Home Giuseppe Ascenzo 

2004  

 

 

Gennaio 2004            
L’oligarchia mercantile                                                                 La Pagina: 12 gennaio 2004

Manca la dialettica democratica                                                    La Pagina: 28 gennaio 2004

 Un pessimismo dialettico, vitale e coraggioso                             Dialogo: gennaio 2004

 

Febbraio 2004          

Mentre a Roma si discute, Sagunto brucia                                   Dialogo: febbraio 2004

Piano triennale delle opere pubbliche                                           La Pagina: 12 febbraio 2004

Riti satanici. Perché!                                                                     La Pagina: 28 febbraio 2004

 

Marzo 2004              

 L’arroganza e la prepotenza dei numeri                                      La Pagina: 12 marzo 2004
Una carezza per guarire                                                                La Pagina: 28 marzo 2004

Le pretese dell’onorevole                                                              Dialogo: marzo 2004

  

Aprile 2004              

L’ultimo sorriso di Francesca                                                       La Pagina: 28 aprile 2004

 

Maggio 2004             

Il fumo e l’arrosto                                                                        La Pagina: 12 maggio 2004

La crescita di una città non può dipendere
da logiche mercantilistiche                                                          La Pagina: 28 maggio 2004
La trasmigrazione dei consiglieri                                                 Dialogo: maggio 2004

 

Giugno 2004             

Esami di Stato, si raccomanda di vigilare                                    La Pagina: 28 giugno 2004

Uno spettacolo sgradevole e sconfortante                                    Dialogo: giugno 2004

 

Luglio 2004              

La poltrona nello stemma                                                             La Pagina: 12 luglio 2004

 I commercianti ordinano, il sindaco obbedisce                           La Pagina: 28 luglio 2004

 

Settembre 2004

Il teatrino della politica                                                                La Pagina: 12 settembre 2004

Giù le mani dalla scuola                                                               La Pagina: 28 settembre 2004

 

Ottobre 2004

Un monumento all’inefficienza                                                   La Pagina: 12 ottobre 2004

La storia e l’oblio: i morti di Acate                                             Dialogo: ottobre 20045

 Nelle stanze delle segreterie politiche                                        La Pagina: 28 ottobre 2004

 

Novembre 2004

La resurrezione della DC                                                             La Pagina: 12 novembre 2004

La memoria corta di sindaco e assessore                                     Dialogo: novembre 2004

L’intolleranza dei presunti tolleranti                                            La Pagina: 28 novembre 2004

 

 

 

Dicembre 2004

L’indigenza e l’ottimismo                                                                       La Pagina: 12 dicembre 2004

Non calpestiamo i principi democratici
nel nome della Democrazia                                                                     La Pagina: 28 dicembre 2004

Riprendiamoci la citta’:liberare Modica dai mediocri

 è un inderogabile dovere morale                                                            Dialogo: dicembre 2004

 

 


