal difensore civico, che ha visto la politica prevaricare sulla società civile, al piano triennale delle opere pubbliche, che vide il civico consesso – che in una società democratica non può e non deve mai perdere la centralità che gli spetta – escluso dal dibattito con la giunta provinciale, dalla continua ed avvilente rotazione degli assessori, frutto della logica non democratica della spartizione delle poltrone, alle fiere e alle sagre realizzate non tenendo in alcuna considerazione il parere della cittadinanza, la cui parte pensante ha dovuto subire la volgarità, il cattivo gusto e i disagi di questi eventi, promossi e realizzati per soddisfare le esigenze elettorali dei promotori. Ciò è esattamente il contrario di quel che dovrebbe accadere in una società autenticamente democratica; questa, infatti, non è mai una società pianificata, in cui si realizzano disegni finali imposti dall’alto e che si affidano alla forza fisica o psicologica per ottenere che ad essa ci si conformi; una vera società democratica non è mai pianificata dall’alto, ma è chiamata costantemente a pianificarsi: solo così può “ liberare l’intelligenza attraverso l’interscambio e la cooperazione”. La democrazia è quel modo di vita dove “ tutte le persone mature partecipano alla formazione dei valori che regolano la vita degli uomini associati” (2). Nella nostra città, invece, in questi cinque anni, i modicani non hanno partecipato a un bel niente ed hanno dovuto subire l’imposizione di una deleteria concezione della vita, quella fondata sulla venerazione del denaro e del mercato, dello spirito concorrenziale ed egoistico, della mentalità aziendalistica e materialistica, che costituiscono la pesante eredità che la giunta Torchi lascia alla cittadinanza, dopo cinque anni di promesse non mantenute e di fallimenti, alcuni dei quali gravissimi: si pensi alla voragine nel bilancio comunale e alla insostenibile situazione della viabilità. Anche alla luce del Razionalismo Critico di Popper, l’involuzione della democrazia modicana si manifesta in tutta la sua allarmante pericolosità. Potremmo mai sostenere, come afferma il grande filosofo austriaco, che a Modica la democrazia è “ conservazione e continuo perfezionamento di determinate istituzioni, in modo particolare di quelle che offrono ai governati la possibilità effettiva di criticare i propri governanti e di poterli sostituire “ ? (3) Certo, sul piano formale questa possibilità non ci è sicuramente negata, ma naturalmente occorre andare al di là della forma e cogliere la sostanza: probabilmente, anche a Modica, molti sono convinti di poter sostituire attraverso il libero esercizio del voto coloro che detengono il potere. La realtà, purtroppo, non è così semplice come appare. Coloro che sono convinti di questo dovrebbero interrogarsi sul perché certi personaggi politici sono di fatto inamovibili, a tal punto che alcuni fra loro campano grazie alla politica. Non c’è dubbio che tutti i cittadini esercitano liberamente il diritto di voto, ma non siamo affatto sicuri che tutti siano veramente liberi nell’esprimere le loro preferenze. Tale libertà è compromessa dalla presenza di potentati economici in grado di orientare decine di migliaia di voti, dal clientelismo che distrugge la libertà di coscienza con l’arma dei favoritismi e dei ricatti; dall’esprimere il proprio voto senza guardare al valore intellettuale e all’integrità morale di colui che si vota, dal nepotismo, infine, che probabilmente è la piaga più purulenta nella vita politica della nostra città: un autentico schiaffo alla democrazia! Ci sembra poi improbabile un parallelismo tra la democrazia modicana e quella vagheggiata da Popper, quando sostiene che la società aperta si configura come “ una società basata sull’esercizio critico della ragione umana, come una società che non solo tollera ma stimola, attraverso le istituzioni democratiche, la libertà dei singoli e dei gruppi in vista della soluzione dei problemi sociali” (4). La relazione ci sembra assai improbabile alla luce della totale mancanza di attenzione che l’amministrazione Torchi ha avuto nei confronti della Cultura .Anche quando, talvolta, essa sembra aver avuto un qualche spazio, non l’ha