2005
Gennaio 2005
La preistoria della politica La Pagina: 12 gennaio 2005
Carmelo Ottaviano: il filosofo dimenticato La Pagina: 28 gennaio 2005
Le verità non dette Dialogo: gennaio 2005
Febbraio 2005
Un grande, freddo e anonimo mercato Dialogo: febbraio 2005
Lo scialle nero, l’asino e le coppole La pagina: 28 Febbraio 2005
Marzo 2005
Non confondiamo l’utile col vero La Pagina: 14 marzo 2005
La città marketing La Pagina : 28 marzo 2005
Lo sguardo oltre la siepe Dialogo: marzo 2005
Aprile 2005
Il precariato dimenticato La Pagina: 12 aprile 2005
Un’amministrazione allo sbando La Pagina: 28 aprile 2005
Il tempo del rispetto Dialogo: aprile 2005
Maggio 2005
Volete liberarvi di Berlusconi? Fatelo governare! La Pagina: 12 maggio 2005
L’ottimismo a buon mercato Dialogo: maggio 2005
Giugno 2005
I politici in passerella La Pagina: 12 giugno 2005
Le dimissioni irrevocabili La Pagina: 28 giugno 2005
Il misterioso altrove Dialogo: giugno 2005
Luglio 2005
I diplomifici in provincia di Ragusa La Pagina: 28 luglio 2005
Settembre 2005
Riappropriamoci della nostra modicanità La Pagina: 12 settembre 2005
Riflessioni su Modica e la malasanità La Pagina: 28 settembre 2005
Ottobre 2005
Una questione di stile La Pagina: 12 ottobre 2005
Modica, è ora di spegnere i riflettori La Pagina: 28 ottobre 2005
Il declino della democrazia Dialogo: ottobre 2005
Novembre 2005
Anche la festa dei morti cade nell’effimero La Pagina: 12 novembre 2005
Una colpevole indifferenza La Pagina: 28 novembre 2005
Le silenziose stanze di Palazzo San Domenico Dialogo: novembre 2005
Dicembre 2005
Modica: come si sperpera il pubblico denaro La Pagina: 12 dicembre 2005
E le stelle stanno a guardare La Pagina: 28 dicembre 2005
La miseria del tempo in cui viviamo Dialogo: dicembre 2005
LA PREISTORIA DELLA POLITICA
Viviamo nel paradiso terrestre e non lo sappiamo, abbiamo la fortuna di trascorrere i nostri giorni in un’oasi paradisiaca e non ce ne accorgiamo, viviamo la nostra vita in una provincia esente dai problemi che affliggono tutte le altre e non lo apprezziamo. Qualche lettore penserà che siamo usciti di senno. Si tranquillizzi! Questa idilliaca visione della nostra provincia non è frutto della nostra fervida fantasia; stiamo soltanto descrivendone l’immagine che alberga nella mente dei nostri amministratori comunali, provinciali e nazionali. Se infatti analizziamo i loro attuali obiettivi e le priorità del loro impegno politico, delle due l’una: o sono totalmente disinteressati ai problemi della provincia e alla loro risoluzione o vivono in una dimensione surreale che non consente loro d’esserne consapevoli e li induce a ritenere la provincia iblea immune da qualsiasi difficoltà: un’isola felice, una sorta di Utopia del XXI secolo, che non conosce “frodi, rapine, risse, tumulti, assassini e tradimenti”. A suscitare queste nostre riflessioni è la cronaca recente sulla situazione politica nella nostra provincia, dove pare siano iniziate le grandi manovre per mettere a segno qualche vendetta, per sistemare i delusi e per pianificare qualche carriera politica. Tutti siamo a conoscenza dello stato di crisi che attraversa il nostro comparto agricolo, eppure – valutando attentamente quanto riportato in cronaca da Gianni Nicita sul Giornale di Sicilia del 27 Dicembre sembra che la massima preoccupazione di Innocenzo Leontini, assessore regionale all’Agricoltura, sia quella di far rientrare in Giunta il nostro concittadino Carpentieri( il quale ha ovviamente dichiarato di volervi fare ritorno). Per tutto ciò – che com’è facilmente intuibile è vitale per il destino di tutti noi – egli spende il suo tempo alla ricerca di un qualche alleato che gli permetta di realizzare l’abile manovra: Mauro o Minardo; questo è il dilemma, ed è inutile dire che su questo amletico dubbio si gioca il futuro dell’intera provincia. Appare poi quantomeno paradossale, considerati i precedenti, la dichiarazione del politico onnipresente – ci riferiamo ovviamente al senatore Minardo – “non metterò assolutamente il bastone tra le ruote per fare rientrare Carpentieri nella giunta provinciale”; immaginiamo che la condizione sia una, indiscutibile e irrevocabile: che l’amato nipote rimanga però saldamente al suo posto. E così, mentre il settore agricolo e zootecnico attraversa uno dei periodi più bui della sua storia, mentre a Ragusa, in occasione del sisma del 30 Dicembre sono emerse delle gravi lacune nel coordinamento da parte della Protezione civile e della Polizia Municipale e le aree di evacuazione si son presentate invase da erbacce e detriti( questa l’accusa mossa dal presidente della circoscrizione sud del capoluogo ibleo), e mentre la criminalità vive una fase di pericolosa recrudescenza, i nostri politici hanno ben altro cui pensare!
Nino Minardo, stando alla cronaca cui abbiamo fatto riferimento,” si sta costruendo la sua immagine per le prossime regionali” e Innocenzo Leontini “rischia di rimanere “il signor Leontini” se non riesce a trovarsi la collocazione in un collegio senatoriale. A meno che non voglia ritornare a guidare la sua Ispica dopo aver lavorato e trovato accordi con la sinistra per silurare Rosario Gugliotta”. La nostra provincia deve giornalmente misurarsi con la realtà vera, fatta di disservizi, di carenza d’infrastrutture, di gente che perde la vita per la pericolosità delle nostre strade, ma i nostri politici sono troppo occupati per accorgersene: Mauro deve risolvere un problema decisivo per il nostro futuro, ovvero chi dovrà essere sacrificato sull’altare di Carpentieri; Nino Minardo deve pensare alle prossime regionali, lo zio senatore sarà nei prossimi mesi impegnatissimo a spianare la strada al nipote, anche se, nel tempo libero, progetta per Modica un Museo dell’Emigrato, che sicuramente i modicani sentono come una delle fondamentali priorità fra i tanti obiettivi ancora da realizzare, e Leontini, come s’è detto, è alle prese con un problema angoscioso e inquietante per tutti noi: quello di trovarsi al più presto un collegio senatoriale per non rischiare un’umiliante disoccupazione. Abbiamo preferito sviluppare queste considerazioni con un tono prevalentemente ironico, per placare la nostra indignazione e per sdrammatizzare una situazione a dir poco allarmante. Noi non abbiamo la pretesa di dare consigli e suggerire soluzioni, ma una richiesta ai nostri amministratori non possiamo esimerci dal farla: la smettano con la tanto decantata Seconda Repubblica; noi non siamo più nemmeno nella prima: noi siamo nella preistoria della politica.
LE VERITA’ NON DETTE
Una delle cose che maggiormente ci infastidisce nel modo di porsi del nostro sindaco è l’ostinazione con la quale continua a tacere le tante incongruenze della sua amministrazione (ritenendo, forse, che l’autocritica sia sinonimo di ingenuità) e i tanti mali che affliggono la città che governa, e, nello stesso tempo, la pervicacia con la quale esalta quel poco di buono che in questi anni tale amministrazione è riuscita a realizzare. Basta leggere, sul Giornale di Sicilia del 6 Gennaio, le sue dichiarazioni sull’acquisto del Palazzo delle Poste da parte del Comune, definito “evento di portata eccezionale per la storia recente della città” e presentato all’opinione pubblica come un fatto epocale, che certamente, ne siamo sicuri, proietterà Modica verso un grande e radioso avvenire! Noi siamo convinti della sua buona fede – e lo diciamo con estrema sincerità – ma ciò non toglie che il risultato di tale atteggiamento è quello di offrire alla cittadinanza un quadro non veritiero della situazione politica, sociale e culturale della città che amministra. Il consueto incontro di fine anno con gli operatori dell’informazione è lo specchio di una visione distorta della politica, quella che dimentica i valori, i problemi veri coi quali quotidianamente le persone devono convivere, e che guarda, invece, alla frivolezza degli slogan o alla futilità dei gemellaggi. “Lo slogan della campagna elettorale della nostra coalizione– ci ha ricordato Torchi – fu “Modica vuole cambiare”. Oggi posso dire che Modica è cambiata. Assolutamente in meglio. Basti pensare alla proiezione in campo nazionale e internazionale che questa città ha avuto da due anni a questa parte”. Non vogliamo, per l’ennesima volta, tornare sulle critiche che non manchiamo di muovere all’amministrazione Torchi e che sono ormai, a coloro che ci leggono, ampiamente note. Intendiamo, in questa occasione, fare soltanto alcune riflessioni che consentano ai nostri lettori di meditare sulle sue omissioni e sulla superficialità che aleggia nelle stanze del Palazzo. Per quel che riguarda le omissioni, ci sembra doveroso ricordare almeno le più eclatanti, e fra queste vi è certamente la questione del traffico caotico, specialmente nel popoloso quartiere della Sorda, che, per i motivi che innumerevoli volte abbiamo ricordato, ci si ostina a non voler risolvere, costringendo i cittadini a vivere una situazione stressante e ormai insostenibile. Il nostro Sindaco, affiancato da tutti i componenti la Giunta Municipale, ha ricordato la compattezza della coalizione al governo: noi riteniamo giusto sottolineare che il sindaco, con ogni probabilità, ha scambiato per reale ciò che è sempre stato solo ed esclusivamente ideale. La compattezza, infatti, poco si concilia con la revoca del mandato ad alcuni assessori e con le nuove nomine effettuate: citiamo per tutti il caso dell’assessore Mavilla, e riteniamo potrebbe essere utile, per rinfrescare la memoria, rileggere l’intervista da lui rilasciata al Giornale di Sicilia il 27 Agosto del 2004. In un nostro articolo facemmo notare al sindaco che era un suo preciso e inderogabile dovere spiegare ai cittadini a quali criteri si era ispirato per le revoche e le nomine assessoriali: non ci pare sia giunta alcuna risposta. Non si può esaltare la compattezza e l’efficienza di una coalizione all’interno della quale un assessore viene addirittura sfiduciato dal suo stesso partito; una coalizione che è stata incapace persino di esprimere una Giunta stabile e duratura: il famoso “rimpasto”, infatti, nulla ha a che vedere con l’efficienza e la compattezza, al contrario, è lo specchio della disgregazione e dell’inefficienza. A questa evidente incongruenza non c’è che una risposta, ed è quella che vede le ambizioni personali e gli appoggi di qualche potente di turno prevalere sul valore dei singoli e sugli interessi della città. La presunta sinergia, poi, tra la Giunta e la coalizione di maggioranza non è mai esistita. Onde evitare che tutto finisca in una comoda dimenticanza, ci limitiamo a ricordare soltanto alcuni episodi, come quello riguardante il Piano triennale delle opere pubbliche, che vide i consiglieri comunali dell’UDC e di AN schierati con l’opposizione o il vertice del 26 Gennaio, quando il sindaco,sempre in relazione al piano triennale, escluse il consiglio comunale, autentico rappresentante della cittadinanza, dall’incontro con la giunta provinciale, per finire con quanto accaduto nel mese di Novembre: ci riferiamo all’iniziativa di Pisana e Lavima, rispettivamente presidente e segretario dell’UDC modicano, che giustamente rivendicavano, a proposito del Patto per lo sviluppo, il loro diritto a dettare la linea politica del partito, alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi, anche il sindaco, che invece si era ben guardato dall’estendere l’invito alla delegazione cittadina del suo partito. Lasciamo stare la compattezza, signor sindaco, e parliamo di quel che probabilmente avrebbe voluto e non ha potuto realizzare – certamente non solo per responsabilità sua – e di quel che non s’è fatto e che occorrerebbe fare. Lei ricorda, con il solito, inutile trionfalismo, che a Modica sono stati conseguiti risultati eccezionali. Si riferisce al potenziamento universitario(ma dimentica di ricordare che abbiamo perso la facoltà di Giurisprudenza), all’attivazione dei master di protezione civile e soprattutto al fatto che Modica si è imposta come stazione appaltante, tra le prime in Sicilia, con circa 17 milioni di euro di appalti. A questo punto lei si aspetterebbe un nostro “bravo”, che non arriverà mai finchè lei sarà l’interprete di una politica che misura in euro lo sviluppo di una città e che ne valuta la crescita guardando alla quantità degli appalti. E’ ovvio che queste realtà sono importanti, ma farne il perno attorno al quale far ruotare tutto il resto è assolutamente inutile e soprattutto nocivo, perché diffonde un’idea superficiale della politica che rischia di non fare emergere problemi di gran lunga più seri dell’Eurochocolate, e molto più pregnanti di quelli legati all’inaugurazione del nuovo tribunale, delle aiuole spartitraffico e delle luminarie natalizie. La sera del 31 Dicembre e la mattina del 1 Gennaio la città è stata sconvolta da due suicidi. In entrambi i casi si è trattato di persone anziane. Nella sua città, che lei immagina cambiata assolutamente in meglio, il problema della solitudine – soprattutto degli anziani – è drammaticamente presente e ci richiama tutti ad una seria autocritica. Non sappiamo se i due suicidi siano frutto della disperazione della solitudine, ma ciò non toglie che questa esiste e che si pone come uno specchio nel quale guardare la nostra superficialità e la nostra colpevole indifferenza. In questa città, che a suo parere registra risultati eccezionali, ci sono organizzazioni che devono garantire ai poveri un dignitoso pranzo di Natale: su come noi la pensiamo in materia di beneficenza lo abbiamo già scritto, quel che ci importa è di ricordare che finchè nella città che lei amministra ci saranno persone che vivono la quotidiana esperienza della povertà, appare sicuramente inopportuno, dal punto di vista morale, esaltare questa città per i suoi 17 milioni di euro di appalti. Fino a quando dei nostri ragazzi bruceranno la loro vita e uccideranno le loro speranze nell’eroina e finchè gli episodi di microcriminalità metteranno a rischio la sicurezza dei cittadini, soprattutto i più indifesi, è moralmente riprovevole sostenere che la nostra città è cambiata in meglio. Che lei voglia ricordare i traguardi positivi conseguiti dalla sua amministrazione è legittimo e comprensibile, che intenda diffondere un pizzico di ottimismo è persino lodevole: il problema, come sempre, sta nel senso della misura: se lei assolutizza l’uno e l’altro, crea, come nella celebre caverna di Platone, una deformata immagine della realtà e soprattutto determina, certamente senza volerlo, delle gravi difficoltà nella realizzazione di ciò che potremmo definire una collettiva presa di coscienza, di cui Modica ha un inderogabile bisogno; è necessario, infatti, che ciascuno di noi si interroghi sul significato di crescita e sviluppo. Se a Modica queste parole si identificano soltanto coi quattrini, gli affari, gli appalti e il turismo, allora la stragrande maggioranza dei cittadini si rassegni ad un ruolo marginale e ad una deprimente passività. Se invece tali parole vogliono dire ascolto, tolleranza, cultura, senso civico e solidarietà, ciascuno di noi faccia la sua parte, senza esibizionismi e trionfalismi, per rendere la città più vivibile e più umana.
CARMELO OTTAVIANO: IL FILOSOFO DIMENTICATO
Apprendiamo con molto piacere che, almeno in occasione del centenario della nascita, si alzi il polveroso sipario che troppo presto è calato sulla figura e sull’opera del nostro concittadino Carmelo Ottaviano. Per tale occasione, infatti, è previsto un convegno internazionale e interuniversitario che avrà luogo nel Gennaio 2006 e che coinvolgerà l’Università degli studi di Catania e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che, è bene ricordarlo, nella sua prestigiosa biblioteca custodisce 87 volumi dell’illustre filosofo modicano. Conserviamo di lui un affettuoso ricordo, legato ai nostri anni universitari, che, riferendo a noi ciò che lui disse di se stesso,”la magia del ricordo e l’incanto della gioventù ci fanno oggi ardentemente desiderare di rivivere”. Ottaviano è stato certamente, fra i nostri maestri, quello che maggiormente abbiamo ammirato, per la sua onestà intellettuale, per la sua straordinaria conoscenza del pensiero filosofico occidentale, soprattutto di quello medievale, e per la sua chiarezza espositiva, che, a nostro modesto parere, resta ancora oggi insuperata, e che è facilmente riscontrabile nelle sue numerose opere e in particolare nelle pagine ormai ingiallite del suo Manuale di Storia della Filosofia, sul quale si sono formate intere generazioni di studenti. Un manuale che oggi appare certamente superato nello stile e nella impostazione metodologica, ma che rimane un esempio che molti autori dovrebbero seguire, perché i manuali scolastici, come magistralmente fece l’Ottaviano, vanno scritti per gli studenti e adeguati alla loro capacità di analisi e di interpretazione, e non per compiacere le istanze megalomani del proprio io, le proprie convinzioni politiche e le aride esigenze dell’editoria. Fra le sue tante opere non possiamo non ricordare la celebre “Critica dell’Idealismo”, che non fu certo la causa del tramonto del neoidealismo italiano, come egli amava sostenere – questo suo attribuirsi meriti che certamente aveva, ma che ovviamente sarebbe stato opportuno attendere che altri glieli attribuissero – rese talvolta Ottaviano poco simpatico nell’ambiente accademico, già di per sé difficile e sospettoso. Non c’è dubbio, tuttavia, che questa sua opera diede un valido contributo alla crisi di quella che lui definiva la dittatura culturale di Croce e Gentile. E vogliamo ricordare, poi, una delle sue opere più note e più significative, quella “Metafisica dell’essere parziale”, che tanto odiammo da studenti universitari e che tanto apprezzammo in seguito per il suo tragico realismo, per la sua lungimiranza, per le sue lucide analisi sulla condizione delle creature umane, che sempre, ma in modo particolare nel secolo appena trascorso, hanno rivelato la loro fragilità e la loro finitudine: la loro parzialità, appunto. L’oblio, esagerato e ingiusto, nel quale è stato collocato il pensiero dell’Ottaviano non fa onore alla sua città – che a differenza di Quasimodo egli amò profondamente, al punto di volervi riposare per sempre –e non fa onore all’intera Italia. Maltrattato da Eugenio Garin, che nelle sue “Cronache di filosofia italiana”gli rimprovera di aver adoperato un linguaggio troppo bellicoso nella sua polemica antiidealistica e non s’accorge, il grande storico della filosofia rinascimentale italiana, che il suo, nei confronti dell’Ottaviano, è altrettanto aspro e soprattutto privo di obiettività, è stato poi di fatto cancellato dal panorama filosofico italiano del XX secolo ed ignorato da tutti i manuali scolastici, persino da quei due che abbiamo la presunzione di ritenere i migliori dell’ultimo trentennio: ci riferiamo a quelli di Giovanni Reale e di Nicola Abbagnano. Questo nostro articolo non ha la pretesa, ovviamente, di offrire una sintesi del pensiero di Carmelo Ottaviano; intendiamo soltanto ricordare con affetto e gratitudine un autentico maestro: egli incarnò alla perfezione la figura dell’intellettuale teorizzata da Fichte, e siamo certi che se lui, da qualche parte, ancora vive, ci starà severamente rimproverando per questo accostamento al fondatore della filosofia idealistica. In effetti egli seppe mirabilmente coniugare il suo alto impegno culturale con una vita vissuta all’insegna della coerenza e della rettitudine morale.
