Home Giuseppe Ascenzo 

2003 

 

Aprile 2003

Modica: città dell’apparenza                                                            Dialogo: aprile 2003

 

Maggio 2003 

A Modica una statua costringe a pensare                                         Dialogo: maggio 2003

 

Giugno 2003

Una mostruosa divinita’ : l’azienda Modica                                     Dialogo: giugno 2003

 

Novembre 2003

 Corriamo verso il precipizio,dopo aver messo qualcosa
davanti agli occhi per impedire di vederlo                                       Dialogo: novembre 2003

 

Dicembre 2003
Difensore civico. Deleteria la visione dualistica tra
società e politica                                                                             La Pagina: 12 dicembre 2003
Oggi, una costante cancellazione delle nostre radici                     La Pagina: 28 dicembre 2003              
La civica assise in grembiule                                                         Dialogo: dicembre 2003

                               

 

 

 

Aprile 2003


                                                    Modica: citta’ dell’apparenza

“Osservando gli uomini che allora si dedicavano alla vita politica, e le leggi e i costumi, quanto più li esaminavo, tanto più mi sembrava che fosse difficile partecipare all’amministrazione dello Stato, restando onesto”

(Platone: dalla Lettera VII)

 Queste parole di Platone esprimono il suo acceso risentimento per l’ingiusta condanna di Socrate, nella quale egli intravede la dissoluzione delle leggi e dei costumi di Atene. La condanna di un giusto è sempre un evento traumatico, ma, nella fattispecie, assume una valenza moralmente ancor più deprecabile, giacchè la condanna di Socrate fu decisa da un governo democratico, sebbene, ovviamente, il concetto di democrazia nell’antica Atene avesse un significato ben diverso dall’attuale. Tale vicenda, come gli stesso ricorda, lo indusse a ritenere estremamente difficile fare politica e, nel contempo, mantenersi onesti. E’ l’inizio di una vicenda culturale travagliata e complessa, che si snoda lungo tutto il percorso evolutivo del pensiero occidentale, con esiti eterogenei e talvolta contrastanti: mi riferisco alle riflessioni che, nel corso dei secoli, filosofi, politologi e storici hanno elaborato intorno al problematico rapporto tra politica e morale. A tal riguardo, credo non sia condivisibile la posizione del Machiavelli e del Croce: l’idea della politica come evento a-morale non mi convince, in quanto pone i presupposti di uno scadimento della politica a fatto meramente”tecnico”, privandola, pertanto, di quella dimensione umanistica senza la quale la politica perde la sua stessa ragion d’essere. Ci sono, certamente, nel far politica, aspetti che poco si conciliano con la categoria della moralità, basti pensare agli strumenti utilizzati ai fini del consenso. L’uomo politico, dallo statista all’assessore comunale, vive la difficoltà di saper coniugare l’attività politica con lo spirito di servizio, la coerenza con la carriera, il potere col senso del dovere. E’ una difficoltà comprensibile. L’uomo politico, infatti, per il fatto di essere tale, non si è certo spogliato della sua umanità: la parzialità ontologica, la fallibilità sono caratteristiche strutturali dell’essere umano; sostanziano pertanto la politica, si annidano nei suoi angoli più reconditi, facendo emergere l’opportunismo, la sete di potere, l’incoerenza ideologica. La politica, pertanto, cessa di esistere come attività al servizio di una comunità, perde i connotati del fine per assumere quelli del mezzo. Da essenza diventa fenomeno, apparenza. Non è allora importante ciò che occorre fare, ma l’immagine che la politica deve dare di sé. Le drammatiche vicende internazionali legate all’invasione dell’Iraq stanno lì a provarlo: l’America di Bush deve “mostrare” al mondo, qualunque sia il prezzo, che il più forte ha il diritto di ridisegnare il volto geopolitico del pianeta. Il nostro governo nazionale si regge sul culto dell’ottimismo ad ogni costo, che, non supportato da veritieri riscontri, altro non è che un mito, un’immagine; un’apparenza, appunto! Anche la nostra città, nel suo piccolo, conferma la teoria che ho esposto: vive un’esperienza politica fondata non sull’essere ma sull’ ”apparire”. Gli episodi a conferma di quanto detto non mancano; si pensi all’utilizzo del Duomo di  S. Giorgio per la partecipazione, a dir la verità poco edificante, ad un programma andato in onda qualche tempo fa sulla RAI o all’esperienza, non proprio esaltante, della “Domenica del Villaggio”, programmino nazional-popolare delle reti Mediaset, o, infine, alla cittadinanza onoraria al”Commissario Montalbano”. Un governo cittadino sempre alla ribalta, non c’è dubbio; ma la politica, quella vera, che rinsalda e fa crescere il tessuto morale e civile di una città, e non soltanto quello economico, appare latitante. La spasmodica ricerca dell’ “apparire” soffoca i contenuti pregnanti e reprime i progetti di ampio respiro.  In conclusione, credo che in questo caso abbia ragione Kant e non Hegel: ciò che più conta non è che il bene sia compiuto ma che sia voluto. Io non credo che la peggiore disonestà in politica stia nelle omissioni, nelle scelte sbagliate, nel cercare il proprio tornaconto o nell’opportunismo; non lo credo per i motivi filosofici che ho già esposto.Tutto ciò è biasimevole, certo, ma purtroppo difficilmente evitabile. Non lo credo perché sono convinto che la disonestà più deplorevole non risieda nell’agire; non è legata insomma alla morale, ma all’Etica. L’oggetto sul quale occorre veramente indagare è la motivazione che spinge un uomo a fare politica. E’ la bontà dello scopo che segna il confine tra onestà e frode, tra rettitudine e inganno. Ma qui il discorso si apre a problematiche nuove che meriterebbero uno specifico approfondimento.