mai ottenuto per motivazioni ad essa inerenti: insomma, non è mai stata un fine ma un semplice mezzo, sacrificata anch’essa sull’altare del commercio, del turismo e della gastronomia. L’unica cultura che ha trionfato a Modica in questi ultimi cinque anni è stata quella dei quattrini! Ma senza Cultura, non è possibile che una società, come auspica Popper, possa fondarsi sull’esercizio critico della razionalità e possa stimolare la vera libertà dei cittadini. E’ triste dover constatare che questa Amministrazione, nei modicani, è riuscita a stimolare soltanto l’appetito: i nostri concittadini hanno ingurgitato chili di tumazzu, fave cottoie e cioccolato, e così facendo hanno riempito le pance e svuotato i cervelli. La volgarità di tutto questo è talmente evidente che riteniamo superfluo soffermarci oltre. Popper auspicava la società aperta; a Modica abbiamo edificato quella chiusa, perché incapace di determinare un ricambio della sua classe politica, che ha rivestito la città coi panni di un misero provincialismo che non tutti colgono: cosa c’è di più provinciale, infatti, dell’aver paura di esserlo e del voler mostrare ad ogni costo di non esserlo. Una città come Modica non ha bisogno di frotte di turisti che riempiono di cioccolato le loro bocche e le loro tasche, involgarendo con la loro presenza un gioiello di storia, di arte e di cultura. Modica deve accogliere chi viene per ammirarla e non dimenticarla: e se i commercianti non faranno affari d’oro, confessiamo che non ce ne importa proprio nulla. Prendiamo in esame, infine, il Neopositivismo Giuridico di Kelsen, il quale, partendo dal presupposto che l’assolutismo metafisico – ossia la pretesa che esista una verità e che sia conoscibile – conduce all’assolutismo, ritiene che la democrazia debba essere puramente formale e il suo unico fondamento debba essere il consenso di tutti, cioè la libertà e l’uguaglianza di tutti gli individui. “ Non so, né posso dire – egli scrive - che cosa è la giustizia, quella giustizia assoluta di cui l’umanità va in cerca. Devo accontentarmi di una giustizia relativa e posso soltanto dire che cos’è per me la giustizia. Poiché la scienza è la mia professione, la giustizia è per me quell’ordinamento sociale sotto la cui protezione può prosperare la ricerca della verità” (5). Lo spirito scientifico rappresenta dunque un aiuto inestimabile per la crescita della società, perché determina nell’essere umano il rispetto e l’amore per la verità, e questo fa sì che la coscienza morale non sia mai messa a tacere e che l’istinto non prevalga sulla razionalità. Che tutto ciò non sia presente nella nostra realtà locale è un dato incontrovertibile. Una società edificata sulla Ragione e la Morale non potrebbe mai generare dei mostri: questi esseri spregevoli, invece, si rigenerano come i tentacoli di una piovra e stanno stritolando la nostra città, finita in una voragine che al momento appare insormontabile. La trivialità e la stupidità del divertimento ad ogni costo, la superficialità dell’apparire, la tracotanza del possedere, l’opportunismo del cambiare casacca, la tristezza e la volgarità del portaborse, la meschinità di chi s’inchina al potente di turno sono la conferma che a Modica l’istinto ha finito per soffocare l’anelito alla conoscenza e alla rettitudine morale. Al di là delle differenze, che certamente ci sono tra coloro che vedono nella Scienza lo strumento per una rifondazione positiva della società, tutti concordano sul fatto che il Relativismo debba essere considerato la “ conditio sine qua non” della democrazia: è da questo che nasce quel Pluralismo delle idee, delle concezioni e dei valori che l’Amministrazione Torchi ha distrutto, nel momento in cui ha governato Modica con un solo ed unico obiettivo: far crescere a dismisura la circolazione del denaro. E tutto ciò mentre il Sapere s’inaridiva, la memoria del passato s’infiacchiva e il legame coi valori che ci fanno uomini diventava sempre più fragile e inconsistente. Mentre Torchi era intento a far lievitare il volume di affari dei commercianti, la sua città, come direbbe Vico, tornava all’età della barbarie. A noi il compito di uscirne, e d’incamminarci verso la difficilissima risalita!