Gennaio 2004
                                               

                                                       
  L’oligarchia mercantile

Ancora una volta, come purtroppo accade ormai da diversi anni, la nostra città è vilipesa da una realtà che la stringe e l'attanaglia in una morsa impietosa e soffocante: quella del commercio e dei quattrini. Nulla sfugge all'imperante legge della domanda e dell'offerta, che, dismessi i panni di mera questione d'affari, si erge, sempre più altera ed arrogante, come fosse una nuova sibilla, ad annunciare a noi poveri mortali la volontà del dio denaro, coi suoi responsi inanimati e freddi, a dispensar sentenze e decisioni per una città che sta perdendo il cuore, per la sua gente sempre più smarrita nella frenesia degli acquisti, nel vortice del traffico, nell'assenza del dialogo. Noi non ci illudiamo che i ritmi frenetici e assordanti che scandiscono il tempo del nostro vivere possano consentirci di riappropriarci di uno stile di vita ormai perduto, ma non possiamo permettere che le occasioni d'incontro e di dialogo, seppur brevi e occasionali, debbano essere sacrificate, anch'esse, sull'altare del mercato; e non possiamo tollerare che le esigenze economiche dei pochi debbano compromettere i desideri e le aspirazioni dei molti, non soltanto per non disperdere il sacrosanto diritto alla democrazia, ma soprattutto perché le aspirazioni ideali hanno una valenza etica che difficilmente riusciamo a scorgere nel mondo degli affari. Per tale motivo, ben venga la chiusura del centro storico nelle ore serali dei giorni festivi: i modicani hanno il diritto di riscoprire, nella loro imponente bellezza, chiese e palazzi, che la vita convulsa di oggi forse non ha mai consentito loro di osservare e apprezzare, hanno il  diritto di riappropriarsi della loro città, di dialogare guardandosi negli occhi, di riascoltare il rumore dei loro passi e del loro parlottìo, per riscoprire sensazioni ormai perdute, ma che appagano lo spirito, e poco ci importa, davvero, se nelle tasche di qualcuno sarà meno squillante il tintinnio dei quattrini. Apprendiamo dalla stampa locale che i commercianti del centro storico si sono risentiti del fatto che  la decisione dell'Amministrazione comunale di chiudere al transito il corso Umberto nelle ore serali sia stata presa senza il loro preventivo consenso. Non essendo competenti in simili questioni, poniamo le nostre obiezioni ma col beneficio d'inventario: se il governo cittadino è tenuto, in questi casi, a consultare gli operatori economici, allora non abbiamo alcunché da ridire, ma se tale obbligo non ha, la loro pretesa ci appare  pretenziosa ed arrogante, soprattutto se sostengono, con tono perentorio, che della vicenda "se ne dovrà parlare subito dopo le festività" . Non intendiamo, ovviamente, sottovalutare l'importanza delle attività commerciali cittadine, ma riteniamo che, ancora una volta, lo spropositato prevalere d'un estremo mortifica il giusto mezzo d'aristotelica memoria. Credevamo di vivere in democrazia. Constatiamo amaramente che da qualche tempo, a Modica, vige un sistema che ha tutti i connotati di una sorta di mercantile oligarchia, dove la volontà dei pochi s'impone sul volere e sulle aspettative dei molti. Di tutto ciò abbiamo già fatto esperienza qualche anno fa e ne sopportiamo ancora le nefaste conseguenze. Ci riferiamo alla impossibilità di rendere ordinato e scorrevole il traffico veicolare nelle principali vie della città nuova: la precedente Amministrazione tentò di risolvere la questione attraverso l'istituzione dei sensi unici che avrebbero potuto finalmente rendere armonioso il traffico e meno nevrotica la nostra vita, ma, come tutti sappiamo, dovette recedere; anch'essa fu costretta ad inchinarsi al potere oligarchico cui evidentemente spettano le decisioni ultime e irrevocabili. Noi non mettiamo in discussione l'importanza del commercio e nutriamo il massimo rispetto per coloro che lo esercitano, ma, come in tutte le cose, crediamo che la soluzione migliore stia nel creare efficaci modelli di vita ed una equilibrata organizzazione della struttura sociale. Intendiamo dire che una città cresce, sotto il profilo culturale e civile, quando tutte le sue componenti sanno realizzare un'arricchente e produttiva osmosi, quando tutte le categorie, dagli operatori economici a quelli culturali, godono di pari dignità, e tutte concorrono, senza penalizzazioni e senza privilegi, al bene della collettività. Per tale motivo, crediamo sia giunto il momento che a Modica tramonti, e per sempre, l'attuale e opprimente oligarchia. Per tale ragione auspichiamo la rinascita di un autentico spirito democratico che restituisca pari dignità a tutti e che il binomio commercio-affari cessi di essere l'elemento discriminante. Una città che vuole mantenere alto il suo profilo, per essere degna del suo passato e della sua storia, deve puntare su altri obiettivi ed altri valori. Non può essere il vile denaro l'anima del suo presente e il fondamento sul quale edificare il proprio futuro, perché il tal caso l'unico risultato che otterrà sarà quello di diventare ogni giorno più misera e sempre più volgare.

 

 

 