Ma né l’una né l’altra, in questo Paese di arrivisti e di voltagabbana, avrebbero potuto procurargli ammirazione e riconoscenza: fu acerrimo oppositore del neoidealismo italiano e dello strapotere da questo esercitato sulla cultura italiana quando gran parte dei nostri intellettuali si limitavano, come egli ebbe a dire, “a pensare con la testa di Benedetto Croce o di Giovanni Gentile”, e non aderì al marxismo, quando, caduto il regime, tantissimi suoi colleghi che provenivano da esperienze culturali e filosofiche diverse approdarono con gran disinvoltura sulle sponde assai redditizie del socialismo scientifico. Ottaviano, invece, sulle orme del suo amato Cartesio, perseverò nelle sue opinioni, testimoniando con coraggio le sue idee e le sue convinzioni, in un paese come l’Italia, nel quale il valore di un’idea è direttamente proporzionale al numero di coloro che pedissequamente vi aderiscono. Che il nostro Paese abbia dimenticato questo grande maestro era quasi fisiologico: egli ha rappresentato, infatti, l’antitesi del prototipo dell’italica razza: carrierista, banderuola, menefreghista e opportunista. Per tale motivo, temiamo che il silenzio calerà su un altro grande protagonista del secolo appena trascorso. Ci riferiamo a Indro Montanelli, che per anni dovette sopportare l’arroganza di politici in malafede e di colleghi invidiosi, che invano cercarono di farlo tacere appiccicandogli addosso, con un ridicolo lessico veterocomunista, l’etichetta di fascista e di servo dei padroni. Anche lui pagherà la colpa di non aver mai voluto cedere al richiamo del gregge. Per quanto riguarda Ottaviano, non possiamo che concludere con una amara riflessione: il nostro è un Paese che offre il laticlavio a Bobbio, sulla cui coerenza è lecito nutrire qualche dubbio, e ripone nell’oblio chi ha fatto della coerenza la stella polare della propria vita.
Febbraio 2005
UN GRANDE, FREDDO E ANONIMO MERCATO
Esattamente un anno fa, in un nostro articolo, denunciammo la crisi in cui versava l’Istituto Musicale che ha sede presso Palazzo Grimaldi, evidenziando il fatto che la professionalità dei docenti era stata mortificata dal mancato pagamento degli stipendi da parte dell’amministrazione comunale. A distanza di un anno, prendiamo atto, con rammarico, che il problema si ripropone con la cooperativa”Città del sole”, i cui dipendenti prestano servizio presso la comunità alloggio per disabili psichici e con la cooperativa”Santa Rita”, che garantisce il servizio di trasporto degli studenti tramite gli scuolabus. Entrambe lamentano il mancato pagamento delle spettanze maturate. Nel primo caso, ancora una volta, è il Comune ad essere inadempiente, nel secondo, lo apprendiamo da una nota della CISL, sindacato al quale sono iscritti alcuni operatori della cooperativa, ad essere inadempiente è la stessa cooperativa, “che, pur avendo ricevuto 120 mila euro dall’amministrazione comunale negli ultimi due mesi, non ha remunerato i propri dipendenti”.Il centrosinistra, tuttavia, fa rilevare che “ tali eventuali responsabilità non possono servire per nascondere le inadempienze di un’amministrazione che, ormai, sta affogando nei debiti e che ha reso ancora più precario il lavoro dei dipendenti non riuscendo a garantire nemmeno un contratto pari almeno alla durata dell’anno scolastico”. Per quanto riguarda l’amministrazione comunale di Modica, non possiamo non stigmatizzare una gestione a dir poco allegra delle sue risorse finanziarie e non ci pare che il modo migliore d’incrementarle sia quello d’imporre nuovi balzelli, come quello sull’acqua. Se i nostri amministratori, in questi anni, avessero guardato meno al facile populismo e alla propaganda (fiere, sagre e innumerevoli viaggi legati al cioccolato e ad altre diavolerie gastronomiche), se avessero evitato di compiere atti insensati( si pensi all’inutile acquisto del palazzo delle Poste, la cui inutilità deriva dall’aver deciso poi di non poterlo abbattere) forse, se tutto ciò fosse stato evitato, oggi come ieri le casse comunali sarebbero meno vuote e si sarebbe nella condizione di poter onorare gli impegni. Sulle responsabilità della cooperativa “Santa Rita” ne sappiamo poco, ma il mancato pagamento degli stipendi ai suoi dipendenti è un fatto altrettanto inquietante e grave. Entrambi gli episodi, comunque, sono come la punta di un iceberg, sono l’espressione di un mondo sommerso, di una realtà sfuggente, che difficilmente appare nella sua reale consistenza e nella sua drammaticità, sapientemente celata da coloro che in Italia detengono le chiavi del potere mediatico e politico. Ciò che accade a Modica, infatti, non è lo straordinario negativo e deplorevole di una realtà locale che inficia l’ordinario positivo e lodevole di quella nazionale; ciò che accade in questo estremo lembo meridionale della nostra penisola è lo specchio di quel che sta avvenendo sull’intero territorio nazionale da quando Berlusconi e la sua armata brancaleone si sono impadroniti delle leve di comando. Tutti ritengono che il grande problema legato alla sua avventura politica sia quello del conflitto d’interessi: noi non intendiamo certo sottovalutarlo, ma ci pare che la vera questione sia molto più profonda, anche se in qualche misura legata a quel conflitto, perché riguarda le idee, la mentalità e la manipolazione delle coscienze. Renè Guenon, nel suo scritto “Riflessioni a proposito del potere occulto”, pubblicato su una rivista cattolica francese nel 1914, scrisse: “Un altro punto da tenere presente è che i Superiori Incogniti di qualunque ordine siano e qualunque sia il campo in cui vogliono agire non cercano mai di creare dei movimenti. Essi creano solo degli stati d’animo, ciò che è molto più efficace, ma forse un poco meno alla portata di chiunque”. Egli si riferiva agli Ordini esoterici, nella fattispecie a quello Martinista, ma noi crediamo che le sue osservazioni possano essere illuminanti per comprendere ciò che oggi sta accadendo in Italia: è incontestabile che la mentalità degli individui e delle collettività può essere modificata da un insieme sistematico di appropriate suggestioni. Il nostro capo del governo non si stanca di ripetere che il nostro Paese sta cambiando e le coordinate di tale cambiamento vengono individuate nella nuova politica fiscale, nella maggiore agilità del sistema burocratico e nella realizzazione delle grandi opere pubbliche. Ma questa, riprendendo la precedente metafora, è la parte dell’iceberg che vediamo: sotto, negli abissi, la montagna di ghiaccio appare nella sua sconcertante tragicità: un intero Paese che sbanda paurosamente, perché lo si allontana, con una metodologia pianificata e subdola, dai binari lungo i quali, nel bene e nel male, ha percorso la sua storia millenaria, perché viene quotidianamente defraudato della sua cultura umanistica e cattolica. Stiamo assistendo al tentativo di realizzare nel nostro Paese una vera e propria rivoluzione culturale dagli esiti catastrofici: si pensi alla costante santificazione della tecnica che sta ormai perdendo le sembianze del mezzo per assumere quelle del fine; il mezzo diventa lo scopo primario e ad esso viene subordinato ciò che inizialmente ci si proponeva come fine. “Le grandi forze della tradizione occidentale – scrive Severino – si illudono dunque di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi: la potenza della tecnica è diventata in effetti o ha già cominciato a diventare, il loro scopo fondamentale e primario”. Il progetto tecnocratico è, ovviamente, soltanto uno degli obiettivi attraverso i quali si intendono cambiare i connotati di questo Paese: non bisogna dimenticare, infatti, l’auspicato rafforzamento di un capitalismo sempre più sfrenato, che, oltre all’egoismo sociale, inietta nelle vene del nostro Paese una mentalità calvinista che non gli appartiene. Il terzo e non meno importante obiettivo è quello della distruzione dello Stato Sociale, che, sebbene mai compiutamente realizzato in Italia, aveva in ogni caso garantito delle storiche conquiste alla nostra classe lavoratrice: un attacco compiuto nel nome di un neoliberismo che ci sta sempre più avvicinando all’altra sponda dell’Atlantico, ad una società, quindi, che ancora nel XXI secolo appare vergognosamente caratterizzata da gigantesche ingiustizie sociali ed economiche. In questo scenario, che a qualcuno potrà sembrare apocalittico, ma che noi consideriamo pienamente reale, l’uomo, e dunque il cittadino, con i suoi problemi e le sue speranze, diventa un atomo insignificante; stritolato fra gli ingranaggi della tecnica e annichilito dalla legge del mercato, egli perde la dignità e il senso del suo essere uomo. La tecnica, il mercato, il successo e il materialismo calvinista si ergono vittoriosi sulle ceneri dell’Umanesimo e dell’autentica spiritualità cristiana, e l’uomo sperimenta la sua avvilente precarietà. Ridotto a un mero ingranaggio del sistema, l’uomo non è più soggetto ma strumento e lo si può calpestare nei suoi diritti e nella sua dignità. Quanto finora detto è il background filosofico di una situazione psicologica, sociale ed economica che noi italiani stiamo vivendo, purtroppo, crediamo, con poca consapevolezza. La sovrastruttura, hegelianamente, sta determinando la struttura: i cambiamenti nella mentalità, che oscuri manovratori stanno realizzando nel nostro Paese, cominciano a far sentire i loro effetti malefici sui fatti concreti della vita. Crollato il rispetto per l’uomo e per il cittadino è conseguenziale che il governo non si preoccupi del Welfare State e non tenga in alcuna considerazione le forze sindacali e la concertazione e che pertanto, ancora oggi, non rinnovi a milioni di lavoratori contratti scaduti da anni; per lo stesso motivo rende il lavoro sempre più precario, infischiandosene se la precarietà del lavoro comporta la provvisorietà della vita. In quest’ottica, il mancato pagamento degli stipendi ai lavoratori delle due cooperative che operano a Modica e il deferimento alla prefettura, da parte dell’amministrazione comunale, per interruzione di pubblico servizio sono episodi che, sebbene non giustificabili, sono sicuramente comprensibili: la nostra città non è un’isola felice ma è parte integrante, ovviamente, di quell’Italia che qualcuno sta trasformando in un grande, freddo e anonimo mercato, nel quale non può certo trovare spazio il rispetto per l’altro e per il suo lavoro: tutto è stato mercificato, anche la vita umana!
LO SCIALLE NERO, L’ASINO E LE COPPOLE
Ho letto con molta attenzione ma anche con un certo senso di fastidio, lo dico senza acrimonia ma con estrema sincerità, l’articolo di P. Nipoti apparso sullo scorso numero del nostro giornale. Non ho potuto fare a meno di osservare, infatti, che nell’articolo in questione, così come nelle sue frequenti lettere inviate al direttore, il nostro non perde occasione per parlar male della Sicilia e dei siciliani. Premetto, a scanso d’equivoci, che le argomentazioni che sto per sviluppare non nascono da atteggiamenti campanilistici e provinciali – sono categorie che grazie a Dio non mi appartengono – o, peggio ancora, dal sentirmi offeso nella dignità e nell’orgoglio della mia sicilianità. Le mie perplessità sugli interventi di Nipoti nascono esclusivamente da motivazioni di carattere storico-economico, del tutto assenti nelle sue osservazioni, che, a dir la verità, mi appaiono alquanto superficiali e molto fragili sotto il profilo culturale, poiché intrise di sterili luoghi comuni. Le sue critiche alla carenza d’infrastrutture in Sicilia e nel Meridione sono ovviamente condivisibili, altrettanto si può dire per il biasimo che egli esprime circa le responsabilità della classe politica siciliana; per quanto riguarda invece la mancanza di acqua potabile nei nostri paesi, mi pare che il signor Nipoti sia vittima di un’immagine della Sicilia di mezzo secolo addietro, quella dello scialle nero, dell’asino e delle coppole, che una televisione in malafede ha proposto e continua a proporre e nella quale molti, soprattutto nel nord, continuano ancora a credere:per tale motivo, una ventina d’anni fa, in uno sperduto paesino d’una sperduta valle del bellunese, un signore si meravigliò, ed anche molto, nell’apprendere dal sottoscritto che a Catania già da un pezzo avevano imparato a costruire i palazzi. Mi sembra poi del tutto inopportuno – mi riferisco in questo caso ad alcune sue lettere – denigrare la classe politica siciliana (che ovviamente mi guardo bene dal difendere) e nel contempo tessere le lodi di quella lombarda: dal consiglio comunale di Sondrio che a maggioranza decide di ridursi gli emolumenti del 7% agli amministratori del paesino dove egli vive “ che ha l’aspetto e i servizi di una elegante cittadina mentre Modica è una città che rassomiglia più a un paesone sgangherato che ad una città”. Anche se, da meridionale, egli non può fare a meno di sottolineare che dice tutto ciò “ con grande rincrescimento”. Il signor Nipoti ha ragione nel criticare la crescita disordinata dei nuovi quartieri, tuttavia ha torto nel suo modo di avere ragione: anch’io non mi stanco di evidenziare le pecche e le storture della mia città, l’importante è farlo con amore e soprattutto con eleganza, perché questa città – che il Nipoti definisce sgangherata– è stata fucina di autentica cultura, teatro di vicende di grandissima rilevanza storica ed oggi è patrimonio dell’umanità. Per quanto riguarda poi la classe politica meridionale, so bene quali sono state e quali sono le sue colpe: dalle connivenze con la mafia al suo deleterio immobilismo; ci risparmi, però, la santificazione di quella settentrionale che di danni al Paese non ne ha fatti di meno: come non ricordare che proprio la regione in cui egli vive è stata quella dove più d’ogni altra è attecchito il cancro delle tangenti? Tuttavia, nonostante io giudichi inefficaci le sue osservazioni, se egli si fosse limitato a criticare la Sicilia, avrei non giustificato ma capito; il fatto è che egli nelle sue reiterate critiche procede ad un sistematico attacco ai siciliani, e ciò non posso accettarlo, non perché noi siciliani non dobbiano essere criticati – ci mancherebbe! – ma perché i suoi giudizi sono frutto di luoghi comuni e non tengono conto delle condizioni storiche che hanno reso la Sicilia ciò che è e noi siciliani quel che siamo. Il Nipoti conclude il suo articolo auspicando che la classe politica siciliana possa seppellire l’apatia dei sessant’anni trascorsi. Da un lato egli dimostra di credere ancora alla favola dei siciliani apatici, dall’altro ci offende, attribuendoci una sorta di tara caratteriale: sono argomenti che ci ricordano le tristemente note elucubrazioni filosofiche del positivista Cesare Lombroso e le sue tesi di antropologia criminale. Le motivazioni storiche ed economiche non possono essere sottaciute se vogliamo capire la nostra splendida e tormentata isola. Tali motivazioni, come osservava giustamente Braudel, vanno guardate nella prospettiva della “lunga durata”. Io non posso, per ovvie ragioni di spazio, affrontarle in questa sede, posso però proporre al signor Nipoti degli spunti di riflessione. Il primo dato da tenere presente è la dominazione normanna con la sua opprimente politica di accentramento esercitata sulle campagne e soprattutto sulle città, che per tale motivo non conobbero l’esperienza comunale, con tutto ciò che questo ha significato in termini di sviluppo economico e culturale; la seconda considerazione riguarda la ben nota Questione Meridionale, dal periodo post-unitario all’età giolittiana: a tale proposito, è giusto non dimenticare i gravi danni che il ministro della malavita – secondo la celebre definizione del Salvemini – inflisse alla nostra terra, non disdegnando accordi con la criminalità organizzata e contribuendo più d’ogni altro a potenziare lo sviluppo economico del nord riservando le briciole al sud e lasciandoci in eredità la politica degli appalti truccati e la piaga del clientelismo. E, in ultimo, il secondo dopoguerra, quando lo Stato ha continuato ad usare due pesi e due misure nell’amministrazione del nord e del sud del Paese. Ricordo che negli anni Ottanta, in Veneto, due paesini sperduti tra le valli erano tra loro collegati da treni nuovi, lussuosi e confortevoli; nello stesso periodo, il treno che univa due città come Siracusa e Catania, aveva ancora i sedili in legno: persino le Ferrovie dello Stato hanno avuto ed hanno figli e figliastri. Se il triangolo industriale si trova dalla parti in cui vive Nipoti e non dalle mie è nella storia di questo Paese che egli deve cercare le sue risposte. Che lasci perdere, dunque, la nostra indole e il nostro carattere. Colpe ne abbiamo tante e non abbiamo difficoltà a prendercele, ma, nonostante certe manie di grandezza – abbiamo anche queste – non siamo così folli da ritenerci dominatori persino della Storia; questa sovrasta tutti: anche noi.
Marzo 2005
NON CONFONDIAMO L’UTILE COL VERO
Noi nutriamo grande rispetto per il Consiglio Comunale di Modica dal punto di vista istituzionale, non possiamo dire la stessa cosa, e sinceramente ce ne dispiace, per quanto riguarda la maggioranza di coloro che lo compongono. Non riusciamo a nutrire alcuna stima per il nostro consiglio comunale, e ciò non è frutto di pregiudizi politici o di prese di posizione affrettate e dunque prive di qualsiasi fondamento oggettivo: il responsabile della nostra disistima è lo stesso consiglio comunale, che nulla ha fatto, in questi anni, per meritare il plauso della cittadinanza e quel che ha fatto è stato eseguito in maniera assai discutibile sotto il profilo politico e con atteggiamenti spesso carenti dal punto di vista della correttezza istituzionale; ci riferiamo alla pessima abitudine della maggioranza di ricorrere troppo spesso alla forza dei numeri anziché a quella del confronto e della dialettica democratica. Per tale motivo, ci lasciano davvero sconcertati le parole del presidente Scarso riportate dal Giornale di Sicilia del 1 Marzo. Ci riferiamo alla sua lettera inviata ai capigruppo, con la quale si appella al buon senso dei consiglieri comunali per risolvere, dopo più di un anno, in cui nulla è stato fatto, la questione riguardante l’elezione del difensore civico. Scarso, insomma, bacchetta il consiglio che presiede, perché in tutto questo tempo non ha proceduto all’elezione del difensore civico – i motivi di tale ritardo sono facilmente immaginabili – e se adesso non lo farà in tempi brevissimi, lo stesso consiglio sarà commissariato dalla regione siciliana. Il nostro presidente, dunque, interviene per tirare le orecchie a consiglieri distratti e poco attenti alle problematiche cittadine e lo fà tessendone le lodi. Egli si appella ai consiglieri perché “questa vicenda si caratterizzi per l’alto senso delle istituzioni, per la vostra passione politica, la vostra indiscussa ed apprezzata capacità di discernimento e la vostra sincera e ammirevole dedizione verso la città”. Non c’è chi non possa non notare nelle parole del presidente Scarso un’eclatante contraddizione: si invitano i consiglieri a fare finalmente il loro dovere e lo si fà mettendo in risalto le loro presunte, altissime qualità; una contraddizione in termini che ci lascia perplessi, giacchè la prima parte della sua argomentazione smentisce categoricamente la seconda. Ma, al di là della contraddittorietà di tale ragionamento, ciò che maggiormente ci preoccupa è che il presidente del nostro consiglio comunale non si è reso conto, evidentemente, in questi anni, della poca serietà, dell’incoerenza e della pochezza politica del consiglio che è stato chiamato a presiedere. L’unica motivazione che potrebbe salvarlo sia dalla contraddizione nella quale è rimasto impigliato sia dall’aver dimostrato di non conoscere i consiglieri che in questi anni ha frequentato, sarebbe quella di ammettere che le sue sono delle diplomatiche bugie: giacchè noi, però, lo riteniamo persona seria e stimabile, non prendiamo nemmeno in considerazione questa seconda ipotesi e propendiamo per la prima: ciò significa, però, che il presidente Scarso può essere assolto dal punto di vista morale, ma non da quello politico. Ci chiediamo, infatti, come la passione politica e la sincera dedizione verso la città si possano conciliare con i funambolici salti da un banco all’altro dell’emiciclo, alla ricerca di una migliore collocazione politica che possa meglio garantire l’agognata poltrona; ci domandiamo quale attinenza possa esserci tra la passione politica e la capacità di discernimento e l’assenza di atteggiamenti coerenti e moralmente apprezzabili, che non ci pare caratterizzino questo consiglio comunale: ricordiamo, ad esempio, il celebre rientro notturno per approvare il piano relativo all’edilizia popolare di Treppiedi, effettuato per obbedire a ordini di scuderia e non certo alla voce della propria coscienza. Ci chiediamo, infine, da quale fonte il presidente Scarso abbia attinto la convinzione che la capacità di discernimento dei nostri consiglieri comunali sia indiscussa e apprezzata: ci piacerebbe sapere chi ha categoricamente sancito tale indiscutibilità e soprattutto chi ha avuto l’impudenza di asserirne l’apprezzamento. La vicenda della quale abbiamo discusso non fà che esplicitare una situazione allarmante e paradossale: gli esponenti della maggioranza che governa Modica, infatti, utilizzano a loro piacimento le categorie dell’utile e del certo: ciò che a loro pare vantaggioso per conseguire determinati obiettivi viene considerato indiscutibilmente vero: il guaio è che finiscono per crederci!
LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE
Apprendiamo dal Giornale di Sicilia del 6 Marzo che l’assessorato regionale agli Enti Locali, analizzati i documenti istruttori presentati dal comune di Pozzallo e le controdeduzioni del comune di Modica, ha riconosciuto l’ammissibilità dell’iniziativa intrapresa dall’Amministrazione pozzallese, intesa ad ottenere un referendum su quel lembo di terra che il comune marinaro rivendica da tempo; tale richiesta è stata inoltrata alla Regione in considerazione del fatto che la città della Contea, ovviamente, non ha alcuna intenzione di cedere questa parte del suo territorio. Questa vicenda, lo diciamo subito, non ci entusiasma, al contrario suscita in noi sentimenti di preoccupazione da un lato e di malinconia dall’altro. Stiamo vivendo un’epoca drammatica, non soltanto per le ben note vicende internazionali legate all’occupazione dell’Iraq o alla situazione mediorientale, che rimane ancora oggi incandescente, nonostante si intraveda qualche barlume di speranza, ma soprattutto perchè l’intero pianeta sta sperimentando una terribile recrudescenza della violenza, nelle sue più disparate forme e nelle sue conseguenze sempre più cruente e destabilizzanti. Nell’epoca del villaggio globale, della rivoluzione informatica che ha determinato una compressione dello spazio e del tempo, sarebbe assurdo immaginare che la nostra terra non vivesse pienamente la quotidiana tragicità degli eventi internazionali; purtroppo, e questo è un dato che non è possibile sottovalutare, noi siciliani abbiamo un giogo pesante da portare: siamo tra coloro che oltre a sostenere – come tutti gli altri – il fardello delle ferite che dilaniano il mondo, devono anche convivere con le piaghe endogene e antiche della loro terra, prima fra tutte la mafia, sonnecchiante in questo periodo, e per questo ancor più pericolosa. Non possiamo naturalmente omettere gli altri gravi problemi che ci stringono in una morsa dalla quale è davvero difficile liberarsi: ci riferiamo alla piaga della disoccupazione, che non lascia intravedere un futuro ai nostri giovani, all’immigrazione, che è un flagello per coloro che scappano dalla guerra e dalla miseria per riversarsi sulle nostre coste, ma è per noi una vicenda pregna di difficoltà di portata storica, per i suoi risvolti umani e soprattutto culturali, e intendiamo riferirci, infine, ai problemi legati alla incapacità amministrativa e alle lacune morali della classe politica che governa la nostra isola, e delle quali l’ennesima conferma è la recente vicenda delle nomine dei dirigenti sanitari, effettuate col solito, ripugnante criterio della lottizzazione e in spregio al principio della correttezza e dell’integrità morale dei prescelti. Per tali motivi, la questione sollevata dal comune di Pozzallo, di appropriarsi di 24 chilometri di terra, ci preoccupa, sia perché, se non andiamo errati, ci pare che abbia anch’esso problemi ben più seri dei quali occuparsi, sia perché una vicenda come questa fà emergere un campanilismo che appare non soltanto fuori dal tempo ma che rischia di distogliere energie che andrebbero utilizzate per problematiche davvero importanti e di convogliarle su questioni di scarsa rilevanza e di nessuna pregnanza. Iniziative come questa, poi, comportano sempre il rischio che l’opinione pubblica venga distratta dal porre l’attenzione sui problemi reali della propria città: ciò, almeno per quanto riguarda Modica, sarebbe davvero preoccupante, giacchè la cittadinanza è già costretta a subire mille “distrazioni” da un’Amministrazione che guarda sempre più al futile e sempre meno all’essenziale. Ci pare, tra l’altro, che nella pretesa dell’Amministrazione pozzallesse sia presente una scarsa dose di realismo e una sopravvalutazione della città che amministra; che Modica abbia una dimensione territoriale ampia e che quella di Pozzallo sia particolarmente poco estesa non è frutto di soprusi o di arroganza: è l’esito di vicende storiche che non possiamo dimenticare né tanto meno riscrivere. Per tale motivo, almeno in questa occasione, siamo d’accordo col sindaco Torchi nel non accettare una richiesta di tal fatta. Vorremmo poi precisare che le nostre considerazioni sulla drammatica situazione internazionale, che apparentemente nulla avrebbero a che fare con la vicenda locale della quale ci stiamo occupando, le abbiamo volute esplicitare in quanto espressione di una nostra ferma convinzione, della quale siamo debitori a quel grande pensatore che risponde al nome di Pascal. Se ciascuno di noi imparasse a guardare le cose da una prospettiva cosmica, prenderebbe coscienza non soltanto della propria miseria ontologica(di essere nulla rispetto all’infinito) ma che tale consapevolezza è condizione necessaria per guardare la realtà con ironia, nel non prendere sul serio e nel rifiutarsi di considerare come cosa salda le manifestazioni particolari dell’infinito: l’io, le opere e la natura. E’ da queste considerazioni, di evidente derivazione romantica, che deriva la nostra convinzione che la precarietà, che è l’essenza del nostro essere, e con la quale, pertanto, siamo chiamati a convivere, impone a tutti, soprattutto a chi si assume compiti di governo, di saper guardare oltre la siepe delle realtà piccole e sterili e di spingere lo sguardo verso i grandi progetti e le grandi idealità.
LA CITTA’ MARKETING
Grazie a Dio è finita: le migliaia di turisti che hanno invaso, e sporcato, la città, sono tornati a casa loro, dopo aver fatto incetta di cioccolato ed altre prelibatezze gastronomiche; la carovana dei camper ha mestamente attraversato il polo commerciale ed ha finalmente tolto il disturbo. Come una donna di gran classe, che per una sera s’è lasciata andare, perdendo il suo charme e la sua consueta eleganza, la città va pian piano riprendendosi da questa volgare ubriacatura, che, per tre giorni – ci si perdoni la bruta metafora – le ha conferito l’aspetto poco elegante di un’anziana meretrice ancora in vendita. Sappiamo bene che queste nostre considerazioni ci attireranno addosso chissà quante critiche: dal qualunquismo al disfattismo, dallo snobismo all’intellettualismo. Ciò, naturalmente, non ci farà piacere, ma ovviamente non ci farà desistere dal dire la nostra ; stare fuori dal coro - non per il semplice gusto di esserlo, che sarebbe ridicolo e sciocco, ma perché assai spesso le nostre idee ci costringono a rimanerci – non ci preoccupa, e pertanto esprimiamo con forza il nostro dissenso. Il consenso, in parte spontaneo e in parte pilotato, che si è registrato intorno a questa iniziativa ci ricorda il coro nazional-popolare che celebra le gesta di quel tale giocatore bianconero, bravo, senza dubbio, ma che una stampa in malafede e adulatrice ha elevato al rango di fuoriclasse o quelle di Benigni, che una critica faziosa e compiacente ha trasformato in una sorta di genio, pronta a cantarne le lodi, anche quando meriterebbe, invece, delle sonore pernacchie. Quello stesso coro che non ebbe vergogna ad esultare per il premio nobel conferito a Dario Fo – la cui grandezza di attore non è certo in discussione – nonostante da anni l’Accademia dei Lincei proponesse, giustamente, Mario Luzi: all’epoca il più grande poeta italiano vivente. Siamo bravi a creare miti di cartapesta e ad additare al pubblico ludìbrio chi non si piega a celebrarli. Ma, si sa, l’italica gente, come avevano già capito due storici del calibro di Gobetti e Rosselli, ha il culto dell’unanimità, sogna “ il trionfo della facilità, della fiducia e dell’entusiasmo”, rifugge dalle eresie, ed è convinta, come Leibniz, che questo sia “ il migliore dei mondi possibili”. Per lo stesso motivo per il quale non condividiamo il processo di beatificazione del presunto fuoriclasse in mutande e del grande attore, anch’esso presunto naturalmente, non ci uniamo al coro festante che celebra le meraviglie del chococircus, della donna-cannolo, della domatrice dei pasticceri e del chococlown. Qualcuno certamente dirà che non comprendiamo l’importanza di una kermesse che porta Modica al centro dell’attenzione nazionale, che non teniamo nella giusta considerazione le positive ricadute in termini di turismo e dunque di benessere: ma le cose, nonostante le apparenze, non stanno esattamente così. Tra odori e sapori, lustrini e rumori, si consuma un autentico inganno: che la massa si diverta allegramente; per tre giorni, almeno, dimenticherà i gravi problemi che affliggono la città e gli scempi che vengono compiuti all’insaputa della cittadinanza, come quello di Cava Zimmardo-Bellamagna, magistralmente descritto da Carmela Giannì sull’ultimo numero di Dialogo. Quella stessa massa che alle prossime elezioni non mancherà certo di ringraziare gli artefici di questo memorabile spettacolo. Peccato che la ribalta nazionale – così pervicacemente voluta e ottenuta da questa Amministrazione – non darà lavoro a chi lo attende da anni; peccato che non risolverà il degrado civico di questa città, nel senso letterale della parola, ossia il progressivo crollo in termini di ordine e di equilibrio della comunità cittadina. Non possiamo esprimere apprezzamento per l’Eurochocolate, per il semplice motivo che le sue conseguenze, in termini economici e socio-culturali, sono selettive e pertanto intrinsecamente ingiuste: esso, infatti, ha riempito le tasche di albergatori e commercianti, e, nello stesso tempo, ha involgarito Modica e i suoi abitanti. Abbiamo constatato il triste e anonimo sciamare dei modicani sul corso principale della città; abbiamo provato la spiacevole sensazione di non trovarci nel salotto buono della nostra colta e aristocratica città, ma in una squallida via di un altrettanto squallido paesone siciliano, privo di eleganza e senza storia. Il tutto involgarito da persone senza decoro e dignità, artefici di una squallida ressa motivata da uno scopo meschino:” scroccare” a più non posso i gratuiti assaggini. E non ci si chieda di spiegare perché tutto ciò sia triviale: se qualcuno non è in grado di rendersene conto, spiegarglielo sarebbe una perdita di tempo. Ancora una volta, il palcoscenico sul quale sono stati compiuti questi squallidi riti in onore del dio denaro è stato costituito dagli atri degli antichi palazzi: in altri tempi, ne siamo certi, quei portoni sarebbe rimasti chiusi.
Il patron della manifestazione, Eugenio Guarducci, ha definito il nostro sindaco “un uomo marketing”: egli ha certamente voluto elogiarlo; noi, al contrario, per tale motivo, non perdiamo occasione di criticarlo. Ma il dato veramente allarmante, e del quale forse non ci si rende conto, è che questa Amministrazione non è in grado di saper coniugare, in un’armonica sintesi, le esigenze di ordine materiale con i valori dello spirito; per tale motivo sta estirpando l’anima a questa città. La città di Campailla, Floridia, Ottaviano e Poidomani, la città delle cento chiese, è stata ridotta a una città marketing: gelida, e senza un alito di vita.
Aprile 2005
IL PRECARIATO DIMENTICATO
In questi giorni, il mondo del lavoro, nella nostra provincia, è in uno stato di fibrillazione, per la mancata stabilizzazione dei precari, la parte più corposa dei quali presta servizio negli enti dell’Assessorato regionale al lavoro. Anche nella nostra provincia, come in molte altre, i lavoratori rivendicano, giustamente, la fuoriuscita dal precariato ed una sistemazione che possa loro consentire di guardare al futuro con serenità e con maggiore fiducia. Anche a Modica, i lavoratori socialmente utili, impiegati presso l’Ufficio di Collocamento, si sono astenuti dal lavoro, per dimostrare il loro disappunto per una situazione lavorativa che li fà vivere nell’incertezza del futuro. La stampa locale, naturalmente, ha dato e continua a dare il giusto rilievo ad una vicenda verso la quale non possiamo restare indifferenti. Tuttavia, pur rimanendo intatto il nostro sostegno ai lavoratori precari della regione, i fatti appena descritti hanno in noi suscitato un sentimento di fastidio e di amarezza, che cercheremo di spiegare. Che l’Italia fosse il Paese dei due pesi e delle due misure lo sapevamo, che fosse uno Stato spaccato in due – e lo sarà ancora di più non appena saranno entrate in vigore le scellerate modifiche costituzionali volute da questo governo – con un Nord che corre e un Sud che arranca non è per noi una novità, ma che la mentalità dicotomica che caratterizza noi italiani giungesse a creare delle disparità anche nell’ambito del lavoro precario – perdendo le sue connotazioni saltuarie per assumere quelle stabili e definitive - ci pare davvero disdicevole e soprattutto offensivo per tutti coloro che nella scuola, non da qualche anno ma talvolta addirittura da 20-25 anni, convivono con una situazione di costante precarietà, nell’assoluto silenzio della stampa e nella sconfortante indifferenza della gente. Si tratta perlopiù di professionisti seri e competenti, che ogni anno si ritrovano ad affrontare l’incertezza del futuro, che produce ansia, apprensione e frustrazione, considerato che quasi tutti, nel frattempo, hanno messo su famiglia, e il problema di mantenere dei figli e di assicurare loro un decoroso futuro è un dato che nessuno ha il diritto di sottovalutare. Molti hanno già i capelli bianchi e probabilmente andranno in pensione da precari. Su questo precariato, che giustamente viene definito storico, da troppo tempo è calato il silenzio, forse perché non incrocia le braccia e non occupa le scuole, non fà rumore e quotidianamente fa il proprio dovere, in una professione che rimane certamente tra le più belle e gratificanti, ma nello stesso tempo tra le più complesse e difficili. L’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica nei confronti del precariato storico della scuola rientra in un contesto più ampio, che è quello della perdita di credibilità della nostra scuola, che a sua volta è la conseguenza di una centralità della quale è stata defraudata da coloro che hanno retto e da coloro che reggono questo nostro sventurato Paese. Una crisi che non deriva dalla scarsa preparazione o dalla carente professionalità dei docenti – anche se, ovviamente, come in qualunque altro settore, anche nella scuola non tutte le professionalità sono di alto livello- ma da scellerate politiche scolastiche, compiute da governi che non hanno mai compreso la centralità della scuola, che non hanno mai capito che una scuola in declino, nel medio e nel lungo termine, finirà per portare allo sfascio l’intero Paese. Paghiamo, ancora oggi, le conseguenze devastanti di un certo massimalismo di sinistra che ha voluto proletarizzare i docenti e che si è battuto per una scuola di massa che ha finito per limitarne le potenzialità culturali e formative. La nostra ostilità alla scuola di massa non è legata ovviamente a questioni di ordine sociale, ma a problematiche di carattere selettivo sul piano culturale, senza le quali la scuola rischia di produrre un deleterio appiattimento delle coscienze e delle intelligenze. Agli effetti nocivi della politica demagogica, effettuata negli anni passati, si aggiungono oggi quelli nefasti e distruttivi, provocati da un ministro incompetente e da una riforma che, non appena sarà stata integralmente attuata, finirà per infliggere un colpo mortale all’intero sistema scolastico italiano. E’ la scuola delle tre famigerate i (inglese, internet e impresa ) che altro non è che un tentativo di defraudare la nostra scuola della sua essenza umanistica, per metterla al servizio delle esigenze e dei progetti della classe industriale e imprenditoriale di questo Paese. Non più giovani che trovino nella scuola gli strumenti per crescere sul piano spirituale e per sviluppare le loro capacità intellettuali, ma giovani che diventino merce di scambio, all’interno di una torbida e meschina commistione di obiettivi politici e di interessi economici. E’ dunque nel quadro di questa progressiva decadenza della nostra scuola che va collocato il disinteresse per coloro che da decenni aspettano una sistemazione stabile e definitiva. I lavoratori precari della regione hanno i loro diritti ed è giusto che lottino per vederli pienamente salvaguardati; spesso, tuttavia, si tratta di giovani che solo da poco tempo hanno intrapreso la loro attività lavorativa. Il precariato storico della scuola è un esercito di circa trecentomila persone che da decenni sopportano intollerabili ingiustizie, e molti di loro, tra qualche anno, avranno raggiunto l’età della pensione. Nessuno vuole scatenare una guerra tra poveri, che sarebbe tra l’altro impossibile, giacchè i primi sono dipendenti della regione e i secondi dello Stato. Abbiamo soltanto voluto ricordare a coloro che sui giornali scrivono, e che si indignano per la precarietà dei lavoratori socialmente utili, di ampliare l’orizzonte della loro indignazione, per denunciare che nel mondo del lavoro esistono ingiustizie ancora più gravi, e perché possano tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica su uno Stato, come il nostro, che, nel caso del precariato scolastico, non mostra alcun rispetto per la persona, per i suoi problemi e per la sua professionalità. Uno Stato, che, dopo aver usufruito per anni del lavoro di queste persone, può cacciarle fuori quando vuole; la loro indipendenza economica e la loro realizzazione umana sono messe annualmente in discussione: basta un numero, una percentuale, per spazzarle via!
IL TEMPO DEL RISPETTO
Questo è il tempo del rispetto che si deve ad un uomo che è stato certamente un “grande”; senz’altro il più grande tra coloro che nell’ultimo trentennio hanno calcato il palcoscenico della storia; è il tempo della commozione: sarà la Storia, ovviamente, ad indicare le giuste dimensioni della sua grandezza, a mettere in rilievo luci ed ombre del suo pontificato. Oggi è difficile evidenziarle, sia perchè siamo ancora nella cronaca, sia perché i sentimenti prevalgono sulla ragione. L’onda dell’emozione, però, non deve impedirci di sottolineare alcuni aspetti legati a questo evento, che lasciano trasparire, purtroppo, le menzogne, l’opportunismo, l’ipocrisia, la superficialità e la volgarità che caratterizzano l’epoca che viviamo. Qualcuno ha osservato, giustamente, che nel caso di Giovanni Paolo 2°, è stato apprezzato più il cantante che la canzone: se la figura di questo Papa, infatti, è stata molto amata, molto meno lo è stato ciò che egli ha detto nei suoi innumerevoli viaggi e nelle sue tante encicliche. Per quanto riguarda le menzogne, non è affatto vero, che egli sia stato amato da tutti : all’interno della Chiesa gli è stata fatta una dura opposizione dagli ambienti cosiddetti progressisti, per via delle sue chiusure in materia di morale sessuale; non meno teneri sono stati quelli tradizionalisti, che non hanno mai condiviso il suo Ecumenismo, talvolta indubbiamente esagerato: non si dimentichi che questo Papa ha persino baciato il Corano, riconoscendo, pertanto, che si tratta di un libro sacro, dunque divinamente ispirato. La deferenza mostrata, in questi momenti, da molti potenti della terra, sa di opportunismo e di ipocrisia: si pensi al presidente americano, che non ha mai ascoltato gli inviti del Papa sull’abolizione della pena di morte e sulla sanguinosa occupazione dell’Iraq, quel presidente che è venuto a rendergli omaggio, con un occhio rivolto all’elettorato cattolico e in modo particolare a quello ispanico. Non gli è stato da meno Fidel Castro, che si è detto fortemente addolorato per la morte del Pontefice; ma nonostante la visita di Papa Wojtyla a Cuba, le prigioni di quel Paese sono colme di dissidenti ancora oggi giustiziati a causa delle loro idee, e i cubani non sono liberi di lasciare il loro Paese. Ma, si sa, nella cattolica Cuba, per un capo di Stato, sebbene ateo e dittatore, rendere omaggio al capo del cattolicesimo può comunque tornare utile. Addolorato, naturalmente, è stato anche il nostro capo del governo, nonostante la sua politica sociale ed economica si trovi ad una distanza siderale dalla dottrina sociale della chiesa: egli finge di dimenticare che, se è vero che Wojtyla ha condannato e combattuto il Comunismo, è altrettanto vero che non ha mai risparmiato critiche all’organizzazione capitalistica della società e alle politiche neoliberistiche, che sono i pilastri sui quali si fonda il credo politico di Berlusconi. Anche lui, sostenitore di una politica laica e classista, rende omaggio ad un Papa che ha fatto dell’Umanesimo cristiano la bandiera del suo pontificato; colui che pone al centro della sua visione politica il mercato e i quattrini si sente orfano dell’insegnamento di colui che ha disprezzato l’uno e gli altri. La contraddizione è troppo grande per passare inosservata. Questi signori, ne ho citato solo tre, ma l’elenco sarebbe assai più lungo, piangono il Papa che non hanno mai voluto ascoltare: ci chiediamo quanta faccia tosta ci voglia per dichiarare che ha lasciato loro un altissimo insegnamento e nel contempo sapere di non averlo mai, questo insegnamento, apprezzato ed attuato. Se questi signori si fossero limitati ad esprimere il loro cordoglio non ci sarebbe stato nulla da dire; si può benissimo provare tristezza e anche dolore per la morte di una persona che ha idee diverse dalle nostre, il fatto è che si sono rammaricati perchè viene meno una voce autorevole: quella voce alla quale non hanno mai voluto dare ascolto. All’inizio di queste nostre considerazioni parlavamo anche di superficialità. Pur non generalizzando, noi non crediamo che tutte le centinaia di migliaia di giovani siano accorsi a Roma mossi esclusivamente dall’amore per il Papa: molti – e l’allegra spensieratezza vista nei servizi televisivi conferma tale convinzione – hanno approfittato dell’occasione per una gitarella nella capitale, che in altra occasione, magari,i genitori non avrebbero concesso. In tutto ciò risiede la superficialità di cui parlavamo. La volgarità, invece, l’abbiamo notata nell’applauso alla salma del Pontefice mentre attraversava Piazza San Pietro: nemmeno per il Papa la triviale abitudine di applaudire i morti è stata messa da parte. Una volgarità che deriva anche da una sorta di morbosità collettiva, in nome della quale si sta in piedi, al freddo, per giorni e notti, pur di assistere allo spettacolo: quale consolazione, quale arricchimento interiore si può avere dal vedere la salma del Papa, senza nemmeno la possibilità di poter sostare in preghiera. Questa società, che è la società dell’immagine e dell’esteriorità, non si arresta nemmeno di fronte ad un evento come questo. Lo spettacolo innanzitutto: ricordiamo le trasmissioni televisive non stop, prima fra tutte Porta a Porta, tutte di pessimo gusto, durante le quali si era in attesa soltanto che il Papa morisse. Bruno Vespa, ad esempio, ha ottenuto ciò che voleva: è stato lui, infatti, a dare all’Italia, in diretta,il ferale annunzio. Immaginiamo la sua grande soddisfazione!