 

 

 

 

 

Maggio 2003

 

                                          A Modica una statua costringe a pensare

 

“ Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo; fà che sappiamo aiutarci vicendevolmente a sopportare il fardello d’una vita penosa e breve; che le piccole differenze intercorrenti fra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, che le nostre ridicole usanze, che le nostre opinioni insensate, che tutte le lievi sfumature distinguenti questi atomi chiamati uomini non siano segnacoli di odio e di persecuzioni” ( Voltaire: dal “Trattato sulla tolleranza” )

 Quanto queste parole di Voltaire siano ancora oggi attuali io credo sia a tutti evidente, ma, nel contempo, ritengo sia altrettanto palese la dicotomia tra consapevolezza e volontà: tra l’esser consapevoli, insomma, dell’altissimo valore civile di queste parole e il voler concretizzarle nella propria vita, perché diventino la bussola che sappia orientare l’uomo nel mare tempestoso della convivenza  sociale. C’è tuttavia un rischio: che un pensiero di così alta pregnanza possa perdere il suo significato più profondo se immerso nella palude del qualunquistico “buonismo”, se collocato in una sorta di Iperuranio delle pie intenzioni, se diventa la motivazione con la quale nobilitare pensieri talvolta meschini e atteggiamenti troppo spesso ipocriti. Ma Voltaire vola ben più in alto. Non si tratta, per dirla con Marx, di diventare filantropi o organizzatori di beneficenze; il concetto di solidarietà che emerge dalle sue parole ricorda semmai tematiche di ben  altro livello e atteggiamenti di grande spessore umano e civile: mi riferisco al Leopardi della Ginestra, dove l’uomo rivela la sua grandezza e la sua nobiltà spirituale costituendo un mondo veramente umano, fondato sulla solidarietà nel dolore. E’ necessaria la consapevolezza della nostra miseria ontologica. Guardare l’uomo da una prospettiva cosmica, per coglierne la sua piccolezza e la sua fragilità, e in tal modo scoprire quanto siano ridicoli i suoi deliri di onnipotenza e le sue manie di grandezza, quanto sia goffa la sua convinzione di sentirsi protagonista del tempo e della storia. Non si tratta, inoltre, di annullare le differenze tra gli uomini: concezione purtroppo oggi assai diffusa, che, radicalizzando l’egualitarismo economico, che in quanto tale può anche avere degli aspetti positivi, ha finito per proporre un egualitarismo delle coscienze, delle intelligenze e delle culture, che, se fosse interamente realizzato, condurre l’umanità alla più grande catastrofe della sua storia. Non si tratta, dunque, di annullare le differenze, ma di saperle confrontare e armonizzare, di pervenire alla hegeliana conciliazione degli opposti; ad una superiore sintesi che “tolga” gli attriti  inutili e le contrapposizioni preconcette e “conservando” le differenze le ponga fruttuosamente al servizio del bene comune. Alla luce di quanto detto appaiono davvero paradossali gli innumerevoli episodi di contrapposizione che quotidianamente caratterizzano la nostra città e la nostra provincia. Per ovvi motivi di spazio ne citerò solo due: Comiso, ad esempio, è stata, in quest’ultimo periodo, al centro dell’attenzione per la lite poco edificante tra i “fedeli” della Matrice e quelli dell’Annunziata, la cui reciproca ostilità, già di per sé obsoleta e inutile, è sfociata addirittura in gesti desacralizzanti. Nella nostra città, poi, persino la sistemazione della statua di un santo( un busto bronzeo di San Giovanni Bosco tra le aiuole accanto al Municipio, n.d.R.)costituisce motivo di polemica. Le accuse tra l’attuale Amministrazione e quella precedente( di tale questione si è già occupato Carmelo Modica nello scorso numero di questo giornale), ma soprattutto le motivazioni che ne stanno alla base lasciano intravedere uno spaccato dell’attuale situazione politico-culturale della nostra città che appare a dir poco desolante. La normale dialettica democratica impone il confronto tra forze politiche opposte, talvolta anche lo scontro, purchè questo si mantenga entro i limiti della civile convivenza; ma è fondamentale, per il buon nome della città e per tenere alta la qualità della sua dimensione civile, che tale dialettica si snodi lungo percorsi culturalmente rilevanti e intorno a  problematiche urbanistiche serie. Scriveva Pascal: “ L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo si armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perchè sa di morire e sa la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente. E’ nel pensiero la dignità e la grandezza dell’uomo” Se priviamo dunque il nostro pensiero delle sue connotazioni logiche e razionali e se lo mortifichiamo con contenuti d’infimo spessore, manterremo intatta la nostra miseria e perderemo la nostra dignità.