                                           Manca la dialettica democratica

Quando la politica viene correttamente realizzata, anche in ambito locale, essa si configura come un itinerario autenticamente democratico se si snoda lungo due imprescindibili percorsi:quello della maggioranza, che deve amministrare la città in modo produttivo e coerente, e quello dell’opposizione, chiamata a vigilare sull’operato di chi governa. E’ da questa dialettica, quando è correttamente interpretata ed eseguita, che dipendono lo sviluppo socio-economico e la crescita culturale di una città. Ma Modica, purtroppo, sembra fare eccezione, in quanto sia la maggioranza sia l’opposizione non stanno affatto interpretando il loro ruolo in modo corretto e dunque costruttivo. L’amministrazione Torchi, sin dal suo insediamento, l’ho già scritto innumerevoli volte, si è resa protagonista di una esagerata sovraesposizione mediatica, che non è affatto legata, come qualcuno ha scritto, alla tutela della trasparenza: foto, interviste, viaggi e conferenze varie nulla hanno a che vedere col diritto del cittadino di poter conoscere e visionare gli atti amministrativi che riguardano la sua città.
L’attuale amministrazione, quotidianamente, e con l’insopportabile tendenza all’autoesaltazione,ci ricorda le numerose attività svolte e le innumerevoli delibere approvate. L’opposizione, dal canto suo, svilisce il suo ruolo in una continua e sterile denuncia delle pecche e delle omissioni che caratterizzano la politica dell’attuale maggioranza, mentre dovrebbe, invece, esaminare con attenzione e obiettività le cause della sua ultima sconfitta elettorale, e, nel contempo, predisporre una valida piattaforma programmatica e giungere ad una completa sinergia tra le forze che la compongono, per tentare, alle prossime amministrative, di tornare al governo della città. E non credo che quanto finora detto sia l’unico elemento che rende vacua e superficiale l’attuale politica locale. Maggioranza e opposizione, a mio parere, sono vittime del medesimo inganno: mi riferisco alla dimensione quantitativa nella quale si muovono, ed è per tale motivo che gli uni elencano ciò che è stato realizzato e gli altri ciò che non è stato fatto. Entrambe le forze esprimono una visione materialistica e positivistica della politica; ma i fatti, ammoniva Nietzsche, sono “sempre stupidi”, e l’idolatria del fatto, che in questo frangente sembra essere ciò che più conta, rischia di annebbiare le idee e di rimuovere valori e ideali, privando così la politica della sua connotazione etica, riducendo i valori a obsoleti retaggi del passato. Ho letto con attenzione quanto esposto sull’ultimo numero di “Dialogo” dal segretario cittadino dei democratici di sinistra e la replica su “La Pagina” del 12 gennaio di Domenico Pisana, in qualità di presidente dell’UDC, riguardante il declino o la crescita della nostra città. Conosco e apprezzo le forti idealità che caratterizzano l’impegno politico del collega Pisana, ma ritengo che, in quest’occasione, entrambi gli interventi abbiano espresso una visione, che personalmente non condivido, esageratamente pragmatica della politica. Non sono i fatti che determinano il declino o la crescita di una città, occorre guardare ai valori in nome dei quali si agisce. Non si tratta, ovviamente, di negare la dimensione fattuale della politica e di condurre la fantasia al potere, come qualcuno sostenne nell’ormai lontano ’68; la dimensione reale e concreta della politica non è in discussione, ma tutti, in modo particolare coloro che della politica hanno fatto una professione, siamo chiamati a conferirle un sostrato assiologico, senza il quale i fatti compiuti e le azioni svolte sono come corpi senz’anima e senza vita. Vittime di un costante e deleterio condizionamento che ci giunge dall’altra sponda dell’Atlantico, coltiviamo sempre più, come sostiene Ernst Nolte, la civilizzazione, perseguendo modelli di sviluppo che arricchiscono le nostre tasche ma impoveriscono il nostro spirito, e dimentichiamo la Kultur, cioè le nostre radici, il senso della nostra appartenenza, l’adesione a quei modelli antropologici e sociologici che ci fanno essere ciò che siamo, la ferma volontà di preservare un patrimonio di idee nelle quali tutti dovremmo riconoscerci, perché è difficile dare alla propria città una dimensione comunitaria se non ci si riconosce, come diceva Hegel, nell’Ethos della società  in cui si vive e del popolo cui si appartiene. Leggo sul “Giornale di Sicilia” del 14 Gennaio della crisi in cui versa l’Istituto Musicale che ha sede presso il palazzo Grimaldi: la professionalità dei docenti mortificata dal mancato pagamento degli stipendi; la mancanza –pare- di uno specifico capitolo di bilancio per l’Istituto; i maestri intervenuti nelle passate stagioni concertistiche che non hanno ancora percepito gli emolumenti. I due docenti intervistati lamentano la mancanza di progettualità da parte dell’assessorato alla cultura e soprattutto riferiscono, cosa gravissima, che da palazzo San Domenico arriva una risposta tutt’altro che rassicurante: ”le casse comunali sono vuote”. Mi auguro che tale vicenda possa meglio chiarire ciò che penso. Si spendono i nostri soldi per organizzare un Palio la cui valenza non va oltre il folclore e il divertimento; si attinge alle casse comunali per dar vita a quella sagra paesana quale è stata la recente Festa dei Sapori: non c’è pertanto carenza di fondi quando la corte decide di proporre ai cortigiani feste, balli e gozzoviglie varie; ma le casse comunali sono drammaticamente vuote quando c’è da sostenere un’iniziativa di alto valore educativo, in cui la musica, come ogni arte, esalta i valori dello spirito e contribuisce a mantenere in vita quella dimensione umanistica che stiamo perdendo e la cui crisi è all’origine di tutti i nostri mali. La crisi dei valori: in ciò risiede il vero declino di Modica!

                                        Un pessimismo dialettico, vitale e coraggioso

 

"Tutti gli avvenimenti sono concatenati nel migliore dei mondi possibili: infatti se  voi non  fosse stato cacciato da un bel castello a calci nel sedere per amore della signorina Cuneconda, se l'Inquisizione non vi avesse preso, se non aveste percorso l'America a piedi, se non aveste infilzato il barone, se non aveste perso tutti i vostri montoni del buon paese dell'Eldorado, ora non sareste qui a mangiare cedri canditi e pistacchi".
  dal "Candido" di Voltaire