Noi crediamo che il modo migliore di rendere omaggio a questo grande uomo sia quello di prendere in considerazione l’idea di leggere ciò che ha scritto e di provare a realizzarlo nella nostra vita; sia quello di raccogliersi in una preghiera silenziosa e non rumorosa e spettacolare. Purtroppo, viviamo in un’epoca che non ha più rispetto dell’intimità dei sentimenti, che tramite Internet e la televisione porta nelle case le immagini ripugnanti della più volgare pornografia e le scene cruente di uomini torturati e sgozzati. E l’umanità di questo XXI secolo, come un vampiro assetato di sangue, chiede e divora, con disgustosa ingordigia, queste immagini insulse, che sono lo specchio del suo degrado morale e del suo infimo livello civile: anche la morte di un grande papa, come Giovanni Paolo 2°, è stata fagocitata da questa squallida società dell’apparenza; da questa miserevole civiltà del nulla.
UN’ AMMINISTRAZIONE ALLO SBANDO
Qualcuno ha ipotizzato che le nostre reiterate critiche all’Amministrazione comunale di Modica siano frutto di pregiudizi politici e lascino intravedere la volontà di stigmatizzare qualunque atto deliberato dalla maggioranza, per una forma di preconcetta ostilità. Non è per noi difficile smentire la vacuità di tale ipotesi, che nasce da un atteggiamento che consideriamo superficiale, perché frutto non di un’attenta analisi degli argomenti ma di una risposta istintiva, e pertanto irrazionale, ad una provocazione costruttiva; e che riteniamo pericoloso, perché espressione di una mentalità che si sostanzia nell’ incapacità di accettare e valutare le critiche subite. Il pregiudizio politico non ci appartiene, per il semplice motivo che noi non ci riconosciamo, politicamente e culturalmente, nelle forze di opposizione; per quanto riguarda la nostra presunta ostilità, non possiamo certo disconoscerla, ma neghiamo con forza ch’essa sia preconcetta: non è colpa nostra se Modica è retta da una maggioranza politicamente incapace, litigiosa, esibizionista e inconcludente. Una maggioranza allo sbando, non soltanto per quel che riguarda l’aspetto prettamente amministrativo, ma anche, e soprattutto, per la sua incapacità di realizzare una proficua autoanalisi e per la sua inettitudine nel saper leggere e interpretare quei fenomeni sociali che dovrebbe invece governare con dedizione e competenza. La quotidiana lettura della cronaca locale è in questo senso illuminante: una maggioranza che trascorre il suo tempo nella pratica ridicola e sterile dell’autoincensamento, nel patetico tentativo di negare persino l’evidenza e nella deleteria consuetudine di sperperare il denaro pubblico. Potremmo definire esilarante il quadro che abbiamo delineato, se non fossero in gioco i nostri interessi e il destino della nostra città. Un presidente del consiglio comunale che rimprovera i consiglieri per la mancata elezione del difensore civico e nel contempo lo esalta per la sua dedizione alla città e per la sua indiscussa capacità di discernimento, quello stesso consiglio – e qui le colpe della maggioranza sono gravi ed evidenti – che ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di deliberare su una questione di fondamentale importanza per la vita e la crescita di una città, qual è il piano regolatore, che adesso dovrà essere approvato da un commissario regionale. Dopo due mesi di latitanza e di continui rinvii – alla faccia dell’ “alto senso delle istituzioni e dell’ammirevole dedizione verso la città” che, a parere del presidente Scarso, caratterizzano il consiglio che presiede – finalmente scopriamo che, nella maggioranza, ben 13 consiglieri su 20 hanno dichiarato la loro incompatibilità a trattare l’argomento. Concludiamo le nostre considerazioni su tale questione, riportando una nota dei DS pubblicata sul Giornale di Sicilia del 21 Aprile: “ Si è trattato di un delitto premeditato allo scopo di utilizzare il territorio come spazio clientelare e come merce di scambio per piccole e grandi speculazioni, mandando alle ortiche ogni serio progetto di organizzare lo sviluppo futuro della città. Avere fatto candidare ed aver fatto eleggere nelle liste del centrodestra tanti consiglieri incompatibili rispetto ad una variante al piano regolatore già nota dal 1999 è una prova eloquente della scelta compiuta dal gruppo politico Torchi-Drago-Minardo, di affossare lo strumento urbanistico sull’altare degli interessi privati”. Tale vicenda fà emergere, in modo incontrovertibile, i limiti e le incongruenze di questa amministrazione, se si pensa che il sindaco Torchi aveva indicato l’approvazione della variante come momento prioritario e altamente qualificante del suo programma elettorale! La risposta del sindaco alle durissime critiche ricevute appare quantomeno paradossale; egli ha infatti dichiarato:” Io non mi sento offeso, ma anzi gratificato; è l’ennesima riprova che, poiché a questa amministrazione non si possono muovere altri tipi di critiche, (sic! ) si cerca di far tracimare il dibattito politico a questi livelli”. Sapevamo che i viaggi, le inaugurazioni e le interviste hanno spesso impedito al nostro sindaco di avere il tempo d’effettuare un’attenta valutazione del clima politico e del livello culturale che lo circonda, ma stavolta, davvero, riteniamo che la distrazione abbia raggiunto livelli allarmanti. Per quanto concerne, poi, la pessima abitudine degli esponenti della maggioranza di negare persino l’evidenza, basti ricordare l’intervento del consigliere Carmelo Scarso, il quale, rispondendo alle accuse del centrosinistra sulla latitanza della maggioranza, ha dichiarato: “ è stata unanime decisione politica di Forza Italia, a tutti i livelli, quella di porre la variante al piano regolatore quale problema nodale e strategico delle future e prossime scelte operative e amministrative della città(…)pertanto nessuna fuga hanno operato i consiglieri di Forza Italia che anzi richiamano tutte le altre forze politiche al grande senso di responsabilità per le scelte che contano davvero per tutti i cittadini”. Tutto ciò mentre i rappresentanti di Forza Italia e dell’UDC, il 21 e il 22 Marzo, con la loro assenza non permettevano lo svolgimento dei lavori consiliari, proprio quando bisognava approvare una variante allo strumento urbanistico. Qui, davvero, il confine tra realtà e fantasia diventa alquanto labile, e la politica assume le sembianze poco rassicuranti del paradosso. Ci appare poi quantomeno assurda la critica rivolta dalla maggioranza alle forze del centrosinistra per non aver votato il progetto per il finanziamento del contratto di quartiere di Treppiedi; in altri termini, si rimprovera il centrosinistra di aver posto la normale dialettica democratica al di sopra della forza dei numeri; lo si condanna per aver protestato contro la visione distorta della democrazia che caratterizza la coalizione al governo, una coalizione che in quell’ occasione non volle dialogare con l’opposizione, rea di aver chiesto il rinvio di un giorno, al fine di concordare un emendamento al progetto. Per evitare il rinvio, la coalizione di maggioranza fece ricorso ad un espediente il cui spessore morale e politico si commenta da solo: “ si andarono a svegliare in piena notte – così recita una nota del centrosinistra – alcuni consiglieri del centrodestra che avevano ritenuto l’atto in discussione così importante da andare a coricarsi anzitempo, e, raggiunto il numero legale, si votò all’alba in assenza dell’opposizione”. Restiamo davvero ammirati per un modo di fare politica così alto e nobile! Non poteva mancare, ovviamente, la replica del sindaco, il quale ha sentenziato: “ in democrazia, chi non partecipa o è assente, ha sempre torto”; a meno che, aggiungiamo noi, l’assenza non è motivata dalla protesta contro coloro che hanno una visione superficiale e parziale della democrazia, identificando quest’ultima soltanto con la forza dei numeri, mentre si tratta, ovviamente, di un fenomeno molto più complesso e che trova la sua ragion d’essere nella dialettica e nel confronto tra le parti. Intanto, mentre la CISL denuncia all’autorità giudiziaria il sindaco e l’assessore al personale, per una faccenda legata all’erogazione di fondi alla polizia municipale e mentre il consiglio comunale mostra tutta la sua incapacità nell’assolvere in modo serio e competente le sue funzioni, altre nubi sembrano addensarsi sul cielo già plumbeo della nostra città. Ci riferiamo alla selezione svolta dalla società mista “Modica Multiservizi” per l’assunzione di quattordici lavoratori esterni; la questione, come si sa, è stata sollevata dal consigliere dei DS Vito D’Antona, il quale ha lamentato la scarsa pubblicità data alla selezione, fatto assai grave considerate le giuste aspettative dei tanti disoccupati modicani; oltre che scarsa, tale pubblicità ci appare quanto meno strana, visto che non fà alcun riferimento al fatto che le assunzioni saranno effettuate dalla Modica Multiservizi e al fatto che l’azienda che ricerca il personale sia ubicata nella nostra città: non c’è dubbio, pertanto, che la questione necessita di essere chiarita, considerate le scelte effettuate dalla società in questione. Concetta Vindigni, presidente della società mista, assicura la regolarità della procedura, asserendo che nessuna assunzione è stata ancora fatta, né appartenente al bacino dei lavoratori socialmente utili, né esterna ad esso. Pare, invece, come sostiene il Giornale di Sicilia del 1° Aprile, che qualche contratto sia stato veramente stipulato. In ogni caso, rimane l’interrogativo sulla necessità di assumere personale esterno al bacino dei precari comunali. E’ vero che “ la società mista agisce secondo regole di natura privatistica, per cui il consiglio di amministrazione sarebbe libero di agire – nel rispetto delle regole – senza dar conto al Comune”, tuttavia non bisogna dimenticare che il Comune ne è azionista di maggioranza e pertanto una discreta vigilanza sull’operato della società mista rientra nella sfera delle sue competenze, anche se non istituzionali; d’altro canto, i vertici della società sono stati nominati dal sindaco, e non è ipotizzabile che il dialogo coi politici referenti venga ermeticamente chiuso dopo l’effettuazione delle nomine. Non possiamo tacere, poi, sul blocco degli esami per i diciotto nuovi ausiliari del traffico; la continua indisponibilità dei due dirigenti comunali incaricati di effettuare i colloqui ha creato malumori all’interno della stessa maggioranza, a tal punto che un consigliere dell’UDC ha chiesto spiegazioni sulle “epidemie dirigenziali concomitanti che creano perplessità e malumori nei contrattisti interessati”. E così, a causa di quest’altro mistero che a noi comuni mortali non è dato conoscere, il potenziamento dei vigili urbani ha subito un nocivo e inspiegabile rinvio: l’ennesima prova “della passione politica e dell’ammirevole dedizione verso la città” che questa coalizione di governo si autoconferisce, in una sorta di ubriacatura autocelebrativa; un rito pagano, del quale siamo stufi e stanchi, che da qualche anno ha trasformato il nostro Municipio in una specie di tempio, dove si venera l’ovvio, il futile e il nulla! Chiudiamo questo elenco, poco edificante, delle inadempienze e delle gravi lacune politiche dell’amministrazione , ricordando altri due fatti che danno la misura del tasso di impopolarità di questa maggioranza e del suo modo sconsiderato di amministrare le finanze pubbliche: la petizione popolare contro il comune per l’introduzione del canone idrico e la necessità dello stesso comune di contrarre un mutuo con la Cassa depositi e prestiti per ripristinare l’asfalto dissestato delle strade cittadine e delle frazioni. Ai cittadini di questa città non rimane che raccogliere i cocci di un gioiello in frantumi, non resta che pagare il conto delle spese e degli innumerevoli viaggi dei nostri amministratori, per realizzare quella che ormai assume sempre più l’aspetto di una vera ossessione: portare Modica alla ribalta nazionale; non rimane, infine, che subire gli effetti devastanti della demagogia populistica che avvolge la nostra città in una nube di vanità e di aberrante superficialità. Come abbiamo visto, i problemi, anche gravi, non mancano: non ci sono nemmeno i quattrini per mettere in sicurezza le nostre strade: tuttavia possiamo ritenerci soddisfatti perché la nostra città è alla ribalta nazionale, e soprattutto possiamo sentirci fieri, perché ciò che ci ha fatto conoscere in Italia e all’estero non sono delle stupidi questioni – il livello della qualità della vita o qualche evento di altissimo livello culturale – ciò cui dobbiamo l’agognata popolarità è sua maestà il cioccolato!
Maggio 2005
VOLETE LIBERARVI DI BERLUSCONI ? FATELO GOVERNARE !
( Indro Montanelli)
L’articolo di Salvatore Blasco, apparso sull’ultimo numero de “ La Pagina”, ha suscitato in noi molte perplessità, poiché non condividiamo le tesi in esso contenute: non è questo, ovviamente, il dato rilevante, giacchè, per fortuna, il pluralismo delle opinioni è un valore per noi irrinunciabile. Ci sembra, però, che proprio nel nome di tale pluralismo sia giusto definire i motivi per i quali l’articolo in questione non ci convince. A noi sembra di cogliere, nelle riflessioni di Blasco, un’affermazione di fondo che rende assai discutibili le osservazioni che ne conseguono; ciò che a nostro avviso rende alquanto opinabili le tesi espresse nell’articolo sta tutto nella conclusione dello stesso: “L’obiettivo deve essere quello di cambiare il Paese. Perciò occorre far lavorare Berlusconi per questo decisivo scorcio di legislatura”. Se partiamo dal presupposto che cambiare il Paese significa promuoverne l’ammodernamento, migliorarne l’economia e realizzare le grandi infrastrutture – e ci pare che questo sia il pensiero dell’estensore dell’articolo – allora riteniamo che tale affermazione non si possa conciliare con la seconda parte della conclusione, in base alla quale è auspicabile che Berlusconi completi la legislatura, per portare a termine il cambiamento, che, evidentemente, viene ritenuto già iniziato. Il problema, a nostro parere, è che in questi quattro anni di legislatura, non soltanto non ha avuto inizio alcun cambiamento, in senso positivo ovviamente, ma il Paese, al contrario, è stato condotto, da questa miserabile consorteria che lo governa, sull’orlo del collasso economico e sul baratro di un declino morale e civile senza precedenti, nella pur tormentata storia dell’Italia repubblicana. Un cambiamento, in verità, è stato attuato, nel senso che è stata realizzata un’attività legislativa volta esclusivamente a soddisfare gli interessi del capo del governo, basti ricordare quali sono state le prime leggi approvate da questo parlamento: l’abolizione del falso in bilancio, che ha consentito a Paolo Berlusconi, fratello del premier, di sottrarsi al giudizio della magistratura; la legge sulle rogatorie internazionali, che ha preservato il signor Berlusconi dall’essere indagato seriamente per gli affari realizzati con le televisioni spagnole; l’abolizione della tassa di successione, che, nel caso egli dovesse defungere, solleverebbe moglie e figli dalla spiacevole incombenza di dare allo Stato svariati miliardi delle vecchie lire, e, in ultimo, l’attuale indecenza del decreto sulla bancarotta. Ma erano davvero queste le priorità da affrontare? Erano queste le leggi del cambiamento? Erano queste le impellenti necessità della nazione? Questo signore, non soltanto non prova alcuna vergogna per essere andato al potere al solo fine di curare i propri personali interessi, ma ha persino la spudoratezza di chiedere ancora fiducia al popolo italiano, nonostante questo, in occasione dell’ ultima consultazione elettorale, gli abbia fatto intendere che gli sarebbe assai grato se si facesse da parte e togliesse il disturbo. L’autore dell’articolo si augura, legittimamente, che l’attuale capo del governo possa concludere la legislatura, noi, altrettanto legittimamente, auspichiamo che ciò non avvenga; se ciò infatti dovesse accadere, la riforma Moratti, ad esempio, continuerebbe nella sua opera di devastazione della scuola pubblica: dopo aver distrutto la scuola elementare - che ci era invidiata da tutto il mondo – e aver assestato un colpo quasi mortale alla media inferiore, avrebbe il tempo di far sentire i suoi nefasti effetti anche al superiore: si pensi alla brillante idea di introdurre l’insegnamento della Filosofia negli istituti professionali. Una riforma che ha un solo obiettivo: distruggere la scuola pubblica e favorire i diplomifici privati; ricordiamo, a chi lo avesse dimenticato, che uno dei primi scellerati atti di questo ministro, inconcludente e incompetente, fu quello di riformare l’esame di Stato, imponendo le commissioni interne, che altro non fu che un autentico regalo alla scuola privata, libera, così, di far uscire col massimo dei voti una schiera di ignoranti raccomandati, che spesso non frequentano nemmeno per un giorno le attività didattiche. Naturalmente ci sono le eccezioni, e non abbiamo difficoltà ad ammetterlo. Se Berlusconi dovesse ultimare la legislatura, inoltre, assisteremmo ancora alla farsa della riduzione fiscale, un’autentica sceneggiata, che favorisce i ricchi e i privati, lasciando inalterata la situazione delle fasce meno abbienti della società e i lavoratori del pubblico impiego, ma, soprattutto, continuerebbe quella vicenda, dal sapore vagamente kafkiano, che vede gli esponenti della Lega mettere le loro mani, sporche di razzismo e di egoismo, su quella carta costituzionale nella quale non hanno mai creduto, per modificarla a loro piacimento e realizzare così l’agognato federalismo, un nobile eufemismo che nasconde un miserevole obiettivo: che la ricchezza prodotta al nord sia divisa tra i “padani”, e che i “terroni” si arrangino! Purtroppo, riteniamo che il “cavaliere” resterà ancora in sella e crediamo di sapere perché: certamente non ha ancora ricomposto tutti i tasselli del mosaico; quando, anche per il suo ultimo interesse personale avrà trovato la giusta soluzione, il burattinaio di Arcore, probabilmente, toglierà il disturbo. A conclusione di queste nostre riflessioni non possiamo non ricordare il grande e compianto Indro Montanelli, il quale, dopo aver lasciato con grande amarezza il giornale da lui fondato e diretto, per essersi rifiutato di fare la trombetta di Berlusconi – come egli stesso ebbe a dire – e dopo aver provato sulla sua pelle il “liberalismo” di questo affarista senza scrupoli, fece un’osservazione delle sue, che si sta rivelando altamente profetica: “Volete liberarvi di Berlusconi? Fatelo governare!”