1) J. Dewey “Democrazia e Educazione”, La Nuova Italia, Firenze 1974
2) J. Dewey Ibidem
3) K. Popper “La società aperta e i suoi nemici”, Armando, Roma 1974,
4) K. Popper Ibidem
5) K. Kelsen in: Reale-Antiseri “Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi”
La Scuola, Brescia 1983, Vol 3°, pp. 394-396
LA RICOMPOSIZIONE DELLA DICOTOMIA
Le motivazioni che stanno alla base delle nostre critiche alla classe politica che amministra Modica sono talmente numerose che non possiamo elencarle, se non a rischio di occupare per intero le quattro pagine del giornale, ciò che, tra l’altro, l’amica Luisa Montù non ci permetterebbe mai di fare. I motivi per i quali critichiamo da anni l’Amministrazione Torchi sono tra l’altro noti, avendoli più volte esplicitati nei nostri articoli; ma ce n’è uno, in particolare, che non smetteremo mai di segnalare ai nostri lettori, perché è legato ad un atteggiamento che ci risulta oltremodo insopportabile: si tratta della deleteria abitudine del nostro Sindaco – se ciò egli lo faccia in modo consapevole o meno non lo sappiamo – di assumere dei comportamenti che hanno la conseguenza di fare apparire i suoi concittadini come persone dalla memoria corta e, ancora peggio, prive della capacità d’intendere e di volere. Per dimostrare la veridicità di quanto sosteniamo, abbiamo scelto – il ventaglio delle opzioni è ovviamente vastissimo – gli episodi di aggressione al territorio, che hanno riguardato alcune contrade della nostra città. Tutti ricordiamo, non avendo ancora perduto la memoria e conservando, per fortuna, il ben dell’intelletto, lo scempio che stava per essere compiuto in contrada Zimmardo, dove avevano già preso avvio i lavori per la realizzazione del cosiddetto kartodromo, lavori che, tra l’altro, avevano già causato l’abbattimento di molti alberi di carrubo e di ulivo. “ Una pena incredibile – ha scritto in un suo articolo di due anni fa Carmela Giannì – viene dalla devastazione dei muri a secco che tracciavano la strada della consortile che da secoli testimoniava un accesso dell’uomo che con la natura dialogava. Questa cancellazione di antica traccia, e l’impatto sul contesto intatto e selvaggio, è lo stupro di una vergine”. Tutti rammentiamo, per lo stesso motivo di prima, l’altra vittima destinata a subire anch’essa un’aggressione, da parte di un’Amministrazione che sarà ricordata per la sua imperizia e per la sua perniciosa superficialità: ci riferiamo a Cava Gisana, il cui destino era quello di essere devastata da un impianto di Biomassa; altro esempio della lungimiranza politica dell’Amministrazione Torchi. Ricordiamo ai nostri lettori, tanto per non dimenticare, che le concessioni date dal Comune, per la costruzione sia del kartodromo sia dell’impianto di biomassa, non riguardavano sperdute e insignificanti zone della campagna modicana, ma due aree soggette a inedificabilità assoluta, essendo queste sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici. Per tali fatti, alcuni funzionari del Comune amministrato da Torchi sono attualmente imputati nel processo davanti al Collegio penale del Tribunale di Modica. Errare è umano, ma, come dice un antico detto, perseverare è diabolico! Ed infatti, un altro scempio è in atto, nell’indifferenza generale, in un’altra bellissima contrada modicana, contrada Cella, a metà strada tra contrada Aguglie e Pozzallo. In questo splendido angolo di mondo - come ha recentemente scritto, in un suo articolo, Nino Spadaro - caratterizzato da una splendida vegetazione e da una varia e ricchissima fauna “ è piombata come un falco la Colacem aprendo una cava per l’estrazione della roccia calcarea (…) Un disastro! Hanno sventrato la collina, praticando in essa una ferita a cui purtroppo non penso si possa rimediare facilmente”. Come fa rilevare lo stesso Spadaro, l’Ufficio Tecnico comunale ha dichiarato che è tutto in regola e che la Colacem è in possesso di regolare autorizzazione: “ in pratica possono continuare a distruggere un ambiente senza che nessuno si prenda la briga di intervenire”. Anche in questo caso, il Comune di Modica ha autorizzato! E mentre si autorizza quest’altro scempio, il nostro Sindaco si scopre all’improvviso ambientalista, ed esulta perché la Giunta Regionale ha deliberato di bloccare le trivellazioni nel Val di Noto per la ricerca di idrocarburi. Abbiamo cercato in tutti i modi di capire l’ambiguità dell’atteggiamento di Torchi, di comprendere i motivi per i quali il nostro Sindaco autorizza lo sventramento delle nostre colline e la distruzione della flora e della fauna e, nello stesso tempo, si fa paladino della loro salvaguardia, se a minacciarle sono le trivellazioni, che, comunque, avrebbero un impatto ambientale meno disastroso di quello che il Comune da lui guidato avrebbe determinato con le sue scellerate autorizzazioni. Non riuscendo a spiegarci questa lampante dicotomia nell’atteggiamento del Sindaco, ci è sorto un dubbio, e cioè che, sotto sotto, ancora una volta, si può spiegare il tutto con le sue ambizioni politiche. La notorietà di Cella, Cava Gisana e contrada Zimmardo, infatti, non va oltre i confini del territorio modicano: le trivellazioni nel Val di Noto hanno invece avuto, giustamente, una notorietà non solo a livello provinciale, ma anche regionale e addirittura nazionale, ed inoltre, a tutto ciò, non sono interessati soltanto i modicani, ma tutti coloro che vivono nel collegio elettorale che deciderà, fra qualche tempo, quali politici locali siederanno, per cinque anni, a Palermo, nell’ambita Sala d’Ercole. A questo punto, all’improvviso, la dicotomia si è ricomposta, e noi, finalmente, abbiamo capito!