  Questo celebre passo, col quale si chiude quell'autentico gioiello letterario e filosofico che è il "Candido", l'opera più famosa di Voltaire, mi è venuto in mente leggendo un breve articolo, del quale dirò più avanti, pubblicato sul Giornale di Sicilia il 2 di Gennaio. Come scrive Riccardo Campi, che ne ha curato l'edizione per i tipi della Newton compton, il Candido "è un esempio unico di perfetta congiunzione tra senso dell'ironia, inquietudine metafisica e perfezione stilistica (...) Ciò che pare senza dubbio esistere per Voltaire è la forza dell'arguzia, dell'ironia e dell'intelligenza". Ed è con queste armi che il grande filosofo illuminista lancia i suoi strali contro l'ottimismo del Leibniz e le sue elucubrazioni sul migliore dei mondi possibili e sull'armonia prestabilita. Le critiche di Voltaire alla visione ottimistica della vita -che trovano compimento nella sua definitiva sentenza del 1758 "l'ottimismo è desolante; è una filosofia crudele e consolante"- credo siano oggi di una sconvolgente attualità e richiamano tutti noi ad una visione del mondo più seria e meno superficiale. Stiamo vivendo una crisi  epocale della quale non possiamo avere piena e profonda consapevolezza: ciò apparterrà alle successive generazioni, quando gli eventi di cui siamo protagonisti non saranno più cronaca e saranno entrati in una dimensione più alta e di gran lunga più complessa: quella della Storia. La recente catastrofe in Iran; i rigurgiti paranoici di un terrorismo che non vuole soccombere; la  globalizzazione che avanza e sempre più si rafforza sulla pelle dei più deboli e dei meno fortunati; gli Stati Uniti che hanno assunto l'incontrastato e devastante ruolo di gendarmi del pianeta: dinanzi a tali sconvolgimenti l’ottimismo appare davvero, come scriveva Voltaire, drammaticamente desolante, e l’unica funzione che può avere è quella di proiettarci in una dimensione alienante ove la consapevolezza degli obbrobri che ci circondano e dei rischi che viviamo è rimossa dal nostro io, intorpidito dalla persuasione occulta e stordito da ciò che Heidegger definiva ”il linguaggio inautentico della chiacchera”. Non si tratta di assumere posizioni pessimistiche, per stupido snobismo o per altezzosità pseudo-intellettuale, si tratta di avere coraggio dinanzi all’angoscia del vivere, per accettare la propria finitezza e per guardare in faccia il mondo, le cui attuali sembianze non sono sicuramente serene e rassicuranti. L’ottimismo della volontà, certo; ma il pessimismo della ragione è indispensabile se non vogliamo che nei confronti del mondo il nostro ruolo sia confinato entro gli angusti limiti della sola interpretazione e se vogliamo comprendere che è forse giunto il momento, come diceva Marx, di avere il coraggio di trasformarlo. Un pessimismo dialettico, dunque, che sia vitale e coraggioso. E’ da tale presupposto filosofico che nasce la nostra ferma e totale opposizione all’ottimismo tout court del presidente Berlusconi, autentico campione della narcoterapia, che vorrebbe cristallizzare le nostre intelligenze, irrigidirle nella fissità di una falsa visione della vita, per costruire degli autentici beoti da porre al suo servizio, i quali, storditi e raggirati, ringrazieranno, tra inchini e riverenze, il novello uomo della Provvidenza, che meglio sarebbe definire il gran turlupinatore. Sono dati per imminenti nuovi rincari: sigarette, alcolici, aerei, autostrade, RC auto, servizi bancari, abbigliamento, calzature, alimentari, scuole, alberghi e ristoranti; aumenti che si andranno a sovrapporre a quelli già avvenuti nell’anno appena trascorso. L’ISTAT, evidentemente già narcotizzato,  dà letteralmente i numeri, provocando le il giusto risentimento delle associazioni dei consumatori, annunciando che i salari son cresciuti più dell’inflazione. E mentre si rinsalda questo gigantesco imbroglio, il nostro capo del governo assicura che il suo esecutivo, primo nella storia dell’Italia repubblicana, riuscirà nell’impresa di attuare una “storica” riduzione delle tasse: non comprendiamo dove stia cotanta abilità; non crediamo occorra essere dei provetti economisti per capire che se le tasse, quelle indirette, continueranno a crescere coi livelli e coi ritmi attuali, allo Stato non mancheranno di certo i quattrini per ammortizzare il mancato introito derivante dalla riduzione di quelle dirette. Altro che ottimismo! C’è da rabbrividire al pensiero di come quotidianamente si tenta di defraudare il popolo italiano della sua intelligenza e di come costantemente viene messo a dura prova il suo grado di pazienza. Il nostro governo nazionale sarebbe più che soddisfatto di saperci felici e contenti nel mangiar pistacchi e cedri canditi, nella speranza, forse, che tali leccornìe ci facessero scordare gli atti insulsi compiuti da tale governo all’indomani del suo insediamento: mi riferisco alle disposizioni legislative sulla tassa di successione, sul falso in bilancio e sulle rogatorie internazionali. Come ho già avuto modo di scrivere,  la nefasta attività del governo nazionale si ripercuote anche sulle più remote periferie del nostro Paese, ma anche l’ottimismo a buon mercato e l’autoincensamento di chiara matrice berlusconiana, come virus contagiosi e inarrestabili, prima si annidano e poi si diffondono in tante, troppe amministrazioni locali. L’ultimo, in ordine di tempo, che pare esserne stato contagiato è il presidente del nostro consiglio comunale: sul Giornale di Sicilia del 2 gennaio egli elenca, e se ne autocompiace, ovviamente, la lunga sfilza degli atti approvati dalla civica assise che presiede. Alla luce di ciò e considerato, come egli dice, ”che il consiglio ha lavorato con grande dedizione e impegnandosi alfine di garantire esclusivamente l’interesse diffuso” sembra di capire che Modica non sia una città afflitta da mille problemi, ma il  “buon paese dell’Eldorado”: basta sostituire ai cedri canditi e ai pistacchi una fetta di tumazzu e un piatto di fave cottoie e il gioco è fatto. Forse sarebbe stato più elegante e più opportuno dire semplicemente: nell’anno appena trascorso riteniamo di aver fatto un buon lavoro, ma siamo consapevoli che abbiamo ancora tante, troppe cose da fare, per rendere più sana e più vivibile la nostra città.