L’OTTIMISMO A BUON MERCATO
La vicenda della Ital Servizi, la ditta di Caltagirone che ha in appalto, a Modica, la gestione dei parcheggi a pagamento, ci induce a fare alcune riflessioni che confermano quanto sosteniamo da tempo e che dimostrano il pressappochismo e la superficialità di chi governa questa città, di chi vende ottimismo a buon mercato ed ha interesse a qualificare come catastrofismo ciò che invece è soltanto lucida e disincantata analisi della realtà in cui viviamo. La Ital Servizi, da quasi due anni, molto spesso, non mantiene gli impegni assunti coi dipendenti, con l’amministrazione comunale e con le organizzazioni sindacali, non tenendo, dunque, in alcuna considerazione il protocollo d’intesa che essa stessa ha siglato circa il pagamento, agli operatori, delle mensilità loro spettanti. Uno dei dipendenti, addirittura, lo scorso 3 Maggio, ha deciso di incatenarsi davanti l’atrio di palazzo San Domenico, per rivendicare i propri diritti e quelli dei suoi colleghi. Ci sembra doveroso esprimere tutta la nostra solidarietà ai lavoratori, e, nello stesso tempo, stigmatizzare il comportamento dell’azienda che, al momento in cui scriviamo, non ha ancora erogato ai suoi dipendenti gli stipendi di Febbraio e Marzo. Quando, sulle pagine di questo e di qualche altro giornale, abbiamo evidenziato il degrado morale e civile di Modica, qualcuno ha poi sostenuto che eravamo portatori di una visione esageratamente pessimistica sulla qualità della vita nella nostra città: forse è giunto il momento di smascherare il superficiale ottimismo e il frenetico attivismo che stanno facendo smarrire la nostra città nei meandri di un’avvilente e permanente alienazione; una città ormai incapace di donare a stessa momenti di riflessione e di senso, perduta com’è nel vortice del fare e nelle chiacchiere inutili e vane. Forse, questi ostinati alfieri dell’ottimismo ad ogni costo si sono convinti che, in questi quattro anni, la falsità e la volgarità del signore di Arcore abbiano ottenebrato le menti dell’intero popolo italiano: si rassegnino! Non sarà un affarista, sebbene intelligente e furbo, a farci sacrificare la nostra intelligenza sull’altare di una meschina visione della vita, fatta di stereotipati sorrisi, di false illusioni e di dannose ipocrisie. Viviamo in un Paese che sta perdendo la propria dignità, un Paese economicamente e culturalmente in declino, perché gestito da una miserabile consorteria: un principe, triviale nella sua ostentata ricchezza e scurrile nel suo arrogante potere, e i suoi buffoni di corte: dal nordista in canottiera a quel signore di Bologna che ha barattato i suoi ideali col classico piatto di lenticchie. I nostri amministratori locali, rampanti, dinamici e ottimisti, non potranno mai convincerci che la nostra città è cambiata in meglio: il turismo e tutte le altre diavolerie che inventano, per costruire un po’ di fumo senza arrosto, non potranno mai nascondere ciò che è evidente a coloro che hanno saputo conservare lucidità di mente e obiettività di giudizio: l’Italia non è che la gigantografia della nostra città e i mali che affliggono la nazione sono gli stessi coi quali siamo costretti a convivere, quotidianamente, nella nostra realtà di provincia. Viviamo in uno Stato che venera il profitto e il libero mercato, che rende il lavoro sempre più precario, che sul piano sindacale ha distrutto la democratica concertazione , riducendola ad una vuota e sterile consultazione; per tale motivo, la vicenda della Ital Servizi ci preoccupa, ovviamente, ma non ci stupisce: essa è lo specchio del malessere civile e sociale che caratterizza l’intero Paese. Ai lavoratori dell’azienda auguriamo, naturalmente, di poter risolvere al più presto questa deprecabile situazione, ma, ancora una volta, non riusciamo ad essere ottimisti, nel senso che non crediamo ad una soluzione veramente definitiva della vertenza; probabilmente si metterà la solita pezza e il problema continuerà a riproporsi. Noi stiamo coi lavoratori e non vogliamo certo prendere le difese dell’azienda, ma non possiamo fare a meno di osservare che essa stessa è vittima di un sistema sociale, politico e culturale che ha smarrito quei valori che dovrebbero costituire le fondamenta di una civiltà eticamente salda e socialmente solida: la religiosità, la famiglia, la solidarietà, il rispetto degli impegni presi, la sacralità della parola data. E’ una problematica che ci porterebbe molto indietro nel tempo, ad un’analisi storica della quale non vogliamo occuparci in questa sede, e non soltanto per motivi di spazio. Spesso, come ci ha insegnato Braudel, la contemporaneità, dal punto di vista storico, si comprende soltanto nella prospettiva della “lunga durata”: per tale motivo, riteniamo che tutto ha avuto inizio nel momento in cui una combriccola di mercanti, affaristi e usurai uscì dai borghi ed innalzò altari al dio denaro, soffocando il profumo dei più nobili sentimenti e della spiritualità più autentica nel lezzo repellente degli affari, degli intrighi e del più becero materialismo. Tornando a respirare quel profumo, forse, potremmo sperare nella nostra redenzione; riappropriarcene, infatti, significherebbe riacquistare, negli atti e nella mente, la gentilezza, l’onestà e la generosità: quei valori che non hanno tempo e che potrebbero emendarci dal male che è in tutti noi.
Giugno 2005
I POLITICI IN PASSERELLA
Leggendo i giornali, la nostra attenzione è stata catturata da un trafiletto apparso sul Giornale di Sicilia del 31 Maggio e riguardante la manifestazione svoltasi Domenica 29 Maggio, nella principale piazza cittadina, per festeggiare la promozione in C 2 del Modica calcio. Nella nota in questione si parla di strane voci che circolano in città e che riguarderebbero l’intenzione di Antonio Aurnia di mollare tutto e di concludere la sua esperienza al vertice della squadra modicana. Tale intenzione è stata successivamente confermata dallo stesso Aurnia, che pone come condizione per restare alla guida della società l’innesto di nuovi soci, senza il quale non è possibile programmare il futuro societario del Modica calcio. Sembra, tuttavia, che lo stesso Aurnia si sia comprensibilmente irritato per il comportamento di qualche politico, che avrebbe fatto pesare il suo forte risentimento per non essergli stata concessa l’immancabile passerella in occasione dei festeggiamenti. Come i nostri lettori avranno notato, ci siamo espressi al condizionale, trattandosi,a proposito di quest’ultima, di una voce non ancora confermata dai fatti. Se questi dovessero smentire tale notizia ne prenderemo atto, ma sarebbe comunque una goccia di serietà nello sconfinato oceano della farsa cui assistiamo con cadenza oramai quasi quotidiana. Che tale vicenda sia vera o meno, a questo punto, diventa quasi irrilevante, giacchè essa, alla luce della statura politica e culturale dei nostri amministratori, è comunque verosimile; la passerella, infatti, è il luogo prediletto di deputati, senatori e assessori, la cui attività preferita sembra essere proprio quella di mettersi in mostra: si tratta di una forma di narcisismo, che a volte sfocia addirittura nell’egotismo, gravido di deleterie conseguenze per chi ne è affetto – e ciò naturalmente ci interessa assai poco – e soprattutto per coloro che a questi signori hanno affidato la gestione della cosa pubblica: e ciò, invece, ci interessa moltissimo. Se la questione avesse soltanto una valenza di ordine psicologico, non le dedicheremmo un minuto in più del nostro tempo e della nostra attenzione; il problema è che la vicenda si riverbera con esiti drammaticamente esiziali sul luogo della politica, che, in una società seria e matura, dovrebbe essere caratterizzato da ben altri comportamenti e deputato a ben altri obiettivi. La passerella, amato palcoscenico dei politici nostrani, è il luogo del non essere: è lo spazio del nulla! I nostri deputati e senatori, assessori e consiglieri ci ricordano le celebri collezioni o fasci di impressioni di cui parlava Hume: passano e ripassano, si susseguono con inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. Siamo al trionfo della forma e all’eclissi del contenuto. Siamo al declino della politica. Se questa si nutre alla fonte dell’onestà, della coerenza, della serietà, della dedizione agli altri e del disinteressato impegno civile, allora acquista quei connotati che la pongono tra le più alte manifestazioni dell’attività spirituale dell’io; se, viceversa, si abbevera all’acqua stantìa del carrierismo, del nepotismo e del clientelismo, allora da fine diventa mezzo e assume le sembianze poco rassicuranti della più desolante immoralità. Per quel che riguarda il presunto gesto di Aurnia, anche questo caso, come il primo, ha una valenza che prescinde dal reale accadimento del fatto. Il suo presunto gesto di ribellione alla pochezza e alla grettezza di un certo modo d’intendere la politica rappresenta per noi l’alternativa al teatrino, ridicolo e meschino, sul quale giornalmente si materializzano i fantasmi del più grave declino politico che la città abbia conosciuto dal dopoguerra ad oggi. Sono questi gesti che potranno trarci fuori dall’abisso della superficialità, che dalle antiche stanze di palazzo San Domenico si diffonde per le strade e per i vicoli della nostra città, e l’avvolge nella nube della forma, distruggendo la sostanza, e nella nebbia delle chiacchiere, narcotizzando la coscienza critica della stragrande maggioranza dei cittadini modicani. E’ a questi gesti che dobbiamo guardare, per riassaporare, come diceva Borsellino, il profumo della libertà e distruggere per sempre il puzzo dell’omertà, del compromesso morale e della complicità. Bisogna che ciascuno si riappropri della sua dignità, disertando passerelle più o meno organizzate; occorre che ciascuno recuperi il proprio coraggio per dire un no secco e irrevocabile alla miseria morale che, purtroppo, è sempre in agguato nell’animo dell’uomo, di ogni uomo, nessuno escluso: solo guardando verso l’alto, verso quei valori eterni che pure albergano dentro di noi, potremo evitare che tale miseria ci schiacci, e da protagonisti ci riduca a ridicole comparse sul palcoscenico della vita.
IL MISTERIOSO “ ALTROVE “
Il recente rimpasto della giunta Torchi è l’ennesima conferma della inadeguatezza politica di questa Amministrazione, e, più in generale, del declino della politica intesa nel suo significato più alto e più nobile, ossia come quell’attività volta ad organizzare, amministrare e dirigere la vita pubblica, avendo come unico obiettivo quello di porsi al servizio dei cittadini, delle loro più urgenti necessità e delle loro più concrete esigenze. L’azzeramento della squadra assessoriale, che il sindaco, come è sua abitudine, ha presentato come l’ennesimo, grande obiettivo raggiunto, è totalmente insignificante sotto il profilo amministrativo, è assolutamente negativo dal punto di vista politico, è un’autentica aporia filosofica, e, soprattutto, per il modo in cui è stato giustificato, si caratterizza come un intollerabile insulto all’intelligenza di quei cittadini, i quali, nonostante le chiacchiere e i pericolosi obiettivi perseguiti da un’industria culturale sempre più forte e invadente, non si sono ancora rassegnati, come direbbe Adorno, alla passività, all’etero-direzione e alla genericità; quei cittadini che non sono stati ancora privati della loro coscienza individuale, della loro autonoma iniziativa morale e che sanno ancora distinguere i discorsi pregnanti e gli obiettivi di alto profilo dagli squallidi imbonimenti e dalle pericolose manipolazioni. Quanto detto non è certo frutto della nostra fantasia: basta rileggere le dichiarazioni del sindaco per rendersi conto della veridicità delle nostre osservazioni. “ La città non è più quella del 2002. Molti dei nostri obiettivi, inseriti nel contratto coi modicani, sono stati raggiunti, quindi adesso bisognerà programmare sul contesto attuale”. A parte la genericità dell’affermazione – avremmo gradito che sugli obiettivi raggiunti il nostro sindaco fosse stato più preciso – non si può non notare la pessima e poco elegante abitudine di attribuirsi meriti – è ovvio che a parere del sindaco la città non è più la stessa perché la sua amministrazione l’ha resa migliore(!) – ma soprattutto è impossibile non rilevare l’inconsistenza concettuale di tale affermazione. Confessiamo i nostri limiti, e dunque per tale motivo, probabilmente, non riusciamo a comprendere come sia possibile, dal punto di vista amministrativo, che la sostituzione di due assessori (due!) possa essere sufficiente per poter finalmente programmare sul “contesto attuale” e come ciò possa bastare per rilanciare l’azione amministrativa della giunta, che infatti non è stata rilanciata per nulla, dal momento che in consiglio comunale, subito dopo il rimpasto, la maggioranza si è ancora una volta spaccata, subendo l’ennesima sconfitta, che ha permesso al neo consigliere Gilestro di essere eletto nella seconda commissione consiliare soltanto quando i franchi tiratori hanno deciso di concedere una tregua alla maggioranza che hanno di fatto tenuto in ostaggio per oltre venti giorni. Quella stessa maggioranza che da quasi due mesi paralizza l’attività del consiglio comunale, a tal punto che, probabilmente, sarà necessaria la nomina di un commissario per l’approvazione del bilancio di previsione; il fatto che nel frattempo sia stato incardinato significa davvero poco: con l’aria che tira, prevediamo che molte nubi si addenseranno sulla discussione e sulla successiva approvazione. Se, al momento di andare in stampa, ciò sarà avvenuto, ne prenderemo volentieri atto. Appare, comunque, davvero inopportuna la decisione del presidente Scarso di non rassegnare le dimissioni: è un’azione assolutamente priva di senso quella di stigmatizzare lo spettacolo poco edificante offerto dalla maggioranza che lo ha eletto, e nel contempo restare saldamente ancorato alla propria poltrona. Anche dal punto di vista politico, la manovra mostra delle gravi lacune e una modalità di esecuzione quanto meno discutibile; basta rileggere quanto dichiarato al Giornale di Sicilia dal capogruppo azzurro Carmelo Scarso, il quale ha giudicato l’iniziativa del sindaco dannosa e intempestiva, visto che non erano stati ancora discussi e concordati il programma e i nomi di eventuali nuovi assessori: “ La fretta del sindaco – ha dichiarato Scarso - si rivela fin troppo interessata e decisamente sospetta, in quanto la sua iniziativa è il momento esecutivo di un disegno politico- amministrativo ancora da definire, a meno che il sindaco non si presti ad eseguire altro ed ignoto disegno non definito di certo né in sede politica né in sede partitica”. Scarso, insomma, sospetta che le decisioni siano state prese altrove: confessiamo che anche noi nutriamo tale dubbio e non facciamo alcuna fatica ad immaginare chi sia e dove stia questo misterioso “altrove”. Non ci resta che sperare che la cittadinanza si svegli da questo torpore che da qualche anno ha narcotizzato la sua coscienza civica e che cominci a riflettere sulle scelleratezze politiche di questa amministrazione che la governa. Sotto il profilo squisitamente concettuale, le affermazioni del nostro sindaco sono di una debolezza allarmante, giacchè paradossali e contraddittorie. Egli ringrazia Di Raimondo e Frasca per il lavoro svolto e per l’impegno profuso e tuttavia li licenzia; ora, giacchè il sindaco nega che tale rimpasto sia dovuto al famoso e degradante valzer delle poltrone, ma soltanto a rinvigorire l’azione amministrativa, ciò significa che né Frasca né Di Raimondo offrivano sufficienti garanzie per realizzare tale obiettivo – il che è palesemente in contraddizione con le reiterate attestazioni di stima che hanno ricevuto – e significa, nel contempo, che tali garanzie sono invece indiscutibilmente fornite da Nigro e Carpentieri. Attendiamo pertanto – ma ancora una volta, ne siamo certi, le nostre domande non avranno risposta – che Torchi ci sveli l’arcano e ci dica perché li ha sostituiti. O hanno lavorato bene, e allora andavano lasciati al loro posto, o hanno lavorato male, e in tal caso ciò andava detto in modo chiaro ed esplicito. E’ una semplice questione di logica; è il principio aristotelico del terzo escluso: non c’è via di mezzo tra due opposti contraddittori ! Ci pare alquanto illuminante, a tal proposito, una nota del Centrosinistra pubblicata sul giornale di Sicilia del 17 Maggio: “Le vere emergenze della città non vengono affrontate e ci si diletta in azzeramenti e giri di poltrone che si vorrebbe capire se dettati da una presa d’atto da parte del sindaco della inadeguatezza dell’azione amministrativa fin qui svolta o se, come paventato anche da autorevoli esponenti del centrodestra, determinati dal condizionamento di qualche famiglia e di poteri forti che hanno ormai asservito questa maggioranza ai loro fini particolari”. Noi riteniamo che dinanzi a simili sospetti, che se fossero veri sarebbero di una gravità inaudita, le dichiarazioni del sindaco appaiano troppo vaghe e superficiali: “ Abbiamo deciso congiuntamente coi segretari cittadini di avviare questo percorso perchè venga data all’intera fase una lettura non legata ad un semplice rimpasto di uomini ma ad un fisiologico aggiornamento programmatico e politico di metà legislatura. Non ci saranno né promozioni né bocciature(…) ma solo valutazioni condivise di ordine amministrativo e programmatico nell’esclusivo interesse della città”. Lasciamo pure perdere le eclatanti contraddizioni tra ciò che viene detto e ciò che è stato fatto e mettiamo pure da parte le nostre perplessità linguistiche sulle “valutazioni condivise” e sullo stucchevole uso di un insignificante politichese. Noi comprendiamo le difficoltà del sindaco di giustificare l’ingiustificabile, ci rendiamo conto che il suo arrampicarsi sugli specchi deriva dall’impossibilità di dare delle connotazioni politiche ad una operazione che non fà che esplicitare ciò che la sua amministrazione ha realizzato in questa città: ci riferiamo al costante declino della democrazia e alla contemporanea affermazione di una insopportabile oligarchia. Ci riesce pertanto assai difficile credere che tutta l’operazione sia stata fatta “nell’esclusivo interesse della città”: noi possiamo perdonare le incongruenze politiche e possiamo anche capire le contraddizioni logiche, ma l’offesa all’altrui intelligenza non la comprendiamo, e, soprattutto, non la giustifichiamo!
LE DIMISSIONI IRREVOCABILI
Dire “avevamo ragione” è, per taluni aspetti, poco opportuno, ma, stavolta, lo affermiamo ugualmente, non soltanto per quella sorta di autocompiacimento che fa capolino nell’animo di ogni persona ogni qualvolta si ha la certezza di aver visto giusto e di aver agito bene, ma soprattutto perché ci auguriamo che la città, finalmente, possa davvero reagire alla deleteria acquiescenza con la quale quotidianamente apprende la nefasta attività politica dell’amministrazione che la governa. La guerra scatenatasi all’interno della maggioranza tra UDC e Forza Italia non è che la punta di un iceberg dalle dimensioni incalcolabili. Abbiamo l’impressione, però, che ancora una volta, nonostante la crisi sia emersa in tutta la sua irruente asprezza, squarciando il velo delle falsità e degli indecorosi camuffamenti, i cittadini modicani saranno costretti ad assistere all’ennesima rappresentazione farsesca, con la quale tutto verrà ridimensionato e ricondotto a normali diatribe, sempre possibili nel contesto della dialettica tra le forze politiche. Ebbene, noi crediamo sia giunto il momento che i cittadini di questa città chiedano conto e ragione dei comportamenti di coloro che sono stati eletti per governare la città e non per condurla sull’orlo del baratro. “Avevamo ragione”: lo diciamo ancora e lo urleremo, se necessario, con la speranza che l’eco del nostro grido si insinui fra i vicoli della nostra città, si diffonda per le sue strade e le sue piazze, a svegliare la nostra Modica sonnecchiante e distratta, a scuotere la stampa locale, che non può limitarsi, come ha giustamente osservato Concetta Bonini “ a notificare gli intrallazzi politici come se fossero elementi della più regolare normalità, contribuendo in questo modo a legittimarli di fronte alla città, che così si assopisce in un torpore di indifferenza e di incosciente connivenza”. La crisi all’interno della maggioranza non fà che esplicitarne i gravissimi limiti che abbiamo sempre denunciato: deputati e senatori che interferiscono pesantemente sulle scelte di politica locale, limitando in tal modo l’autonomia decisionale dei segretari cittadini che devono restare gli unici a poter indicare le linee politiche e programmatiche che i loro partiti devono poi tradurre in concrete azioni politiche; il dilagante nepotismo, che è certamente la piaga più virulenta che questa maggioranza ha “regalato” alla città; la spartizione delle poltrone, che, grazie all’uso del politichese e ad una buona dose di noncuranza per l’intelligenza altrui, viene fatta passare come “ fisiologico aggiornamento programmatico e politico di metà legislatura”; la troppo giovane età di alcuni, poi, non consente a questa maggioranza di avere la necessaria esperienza e l’indispensabile saggezza per amministrare la cosa pubblica con equilibrio e lungimiranza; il livello culturale di molti, infine, non le consente di mantenere alto il profilo della politica e di ridurla invece, assai spesso, ad una penosa attività che trova il suo senso nelle inaugurazioni, nel taglio dei nastri, nell’organizzazione di fiere e sagre, che hanno il sapore assai sgradevole dell’ineleganza e del provincialismo. Per tali motivi, crediamo sia giusto troncare ogni indugio e chiedere a sindaco e assessori di compiere un atto che potrebbe riscattarli, in parte, dalla mediocrità politica che hanno fin qui dimostrato; un atto che i modicani, quelli liberi da ogni forma di servilismo e di clientelismo, aspettano ormai da troppo tempo: le loro irrevocabili dimissioni.