 

                                  

 

Giugno 2003

 

                                   Una mostruosa divinita’ : l’azienda Modica

 

 “Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, a un’appendice del processo materiale della produzione, senza autonomia e senza sostanza propria”( dalla “Dialettica negativa” di Theodor W. Adorno)

 Ritengo che queste considerazioni di Adorno possano costituire un’occasione di profonda riflessione su ciò che Heidegger definiva il nostro essere-nel-mondo. Sarebbe auspicabile che ciascuno di noi avesse il coraggio d’incamminarsi, senza paura e senza infingimenti, lungo i sentieri, troppo spesso inesplorati e per questo incompresi, della propria interiorità, per scoprire, appunto, l’autentica dimensione del suo essere-nel-mondo. L’alternativa che s’impone è tra l’Avere e l’Essere, tra l’uomo della società opulenta, che per  Fromm, “è solo ciò che ha e ciò che consuma” e l’uomo radicato nella dimensione dell’Essere. Il liberismo esasperato, il neocapitalismo, l’etica calvinista del lavoro, che ha permeato di sé anche Paesi, come l’Italia, di antica e consolidata tradizione cattolica, stanno intossicando le nostre intelligenze e le nostre coscienze, iniettandovi un veleno che ha il sapore aspro del materialismo più becero e del più intemperante egoismo, dimentichi che – come scrisse Marx – “meno si è e meno si esprime la propria esistenza; più si ha e più è alienata la propria vita”. Il tempo della nostra quotidianità è scandito da nuovi riti, simboli di un rinascente paganesimo che non ha più le sembianze antropomorfiche e rassicuranti degli antichi dei, ma il volto gelido ed amorfo del metallo, e le banche, nuovi templi, nascono e si riproducono come i tentacoli di una piovra, mentre i nostri padri, cui spesso guardiamo con aria di stupida sufficienza, edificavano scuole e monasteri, nella consapevolezza che i valori dell’istruzione, dell’educazione e della spiritualità sono quelli che ci qualificano come uomini,  sotto il profilo morale e intellettuale. Una civiltà come la nostra, nella quale la meta suprema è l’Avere, e la logica che la sostanzia è quella del profitto, è destinata ad autodistruggersi; come osserva giustamente Horkheimer, la pretesa è quella che l’uomo eserciti il suo dominio sulla natura, ma la conclusione è il dominio dell’uomo sull’uomo, giacchè non è possibile sfruttare la natura dal punto di vista economico e produttivo senza che alcuni uomini ne sfruttino degli altri. E’ triste constatare che l’attuale Governo italiano sta spingendo il nostro Paese in tale direzione; un Presidente del Consiglio, che definisce l’Italia un’azienda e che individua nella capacità di produrre di più l’elemento che qualifica  positivamente uno Stato, non è degno, moralmente e politicamente, di essere il nocchiero di una nave che, ben lungi dall’essere un’azienda, è in primo luogo una Nazione, una comunità di persone accomunate dalla stessa storia e dalla medesima tradizione, dalla stessa lingua e da un comune sentire. Purtroppo, come ho già avuto modo di scrivere, il liberismo sfrenato, con le sue implicazioni materialistiche e consumistiche, che regna, incontrastato, a Palazzo Chigi, fà sentire i suoi malefici effetti anche in periferia e pertanto anche nella nostra città. Per un po’ di tempo, ad esempio, è sembrato che i destini di Modica fossero legati alla risoluzione della diatriba sorta tra l’associazione dei commercianti e quella del polo commerciale; siamo stati anche più volte rassicurati, senza che, per la verità, ne sentissimo il bisogno, circa l’insediamento a Palazzo San Domenico di un tavolo tecnico tra Comune, esercenti e sindacalisti. Chi scrive non ha alcuna intenzione di entrare nel merito della questione, anche perché sarebbe contraddittorio con quanto appena detto, ma soltanto il desiderio di far notare a coloro che ci amministrano che ridurre la politica a fatto  meramente ed esclusivamente economico non può non condurre in quel baratro, che è insieme ideologico e morale, di cui ho detto. Non sono, ovviamente, così sprovveduto da non tenere in debito conto la situazione commerciale e produttiva della città, ma Modica, per la sua storia politica e culturale, merita ben altro. Promuovere lo sviluppo economico della città che si governa è un fatto di per sé positivo, farne la ragion d’essere dell’azione politica è fuorviante e negativo. Il turismo, il polo commerciale, la zona artigianale sono in cima ai pensieri dei nostri amministratori, ma, per quanto siano realtà importanti e necessarie, se assolutizzate rischiano  di farci impantanare, tutti, nella palude di una visione materialistica, e dunque gretta, del vivere comune, e, col tempo, di ridurre i cittadini dell’antica Contea ad ingranaggi “senza autonomia e senza sostanza propria” di un meccanismo economico-produttivo che mercifica tutto, persino l’esistenza. C’è un patrimonio storico-culturale da recuperare, un senso civico da ricostruire, una spiritualità da far rifiorire; non vorremmo che tutto ciò fosse sacrificato sull’altare di una nuova, mostruosa divinità: l’azienda Modica!