 

 

Febbraio 2004

 

 

                                   Mentre a Roma si discute, Sagunto brucia
                                   Tito Livio  Storie, XXI,7

 

Più d’una volta, in quest’ultimo periodo, abbiamo sottolineato il sempre più crescente degrado della vita politica nazionale e, di riflesso, di molte amministrazioni locali gestite dalle stesse forze politiche che governano a livello centrale..La crisi della politica non è dovuta alla cosiddetta fine delle ideologie-ai benefici effetti di tale fine, tra l’altro,non crediamo affatto-ma al declino di quei valori morali senza i quali la politica si configura soltanto come occasione di rimpinguare il proprio conto in banca e di soddisfare la propria smania di protagonismo e di affermazione personale.Noi non ci illudiamo di trovare delle tensioni ideali nella Lega e in Forza Italia: la prima in quanto esasperazione di un egoismo padano, certo non molto diffuso ma comunque presente, che affonda le sue radici in una concezione materialistica della vita, che si esaurisce nel binomio produzione-guadagno;  la seconda perché emanazione di un progetto, altrettanto egoistico, di un signore che vuole fare dell’Italia il palcoscenico sul quale recitare quotidianamente la commedia- della quale è al tempo stesso attore,regista e ideatore- del brillante imprenditore che trasformerà il Paese in un’azienda funzionante, efficiente e produttiva.Ci rammarichiamo, invece, nel constatare come le altre forze politiche di maggioranza stanno dilapidando un patrimonio di esperienze e di ideali che invece avrebbero dovuto gelosamente conservare e promuovere e nel quale ritrovare l’orgoglio della loro appartenenza e le fondamenta sulle quali edificare il loro futuro.Ci riferiamo ovviamente all’UDC, espressione di quel cattolicesimo liberale che vanta una storia illustre, e che dall’Ottocento in poi è stato esaltato da personaggi di grande levatura intellettuale e di indiscussa integrità morale.Il richiamo ai principi del liberalismo cattolico dovrebbe conferire all’UDC un’ attenzione costante al valore della concretezza, della solidarietà, ad ascoltare attentamente i richiami della coscienza,in termini di rettitudine, coerenza ed onestà. E ci riferiamo, naturalmente, anche ad Alleanza Nazionale, per criticarne non la svolta storico-politica, opportuna e necessaria, ma quella economica, che l’ha resa un partito senz’anima e senza obiettivi: accantonata l’idea della socializzazione delle imprese, dimenticata la centralità delle categorie produttive, messo da parte il progetto di un capitalismo controllato, abbandonato il grande obiettivo della solidarietà e dell’attenzione ai ceti deboli della società, ha finito per essere fagocitata dal suo potente alleato, diventando quindi sostenitrice di politiche neoliberistiche e neocapitalistiche che non producono condizioni di solidarietà ma oscene discriminazioni sociali ed economiche. Vorremmo ricordare, infine, il Partito Repubblicano, che in alcune amministrazioni, come ad esempio nella nostra Provincia, sostiene i governi di centrodestra. Ricordo che agli inizi di Febbraio i due consiglieri dell’Edera al consiglio provinciale di Ragusa hanno dichiarato di essere pronti ad aprire ufficialmente la crisi per il mancato ingresso di un esponente del PRI nella giunta Antoci, denunciando quindi il mancato rispetto degli accordi sottoscritti nel mese di Ottobre dai partiti di maggioranza. Spiace vedere un partito di così antiche e nobili origini, che nella sua lunga storia è stato guidato da uomini di altissimo spessore morale e intellettuale, si pensi a La Malfa e Spadolini, ridotto ad elemosinare briciole di potere. Alla provincia il problema più impellente sembra essere pertanto quello del rimpasto e della logica, mai finita, della spartizione del potere; a Ragusa - anche l’amministrazione di centro sinistra non è  messa poi così bene - l’attività preponderante è quella di occuparsi della lettera del Sindaco agli alleati che organizzano agguati, per non parlare dei socialisti : anche loro infatti rivendicano un posto al sole; il loro partito è ancora fuori dalla giunta nonostante gli accordi pre-elettorali della coalizione. A Modica, invece, ne parlerò più avanti in modo più dettagliato, va in scena la politica spettacolo.  