QUEL LUOGO SOPRA IL CIELO
Più osserviamo le vicende della politica modicana e più ci convinciamo che l’Amministrazione al governo vive in una sorta di Iperuranio platonico, insomma, in quel “luogo sopra il cielo” dal quale i nostri amministratori non possono – e probabilmente non vogliono – avere una percezione chiara di quanto avviene nella realtà sottostante, che poi, ovviamente, non è altro che la città che dovrebbero amministrare. La recente crisi all’interno della maggioranza ha consentito di aprire uno squarcio nelle stanze che contano, a Palazzo San Domenico, dal quale abbiamo potuto osservare – per l’ennesima volta – l’indecoroso spettacolo di una politica che non sa andare oltre l’avvilente richiesta di maggiore visibilità e lo spettacolo miserevole dei questuanti alla ricerca di comode e redditizie poltrone. Come tutti sappiamo, l’unica decisione, che l’Amministrazione, davanti a questo ennesimo teatrino, è stata in grado di prendere, è stata quella di non decidere e di rinviare la resa dei conti al prossimo mese di Marzo, come se in quel mese, per incanto, i nostri politicanti dovessero smettere di litigare per le poltrone e, come folgorati sulla via di Damasco, diventare all’improvviso dei politici, preoccupati soltanto di fare gli interessi della loro città. Questo rinvio della soluzione ci ricorda tanto la strategia, cui ricorreva spesso il Giolitti, e che era quella, nelle situazioni particolarmente difficili e delicate, di non usare il pugno di ferro, per non esasperare quelle situazioni, in attesa che decantassero da sole. Giolitti, però, sebbene mosso dall’unico obiettivo di fare i propri interessi, aveva il buon senso di farsi momentaneamente da parte: sperare che lo facciano i nostri politicanti è ovviamente un’utopia, giacché nulla, per loro, è più sacro dell’agognata e conquistata poltrona; pertanto rassegniamoci al fatto che difficilmente toglieranno il disturbo! Il lettore ci perdoni di aver accostato un grande statista – il fatto che a noi, meridionali, non sia stato ovviamente mai simpatico, non intacca le sue indiscusse doti politiche – agli attuali amministratori modicani: lungi da noi l’idea di riconoscere loro un pur minimo grado di capacità politica e di efficienza amministrativa. La città sta letteralmente soffocando nei debiti; la Finanza ha avviato le attività investigative e di controllo, ponendo la sua attenzione soprattutto sull’attività dell’Ufficio Urbanistica e dello Sportello Unico, considerato che le richieste di concessioni edilizie, regolarmente presentate, talvolta svaniscono nel nulla e che non tutte le pratiche vengono espletate con la stessa celerità: per alcune, l’iter è abbastanza spedito, per altre, i tempi assumono dimensioni bibliche: questo si evince dalla pubblica denuncia presentata, lo scorso anno, da un tecnico e che ebbe una vasta eco sulla stampa locale. Nel mirino della Finanza, anche l’Ufficio Ragioneria: i fornitori, infatti, lamentano delle irregolarità nei criteri di pagamento; pare, infatti, che nel liquidare le spettanze ai fornitori, non si sia tenuto conto delle date di consegna delle fatture. E, intanto, gli operatori ecologici non sanno più a quale santo votarsi, per poter riscuotere con regolarità il loro legittimo salario. E’ dovuta intervenire addirittura la Chiesa – nella persona di don Salvatore Cerruto, della Curia di Noto – per assicurare che la chiesa locale si farà portavoce dei loro disagi. Non ci resta che sperare che la sua voce autorevole possa scuotere le coscienze dei nostri politicanti, insensibili ai bisogni di coloro che faticano ad arrivare a fine mese, e sempre pronti, invece, a sprecare il denaro pubblico per inutili e volgari festicciole, al solo scopo di ottenere consensi e portare altri quattrini nelle tasche dell’unica categoria verso la quale, fin dal suo primo insediamento, quest’ Amministrazione ha dimostrato una preoccupante sudditanza, che non ci stancheremo mai di denunciare. Com’è facile notare, non c’è certamente da stare allegri! La mancanza d’allegria, naturalmente, la percepiamo noi, comuni mortali, che abitiamo, come direbbe Pico della Mirandola, “negli infimi gradi di questo mondo”. Coloro che calpestano, invece, i verdi prati della platonica “Pianura della Verità”, trascorrono i loro giorni in armonia e letizia e non s’accorgono del marcio che quaggiù sommerge i loro simili. E’ per tale motivo, che dopo la finta soluzione della squallida crisi delle poltrone, l’on. Drago osa dichiarare: “ La coalizione rimane un valore e la compattezza ricercata e ritrovata nel documento finale, va dimostrata su un pacchetto che sancirà il rilancio economico-finanziario di palazzo San Domenico e dell’intera città.” Egli ha inoltre affermato che ciò che conta è la compattezza, e non avere un assessore in più o uno in meno. Confessiamo di essere veramente preoccupati. Dopo le dichiarazioni di Drago siamo stati assaliti da un dubbio inquietante. Forse non abbiamo capito nulla: siamo noi quelli che vivono in quel magnifico “luogo sopra il cielo”!