 

 

 

 

 

 

 

 

Novembre 2003

 

               “Corriamo verso il precipizio,dopo aver messo qualcosa davanti agli occhi
                                                     per impedire di vederlo"
dai "Pensieri" di B.Pascal

 Utilizzo questa frase di Pascal per esporre delle considerazioni intorno alla complessità che caratterizza il rapporto tra masse e potere politico.Cito il pensiero di Pascal, pertanto, nella piena consapevolezza che egli intendeva riferirsi a tutt'altro, ossia alla evidente contraddizione nella quale si trovano impigliati gli uomini, i quali ritengono di liberarsi della loro miseria non pensandoci, immergendosi nelle occupazioni quotidiane, e così, liberandosi del pensiero, si privano dell'unica cosa che avrebbe potuto affrancarli dalla loro miseria e conferire dignità alla loro esistenza. Non è questa ovviamente la sede per affrontare in modo approfondito una tematica come quella inerente al rapporto tra potere e psicologia di massa, tuttavia è però possibile tracciare delle linee interpretative, nella speranza che ciò possa magari avviare un proficuo scambio di idee e di valutazioni. E' molto diffusa l'idea che la manipolazione delle masse sia un fatto legato, soprattutto, alla contemporaneità e ai totalitarismi; in effetti così non è, lo dimostrano le società teorizzate o realizzate nel corso dei secoli. Per quanto riguarda le prime, si ricordi, ad esempio, lo Stato vagheggiato da Tommaso Moro, in cui in cittadini avrebbero dovuto lavorare non più di sei ore al giorno, dedicando il resto del loro tempo alle lettere o al divertimento, e intanto non si sarebbero accorti che il paradiso terrestre in cui credevano di vivere li avrebbe privati  di due tra le più importanti libertà verso le quali anela ogni essere umano: quella economica e quella di pensiero.Si pensi alla celebre”Città del Sole”del Campanella,che altro non era,in realtà,che un progetto politico che mirava alla instaurazione di una società autoritaria e per di più teocratica. Ricordiamo poi l'evento più importante della storia moderna: la Rivoluzione Francese, della quale, ovviamente, non si mette in discussione nè l'importanza nè il merito d'aver posto le condizioni per la successiva affermazione delle moderne società liberal-democratiche, ma non v'è dubbio che la continua creazione di miti e simboli e l'utilizzo costante degli strumenti della propaganda ideologica servirono a guadagnare l'attenzione e il consenso della pubblica opinione, nel tentativo, non riuscito, di porre in secondo piano cruente lotte di potere, massacri e meschini interessi economici. Naturalmente, la realizzazione di tali dinamiche, mi riferisco al potere politico che sa impadronirsi dell'incondizionato appoggio delle masse, è assai più evidente nei regimi totalitari del secolo appena trascorso. L'esasperazione di concetti di per sè positivi, come la Patria, la diversità, l'appartenenza ad una comunità nazionale, l'uguaglianza sociale, l'idea, insomma, che lo Stato fosse in grado di realizzare un'autentica palingenesi e dunque potesse consentire ai cittadini la loro piena realizzazione morale e sociale, tutto ciò - e non lo scopro certamente io - altro non fu che uno strumento di manipolazione delle masse. Convincere i tedeschi di appartenere ad una razza superiore, persuadere gli italiani che il sole dell’Impero sarebbe tornato a splendere sui colli fatali di Roma o promettere a milioni di abitanti della vecchia Russia che ogni ingiustizia sociale sarebbe stata abolita cos'altro è stato se non un maldestro tentativo d'impedir loro di vedere il precipizio verso cui lo Stato li stava drammaticamente conducendo. Anche le democrazie occidentali, ovviamente, non sono esenti da colpe per quel che riguarda la problematica di cui stiamo trattando.La complessità dell’argomento è tale che,per evidenti motivi di spazio,non posso,almeno per il momento,occuparmene. E veniamo alla nostra città. Chiarisco subito, a scanso d'equivoci, che è ben lungi dal sottoscritto l'idea di accusare i nostri amministratori di manipolare le coscienze dei cittadini modicani, tuttavia questa amministrazione sta