E così, mentre i nostri amministratori comunali e provinciali, sono occupati in “così alte e nobili attività”, la gente, nella nostra provincia, rischia la vita, e talvolta la perde, per le disfunzioni che la politica si guarda bene dal risolvere. Non sappiamo,   e forse non lo sapremo mai, se un intervento più celere avrebbe potuto salvare la  vita di  Rosa Vona, la giovane donna di Monterosso colpita da ictus  la notte del 1 Febbraio.Ciò che sappiamo è che l’intervento lo si è dovuto effettuare al Civico di Palermo, constatata la “indisponibilità”(!)del centro neurochirurgico di Catania e che Monterosso, come Giarratana, non ha in dotazione nemmeno un’ambulanza, che, in casi di necessità, vi deve giungere da Chiaramonte; ma l’aspetto ancor più grave è che nelle due cittadine montane manca un medico specializzato per le emergenze e se il malcapitato di turno riesce a salire sull’agognata ambulanza dovrà compiere il viaggio fino all’ospedale più vicino in compagnia del solo autista. Per tale motivo condividiamo la decisione dell’onorevole Gurrieri d’intraprendere un’iniziativa parlamentare per istituire un reparto di neurochirurgia in provincia di Ragusa. La spettacolarizzazione della politica, altro cancro che sempre più la corrode, ha avuto il suo momento di grande protagonismo a Modica, in occasione della presenza del Presidente della Camera Casini,  per la inaugurazione del nuovo Tribunale. I tombini della città sono stati sigillati, i cassonetti della immondizia sono scomparsi ,un impressionante schieramento di forze dell’ordine ha chiuso in una morsa i cittadini, frastornati dal rombo degli elicotteri e dal suono delle sirene: insomma,un’atmosfera apocalittica che per un giorno ha trasformato Modica nella Baghdad degli iblei. Sessantamila persone costrette a vivere una giornata di disagi per un avvenimento che avrebbe potuto essere gestito in modo più discreto e meno appariscente. Sappiamo bene quanto sia difficile chiedere maggiore discrezione a questa amministrazione che dal giorno del suo insediamento ha sempre fatto esattamente il contrario, ma stavolta ritengo che si sia davvero sfiorato il ridicolo.E’ ovvio che occorreva garantire il massimo della sicurezza, ma, con tutto il rispetto per l’on.Casini  e per la carica che ricopre, sembrava davvero che a Modica stesse per arrivare il Papa o il Capo dello Stato, ma  soprattutto  sembrava che tale avvenimento avesse come palcoscenico una grande e pericolosa metropoli, e non una tranquilla cittadina di provincia. Abbiamo l’impressione  che, ancora una volta, l’amministrazione Torchi  abbia  trovato il modo per sopravvalutare se stessa e autoconferirsi un’importanza che obiettivamente non ha: è appena il caso di ricordare che Palazzo San Domenico non è il Campidoglio. Riteniamo che un sano ridimensionamento  sarebbe salutare per i politici che amministrano la città della contea e per noi cittadini che subiamo la loro indisponente autoesaltazione. Concludiamo queste nostre riflessioni con la speranza -in verità non ne nutriamo molta- che le forze politiche possano finalmente abbandonare le sterili e inutili pratiche della cosiddetta prima repubblica e possano ritrovare l’orgoglio delle loro radici, svolgendo la loro attività politica senza mai perdere di vista gli ideali ai quali sostengono di richiamarsi. Provino sul serio a liberare la politica dalla lottizzazione, dalla spettacolarizzazione e dal protagonismo e cerchino di risolvere i problemi urgenti della nostra provincia: basterebbe evitare il ripetersi di episodi come quello che ha visto come sfortunata protagonista la giovane donna di Monterosso, per poter affermare di aver fatto qualcosa di utile e di profondamente umano per la collettività.