Luglio 2005
I DIPLOMIFICI IN PROVINCIA DI RAGUSA: RINGRAZIAMO LA MORATTI!
La vicenda sui diplomi facili che ha coinvolto recentemente alcune scuole parificate della nostra provincia e che ha avuto come effetto la sospensione, con provvedimento cautelare, dei diplomi già rilasciati, fintantochè la Procura di Modica non avrà fatto piena luce sui fatti, ripropone, in termini non più differibili, la questione riguardante l’efficienza e la trasparenza della scuola privata italiana. E’ certamente vero, che, analizzando la situazione nel contesto nazionale, esistono delle scuole private che offrono ampie garanzie sotto il profilo didattico e formativo, ma è altrettanto indiscutibile che esse rappresentano la classica goccia nel mare sconfinato dell’inefficienza e della corruzione che troppo spesso caratterizzano gli istituti privati del nostro Paese. Con ciò non intendiamo condannare le scuole della nostra provincia che sono attualmente oggetto d’indagine da parte della magistratura, sia perché non è compito nostro condannare o assolvere, sia perché la presunzione d’innocenza è per noi un principio inviolabile. Ci occupiamo di questa vicenda perché ci offre l’occasione per una riflessione che trascende l’ambito locale e si collega all’opera di devastazione che il ministro Moratti, in combutta col suo capo, sta conducendo, con lucida e colpevole determinazione, contro il sistema scolastico italiano. I nostri lettori comprenderanno che un argomento di tale portata richiederebbe ben altro spazio di quello concesso da un articolo, e ci perdoneranno, pertanto, se la nostra analisi sarà necessariamente schematica e quanto più breve possibile. Il ministero della pubblica istruzione, con questo governo, è diventato una sorta di teatro dei pupi, che noi siciliani conosciamo bene, con un burattino in gonnella che compie i suoi misfatti in viale Trastevere e un burattinaio, a Palazzo Chigi, che lo manovra come crede e quando crede. Il burattinaio e il burattino, accomunati da quel neoliberismo cui dobbiamo la gran parte dei mali che oggi affliggono il nostro pianeta ed uniti dall’arida visione aziendalistica della società e della vita, hanno deciso di annientare quella cultura umanistica che ci ha reso ciò che siamo, e alle cui fonti, per secoli, generazioni di italiani hanno attinto l’acqua cristallina del Sapere e quei Valori, che non possono e non devono mutare nel tempo, senza i quali qualunque progresso è intrinsecamente falso e condannato ad autodistruggersi. Il burattinaio e il burattino stanno sacrificando il Sapere sull’altare di uno squallido “saper fare”; stanno distruggendo le capacità e le intelligenze per far posto ad abilità e competenze: e la scuola, defraudata del suo scopo inderogabile e primario che è quello di formare cittadini colti e consapevoli, continua la sua corsa verso il baratro, producendo schiere di ignoranti cui affideremo il destino della nostra Patria. Non possiamo non tremare al pensiero che le fondamenta, sulle quali sarà costruito il futuro di coloro che verranno, saranno edificate su autentiche fesserie, le abilità e le competenze, che come castelli di sabbia scompariranno nello spazio di un mattino, sepolti dalle onde inarrestabili della vita e della storia. Il puparo e il pupo, in tal modo, stanno realizzando il loro perverso obiettivo: svuotare la scuola pubblica del suo retaggio spirituale e culturale, per farne un contenitore di sterili progetti e di tante inutili iniziative pseudoformative. Per quel che concerne le scuole private, il perverso obiettivo lo si è raggiunto con maggiore facilità: è stato sufficiente estromettere i commissari esterni dagli esami di Stato, eliminando così uno degli strumenti più efficaci per verificare la qualità dell’insegnamento, la preparazione degli alunni e la trasparenza delle procedure. Le scuole private, già di per sé carenti sotto il profilo didattico, per molti e svariati motivi, sono state rese ancor più deficitarie e soprattutto – come dimostrano i recenti fatti dai quali ha preso avvio questa nostra riflessione – maggiormente esposte al rischio di caratterizzarsi sempre più come veri e propri diplomifici e alla tentazione di una corruzione non sempre verificabile: anche in questo caso, schiere di analfabeti si profilano all’orizzonte del nostro futuro. Più andremo avanti e più la nostra scuola, quella pubblica e ancor più quella privata, si consoliderà come un’autentica fabbrica di ignoranza: a chi giova tutto questo è quasi superfluo ricordarlo. Se a noi insegnanti non sarà più consentito di formare cittadini colti e consapevoli, prolifereranno le fattorie e i grandi fratelli, gli amici della De Filippi e i vacui programmi del suo presuntuoso consorte: e il grande burattinaio potrà continuare, indisturbato, a gestire il potere e i suoi affari, col suo falso ottimismo condito da quel suo sorriso beffardo e volgare.
Settembre 2005
RIAPPROPRIAMOCI DELLA NOSTRA MODICANITA’
La vicenda della nostra concittadina cardiopatica, che, dimessa il 26 Luglio dal nosocomio modicano, è stata costretta, a causa di un malore, ad essere nuovamente ricoverata, giacchè impossibilitata a rientrare nella propria casa – un ottavo piano a Treppiedi Nord, la cosiddetta zona 167- per l’ennesimo guasto all’ascensore, evidenzia i limiti di una politica che guarda all’effimero e non sa soffermarsi con la dovuta attenzione sulla concretezza del vissuto quotidiano e sulla sostanzialità della vita; rivela le manchevolezze di una realtà burocratica che ha le mostruose sembianze di una piovra, i cui tentacoli ci stringono quotidianamente in una morsa che non lascia scampo: e fanno male, perché sono l’espressione di una fredda mentalità ragionieristica, l’esplicazione di una gelida interpretazione della legge, che sovrasta ed ignora i bisogni, i sentimenti e le esigenze più impellenti della gente. Tale vicenda, inoltre, non è che l’ennesimo, grave fatto di cronaca locale, che, come i precedenti, andrà a smarrirsi nel mare della nostra indifferenza, si avvierà mestamente a morire nell’oblio delle nostre coscienze. E’ questo che ci spaventa più d’ogni altra cosa: è l’indifferenza, che lentamente, ma inesorabilmente, ci sta togliendo l’anima, iniettando nelle nostre vene il seme amaro della superficialità, e talvolta, addirittura, dell’impassibilità. Io penso che noi modicani, eredi di un retaggio spirituale che nei secoli ci ha resi moralmente sani e socialmente altruisti, non possiamo e non dobbiamo soffocare il nostro essere uomini maturi e consapevoli sull’altare dei divertimenti e degli affari; non possiamo e non dobbiamo esorcizzare la paura, che è di ogni essere umano, di guardare con coraggio e realismo la realtà in cui viviamo, che, purtroppo, è fatta anche di solitudine, di abbandono e qualche volta di drammatica disperazione. Godiamoci questi scampoli d’estate; abbiamo, fra l’altro, di che stare allegri: il centro storico è stato affollato di indigeni e turisti, il lungomare di Marina ha traboccato di instancabili maratoneti, i caffè sono stati strapieni e le discoteche stracolme di giovani in cerca di rumore e d’allegria. L’obiettivo principale che la politica ha imposto a questa città, ancora una volta, è stato conseguito: il trionfo del turismo, innanzitutto ! E mentre questa nuova divinità viene avvolta da una stupida nube d’incenso, la nostra concittadina è stata costretta a far ritorno in ospedale, il traffico ha superato i limiti dell’umana tollerabilità, una schiera di anziani, come ogni anno, ha vissuto l’amara esperienza della solitudine e dell’emarginazione ed un ragazzo di vent’anni è volato giù dal ponte Guerrieri, decidendo di dire addio alla vita e portando con sé l’amaro suo segreto che forse non sapremo mai! Godiamoci quel che resta dell’estate, ma non abdichiamo al nostro dovere di cittadini, che è quello di rammentare a chi ci amministra che programmare il divertimento è giusto, a condizione, però, che la priorità sia data a ciò ch’è serio ed importante, ed è quello di ricordare a tutti noi di non disperdere, nel vortice della distrazione e della spensieratezza, i valori dell’altruismo e della solidarietà. Proviamo tutti, come ammoniva Horkheimer, a fare in modo “che non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola, che l’assassino possa trionfare sulla sua vittima innocente”.
RIFLESSIONI SU MODICA E LA MALASANITA’
Dieci mesi di attesa per un’ecografia all’Ospedale Maggiore di Modica. Confessiamo che dover leggere notizie come questa ci indigna e ci allarma come cittadini; ci offende come persone. Sapevamo, certo, di queste disfunzioni, ma pensavamo che la malasanità riguardasse soprattutto altri settori di questo mondo impenetrabile e talvolta incomprensibile qual è la sanità siciliana: si pensi ai condizionamenti politici nelle nomine dei direttori sanitari e dei primari; le ultime, effettuate di recente dal governo Cuffaro, hanno sollevato, infatti, molti dubbi e tante perplessità, giacchè la politica, ancora una volta, sembra aver prevalso sull’abilità e sulle competenze dei prescelti . Abbiamo appreso con rammarico, in questi anni, della corruzione, non soltanto in Sicilia, ovviamente, che si è insinuata nelle corsie dei nostri ospedali: ci riferiamo alle pesanti interferenze delle case farmaceutiche e ai fenomeni di concussione che certamente non fanno onore a coloro che della deontologia avrebbero dovuto fare il loro credo costante e inalienabile, alla luce dei risvolti umani della professione che svolgono. Ci rendiamo conto, ovviamente, che la sanità non può essere un’isola felice e senza macchia, circondata com’è da un oceano di fango e d’immoralità. Il suo riscatto etico rientra in un contesto più ampio, che è quello della rigenerazione morale di un Paese, l’Italia, che, uscito a pezzi dall’ultimo conflitto mondiale e da vent’anni di esperienza totalitaria, non ha saputo edificare uno Stato rispettoso del cittadino, ed ha fatto della corruzione e dell’opportunismo le coordinate principali entro le quali agire e costruire immeritate carriere politiche e discutibili fortune economiche. Se è obiettivamente difficile estirpare dalla nostra sanità la piaga della corruzione e del clientelismo, noi crediamo che sia possibile, invece, intervenire sulla sua funzionalità dal punto di vista diagnostico e terapeutico. Non è moralmente accettabile, come nel caso del nosocomio modicano, che si debba attendere dieci mesi per sottoporsi ad una ecografia, ad una Tac o a una mammografia. Oltre alle gravissime ricadute che tali attese possono avere sulla salute dei cittadini, tale situazione non fà che esplicitare ciò che sosteniamo da anni, e che, a costo di apparire ripetitivi, intendiamo ancora una volta ribadire: questa città si sta sempre più smarrendo nei meandri di false prospettive di sviluppo, sta perdendo la sua umanità nella ingannevole illusione di un vacuo ed effimero protagonismo. La scarsa considerazione per la salute dei cittadini, la colpevole indifferenza che circonda gli anziani e gli emarginati, l’insensibilità per lo smarrimento vissuto dai nostri ragazzi sono mortificati da una classe politica che spreca le sue energie per eventi insignificanti come il Palio e che già adesso si mobilita per l’edizione 2006 dell’Eurochocolate. Ci auguriamo, ma non nutriamo molte speranze che ciò possa accadere, che l’amministrazione Torchi possa fare sue queste illuminanti parole di Jacques Maritain a proposito del compito essenziale della classe politica, che è quello”di migliorare in sé le condizioni della vita umana, o di procurare il bene comune della moltitudine, in maniera che ogni persona – non solo di una classe privilegiata ,ma di tutta quanta la massa – possa veramente raggiungere quella misura di indipendenza che è propria della vita civilizzata e che è assicurata egualmente dalle garanzie economiche del lavoro e della proprietà, dai diritti politici, dalle virtù civili e dalla cultura dello spirito”.
Ottobre 2005
UNA QUESTIONE DI STILE
Su “Il Giornale di Sicilia” del 25 Settembre è apparsa una notizia che, guarda caso, non ha suscitato alcuna eco e sulla quale è caduto un sospetto e definitivo silenzio. La notizia, in verità, non è di quelle destinate a suscitare scalpore: lo sappiamo benissimo. Siamo certi, tuttavia, che essa è emblematica della vertiginosa caduta di stile che, purtroppo, non si registra soltanto nel Palazzo del potere, ma che si sta insinuando, in modo lento ma inesorabile, nella mentalità e nei costumi della nostra città, la quale conserva ormai poche briciole di quella signorilità e di quella eleganza che nel passato l’hanno resa invidiata ed amata al tempo stesso. In occasione della rassegna d’arte “Nel cuore di Cartellone”, ospitata al palazzo della cultura, tre artiste – Grazia Campione, Liliana Guarino e Carmela Saturnino – che avrebbero dovuto esporvi i loro lavori, si sono rifiutate di farlo, giacchè le loro opere erano state letteralmente ammassate in una stanza decentrata e angusta, e, soprattutto, inondata dal fetore proveniente dai bagni, accanto ai quali le tre signore avrebbero dovuto esporre i loro quadri. “La dignità di ciascuno va sempre rispettata ed affermata nei confronti di chicchessia”: questa la dichiarazione rilasciata dalle tre artiste, alle quali va la nostra piena solidarietà e la nostra ammirazione per le modalità e la fermezza con le quali hanno affermato l’importanza di valori, quali il rispetto e il decoro, oggi sempre più drammaticamente latitanti. “Mancanza di stile”: questo il commento delle artiste coinvolte nella vicenda; il guaio, a nostro parere, è che nel caso in questione tale mancanza, pur grave, è soltanto l’espressione di un atteggiamento poco educato, ma se rendiamo più ampio, invece, l’orizzonte che intendiamo scrutare, ci rendiamo conto che la caduta di stile, purtroppo, è uno dei tanti difetti, forse meno appariscenti ma non per questo meno gravi, che da qualche anno caratterizza i mestieranti della politica, sia a livello nazionale sia a livello locale. Una mancanza di stile che assume le sembianze della goffaggine e della grettezza del parlamentare che si aggira in piazza con atteggiamento borioso, elemosinando l’ossequio e il saluto della gente; una mancanza di stile che prende le apparenze della trivialità, nella bassezza intellettuale e morale del portaborse; che diventa volgarità in chi sceglie la politica per riempire il portafoglio e per sistemare parenti, amici e amici degli amici. Quale signorilità è possibile mai riscontrare nello sciamare di assessori e consiglieri in pieno centro cittadino, durante le sagre di paese, con la meschina convinzione di apparire importanti, inconsapevoli di portare a spasso, tra il divertimento di coloro che sono ancora capaci di pensare, le loro facce che mostrano soltanto la tristezza del nulla e l’illusione dell’essere. Quale eleganza potremmo mai intravedere in quella che definimmo “la trasmigrazione dei consiglieri”: quale dignità dovremmo cogliere nel cambiare casacca, nel rinnegare i propri convincimenti per ottenere il classico piatto di lenticchie. Quale decoro, infine, dovremmo scorgere in coloro che si muovono nella stanza dei bottoni, tronfi e altezzosi, nell’illusione di convincere la gente d’essere loro gli artefici del suo futuro: burattini servizievoli, protagonisti del nulla, mestieranti senza sogni. In questa democrazia, malata e vacillante, in cui il potere prescinde dalla cultura, dalla ricchezza ideale e dall’integrità morale, sarebbe salutare far sostenere a coloro che del potere sono adulatori un accurato esame, per valutarne lo stile e la signorilità, prima di affidare loro la rappresentanza di una città o di una intera Nazione.
MODICA: E’ ORA DI SPEGNERE I RIFLETTORI
La firma del protocollo d’intesa, da parte dei sindaci di Modica, Ispica, Scicli e Pozzallo, per il bonus socio-sanitario ai diversamente abili e agli ultrasessantacinquenni che non si trovano in condizioni di autosufficienza, avrebbe potuto essere una buona occasione per realizzare, finalmente, qualcosa di utile e positivo per la nostra città, se tale iniziativa avesse posseduto le condizioni dell’attuabilità, ma, non avendole, temiamo che la propaganda, ancora una volta, abbia prevalso, che il fumo, come sempre, finirà per intorpidire le menti dei semplici e che la città sarà avvolta nella consueta nube del nulla. Stavolta, però, occorre stare all’erta, perché se tutto questo si dovesse davvero risolvere nella solita operazione d’immagine, a portare l’insopportabile peso della delusione sarebbero le fasce più deboli e indifese della cittadinanza. Non dimentichiamo, infatti, come ha fatto giustamente rilevare il segretario della Camera del Lavoro, che l’ISEE, fissato a settemila euro, finirebbe per escludere almeno l’85% dei destinatari del bonus. “Ma – prosegue Nicola Colombo – c’è una seconda questione, relativa al fatto che non ci sono i fondi necessari per garantire l’erogazione del bonus, in quanto ci sono quattrocento richieste a fronte di oltre due milioni di euro: il venti per cento a carico del Comune e l’ottanta per cento della Regione Siciliana”. Il tutto è quanto meno paradossale, se pensiamo che la Regione ,invece, per i trecentomila disabili siciliani ha stanziato 300.000 euro: un euro a testa, insomma! La vicenda sarebbe estremamente esilarante se non ci fossero di mezzo le esigenze di soggetti particolarmente fragili e bisognosi. Stando così le cose, è facilmente intuibile che confidare in un’azione veramente incisiva da parte della regione siciliana è un’autentica utopia e che il tutto rischia d’impantanarsi nella palude delle false promesse, particolarmente frequenti alla vigilia d’importanti consultazioni elettorali. Venendo a mancare all’iniziativa un adeguato sostegno da parte della Regione, il contributo a carico del Comune non avrebbe più alcun significato: sarebbe, infatti, assolutamente insufficiente a soddisfare il reale fabbisogno di queste fasce della popolazione modicana che vivono nel disagio e nella precarietà. Tra l’altro, con un governo nazionale, che in questi anni, con la disinvoltura tipica degli irresponsabili, ha ridotto notevolmente i finanziamenti agli enti locali e che ha appena varato una finanziaria che li riduce ulteriormente, è naturale chiedersi se l’iniziativa del nostro sindaco, e di quelli dei comuni limitrofi, non sia da considerarsi quanto meno velleitaria, soprattutto alla luce della cronica situazione di emergenza in cui versano le casse comunali. La situazione finanziaria del nostro comune è allarmante: da molti mesi l’amministrazione Torchi non riesce a pagare i fornitori dell’Ente, per non parlare della puntualità nel pagamento degli stipendi ai dipendenti comunali che è diventata ormai un’autentica chimera. Per tali motivi condividiamo le osservazioni del consigliere D’Antona: ”Di fronte all’accentuarsi della crisi finanziaria, non ci si può limitare a prendere atto dei ritardi degli altri( lo Stato e la Regione), come fanno gli amministratori, ma occorre una forte, chiara ed incisiva strategia sul versante delle entrate e su quello delle spese, per far fronte agli impegni e rispettare le scadenze”. Ebbene, considerato che nel nostro comune è in atto un vero e proprio collasso finanziario, testimoniato anche dal contenzioso col comune di Scicli, per i ritardi nei pagamenti relativi all’utilizzo della discarica, confessiamo che non riusciamo proprio a gioire del fatto che la città, come titolava Il Giornale di Sicilia del 20 Ottobre, torni sotto i riflettori per l’Eurochocolate: ci chiediamo quanto costi all’amministrazione comunale, e dunque a tutti noi, l’allestimento di uno stand alla kermesse in corso di svolgimento a Perugia e i viaggi di coloro che vanno a rappresentare la nostra città. Ci chiediamo ancora quanto ci costerà la seconda edizione di Eurochocolate che si svolgerà a Modica nel prossimo mese di Marzo. Ancora una volta assisteremo ad una manifestazione che regalerà alla stragrande maggioranza dei modicani il fumo del caos, del disordine e della confusione e ad una parte invece, largamente minoritaria, l’arrosto del profitto e di lauti guadagni. Ancora una volta dovremo sopportare, in scala ridotta, l’iniqua politica berlusconiana, fondata sull’immagine, sul futile ottimismo e soprattutto su un classismo che pensavamo ormai sepolto tra le ragnatele della storia. La smetta l’amministrazione al potere di vendere illusioni alla cittadinanza: l’Eurochocolate è un buon affare per quel che riguarda la propaganda elettorale e per quel settore socio-economico della realtà modicana – quello del commercio, per parlar chiaro – il cui potenziamento è stato sempre in cima ai pensieri di questa amministrazione. Per noi, comuni mortali, l’Eurochocolate è solo un inutile e insopportabile martirio al quale non possiamo sottrarci. Possiamo però fare ugualmente la nostra parte: disertiamo quest’ annuale sceneggiata; in tal modo, forse, potremmo contribuire a realizzare nella nostra città qualcosa d’importante e di straordinariamente serio: costringere qualcuno a spegnere i riflettori!