facendoci correre, sebbene certamente in buona fede, un grosso rischio: quello di "mettere qualcosa davanti agli occhi per impedire di vedere il precipizio", che, nella fattispecie, è sicuramente non drammatico, ed assume i connotati dei gravi e seri problemi che affliggono la città. Abbiamo assistito, quest'estate, ad un'altra edizione del Palio della Contea, una manifestazione piacevole e coinvolgente, anche se storicamente assai discutibile, siamo andati su e giù per le quattro colline, abbiamo apprezzato le manifestazioni connesse alla riscoperta delle vie e dei quartieri della città, un po' meno ciò che è stato fatto a  piazza Rizzone, e, ancor meno, in verità, le attività legate al poeta Salvatore Quasimodo; su tale questione ritengo che forse sia giunto il momento che la città si liberi di quella che sinceramente considero una sorta di appropriazione indebita: un grande poeta che personalmente ammiro, ma modicano per pura fatalità e soprattutto un uomo che non manifestò mai alcun sentimento di affetto per la sua città natale e alla quale si sentì costantemente estraneo. Non si tratta, ovviamente, di porre nell’oblio i natali del poeta; ci mancherebbe! ma di trarre dall’oblio in cui è finita la consapevolezza che, nella vita e nell’opera del poeta, Modica ha avuto un ruolo sicuramente assai marginale, ed è per tale motivo che le innumerevoli e smodate celebrazioni  hanno il sapore di un deplorevole e goffo provincialismo. A parte la questione Quasimodo, che non nasce certamente con questa amministrazione, che però ha il torto di perpetuarla, tutte le iniziative delle quali ho parlato sono valide e produttive, si pensi in particolare a quelle legate al riconoscimento ottenuto dall'UNESCU: il problema non credo stia nel merito, ma nel metodo. Se propagandate ed esaltate con cadenza quotidiana e con spropositata intensità (anche quando i meriti andrebbero equamente divisi con chi ha precedentemente governato, vedi la recente inaugurazione della nuova scuola media di Frigintini) c'è il rischio, assai concreto, che possano distogliere la nostra attenzione dai gravi problemi che non hanno trovato ancora una soluzione o che, se l'hanno trovata, con  grave e ingiustificato ritardo: mi riferisco alla nomina del primario del reparto cardiologico dell'Ospedale Maggiore, alla mancanza, mi pare, presso lo stesso, di una apparecchiatura per la risonanza magnetica, e, considerato il bacino di utenza del nosocomio modicano, non mi pare una questione da poco. Si pensi, ancora, al traffico caotico, soprattutto nel quartiere Sacro Cuore: molte promesse, ma una circolazione ordinata e razionale resta ancora una chimera. Non è da dimenticare poi la mancata costruzione del nuovo carcere che impedisce ai modicani e ai turisti di apprezzare quell'autentico gioiello architettonico che attualmente lo ospita, la mancata realizzazione del Parco di Monserrato e il problema del Tribunale: la costruzione del nuovo edificio non deve far passare sotto silenzio il fatto che tra un paio d'anni potrebbe chiudere i battenti. E, infine, la realizzazione degli impianti sportivi nei principali quartieri della città, dei quali non abbiamo ancora notizie, nonostante le innumerevoli promesse in campagna elettorale. Poichè tali critiche non nascono da una preconcetta ostilità verso questa amministrazione, ma soltanto dal desiderio che Modica sia governata con equilibrio e competenza, a dimostrazione che mi ritengo libero da pregiudizi di sorta, voglio concludere queste mie considerazioni ringraziando il sindaco per la ferma posizione assunta a proposito della costruzione della ormai celebre megavilla che avrebbe deturpato il vecchio quartiere ebraico della città ed esprimendo il mio apprezzamento per la sua decisione di contrastare la posizione assunta dalla Soprintendenza, e mi chiedo come sia stato possibile (forse sarebbe il caso che la dottoressa Basile finalmente desse ai modicani una spiegazione chiara e convincente sull'intera vicenda) che la persona che la presiede abbia dato il suo parere favorevole a quello che sarebbe stato un autentico scempio urbanistico e paesaggistico.