 

                                         

                                              Piano triennale delle opere pubbliche

 

Le ultime cronache della politica locale relative al Piano triennale delle opere pubbliche sono la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, delle lacune operative e delle carenze ideali dell’attuale amministrazione comunale, che sempre più assomiglia ad una nave priva del nocchiero e che trasmette ai cittadini l’allarmante sensazione di navigare a vista. Troppe le incongruenze  e le scorrettezze che hanno caratterizzato l’intera vicenda. Come si sa, il piano triennale messo a punto dalla giunta provinciale aveva destinato scarsissime risorse al territorio modicano, e, cosa ancor più grave, nessuna per il turismo, l’agricoltura e il commercio, ovvero i settori trainanti dell’economia locale. Le ingiuste e immotivate decisioni del governo provinciale hanno addirittura generato una sorta di opposizione trasversale, in virtù delle critiche espresse dall’UDC, da Alleanza Nazionale e dai Democratici di sinistra. Insomma, soltanto Forza Italia ha manifestato di gradire quanto deliberato dalla giunta provinciale. E qui non possiamo fare a meno di ricordare l’infelice sortita del vicesindaco nonchè senatore Minardo, il quale ha sentenziato:”Chi tenta di minare le fondamenta di un palazzo per farlo cadere rischia di rimanerne prima vittima”. L’affermazione di Minardo appare arrogante dal punto di vista politico e assai discutibile da quello morale. Le critiche espresse dal consigliere Gerratana non ci convincono, ma ancor meno la difesa appassionata del consigliere di forza Italia Iabichella, che sembra davvero arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di emendare l’intervento del senatore e di  offrirlo all’opinione pubblica in una veste più presentabile. E’ difficile, infatti,non interpretare le parole del vicesindaco come un tentativo di condizionare gli alleati con lo spauracchio della crisi. E’ una nostra interpretazione, ovviamente, ma abbiamo la presunzione di credere che sia ampiamente condivisa. Se cosi è, non soltanto siamo di fronte ad una desolante caduta di stile ma ad un atteggiamento politico assolutamente inaccettabile, poiché inconciliabile con quei principi democratici e pluralistici ai quali tutti dobbiamo tener fede, in modo particolare chi ricopre incarichi pubblici a livello nazionale. Il già citato consigliere di Forza Italia sostiene che l’intervento del senatore Minardo “tendeva ad invitare i compagni di coalizione a ponderare attentamente gli interventi di natura politica prima di rilasciare dichiarazioni alla stampa”, ciò infatti aveva determinato, sostiene il vicesindaco, un attacco all’assessore modicano presente nella giunta della Provincia e di riflesso alla sua stessa persona e persino agli assessori dell’UDC e al presidente provinciale. Le osservazioni di Iabichella, non sappiamo ovviamente se esprimono una sua personale valutazione o riferiscono una eventuale giustificazione di Minardo, esplicitano una idea della politica che non è meno grave di quella legata alla prima eventualità presa in esame. Che Forza Italia, per sua stessa natura, considerate le sue origini aziendali, non abbia mai avuto e tuttora non ha un’idea della politica come servizio e che l’umanesimo sia una categoria che non può rientrare nella sua logica, che è quella del mercato e degli affari, ciò lo abbiamo sempre saputo; quindi non ci stupisce più di tanto che non sappia elevare il proprio sguardo oltre il confine dei suoi interessi e che ponga i vantaggi della berlusconiana squadra al di sopra dei bisogni e delle necessità della città che amministra. Ancora una volta questa amministrazione si rivela prigioniera dell’apparenza; non importa che le diverse componenti della maggioranza non si trovino d’accordo su un problema così importante come quello di cui ci stiamo occupando: ciò che conta è che la cittadinanza non conosca i dissidi all’interno della maggioranza. Ancora una volta la forma prevale sulla sostanza e la falsità prevarica sulla verità. Anziché capire le motivazioni che generano divisioni persino nel gruppo di maggioranza,il senatore Minardo -questo è il pensiero che gli attribuisce Iabichella- appare preoccupato esclusivamente  che nessuno della sua fazione subisca attacchi e critiche e tanto meno lui, ovviamente. Il degrado della politica,in questo caso, si fà davvero macroscopico e l’attuale maggioranza mostra d’aver perfettamente assimilato i metodi e lo stile di colui che da anni denuncia il “teatrino della politica”, del quale invece fa parte  a pieno titolo, sebbene nel gratificante ruolo del burattinaio. La decisione del Sindaco, poi, di escludere il consiglio comunale dall’incontro con la giunta provinciale è grave dal punto di vista istituzionale ed è lo specchio di una concezione distorta della politica. La maggioranza è chiamata ad amministrare la città non ad assumere i  tratti d’una consorteria che gestisce le vicende cittadine ignorando le convinzioni altrui e soprattutto il parere di quasi tutto il consiglio comunale. La maggioranza governa, legittimamente, perché ha ottenuto un numero maggiore di consensi democraticamente espressi, ma non esprime le idee e le istanze dell’intera collettività:questa è una prerogativa che spetta alla civica assise nella sua interezza, perché in essa sono rappresentati gli interessi, le idealità e gli obiettivi di tutta la cittadinanza. Se la città, attraverso il consiglio comunale, aveva espresso il suo giudizio negativo sull’operato della giunta provinciale, è con l’intero consiglio che Antoci e la sua giunta avrebbero dovuto discutere e confrontarsi. La decisione del sindaco di circoscrivere l’incontro con l’amministrazione provinciale entro l’ambito della maggioranza rivela una deleteria tendenza alla sopravvalutazione del proprio ruolo e di quello dei partiti che lo sostengono. In altri termini, il vertice del 26 Gennaio ha espresso la pretesa dell’amministrazione comunale  di conoscere le motivazioni  che avevano indotto quella provinciale a maltrattare la città di Modica, ed invece tali motivazioni andavano comunicate e spiegate all’intera cittadinanza, ossia al consiglio comunale, che, in una democrazia rappresentativa come la nostra, è l’unico organo istituzionale deputato a rappresentarla. Pensavamo che i principi elementari della politica fossero noti a coloro che ci governano; evidentemente dobbiamo ricrederci anche su questo. Ma l’aspetto più avvilente dell’intera vicenda sta, paradossalmente, nella sua positiva e festosa conclusione. Quanto accaduto ci ricorda le poco edificanti sceneggiate del nostro governo nazionale; le minacce di Bossi, i risentimenti di Fini, le liti, le incomprensioni: poi tutto si conclude a tarallucci e vino, dopo l’intervento taumaturgico del grande mediatore. Certo il contesto è diverso, l’ambito è di gran lunga più ristretto, ma il sistema è identico. Ogni dissidio è stato sanato, ogni difficoltà appianata, e il piano triennale riscuote adesso, miracolosamente, unanimi consensi  da tutte le forze della maggioranza. I notabili di partito, a vertice concluso, hanno dichiarato: ”Abbiamo felicemente ripristinato una logica ed una volontà di collaborazione tra comune e provincia”; il che non è per niente vero, giacché tale logica e tale volontà non ci appartengono, perché espressione di una prevaricazione che ha offeso l’intera città. E’ la logica di due amministrazioni dello stesso colore politico, una logica che è stata mossa da un solo scopo e da un unico obiettivo: siamo stati bravi e meritiamo un grazie dalla cittadinanza intera.
L’unica speranza che ci resta è che quel grazie non arrivi mai!

 

 

 

                                                                Riti satanici. Perché!