IL DECLINO DELLA DEMOCRAZIA
Com’era nelle previsioni, le prossime competizioni elettorali, e in particolare quelle regionali, stanno facendo emergere ciò che ormai tutti sappiamo, anche se molti, per limiti intellettuali o per tornaconto personale, fanno finta di non accorgersene: ci riferiamo alla ormai ben nota questione della crisi delle cosiddette società democratiche. Non si tratta, ovviamente, di scrutare l’orizzonte con la paura che riappaiano lugubri fantasmi del passato ormai consegnati al giudizio della storia: non si tratta infatti di questo. Intendiamo riferirci, piuttosto, alle gravi contraddizioni che stanno lacerando le fondamenta della democrazia, per l’instaurazione della quale, in molti Paesi dell’Est e dell’Ovest dell’Europa, nell’ultimo sessantennio, intere generazioni hanno pagato un altissimo prezzo. Non è questa la sede, ovviamente, per analizzare approfonditamente una questione così complessa, ma riteniamo sia possibile fare qualche considerazione, con l’auspicio che possa essere utile per stimolare l’analisi e la riflessione su alcune problematiche che giudichiamo di primaria importanza. Noi non abbiamo, ovviamente, ricette da dare per superare la crisi delle società democratiche dell’Occidente – quella dei Paesi ex comunisti ha delle origini e delle connotazioni diverse, e per tale motivo, per il momento, non ce ne occupiamo – ma abbiamo una certezza che ci pare inconfutabile: l’accentuazione della crisi della democrazia è direttamente proporzionale al trionfo del principio crociano, in base al quale lo Stato non ha una statura etica, bensì utilitaria e dunque economica. L’economia è dunque sganciata dall’etica: i guasti prodotti da questa concezione della politica sono evidenti. Dal momento che il diritto, le leggi e l’attività politica coincidono col fatto economico, quest’ultimo non può che diventare una sorta di nuova divinità sull’altare della quale sacrificare gli ideali più nobili dello spirito. Le asserzioni del Croce, da un lato, e il marxismo, dall’altro, hanno creato un perverso connubio, convincendo il mondo della ineluttabilità del momento economico come dato fondamentale per giustificare lo Stato e per comprendere la storia. Ed è l’economia che sta annientando la democrazia. Ci riferiamo, naturalmente, al liberismo sfrenato che sta soffocando le fasce più deboli della popolazione di questo pianeta; ad un’economia non controllata che sta spazzando via la solidarietà e la giustizia. Se l’economia si è fatta essenza della politica e il mercato fondamento dello Stato, è naturale, quasi fisiologico, che l’imprenditore Berlusconi e il petroliere Bush – per citare i casi più noti ed eclatanti – stiano al potere: essi sono l’espressione del decadimento spirituale dell’Occidente. Anche nella nostra piccola e periferica realtà locale le cose non sono poi così diverse: anche Modica esprime dei potentati economici che ne condizionano la vita e lo sviluppo, attorno ai quali ruotano i saltimbanchi della politica, così tristi nel loro patetico tentativo di convincere gli altri e se stessi di contare qualcosa, mentre sono soltanto meccanismi di un ingranaggio che li sovrasta e che può fagocitarli in qualunque momento, non appena si dimostreranno inutili al conseguimento dei superiori interessi. Una delle cause del declino della democrazia, è che oggi la politica, e non solo quella italiana, è popolata da personaggi fondamentalmente mediocri, dal punto di vista morale e intellettuale; personaggi che ci ricordano gli ”eroi cosmico-storici” di cui parlava Hegel , e a proposito dei quali Guido de Ruggiero ebbe a scrivere: “ Figurazioni come queste sembrano grandiose e sono meschine. Uomini così fatti sono piuttosto fantocci (dell’Assoluto), che non uomini vivi e veri!”. La nostra seconda considerazione – che si richiama alle giuste osservazioni di Socrate e Platone – riguarda la classica domanda sul valore della democrazia: chi ci assicura che gli eletti siano i migliori? Noi riteniamo che mai come oggi questa domanda abbia una rilevanza davvero enorme, considerato il momento storico che stiamo vivendo. Non vogliamo criminalizzare Bush e Berlusconi, ma non è colpa nostra se costituiscono, in questo momento, per motivi in parte diversi, delle pericolose anomalie nella politica internazionale. Ciò che Bush ha causato e ciò che ancora sta determinamdo in Iraq è sotto gli occhi di tutti: il delirio di onnipotenza e gli interessi economici che lo hanno spinto ad occupare uno Stato sovrano – che questo fosse governato da un dittatore sanguinario è un altro discorso – hanno determinato una situazione disastrosa e fallimentare, non certamente migliore di quella che si è voluto eliminare. Quanto a Berlusconi, i disastri prodotti dal suo governo- basti pensare alla Scuola e alla Sanità – sono talmente evidenti che è persino superfluo elencarli. Anche in questo caso, non possiamo esimerci dal volgere lo sguardo alla realtà politica della nostra città: sulla mediocrità della classe politica modicana abbiamo già scritto e l’abbiamo ampiamente motivata. Le future elezioni regionali, come dicevamo all’inizio di queste nostre considerazioni, stanno ulteriormente facendola emergere in tutta la sua allarmante drammaticità. Mentre l’on. Drago assicura, in modo perentorio, che un candidato provinciale dell’UDC alle prossime elezioni regionali sarà un modicano – ma non dovrebbe essere il partito a dare tali indicazioni? – il senatore Minardo sostiene, ovviamente, il nipote Nino e qualcuno ipotizza che la scelta potrebbe invece cadere su Carmelo Drago, assessore comunale nonché fratello del sottosegretario: se così fosse, assisteremmo ad un ulteriore declino della politica modicana, già declassata da un imperante nepotismo, del quale faremmo volentieri a meno. Se il livello della nostra classe politica è questo, assumiamocene la responsabilità: se i migliori non emergono la colpa è soltanto nostra. E’ colpa nostra se il senatore Minardo, intervenendo al congresso cittadino dell’UDC, osa affermare:” Modica ha bisogno di Peppe Drago; Modica ha bisogno di Riccardo Minardo”. Le parole di Minardo esprimono in maniera chiara e palese quel decadimento della democrazia che è stato l’oggetto delle nostre riflessioni: l’onnipresente senatore si ritiene indispensabile per la città; egli però, in tal modo, pretende di intromettersi nelle coscienze altrui. In una democrazia – sebbene malata ed incompiuta come la nostra – non spetta a lui stabilire se la città ha bisogno o meno della sua attività politica: ci sono molte persone, infatti, tra le quali il sottoscritto, che la pensano esattamente al contrario di come la pensa lui e che sarebbero ben liete di non saperlo più tra gli scranni di Palazzo Madama.
Novembre 2005
ANCHE LA FESTA DEI MORTI CADE NELL’EFFIMERO
Anche quest’anno, come sempre, la celebrazione del 2 Novembre si è inaridita nella solita, stereotipata commemorazione, e la stampa, ancora una volta, ha perso l’occasione per far si che un evento, legato a coloro che non ci sono più, potesse diventare strumento di crescita morale e spirituale per coloro che invece ci sono ancora, e che avrebbero tanto da imparare da una ricorrenza che non può essere ingabbiata soltanto nel ricordo, certamente sacrosanto, di coloro che abbiamo perso, ma che deve soprattutto sostanziarsi in una riflessione autentica sulla vita: e nulla, più della morte, può generarla e conferirle il suo senso, ormai quasi del tutto smarrito. La frenesia con la quale viviamo, le mille occupazioni quotidiane con le quali tentiamo di mascherare o rimuovere la nostra inquietudine, non potranno mai cancellare la verità, che è tutta nella ineluttabile dialettica tra la morte e la vita e nel loro perenne incontrarsi e scontrarsi. La società in cui viviamo, purtroppo, propone ai nostri giovani degli obiettivi scellerati sotto il profilo morale e delle finalità che mirano ad annientare la ricchezza dello spirito e farla naufragare nel torbido mare dell’arrivismo, del facile guadagno, del servilismo e del più volgare materialismo. Ciò che maggiormente ci preoccupa è la crisi della religiosità, non importa se laica o sacra, perché la fine di ogni tensione verso qualcosa di grande e di assoluto comporta la riduzione dell’uomo ad un essere amorfo, privo di ideali, tutto proteso a soddisfare i suoi bisogni materiali, facendolo ricadere in quella bestialità che non è mai del tutto scomparsa dal nostro essere e che tuttavia abbiamo il dovere di reprimere, se vogliamo conservare la nostra dignità di essere umani. E’ triste constatare il declino della pietas cristiana, il tramonto di quella visione escatologica dell’esistenza umana che è l’unica in grado di unire in una comunione misteriosa e trascendente noi che viviamo nel tempo e coloro che hanno già varcato la soglia dell’eternità. Certo, qui siamo nell’ambito della Fede, e a nessuno è concesso criminalizzare chi non la possiede; ecco perché non osiamo condannare tale declino, seppur ci amareggia. Vogliamo e dobbiamo stigmatizzare, invece, la nostra società, incantata dal futile e dall’effimero, che sta cancellando ogni traccia persino di quella religione foscoliana, laica e terrena, che si fa virile ed austera accettazione della vita, senza ignorare l’angoscia del morire; che mira ad affermare la nostra più autentica umanità “ che anela, mediante una continua creazione di valori, a prolungare la propria vita, limitata e breve, in quella più vasta della storia “; è una rivolta contro la morte, che nasce dalla certezza che i nostri cari continueranno a vivere nella nostra memoria e negli anfratti più nascosti del nostro io. Con quanto detto non intendiamo in alcun modo ridimensionare i gesti e le tradizioni legate alla commemorazione dei defunti: tutt’altro! Vogliamo semplicemente esprimere la nostra convinzione che il recupero della religiosità – in quale modo la si voglia intendere e in qualunque forma la si voglia vivere – sia l’unico modo per trarre dalla morte il senso della vita: il confronto con la drammatica serietà di quella che è l’esperienza ultima di ogni essere umano è l’unico mezzo che ci rimane per emendare la nostra esistenza dal delirio di onnipotenza, dai pregiudizi e da tutte le altre sciocchezze che non ci permettono di guardare oltre la siepe del nostro stupido egocentrismo. Dobbiamo amaramente constatare, purtroppo, che anziché tendere all’auspicato recupero di una dimensione religiosa della vita, sia essa immanente o trascendente, le nuove generazioni stanno dilapidando ciò che di buono hanno ricevuto in eredità. Tra loro, il culto dei defunti sta per essere soppiantato dalla festa di Halloween: una tradizione di origine celtica molto diffusa nei paesi anglosassoni ma del tutto estranea alla nostra cultura; ancora una volta, la nostra atavica esterofilia ci sta procurando danni incalcolabili: anziché deporre dei fiori sulle tombe di coloro che li hanno generati, per creare la foscoliana “ eredità di affetti”, i nostri giovani preferiscono gozzovigliare nella lunga notte delle streghe. Prendiamo atto di quest’autentico degrado del nostro Paese, che da sessant’anni non smette di scimmiottare l’alleato americano, anche quando si tratta d’importare prodotti di sottocultura e che sempre più ci allontanano dalle nostre radici.
UNA COLPEVOLE INDIFFERENZA
Dobbiamo confessare che le ultime notizie provenienti dal Palazzo ci avevano confortato e riempito di orgoglio: veniva data per certa, infatti, la presenza del presidente della Regione Siciliana, quel galantuomo di Totò Cuffaro, a fianco del polo avicolo modicano. Abbiamo dovuto invece, con grande mestizia, rassegnarci, e fare a meno della sua ingombrante presenza. Per fare apprezzare la bontà dei prodotti modicani e la loro assoluta sicurezza, Domenica 20 Novembre, il corso Umberto si è trasformato “ in un grandissimo ristorante all’aperto dove degustare carni bianche, uova e derivati” Teatro di quest’ennesima dimostrazione della signorilità e dell’eleganza che caratterizza quest’ amministrazione è stato, ancora una volta, il salotto buono della città, e in modo particolare la parte compresa tra piazza Monumento e piazza Rizzone; là ove si trova la famigerata fontana: autentico monumento alla leggiadria della più raffinata arte! Già nel Dicembre del 2003, il Corso Umberto fu ridotto ad una sorta di masseria, che vide il trionfo della volgarità e del cattivo gusto nelle bocche dei modicani, intente a masticar tumazzo e fave cottoie. Abbiamo avuto modo, anche in questa occasione, di apprezzare la meravigliosa simbiosi che si è realizzata tra la bellezza architettonica dei nostri palazzi e delle nostre chiese e l’anonima folla in preda ad una incontrollabile frenesia, che sempre nasce dinanzi ai grandi dilemmi della vita: chi di noi, infatti, davanti a un pollo allo spiedo non è mai stato colto da un momento di autentico smarrimento: meglio la coscia o il petto? Naturalmente, chi non ha gradito il pollo, si è potuto consolare con un uovo sodo o una buona frittata, da mostrare, orgogliosi, ad amici e parenti. Dobbiamo tuttavia confessare che la scarsa partecipazione dei modicani è stata per noi motivo di grande soddisfazione: che finalmente si siano accorti dello squallore che avvolge il sempre attuale “ panem et circenses” ? Che questa amministrazione difetti nello stile lo abbiamo sempre detto e anche scritto, ma, mentre prima speravamo in una, per la verità improbabile, redenzione, confessiamo che adesso tale speranza l’abbiamo perduta, perché non riteniamo che possa risollevarsi dalla grossolanità che la contraddistingue. Un’amministrazione che sembra ignorare la grandezza della città che amministra: la sua storia straordinaria, il suo splendido barocco, i suoi apporti allo sviluppo culturale dell’isola e dell’intera nazione; offendere un passato così illustre, trasformando, periodicamente, il corso principale della città in una sorta di mercato rurale è grave dal punto di vista amministrativo, è avvilente sotto il profilo culturale e civile. Dallo stesso Palazzo, naturalmente, ci giungono altre “perle”, che non possiamo e non vogliamo far passare sotto silenzio: ci riferiamo all’altra grande esaltazione del buongusto che risponde al nome di Eurochocolate; sembra, infatti, che anche quest’altra sagra paesana, prima ancora d’aver luogo, stia rivelando quella mancanza di stile e di cultura democratica che qualunque amministrazione dovrebbe possedere. Come spiegare altrimenti la polemica fra il nostro sindaco e il Consorzio per la tutela del cioccolato sul mancato coinvolgimento degli artigiani nell’organizzazione della kermesse? Giustamente, alcuni esponenti dell’opposizione hanno sollecitato il sindaco affinché venga subito approntato un gruppo di lavoro ampio, comprendente operatori ed esperti. Il sindaco, com’è suo costume, non ha accettato le critiche ed ha assicurato che “ la manifestazione è un patrimonio indispensabile (sic!) della città e di quanti producono il cioccolato” e che questo “ non è patrimonio esclusivo di alcuno né tanto meno degli amministratori”. Saremmo ben lieti di poter credere alle parole di Torchi, giacchè ci potrebbero convincere della infondatezza delle convinzioni nostre e di gran parte della cittadinanza: ci riferiamo all’esagerato accentramento che caratterizza la sua amministrazione, e che giudichiamo grave e lesivo della dialettica democratica. Vorremo crederci; purtroppo, però, le sue affermazioni sono smentite dai fatti: agli artigiani del cioccolato, che si lamentano per il loro mancato coinvolgimento, occorre infatti aggiungere le perplessità dell’opposizione circa la nomina dell’assessore Nigro a presidente della Modica Multiservizi – che appare sempre più un affare privato dell’UDC – una nomina che, ovviamente, non ha dato quel segnale di discontinuità che sarebbe stato necessario, considerate le polemiche che hanno riguardato la gestione della società, e riguardo all’atteggiamento del sindaco, che avrebbe messo in disparte il consiglio comunale, non consentendogli di controllare gli atti amministrativi della Multiservizi. Come se non bastasse, arrivano le critiche del coordinatore cittadino del Movimento per l’Autonomia, che lamenta la mancata informazione dei partiti politici presenti in consiglio per quanto concerne il nuovo piano del traffico. L’assessore alla Viabilità ha incontrato, naturalmente, i commercianti, che ormai, in questa città, come tante volte abbiamo denunciato, sono diventati il vero centro decisionale per quel che riguarda il traffico e addirittura la segnaletica stradale. Noi ci permettiamo di ricordare che quando è in gioco la viabilità di una città, sentire i commercianti può essere opportuno, ma ciò non è prescritto da alcuna legge: informare tutti i consiglieri, invece, oltre che opportuno è soprattutto doveroso, perché si tratta dei rappresentanti dei cittadini, e la rappresentanza è l’essenza della democrazia. Apprendiamo comunque dalla stampa locale, che, finalmente, fra il Comune e i produttori del cioccolato “è scoppiata la pace” e dunque saranno pienamente coinvolti nell’organizzazione di Eurochocolate, e che il sindaco si è fatto promotore, a proposito del traffico e della viabilità, di un incontro coi capigruppo consiliari e coi segretari cittadini dei partiti presenti in consiglio comunale. Quello che ci riesce difficile capire sono i motivi per i quali, solo dopo aver generato le polemiche, l’amministrazione Torchi decide di fare il proprio dovere. Ci sembra, insomma, che la tentazione di governare secondo un criterio di esasperato accentramento del potere – che si concretizza nel tentativo di fare a meno del legittimo confronto democratico – continua ad essere la peculiarità dominante di questa amministrazione: una peculiarità certamente dannosa per l’intera cittadinanza. Il fatto che l’amministrazione Torchi diventi rispettosa delle prerogative dell’opposizione e dei diritti delle varie componenti della società civile soltanto dopo le proteste e i malumori suscitati dai suoi atteggiamenti è un dato politico allarmante; cambiare metodo dall’oggi al domani è invece il sintomo preoccupante di una concezione della politica che mira soltanto a non perdere consensi, che guarda esclusivamente al mantenimento del potere, rivelando, dunque, una colpevole indifferenza per i bisogni e le aspettative dei cittadini.