Dicembre 2003

                       

                          Difensore civico. Deleteria la visione dualistica tra società e politica

In questo periodo, la futura elezione del difensore civico è al centro dell'attenzione sulla stampa locale e non solo; come cittadini siamo tutti interessati agli sviluppi della vicenda. Naturalmente, la problematica più dibattuta è quella riguardante il rapporto fra il governo cittadino e il difensore civico in quanto espressione della cosiddetta "società civile". A tal proposito, registriamo alcune osservazioni del Sindaco che ci lasciano alquanto perplessi. Egli ha infatti asserito: "La società civile non può prevaricare sulla politica; la scelta (del difensore civico) non può essere vincolata da un organismo; occorre salvare le prerogative del civico consesso". Credo sia abbastanza evidente che tale visione dualistica del rapporto tra società e politica è deleteria per quel che riguarda la concezione e la gestione del potere, che non è chiamato a fagocitare tutto ciò che è altro da sé, ma a porre le scelte decisionali che da esso derivano al servizio della collettività. Ma tale concezione è soprattutto fragile dal punto di vista filosofico, in quanto si rivela un'autentica aporia, nella misura in cui le conclusioni alle quali si intende pervenire sono già logicamente inaccettabili in partenza, perché palesemente contraddittorie. La società civile non può prevaricare sulla politica per il semplice motivo che è quella che genera questa, e, secondo le leggi della normale dialettica democratica, deve non soltanto controllarla ma addirittura orientarla. Non c'è bisogno di scomodare Popper, spero, per ricordare che non c’è democrazia se i governati non sono posti in condizione di vigilare sull'operato dei governanti, per impedire "che governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno". La società civile non esprime la politica perché questa poi si ponga, come un antico maniero, su una rocca inaccessibile e impenetrabile: non è certo questa la prerogativa del civico consesso, ma dar conto e ragione ai cittadini del proprio  operato, sempre e in ogni circostanza. Mi  ha inoltre assai meravigliato l'osservazione del capogruppo dei democratici di sinistra, persona assai distante da me politicamente, ma che stimo per la sua preparazione, il quale asserisce essere penoso il fatto che ci siano delle candidature marcatamente politiche. Non condivido le osservazioni del prof .Barone, non perché non sollevino un fatto che di per sé è certamente vero, ma perché o sono l'espressione di un pensiero distorto e confuso di ciò che s'intende col termine politica o sono la manifestazione di un uso strumentale di un dibattito che meriterebbe sicuramente maggiore attenzione. Poiché ritengo che la prima ipotesi sia poco probabile, considerata l'intelligenza e la cultura del nostro, non resta che dar credito alla seconda. Barone contrappone a un difensore civico espressione delle forze politiche una figura che "dovrebbe invece essere competente nell'area giuridica": come dire, dunque, che tali competenze metterebbero il futuro difensore civico al riparo da pericolose contaminazioni politiche. Si invoca, insomma, un professionista a-politico, il che mi sembra paradossale, considerato che ciò è sostenuto proprio da un professionista che fa politica e per giunta attiva; dannoso, perché ci ritroveremmo con un difensore civico privo di orientamento politico e dunque qualunquista; utopistico, infine, giacché è impensabile, soprattutto oggi che la politica si annida, talvolta a sproposito, in tutti i gangli della società civile, invocare una figura super-partes, categoria che appartiene più al mito che alla realtà. Ritengo che tutte le opinioni che sono state espresse, alcune condivisibili, altre criticabili, difettino tutte d'un vizio d'origine, che è quello di guardare al dato oggettivo della questione (la nomina del difensore civico), in termini filosofici diremmo al fenomeno, mentre occorrerebbe, per dirla con Schopenhauer, squarciare il famoso velo di Maya, per cogliere ciò che il fenomeno nasconde, quel che si cela e non appare: il degrado della politica; il trasformismo che la corrode e la inquina, l'arroganza che la svilisce e la involgarisce, l'opportunismo che la rende inetta e mediocre. La causa di tutto ciò risiede nel fatto che la politica, da un pezzo, ha cessato di configurarsi come servizio alla collettività e con esso più non costituisce un binomio indissolubile e virtuoso, per diventare il luogo ove s'incontrano e si fondono, in un abbraccio perverso e letale, sete di denaro e di potere, ambizioni e voglia di riscatto sociale. Poiché la politica vive la situazione di degrado che ho sopra descritto e poiché è in grado d'inquinare le coscienze, anche le più cristalline, il vero problema nella nomina del difensore civico non è che sia fazioso o super-partes, che sia competente nell'area giuridica o in quella della promozione e della tutela dei diritti dei cittadini, esso è piuttosto nel creare le condizioni perché le candidature scaturiscano dal desiderio autentico di servire la cittadinanza. Ridurre il compenso previsto (ci auguriamo che quella dei sessantamila euro annui sia soltanto una voce infondata e che pertanto tale scandalo non abbia a verificarsi), ridimensionare l'apparato di potere (si parla di un ufficio con tre impiegati alle sue dirette dipendenze); insomma puntare di più sul ruolo del servizio ai cittadini che sul conseguimento di un conveniente obiettivo politico e soprattutto  economico: tutto ciò potrebbe essere un valido strumento per non indurre in tentazione e perché anche in occasioni poco eclatanti, come le vicende politiche di ambito locale, la questione morale sia sempre considerata un dato qualificante e soprattutto imprescindibile.

 

 