Dicembre 2007
NOTTE DI NATALE
Nell’aria, gravida di gelo, di questa notte, unica e mirabile, vediamo aleggiare, ancora una volta, le sembianze di fantasmi senza volto: sono i pagliacci di sempre, che portano addosso gli stracci dell’impostura e le maschere di una insopportabile ipocrisia; vediamo levarsi in cielo il fumo, opaco e grigio, dell’eterno inganno. Noi sappiamo che in questa notte, sull’erba ancora madida di brina, si muove una stanca carovana di attori e mendicanti, a intraprendere le tortuose strade che conducono all’inaccessibile utopia. Noi sappiamo che in questa notte – rivestita di un miraggio seducente, malinconico e struggente – un rogo impietoso brucerà le umane chimere e assisteremo, tristemente, ad una scena sempre uguale; in silenzio ascolteremo i versi eretici e bugiardi degli eterni commedianti, che spargeranno, con esecrabile superficialità, il seme dei buoni intendimenti e delle pie intenzioni.
In questa notte, che può far luce nell’oscurità dei nostri cuori e delle nostre menti, vedremo l’Amore e la Giustizia librarsi in cielo e fra le nuvole correre incontro all’infinito. Per un attimo, gusteremo la speranza che possano solcare il cielo per sempre, e, come pioggia benefica, rendere fertile di altruismo e solidarietà “quest’atomo opaco del male”. Ma sappiamo, ahimè, che alle prime luci dell’alba, come sempre, annegheranno fra le onde tempestose dell’oblio, in un “eterno ritorno dell’uguale” che smorza, nella gola, l’urlo della nostra ribellione all’ineluttabile compimento dell’avverso destino. Noi sappiamo che in questa notte, incantevole e fredda, risorgeranno gli Ideali che da troppo tempo giacciono - sotto una coltre di polvere e fango – nei meandri più nascosti della coscienza umana, e che anch’essi svaniranno al primo chiarore della gelida aurora.
Noi sappiamo che in questa notte, ebbra di sogni e di speranze, non saliremo sulla giostra delle vane promesse, non finiremo nel vortice del volgare frastuono; noi c’incammineremo sulle strade impervie che conducono al silenzio, con la speranza d’incontrarvi la Luce che rischiara le tenebre, e, con essa, la Verità – scomoda e difficile - nascosta nella profondità del nostro essere, e cioè che Cristo non è in vendita e non si lascia comprare da coloro che vivono nel lusso e nello sfarzo e che usano i poveri per tacitare le loro miserabili coscienze, da coloro che si recano al tempio come andassero al teatro, da coloro, infine, che mascherano la cattiveria, che alberga nel loro animo di Farisei, con il loro finto sorriso e con il loro ripugnante pietismo.
Noi nutriamo la speranza d’incontrarLo nella solitudine del nostro io e di guardare in faccia la faticosa verità: è salendo sulla nostra croce, quella che ogni giorno ci angoscia e ci tormenta, che possiamo dare un senso a questa Notte Santa; è l’unica strada per dirci Cristiani senza sentirci usurpatori. In questa notte, in cui l’Infinito squarcia il velo del finito, in cui l’Eterno infrange le catene del tempo, Cristo è come un faro che illumina la notte, e consente ai naviganti di non restare prigionieri fra le onde. In questo nostro mondo, in cui il tempo è scandito dai rintocchi delle perversioni e delle banalità, come un lampo nella nebbia, questa Notte illumina e ci richiama all’autenticità: l’uomo non è che un granello di sabbia negli sterminati spazi dell’universo. Che si spogli, dunque, della sua albagia, che rinunci alla sua ridicola smania di grandezza e si abbandoni, finalmente, nelle braccia dell’Onnipotente: nell’accettazione della nostra finitudine sta il coraggio di essere uomini!