LE SILENZIOSE STANZE DI PALAZZO SAN DOMENICO
Su “ Il Giornale di Sicilia” del 3 Novembre, in un articolo riguardante la presidenza della Società “Multiservizi “, e nel quale si parla dell’assessore Paolo Nigro quale futuro, probabile presidente, Loredana Modica testualmente scrive: “ sarà un incarico probabilmente a termine, visto che si profila la certezza della candidatura alla regione del sindaco Piero Torchi “. Non frequentando le stanze del potere e non vantando amicizie tra coloro che le frequentano, e diciamo ciò non con rammarico ma con orgoglio, non sappiamo, ovviamente, se la notizia sia vera o infondata; certamente è verosimile. Torchi, tra l’altro, non sarebbe l'unico, in provincia, a lasciare la poltrona di primo cittadino in vista delle future competizioni elettorali; a Vittoria, infatti, il sindaco Aiello non ha perso tempo a tuffarsi nell’agone elettorale in vista delle prossime elezioni politiche. Le considerazioni che intendiamo fare prescindono comunque dal nostro sindaco e dalle scelte che intende realizzare; prendiamo spunto da questa notizia, che, come abbiamo detto, ci sembra verosimile, per analizzare alcune situazioni che, purtroppo, caratterizzano l’attuale modo di fare politica: facciamo questa precisazione in quanto, sebbene sia notorio che noi non condividiamo quasi nulla delle scelte di Torchi come sindaco, teniamo a precisare che quanto diremo non è una critica specifica al suo operato e alle sue decisioni, ma va inquadrato in un contesto più ampio e in una dimensione che trascende la nostra stessa realtà locale. E’ la crisi della politica che ci interessa, è il suo scadimento che ci scoraggia: la politica, infatti, non più alimentata dalla forza delle idee e dalla passione delle ideologie è come una pianta senz’acqua, come una barca in un mare calmo e senza vento, destinata alla deriva. Il fatto, riprovevole, diventato ormai consueto, di lasciare una poltrona per tentare di conquistarne una più prestigiosa e remunerativa, è soltanto un aspetto dello scadimento della politica, che, in questo Paese, ben lungi dall’essere un’attività al servizio della utilità comune, è sempre stata e continua ad essere un’occasione per riempire il proprio portafoglio, una sorta di luogo miracoloso nel quale da fallimenti e incapacità sgorgano sfavillanti carriere politiche, e dove, inebriata dai fumi del potere, la coscienza si smarrisce e talvolta diventa prigioniera di un ridicolo delirio di onnipotenza. Lasciare la poltrona di primo cittadino per conquistarne un’altra più importante è comunque un tradimento del proprio elettorato, e insinua, nelle menti di coloro che non hanno ancora smesso di pensare, il sospetto che la scalata alla prima poltrona non sia stata fatta per servire la città e per un comprensibile desiderio di affermazione personale, ma soltanto con l’intento di preparare il terreno per la conquista della seconda. Tutto questo, naturalmente, ci sconcerta ma non ci sorprende e non ci scandalizza: quel che veramente ci turba e ci spaventa è la nostra incapacità di scandalizzarci, e ciò non può che significare una cosa soltanto: che la misura è colma, anche se, cambiando prospettiva e con una buona dose di ottimismo, possiamo trovare in tutto ciò un elemento di positività: toccato il fondo non ci resta che sperare nella risalita. Certo, ci scoraggia il fatto che questa risalita il popolo italiano l’aspetta da un sessantennio, da quando, crollato il Fascismo – che in quanto dittatura non stiamo certo qui a rimpiangere, noi che quando cadde non eravamo ancora nati – gli italiani s’illusero di andare incontro, finalmente, ad un “radioso avvenire”; un sessantennio che ci ha regalato la mafia, il terrorismo, tangentopoli, le convergenze parallele e gli equilibri più avanzati. A noi siciliani “è andata ancora meglio”: abbiamo perso uomini come Falcone e Borsellino, ma in compenso abbiamo Totò Cuffaro, che osa contrapporsi alla sorella del magistrato caduto in via d’Amelio. Ma il degrado più grande, che inficia le poche cose buone fatte da questa democrazia, è senz’altro costituito dalla non invidiabile abilità, che il popolo italiano ha conseguito in questi sessant’anni, di saper cambiare casacca senza nemmeno il buongusto di arrossire. Scriveva Piero Operti, onesto e coerente scrittore antifascista: “ Le conversioni in senso vantaggioso sono sospettabili, salvo il caso in cui il convertito, riconoscendo di essersi sbagliato una volta e quindi di potersi sbagliare anche ora, si chiudesse per il resto della vita nel silenzio “. Se la classe politica italiana avesse il coraggio di far proprio quest’efficace ammonimento, sulla nostra capitale scenderebbe un silenzio surreale; ma anche qui, nella nostra Modica, tanti sarebbero costretti a tacere, e le silenziose stanze di Palazzo San Domenico renderebbero all’edificio la sacralità perduta.
Dicembre 2005
MODICA: COME SI SPERPERA IL PUBBLICO DENARO
Il 30 Novembre, per la seconda volta, la maggioranza di centrodestra si è presentata divisa in consiglio comunale, e il consigliere Adamo ha visto sfumare, ancora una volta, la possibilità di subentrare nella seconda commissione consiliare a Tato Cavallino, di recente nominato assessore, in occasione dell’ennesimo e indecoroso rimpasto della giunta Torchi. Ricordiamo ai lettori che ogni riunione del consiglio comunale costa ai cittadini oltre cinque milioni delle vecchie lire: di per sé, troviamo scandaloso che le persone che compongono la civica assise, e che non perdono occasione per ricordarci che vi si trovano solo per il nobile scopo di servire la città, siano pagate per il ruolo che ricoprono – questo è un discorso che, ovviamente, non riguarda solo Modica – ma quando questi signori si riuniscono, e, a causa delle loro beghe di partito o molto più spesso per difendere i loro personali interessi, non decidono un bel nulla, sottrarre denaro ai cittadini diventa moralmente deprecabile, oltraggioso per coloro che li hanno eletti, insopportabile per chi, non avendoli votati, si è democraticamente rassegnato a sopportarli, ma non è per nulla disposto a chinare il capo davanti all’ inefficienza e alla bassa retorica. Se qualcuno ritiene che le nostre critiche siano ingiuste, non ha che da ripercorrere le tappe fondamentali dell’attività del nostro consiglio comunale, e, in particolare, dei consiglieri della maggioranza. Noi possiamo soltanto rinfrescargli la memoria con una breve sintesi del suo poco edificante operato. Ci sembra utile, in modo particolare, soffermarci sulla latitanza dei consiglieri di centro destra in occasione della salvaguardia degli equilibri di bilancio, sulla quale, addirittura, pendeva la diffida da parte della Regione (Novembre 2004) o sulle innumerevoli sedute andate a vuoto, nella scorsa primavera, in occasione della discussione sul bilancio di previsione o per nominare il consigliere Gilestro nella seconda commissione consiliare al posto di Nigro, nominato assessore in occasione di un altro rimpasto della giunta Torchi(Giugno 2005): errare è umano, ma perseverare è diabolico! Non possiamo poi tacere le tante, inutili convocazioni per l’approvazione del piano regolatore; una telenovela che, solo alla fine, come ogni romanzo d’appendice che si rispetti, ci svelò l’arcano: tredici consiglieri della maggioranza erano incompatibili, riguardo alla sua discussione e alla successiva approvazione. Ma quando furono eletti, codesti signori e coloro che decisero la loro candidatura, perché mai non si posero tale problema? Le deduzioni le lasciamo ai nostri lettori. Certo, appaiono ancora oggi paradossali le parole di Lavima e Garofalo, rispettivamente segretario dell’UDC e coordinatore di Forza Italia, che a tal proposito, lo scorso 22 Aprile, dichiararono: “ E’ impensabile ricevere accuse su degli atti che palesano il grande senso di responsabilità dei nostri consiglieri che si sono dichiarati incompatibili per evitare di viziare l’iter e la stessa adozione( del piano) “. Non meno velleitarie quelle del 20 Marzo pronunciate ancora da Lavima, questa volta insieme all’allora consigliere Nigro: “ Abbiamo le idee chiare e progetti chiari per la città, come dimostra il costante impegno del sindaco, della compagine amministrativa e del gruppo consiliare che governa i decisivi cambiamenti che Modica sta vivendo”. Ci viene spontaneo domandarci dov’erano Lavima e Nigro quando questa impegnata compagine amministrativa veniva, e tuttora viene, rimescolata per dar vita a continui e disdicevoli rimpasti, col solo scopo di far provare un po’ a tutti l’ebbrezza del potere e quindi nel totale disinteresse del bene comune; dov’erano quando questi responsabili consiglieri si assentavano ripetutamente dall’aula consiliare, infischiandosene, pertanto, dei “ decisivi cambiamenti” che Modica stava vivendo. Una città allo sbando, egregi signori: questo è il risultato prodotto dal “costante impegno del sindaco, della compagine governativa e del gruppo consiliare” che governa. Una città allo sbando perché ha smarrito i valori etico-sociali e le sue coordinate storico-culturali; una città che crede di crescere perché il polo commerciale è in espansione, il flusso turistico è in aumento e i prodotti enogastronomici vanno alla grande. C’è da inorridire di fronte a questo vero e proprio processo di alienazione collettiva, davanti a una città che sta vivendo la deleteria esperienza della estraniazione da sé. Un’amministrazione, che è costretta a contrarre un mutuo persino per ripristinare l’asfalto delle strade, che paga con grave ritardo gli stipendi ai suoi dipendenti, che ha un debito ormai stratosferico col comune di Scicli ( e ci fermiamo qui, per carità di Patria!), non ha titoli per vantarsi di alcunché. Un consiglio comunale, che, in una situazione finanziaria disastrosa come quella che caratterizza il nostro Comune, si permette di riunirsi per non decidere nulla, a discapito delle nostre tasche, non può essere giustificato ed elogiato. Se restituisse ai cittadini gli emolumenti percepiti ogni qualvolta, per mancanza del numero legale, ha dovuto sospendere la sua attività, non avremmo certo risolto l’ormai cronico deficit di bilancio, ma forse le casse comunali sarebbero meno disastrate di come sono. Per questi motivi - non ce ne voglia il presidente Scarso, persona seria e rispettabile - ancora una volta ci occupiamo di una sua dichiarazione sulla quale abbiamo già avuto occasione di scrivere. A proposito della nomina del difensore civico – che la città sta ancora aspettando – riferendosi ai consiglieri comunali ebbe a dire: “Il vostro alto senso delle istituzioni, la vostra passione politica, la vostra indiscussa e apprezzata capacità di discernimento e la vostra sincera e ammirevole dedizione verso la città”. La dichiarazione fu certamente infelice: ci chiediamo se, dinanzi a tanta inefficienza e a tanto disinteresse verso la città, il presidente Scarso sottoscriverebbe, oggi, la sua dichiarazione di allora!
LA MISERIA DEL TEMPO IN CUI VIVIAMO
Le attuali vicende relative al progetto di ristrutturazione dell’ospedale Busacca di Scicli ci inducono a delle riflessioni, che, come sempre, intendiamo sottoporre all’attenzione dei nostri lettori. Prima, però, ci sembra opportuno riferire i fatti, proponendone una breve sintesi. La protesta, che vede coinvolti i cittadini di Scicli, la classe medica e quella politica, in una mobilitazione civilissima nella forma ma durissima nella sostanza, nasce in seguito alla decisione di Fulvio Manno, direttore generale dell’AUSL n.7 di Ragusa, di ridimensionare notevolmente le offerte dell’ospedale Busacca, depotenziando, di fatto, un presidio sanitario che ha svolto, e continua a svolgere, un ruolo importante nel comprensorio di Scicli, considerato che copre una larga fascia di utenza. Il piano Manno prevede la chiusura del pronto soccorso ( che effettua diecimila interventi l’anno! ) , la riduzione dell’attività chirurgica e ortopedica, limitandola alla sola offerta di un giorno e decretandone di fatto la fine, e la chiusura del reparto dementi-tranquilli, che ospita quarantadue pazienti, che, in tal caso, sarebbero trasferiti in diverse strutture della provincia. Si capisce, dunque, il perché di una mobilitazione generale che non ha precedenti e che si è concretizzata, il 5 Dicembre, in una seduta aperta della civica assise, proprio davanti al palazzo municipale, che ha visto la partecipazione numerosa dei cittadini, dei rappresentanti delle associazioni, degli esponenti delle istituzioni, ma anche del dott. Antonio Davì, primario del reparto malattie infettive dell’ospedale di Modica, e di quello di Cardiologia, dottor Enzo Bulla, che hanno lanciato l’allarme sulle disfunzioni del nosocomio modicano: posti letto insufficienti, carenze di personale medico e paramedico, assenza di strutture adeguate e medici che devono peregrinare da un reparto all’altro, per garantire una qualificata assistenza ai degenti, che vengono ricoverati, troppo spesso, in reparti che non hanno alcuna attinenza con la loro patologia. Come si vede, ce n’è abbastanza per rimanere sconcertati ed esterrefatti dinanzi alla decisione di Manno, che anziché potenziare le carenti strutture esistenti, finisce col renderle ancora più fatiscenti. La nostra prima riflessione riguarda proprio le scelte effettuate dal direttore generale: confessiamo che ci è difficile capire come si possa pensare e proporre un piano di ristrutturazione che appare assai miope dal punto di vista politico, deludente sotto il profilo sociale e civile, e moralmente inaccettabile, giacchè dimostra una riprovevole superficialità verso quella sfera della vita umana, la malattia, con le sue inevitabili ricadute sul piano psicologico, alla quale a nessuno è consentito anteporre obiettivi politici, o, peggio ancora, motivazioni di ordine economico. Le scelte di Manno, pertanto, non fanno che rendere visibile quella realtà sommersa che, da qualche anno, sta insinuandosi nei gangli delle strutture sociali e politiche, nel mondo della scuola e in quello della sanità: è la visione aziendalistica, che tante volte abbiamo denunciato, che sta avvelenando le nostre coscienze; è la mentalità ragionieristica che sta soffocando ciò che resta di un Umanesino che ormai vive soltanto nei libri e nella perseveranza di quei pochi non ancora rassegnati a considerare i loro simili nell’ottica dei numeri e delle statistiche. L’altra considerazione riguarda un argomento del quale ci siamo altre volte occupati: è quello della coerenza, da un lato, e della crisi dello spirito democratico, dall’altro. Per ciò che riguarda la coerenza, ci è sembrato.contraddittorio l’intervento del sindaco Torchi, e non per aver criticato un manager nominato dalla coalizione politica alla quale egli appartiene, ma per aver stigmatizzato le scelte di Manno che sono state effettuate secondo quella logica economica e aziendalistica che costituisce l’asse portante della sua azione amministrativa. Ci auguriamo, pertanto, che questa vicenda possa indurre il nostro sindaco ad una serena autocritica, visto che finalmente sta constatando i guasti prodotti da una politica che non sa guardare oltre lo steccato dell’offerta, della produzione e del profitto. Considerato, inoltre, che Manno è stato definito “l’uomo di Leontini”, l’assenza del deputato regionale al consiglio comunale di Scicli non ci è sembrata per nulla un esempio di alta coerenza. L’assenza, invece, di Manno e di coloro che lo collaborano, la consideriamo espressione di un atteggiamento di deplorevole arroganza, così come non riusciamo a intravedere, nel suo operato, il rispetto di quello spirito democratico che mai dovrebbe mancare nella prassi politica di una società civile: Manno, infatti, nella stesura del programma inviato alla Sesta Commissione Sanità della Regione Siciliana che dovrà esaminarlo, pare non abbia tenuto conto del Decreto dell’Assessorato regionale alla Sanità del 27 Maggio 2003, che impone, in casi come questo, la concertazione con le organizzazioni sindacali e con la conferenza dei sindaci del distretto. Vorremmo infine spendere qualche parola sul caso dei quarantadue malati mentali che dovranno lasciare la struttura dove hanno vissuto per oltre quarant’anni. Della questione si è già occupato Maurilio Assenza sul numero di Ottobre di questo stesso giornale, con delle osservazioni che condividiamo pienamente. Noi intendiamo ribadire che trasferire questi malati da un ambiente che sentono ormai parte di loro, è un’azione moralmente disumana; se poi, come pare, dovranno essere portate in strutture private, in tal caso assisteremmo, ancora una volta, al trionfo degli affari e a quel declino dei valori umanistici e cristiani di cui abbiamo detto; al declino, quindi, della nostra civiltà, considerato che quei valori ne sono il fondamento. Trasferire i cosiddetti “ dementi tranquilli” ad altre strutture, senza tenere in considerazione le loro necessità fisiche e soprattutto psichiche, vuol dire effettuare un’abietta mercificazione dell’essere umano. Siamo consapevoli della miseria del tempo in cui viviamo, ma facciamo in modo, nonostante tutto, di non cadere così in basso!
E LE STELLE STANNO A GUARDARE !
Un’altra perla si è aggiunta, in questi giorni, alla già ricca collana intessuta, in questi anni, dai politici del centro destra che governano Modica e la provincia regionale di Ragusa: intendiamo riferirci alle recenti dimissioni dell’Assessore allo Sport e presidente dell’Aapit Nino Minardo, al fine di poter partecipare alle prossime elezioni regionali. Il giovane rampollo della famiglia Minardo – non usiamo, come altri impropriamente hanno fatto, il termine Casato, giacché questo ha ben altro significato – mira dunque ad ottenere un seggio a Palazzo dei Normanni. Diciamo, innanzitutto, che non abbiamo per nulla condiviso le affermazioni del presidente della Provincia, il quale ha dichiarato: “ Prendo atto della sua decisione, lo ringrazio per l’impegno messo in campo in questi mesi di azione amministrativa e, in relazione al suo prossimo impegno elettorale, gli formulo i migliori auguri”. Con tale dichiarazione, il presidente Antoci , di fatto, non ha condannato un modo di fare politica che è offensivo nei confronti di tutti noi, che per fortuna siamo ancora cittadini e non sudditi, che è lesivo dei principi che sono alla base di una società democratica e che è l’espressione di una incoerenza che dovremmo avere il coraggio di combattere e di denunciare. Il presidente Antoci, invece di formulare auguri, avrebbe dovuto redarguire il suo assessore. Alla luce di quanto scrive Gianni Nicita sul Giornale di Sicilia del 16 dicembre, dove sono elencati, in modo preciso e minuzioso, i positivi risultati ottenuti dal Minardo, e considerato che egli stesso si attribuisce “ una politica di promozione del territorio programmata e vincente che sta dando risultati lusinghieri”, noi, che siamo afflitti da una inguaribile ingenuità, non riusciamo davvero a capire perché mai Minardo abbia dato le dimissioni da una carica che ricopriva con tali eccellenti risultati. Sui motivi che lo spingono a lasciare Ragusa per tentare di approdare a Palermo, possiamo soltanto azzardare delle illazioni: si tratta di spirito di servizio verso la collettività? Di obbedienza verso il partito che gli ha chiesto di dare il suo contributo? Di un incontenibile desiderio di avere un palcoscenico più importante, al solo fine di lottare con maggiore autorità per lo sviluppo della sua provincia? Certo gli saremmo grati se egli stesso potesse chiarire come stanno veramente le cose! Confessiamo, tuttavia, di nutrire molti dubbi che ciò possa avvenire. Stiamo ancora aspettando di capire, infatti – sempre a causa della nostra incurabile ingenuità – per quale motivo, nel settembre del 2004, Mommo Carpentieri – per il quale, peraltro, non nutriamo alcuna stima dal punto di vista politico – dovette farsi da parte per cedergli il posto nella giunta provinciale: non ci sembrò per nulla rispettoso dei valori democratici e della volontà popolare che uno sconosciuto dovesse subentrare a chi aveva dimostrato, in altre occasioni, di godere di un ragguardevole consenso elettorale. Le dimissioni di Minardo, stando alla cronaca locale, creeranno non poche turbolenze nella coalizione di maggioranza. Condorelli, Ragusa e Barrera sono indicati come i maggiori pretendenti alla poltrona assessoriale. Nel caso il prescelto fosse Condorelli, entrerebbe in consiglio Franzo Bruno, vicino alle posizioni di Leontini e non del senatore Minardo: a questo punto si aprirebbe uno scenario apocalittico: quale sarebbe la reazione dell’onnipresente senatore qualora dovesse subire un simile sgarbo? Ci fermiano qui, giacché il buongusto e la serietà, che abbiamo la presunzione di attribuirci, ci impediscono di proseguire ulteriormente nella disamina di tali vicende, che sono l’espressione di una politica sterile, povera di contenuti e priva di qualsiasi slancio ideale. Ciò che maggiormente ci preoccupa e ci rende infinitamente tristi è che i cittadini di questa città e di questa provincia, come le stelle, nel celebre romanzo di Cronin, stanno a guardare: non un sussulto di coraggio, non un impeto d’orgoglio che lascino intravedere la fine del pernicioso e devastante sonno della ragione. Non scorgiamo nemmeno un flebile segnale di risveglio. Se ciò accadesse, potremmo dare un po’ di concretezza ai nostri sogni, ai quali non possiamo e non vogliamo rinunciare: liberare la nostra provincia e la nostra Sicilia dal clientelismo, dal nepotismo, dalla fiacchezza morale e dalla incoerenza intellettuale, perché si possa compiere, finalmente, il suo riscatto politico, etico e civile. Per tali motivi, sebbene proposta e sostenuta da un partito che abbiamo sempre avversato, ci auguriamo che la Borsellino possa salire sul gradino più alto dell’isola e che l’inquisito Cuffaro possa finalmente togliere il disturbo: e che si porti via gli amici e gli amici dei suoi amici !