                                        Oggi, una costante cancellazione delle nostre radici


Franco Antonio Belgiorno ha scritto sul Giornale di Sicilia del 16 Novembre: "E tuttavia il retaggio del  "baciolemani" sopravvive nei nipoti di quei contadini che oggi si trova a dirigere le sorti della città: forse compie senza volerlo lo stesso gesto del padrone di un tempo, che sfruttava e prometteva". E' un'osservazione che mi ha fatto riflettere, inducendomi a delle considerazioni che voglio sottoporre ai nostri lettori. Non v'è dubbio che i nipoti hanno molte colpe da farsi perdonare, non ultima, credo, quella d'aver tradito gli avi, nel senso d'aver posto nell'oblio il retaggio di una cultura antica e genuina, intrisa d'una sapienza arcana che sgorgava dalla vita e d'una concretezza sana ed efficace; una cultura che s'apriva alla solennità dei gesti e alla sacralità della parola. Molti di quei nipoti, oggi, sono al governo della città. In tutto ciò, ovviamente, non ravvisiamo nulla di esecrabile, giacché  il desiderio dell'affermazione personale e l'aspirazione al riscatto sociale sono dati accettabili e condivisibili. Ciò che invece non condividiamo affatto è la costante cancellazione delle proprie radici, sepolte fra le ragnatele della dimenticanza  e dell'indifferenza, ormai scomparse nei meandri della nuova civiltà in cui viviamo: industrializzata, consumistica, massificante. Noi riteniamo che Modica, oggi come non mai, abbia l'improrogabile necessità di attingere dalle sue campagne, d'incomparabile bellezza, il seme della sapienza e il profumo della genuinità. Non si tratta, ovviamente, è quasi superfluo ricordarlo, di riportare la città in una dimensione che non le può più appartenere, giacché sarebbe paradossale e assurdo; ma di recuperare valori e modalità d'essere che, pur guardando al futuro, le consentirebbero di crescere in modo ordinato e non caotico, decoroso e non volgare, semplice e non arrogante. Credo che le scelte di questa Amministrazione, e soprattutto le modalità della loro realizzazione, stiano infliggendo un colpo mortale all'anima - quella vera, non quella che appare- di questa città. Ciò che Modica ha ereditato dalla cultura iblea, in termini di tradizione contadina, e che ha saputo per tanti anni conservare, oggi viene disinvoltamente dilapidato proprio da quei "nipoti" che più d'ogni altro avrebbero dovuto custodire e preservare. La concretezza è quotidianamente offesa e lacerata dalla cultura dell'apparenza; sull'argomento ho già scritto abbastanza e non credo sia il caso di ripetermi, ma certo questa Amministrazione non fa nulla per smentirci. Non parliamo poi della sovraesposizione mediatica di sindaco e assessori, che, soprattutto in quest'ultimo periodo, è diventata intollerabile e della spropositata pubblicità riservata anche agli eventi più inutili e insignificanti: si pensi alla stampa locale che con cadenza quasi quotidiana ci ha costantemente ricordato di sintonizzarci tutti quanti su Canale 5, alla mezzanotte del 14 Dicembre, perché per ben "cinque minuti" la nostra città sarebbe stata alla ribalta nazionale. Per tale motivo è stato  legittimo chiedersi: Per la storia dell'antica Contea? Per lo splendore dei suoi palazzi barocchi? Per la musica del Floridia? Per la filosofia dell'Ottaviano? Nossignori! Per il cioccolato e il pane casereccio!Se l'apparenza ha soppiantato la concretezza, la volgarità sembra aver distrutto il decoro e la semplicità. Basti per tutti la recente Festa dei sapori. Gli atri degli antichi palazzi profanati dal tumazzu e dalle fave (A tal proposito vorrei ricordare all'Amministrazione comunale che ogni antico palazzo trae la sua denominazione dal cognome di chi lo ha edificato e non di chi ne è entrato successivamente in possesso, per acquisto o eredità; sarebbe dunque ora che il governo cittadino si attivasse per rimettere le cose al loro posto); l'anonimo sciamare degli ignari modicani, i cosiddetti "artisti di strada" che hanno offerto uno spettacolo della cui mediocrità ci siano tutti accorti, e, infine, l'uscita dal palazzo del potere, con successiva sfilata in pieno centro, dell'assessore regionale, del sindaco e di qualche assessore comunale, una scelta in cui non ravvisiamo, davvero, né stile, né signorilità. Tutto ciò ha defraudato Modica della sua dimensione aristocratica e cittadina, per conferirle i tratti di un volgare paesotto di provincia, con le famigliole vestite a festa, i bambini coi palloncini, e gli adulti a masticar tumazzu e fave cottoie.Se i nipoti di quei contadini avessero più riguardo per quel mondo di affetti e di valori che hanno ormai dimenticato, potrebbe nascere a Modica una speranza nuova: le prospettive di lavoro per i nostri giovani, il recupero della religiosità nel suo significato più ampio, la politica per la famiglia, il sostegno ai bisognosi, il rilancio della cultura. Insomma, la politica del fare e non del dire, dei gesti concreti e non delle promesse demagogiche. Leggo su "La Sicilia"  dell'8 Dicembre quanto dichiarato dai segretari dell'attuale maggioranza: "E' innegabile che oggi la città è assurta all'attenzione nazionale e internazionale, uscendo dall'anonimato in cui l'avevano relegata dieci anni di amministrazione di centrosinistra". Ecco, io ritengo che tale asserzione sia davvero illuminante ai fini della comprensione di quale sia il gigantesco limite di chi attualmente governa la città: la convinzione che far politica sia portare Modica alla ribalta nazionale. E' la politica della forma e non dei contenuti, e, come tale, è una politica inconsistente e vuota. Ciò che conta non è che Modica sia alla ribalta, ma le motivazioni che ve la conducono. Si continui pure a propagandare tumazzu e fave cottoie, ma si abbia il buon gusto di relegare tutto ciò nella dimensione che gli compete; e si sappia, soprattutto, che sono tanti i modicani che sanno guardare oltre le interviste e i riflettori, al di là dei proclami e delle feste e che sono in grado, pertanto, di appurare se dietro tutto questo c’è l'essere o ilnulla!

 

 


                                                     La civica assise in grembiule

“Agisci in modo da considerare l’umanità,sia nella tua persona,sia nella persona di  ogni altro,sempre come scopo e mai come mezzo”
Kant   “Critica della Ragion Pratica”

 