LACRIME DI COMMOZIONE
Il clima natalizio, si sa, crea nei comuni mortali l’illusione di essere più buoni, e questo sogno, come sempre accade in questo periodo dell’anno, produce l’insopportabile carosello dei buoni propositi e delle pie intenzioni. Si tratta, ovviamente, di un imbroglio: tutti lo sanno, ma preferiscono autoingannarsi e finiscono per credere sul serio di essere diventati altruisti, comprensivi e tolleranti. A noi tocca, ancora una volta, andare controcorrente e non certamente per il gusto di andarci, ma perché il nostro pessimo carattere, da una parte, e il rifiuto di prenderci in giro, dall’altra, non ci consentono di far nostro il buonismo oggi tanto in voga, e pertanto perseveriamo, anche adesso, nel denunciare l’incoerenza, le contraddizioni e la superficialità che, purtroppo, a Modica, non vanno mai in vacanza, nemmeno a Natale. Non essendo stati colti, dunque, dal virus della bontà ad ogni costo, e sostenuti dalla forza che ci deriva dall’essere uomini liberi e dal desiderio inarrestabile di raccontare ai nostri lettori come le cose realmente stanno, riprendiamo, ancora una volta, la nostra battaglia in nome della verità, della chiarezza e della trasparenza. Due i fatti, in quest’ultimo periodo, che ci hanno indotto a fare alcune riflessioni che adesso esponiamo con la nostra consueta “cattiveria”, mitigata, però, da un velo di commozione, che i nostri lettori certamente ci perdoneranno, non appena verranno a conoscenza di quanto stiamo per raccontare. Per ben due stagioni – estate e autunno – abbiamo apprezzato i continui interventi del consigliere Militello con i quali ha criticato, talvolta anche duramente, l’operato della Giunta Torchi, che, lo ricordiamo, è espressione della coalizione alla quale egli stesso appartiene. Dobbiamo confessare che abbiamo ammirato quest’uomo, che ha dovuto sopportare, tra l’altro, il peso di una continua presenza sulla stampa locale e l’onere pesantissimo di una costante visibilità. Ci ha davvero commosso la sua azione politica, giacché non è da tutti attaccare con coraggio gli alleati, non è da tutti mandare a quel paese la logica di schieramento, pur di mettere al centro della propria azione il bene della città. La nostra commozione ha raggiunto l’apice nel momento in cui abbiamo appreso che Militello, pur di dare il suo contributo al riscatto di Modica, ha persino accettato di entrare in giunta: e tutti sappiamo quanti sacrifici e quante rinunce comporti il difficile e delicato ruolo di Assessore. A proposito dell’operato di Drago e del fatto che si sia dovuto fare da parte per far posto a Militello, registriamo un’autentica perla che si nasconde fra le pieghe di questa autorevole dichiarazione di Nino Minardo: “ Un lavoro difficile in un assessorato difficile contraddistinto da competenza e correttezza che ha prodotto risultati importanti ed eccellenti”. Ciò che ci commuove, nella dichiarazione del Commissario cittadino di Forza Italia, è la sua capacità di elevarsi al di sopra delle parti, di sottrarsi, anch’egli, alla logica dell’appartenenza; non possiamo, inoltre, non apprezzare la sua realistica analisi della situazione politica modicana, che si evince dall’attribuire all’ex assessore al bilancio il conseguimento di risultati importanti ed eccellenti; infatti, come tutti sanno, la situazione finanziaria dell’Ente è florida, i dipendenti comunali sono mensilmente pagati con ammirevole puntualità, all’orizzonte non si profila alcun inasprimento fiscale e nessun debito grava sulle solidissime casse di Palazzo San Domenico. Ma torniamo alla commozione, che, come si è intuito, è la protagonista indiscussa di questo nostro articolo. Nonostante Militello faccia parte di quel gruppo di forzisti che riconoscono come loro leader lui, Nino Minardo, ovvero l’enfant prodige della politica modicana, quest’ultimo – che, come tutti sanno, non ha fatto nulla per procurare a Militello una poltrona assessoriale – sembra rattristato per questo ennesimo cambio. D’altronde, pensando, il Minardo, esclusivamente al bene della sua città, com’è suo costume, è evidentemente preoccupato; teme, probabilmente, che il nuovo assessore possa non essere all’altezza del precedente. Sfidiamo chiunque a dire che non sia commovente il distacco che Minardo mostra nei confronti delle beghe di partito, nei riguardi della spartizione delle poltrone, e che non sia ammirevole la sua totale e sincera dedizione alla città e ai modicani tutti.