In quest'ultimo periodo, sulla stampa locale, più d'una volta, ci è stata propinata  una notizia che, sinceramente, avremmo volentieri fatto a meno di leggere,  una notizia che ha suscitato in noi un duplice sentimento: un bonario sorriso, prima, e un senso di sgomento, poi, al subentrare dell'analisi attenta e ponderata dei fatti: intendo riferirmi all'insediamento del sindaco, assessori e consiglieri "baby" e alla successiva protesta dei genitori per presunte irregolarità nelle votazioni. Premetto che ho sempre nutrito molte perplessità sulla bontà dell'iniziativa, non soltanto per il suo carattere intrinsecamente demagogico, ma soprattutto per i suoi risvolti pedagogici che considero altamente nocivi. Ho scritto,sulle colonne di questo stesso giornale, che le mie ripetute critiche a questa amministrazione non nascono da una ostilità preconcetta, ma dal desiderio che Modica sia governata con competenza ed equilibrio. Giacché quest'ultimo, soprattutto, appare sempre più latitante nella quotidiana amministrazione della città, sono costretto, mio malgrado, a ripetermi, ed a sottolineare, ancora una volta, che questa amministrazione continua, imperterrita, a proporci la politica dell'apparire e non dell'essere.
Scriveva Erich Fromm: "Essere significa dare espressione alle proprie facoltà e ai propri talenti, alla molteplicità di doti che ogni essere umano possiede; significa rinnovarsi, crescere, amare, trascendere il carcere del proprio io". Significa dunque affrancarsi da una visione gretta ed egoistica della vita, andare verso l'altro con la consapevolezza che tale incontro può sempre costituire occasione di reciproco arricchimento. Sarebbe davvero  qualificante per gli amministratori e salutare per gli amministrati, se la politica facesse suo il grande insegnamento kantiano di considerare gli altri sempre il fine e mai il mezzo delle nostre azioni. Ritengo che la politica, quella vera, che sa farsi interprete delle istanze dei cittadini e sa proporre validi progetti per la loro risoluzione, abbia abbandonato i vicoli, le strade e i quartieri della città, coi loro mille problemi e con le loro mai sopite speranze, e si sia smarrita nella dimensione aleatoria dell'immagine; che si sia persa  tra le prelibatezze del nostro cioccolato e il profumo del nostro vino, tra emozioni barocche e sagre culinarie, nelle quali, l'unico odore che riusciamo a sentire è quello malsano della propaganda e della demagogia. Ma quali reconditi e nobili significati dovremmo scorgere in questa fanciullesca competizione, che proietta i nostri figli in una realtà virtuale e pertanto alienante, e che propone loro ruoli immaginari e li catapulta in un mondo che non gli appartiene. Tutto ciò avrebbe potuto anche avere qualche aspetto positivo, se avesse  assunto le sembianze rassicuranti di una dimensione fiabesca; purtroppo, però, ai bambini modicani nessuno si è premurato di spiegare che trattasi di un gioco come un altro, anzi, al contrario, s'è fatto di tutto per ungere l'evento col crisma della massima ufficialità. Evidentemente non bastano i danni che il duo Berlusconi-Moratti sta drammaticamente infliggendo agli alunni della scuola elementare, si pensi alla famigerata triade inglese-internet-impresa, che nel tempo finirà per rubare i sogni ai nostri figli, depredandoli del loro mondo, ch'è giusto sia fatto di giochi e fantasie, per farne dei manager in miniatura e domani dei solerti funzionari al servizio del mercato e dell'economia globale. Davvero non sentivamo il bisogno che il nostro governo cittadino desse il suo contributo al devastante itinerario pedagogico perseguito dal governo nazionale. Ma c'è un secondo aspetto della vicenda che non è meno preoccupante del primo. Non mi riferisco ai presunti brogli elettorali: bastano e avanzano quelli veri! Mi riferisco al ruolo dei genitori che hanno lamentato procedure poco chiare nell'espletamento delle votazioni e che hanno ritenuto opportuno far sentire la loro protesta. Insomma, anche loro, come i figli, son stati travolti da questo clima da competizione elettorale, e son partiti, lancia in resta, come fossero nuovi crociati, a liberar le sacre urne da trappole ed imbrogli. C'è da rimanere sbigottiti e sgomenti! Fiumi di immagini bugiarde e di parole mistificanti ci travolgono quotidianamente, e trasformano in eroi degli onesti lavoratori in divisa (della cui morte ci rammarichiamo ovviamente come tutti) e la base di Nassiriya in un simbolo di pace. In Molise crollano le scuole e con queste, tra le macerie, i sogni e le speranze di quelle piccole vittime innocenti. Da due anni sopportiamo l'intollerabile retorica dell'11 Settembre: ancora una volta, il cosiddetto mondo civile, non contento delle discriminazioni sulle quali fonda la propria nauseante opulenza, si cimenta persino nella incivilissima arte della discriminazione post-mortem. Dovremmo chiederci, infatti, per quale arcano mistero tre mila morti americani debbano cambiare il mondo, che però può tranquillamente rimaner se stesso se a morire sono quei poveri cristi che disperatamente si abbracciano alle nostre coste nella speranza di sfuggire alla miseria che li opprime o quei poveri diavoli dei curdi senza più una Patria e senza identità. Dovremmo chiederci qual è l'arcano mistero che fa commuovere Bush per la sorte del popolo iracheno a tal punto da scatenare l'inferno che vediamo pur di liberarlo dal despota che l'opprime, ma, nel contempo, lo rende glaciale e impassibile dinanzi alle non meno atroci sofferenze del popolo ceceno. Drammi mondiali, si dirà, ma questo non ci esime dal sentircene tutti responsabili. Anche perché tutto ciò, lo si voglia o no, condiziona il nostro vivere quotidiano. Il mondo non è più lo stesso non perché tremila americani muoiono tra le macerie di un grattacielo (dico questo ovviamente nel massimo rispetto delle vittime). Il mondo è cambiato, e per sempre, sessant'anni fa, dopo Hiroshima e Nagasaki. E' cambiato perché abbiamo edificato la società del diritto sulle macerie del dovere, perché abbiamo insegnato  ai nostri figli l'importanza dell'avere e non dell'essere, della competizione e non della solidarietà; perché abbiamo smarrito il senso dell'equilibrio e della misura. Per tale motivo, se su questa vicenda della civica assise in grembiule calasse il sipario, e dunque si recuperasse il perduto senso della misura, credo che potremmo dare ai nostri ragazzi una lezione di stile e un messaggio altamente educativo

 

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