Ma c’è un secondo fatto che è riuscito a toccare le corde della nostra commozione: riguarda le dichiarazioni di Giovanni Scucces, Assessore ai Lavori Pubblici e quelle dei vertici del Consorzio Polo Commerciale di Modica, in occasione della presentazione della nuova campagna pubblicitaria del Polo Commerciale, ovvero “L’isola che c’è”. Il presidente Carpentieri ha dichiarato: “ Mentre nelle altre aree nascono negozi sempre più impersonali, noi proponiamo come valore aggiunto la nostra dimensione umana”. Alla lacrimosa affermazione del presidente si è aggiunta l’altra, non meno commovente, della direttrice, Marisa Giunta, la quale ha dichiarato: “ Al centro di tutto abbiamo messo la persona attorno alla quale si costruisce la nostra dimensione commerciale” Tutti sappiamo, infatti, che, fin dai tempi della sua nascita e poi nell’età del suo consolidamento, quella comunale, la classe mercantile si è sempre contraddistinta per il suo intento, che è stato quello, non di organizzare affari e accumulare quattrini, ma di perseguire il nobile scopo di servire il prossimo. E difatti, il nostro Polo Commerciale non è un mercato ma un luogo di beneficenza. I dipendenti spartiscono gli utili coi proprietari, le domeniche sono sempre santificate con l’astensione dal lavoro e i lavoratori, come nella celebre Utopia di Tommaso Moro, non vengono impegnati per più di sei ore lavorative al giorno: il resto, lo trascorrano nei sollazzi e nei divertimenti. I nostri lettori ci perdoneranno per questo diluvio di emozioni alle quali non abbiamo saputo resistere. Come non commuoversi, infatti, pensando ai tanti filantropi del nostro Polo Commerciale, cui non frega niente degli affari, giacché al centro di tutto hanno messo la “persona”. Intenerisce il cuore pensare che il bene altrui, per costoro, è assai più importante del loro portafogli. Ma, ancor più della Giunta e di Carpentieri, abbiamo ammirato l’assessore Scucces, il quale ha dichiarato che al Polo Commerciale, nel periodo natalizio, saranno sospesi i lavori per il rifacimento della rete idrica, in modo tale che lo shopping e i primi saldi non debbano subire l’onta degli ingorghi e della polvere. I malpensanti non potranno non fare la seguente osservazione: i suoi concittadini ogni santo giorno dell’anno sono costretti a inghiottire polvere, respirare veleno e patire i disagi dovuti a semafori, deviazioni, buche e modifiche alla segnaletica, ma a Dicembre e Gennaio, assolutamente no, perché in quei mesi occorre garantire gli affari alla categoria prediletta dall’Amministrazione Torchi. L’atteggiamento di Scucces sembrerebbe dunque imperdonabile, perché discriminante, ma non è così. Fra tutti egli è quello che ci ha commosso di più: forse per una sorta di pudore nel manifestare l’affetto per i suoi concittadini o forse per una sua ritrosia al facile consenso, egli ha scelto un atteggiamento per così dire evangelico. Ha deciso di fare il bene nel silenzio e nell’oscurità. Il contentino ai commercianti è stato il mezzo per conseguire un fine assai più nobile: consentire ai suoi concittadini – quelli che transitano per il Polo Commerciale e che sono ormai agonizzanti - di poter respirare almeno per due mesi all’anno. Come dicevamo all’inizio, a Natale tutti vogliono sentirsi un po’ più buoni e il nostro Assessore ha deciso di non fare eccezione.
E adesso, in preda alla commozione, scioglietevi in lacrime anche voi!
UNO SPETTRO S’AGGIRA PER LA PROVINCIA IBLEA
Uno spettro s’aggira per la provincia Iblea: lo spettro del Consorzio Universitario in mano ad un Consiglio d’Amministrazione costituito da deputati e senatori della nostra provincia. Abbiamo voluto parafrasare l’incipit del famoso “Manifesto” di Marx ed Engels, perché, seppur modificato – per i due filosofi tedeschi, infatti, lo spettro aveva una connotazione positiva, trattandosi del Comunismo – ci è sembrato adatto ad esprimere il nostro stupore e la nostra preoccupazione per l’eventualità che ciò possa avvenire. “ Tutte le potenze della vecchia Europa – così proseguivano gli autori del celebre “Manifesto” – si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”. Ebbene, noi crediamo che contro lo spettro, che qualcuno ha osato definire il super consiglio d’amministrazione, sia necessario che al più presto si formi una salda coalizione che abbia la forza di ricacciare lo spettro nella dimensione che gli compete: quella dell’immaginazione e dell’oscura irrealtà. E’ bene che la società civile si mobiliti per evitare quella che sarebbe un’ennesima arroganza della politica, un’ulteriore prova della sua insaziabile sete di potere. E’ da decenni che ci tocca subire la tracotanza di una politica che ha letteralmente sfasciato il Paese, proprio a causa della sua intollerabile pretesa di spartirsi ogni cosa; ci riferiamo a Enti, Istituzioni, Organizzazioni, che, in un Paese normale, quale l’Italia non è più, sono lo strumento attraverso il quale, liberamente, la società si esprime e si realizza, e che in Italia, invece, costituiscono l’inestricabile labirinto del sottogoverno. E’ a causa di quest’autentica vergogna che in Italia, e in misura maggiore nella nostra Sicilia, ci ritroviamo ingegneri, architetti, e quant’altro, ai vertici di molte aziende sanitarie: una situazione che, per taluni aspetti, potremmo definire comica, se non si riferisse ad un settore così serio e delicato come quello sanitario. La classe politica italiana, i cui difetti tutti conosciamo, è, come se questi non bastassero, afflitta da un delirio di onnipotenza: è come gli insopportabili “tuttologi”, ovvero come quei sapientoni privi di sapienza, perché credono di sapere e in realtà non sanno alcunché. L’Università, nonostante viva una crisi ormai decennale, è pur sempre un luogo di Cultura, e sarebbe opportuno che deputati e senatori ne restassero fuori, per tre ordini di motivi. Il primo è di natura per così dire pratica. I loro impegni – quelli istituzionali a Roma o a Palermo, e quelli che è meglio non avessero, ci riferiamo alla loro assidua presenza nelle città di provenienza, con lo scopo di curare i loro interessi, quelli dei loro amici e di spartire cariche e poltrone – non potrebbero loro consentire di svolgere con continuità un compito certamente importante come quello di consigliere d’amministrazione in un consorzio universitario. Il secondo motivo è di carattere morale. Considerati i privilegi da nababbi di cui godono – al di là dello scandaloso stipendio di 14 mila euro al mese – sarebbe certamente poco opportuno che rimpinguassero ulteriormente i loro portafogli; anche se non dovessero percepire denaro, sarebbe comunque biasimevole che altro potere si aggiungesse a quello che già posseggono. Il terzo motivo è di ordine culturale. E’ vero che il loro ruolo di consiglieri d’amministrazione non inciderebbe direttamente sull’attività didattica dell’Università, ma dal punto di vista dell’immagine questa non ne trarrebbe certo alcun beneficio. Premesso che quanto stiamo per dire non va interpretato come un riferimento personale ai deputati e ai senatori della nostra provincia, non c’è dubbio che costoro, però, sono espressione della nostra politica nazionale e regionale e non c’è dubbio che la politica, infarcita di corruzione, nepotismo e clientelismo, ha ormai raggiunto un degrado difficilmente sanabile: la politica, pertanto, da chiunque in questo momento fosse rappresentata, non potrebbe dare all’Università alcun contributo in termini di serietà e di credibilità. Per questo, riteniamo estremamente importante che ne stia fuori. Un’ultima considerazione vogliamo riservarla al sindaco di Modica, il quale, non avendo, dal punto di vista politico, il senso del limite e della misura, all’idea che il consorzio universitario sia retto da deputati e senatori si è lasciato andare all’entusiasmo. Non sappiamo se per motivi di carattere personale o generale. Ma, nell’uno o nell’altro caso, Torchi continua a deludere. Nel primo caso, il suo entusiasmo potrebbe derivare dal fatto che non svolgendo egli altra attività che quella politica – in questa è ormai totalmente immerso e in questa risiede il suo futuro – un giorno, divenuto deputato o senatore, anche per lui potrebbero aprirsi le porte di qualche importante Consorzio. Come ebbe a dire l’enigmatico Andreotti, a pensare male si fa peccato, ma assai spesso s’indovina. Nel secondo caso, il suo entusiasmo sarebbe non solo deludente ma oltremodo preoccupante: per l’ennesima volta, Torchi dimostrerebbe che per lui non è la politica che sta al servizio della società civile, ma è quest’ultima che deve sottostare al potere politico, sopportandone l’arroganza e l’invadenza.