 E’ di questi giorni la notizia che gruppi di adolescenti modicani, in piena notte, si riuniscono per celebrare riti satanici. L’allarme è stato lanciato da qualche sacerdote giustamente preoccupato per la gravità dell’episodio. La questione è stata sollevata in occasione dell’ultimo consiglio pastorale cittadino; a tal proposito, confessiamo che ci preoccupa la posizione assunta dal vicario foraneo, che, nel tentativo di non creare allarmismi, rischia di sdrammatizzare il caso e pertanto di  determinarne una pericolosa sottovalutazione. Da tempo sosteniamo, e lo abbiamo ripetutamente scritto, che questa città sta vivendo un preoccupante declino, determinato da una totale assenza di valori e di qualificanti punti di riferimento; un declino che sta soffocando le sue più sane energie e che la sta trasformando in una città senz’anima, prigioniera dell’immagine e della superficialità. Non vorremmo che in questa, come in altre simili vicende, si compisse l’errore, purtroppo assai frequente, di scambiare l’effetto con la causa: non sono i riti satanici o i sempre più frequenti episodi di microcriminalità che si registrano nella nostra città a produrre il male; ma è quest’ultimo, quando lo si sottovaluta e lo si lascia libero di attecchire e proliferare, che produce  eventi nocivi e ignominiosi..E’ evidente che questi fenomeni sono lo specchio del malessere diffuso che vivono le giovani generazioni: per tale motivo le cause assumono una connotazione generale che trascende l’ambito locale, ma , come vedremo, quest’ultimo non riveste certo un ruolo di secondaria importanza, potendo acuire o mitigare il disagio giovanile. Dopo la caduta del muro di Berlino, tutti, giustamente, abbiamo esultato per il crollo di ciò ch’era stato, per anni, il simbolo drammatico dell’odio e della divisione, e, in seguito, abbiamo salutato  come evento benefico e liberatorio la fine delle cosiddette ideologie, e,  per quello stupido bisogno di uniformarsi al comune sentire, non ci siamo resi conto che tale fine – che è stata certamente positiva per le sue ripercussioni in ambito storico-politico-  ha tolto alle nuove generazioni valori, ideali e progetti e ha loro impedito di possedere quella cultura politica senza la quale è davvero difficile maturare la consapevolezza del loro ruolo di uomini e di cittadini. Per quanto riguarda l’Italia, l’operazione Tangentopoli(sulla natura politica di tale operazione credo che ormai siamo quasi tutti d’accordo)ha eliminato dalla scena due grandi partiti di massa che, nonostante le loro colpe e le loro debolezze, possedevano pur sempre delle nobili idealità e un valore non indifferente in termini di progettualità politica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: gli ex fascisti e gli ex comunisti non sappiamo più in che direzione vadano e cosa veramente vogliano ; gli ex democristiani e gli ex socialisti si sono furbescamente riciclati nei due poli e il partito-azienda è divenuto l’arbitro indiscusso della vita politica nazionale. La conseguenza è che i nostri giovani, senza più ideologie e con un panorama politico che vede come protagonisti fuorusciti, riciclati, voltagabbana d’ogni sorta, sembrano non dare alcuna importanza alle problematiche politiche, ai dibattiti, ai confronti, non comprano i quotidiani e non mostrano alcun  interesse per le questioni sociali: vivono di cellulari e computer, mentre Biscardi e il Grande Fratello imbottiscono le loro menti di parole vacue e di immagini superficiali. Un compito assai importante potrebbe e dovrebbe averlo la scuola: ma i docenti devono quotidianamente lottare per riappropriarsi del loro ruolo, considerati i tentativi effettuati per porli in condizione “di non nuocere”. I ministri dell’Istruzione, che in questi anni hanno retto il mondo della scuola, hanno sempre messo al primo posto i loro obiettivi politici e non certo gli alunni: si pensi al decreto Berlinguer sull’insegnamento della storia:l’imposizione dello studio del solo Novecento nelle classi quinte delle superiori si è rivelata senza dubbio un’abile mossa, con la quale si è sacrificato, guarda caso, lo studio approfondito dell’età medioevale, che finisce stritolata tra il biennio e il triennio della scuola superiore, privando così gli alunni di un’analisi approfondita di un’epoca che, dopo due secoli di menzogne di stampo illuministico, si stava finalmente riscoprendo nella sua ricchezza filosofica, ideale e spirituale. Anche la signora Moratti, naturalmente, nonostante i suoi discorsi sulla centralità dell’alunno, sta costruendo una scuola che, al contrario di ciò che si afferma in un bugiardo spot televisivo, viene imposta dall’alto, senza il parere e il consenso dei docenti, dei genitori e degli alunni, con l’obiettivo di creare futuri manager per le aziende del privato o generazioni incolte da manipolare a piacimento . Berlinguer e la Moratti, in ogni caso, sono i principali responsabili del degrado della nostra scuola, avendo determinato il ben noto e nefasto passaggio dal sapere al saper fare e dalle conoscenze alle competenze, con la conseguenza che la scuola fatica a svolgere il suo ruolo naturale, che è quello di istruire e di educare, rendendo dunque sempre più difficoltosa la crescita umana e intellettuale dei nostri giovani. Ma torniamo alla nostra città .Credo che solo uno sprovveduto non si sarebbe accorto che da qualche tempo il bel giocattolo sembra essersi rotto: mi riferisco a quel sapore di genuinità e di onestà che da sempre ha costituito il fiore all’occhiello della nostra provincia .Gli atti vandalici, lo sfruttamento della prostituzione, i furti di ogni genere,  lo spaccio di sostanze stupefacenti: quello dei riti satanici è soltanto un altro abominevole anello che si aggiunge alla già lunga e deleteria catena descritta. Siamo dinanzi ad un autentico smarrimento delle coscienze, che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, riguarda le fasce giovanili della popolazione modicana. Meglio dunque aprire gli occhi e prenderne atto: la presunta diversità dei nostri ragazzi si sta rivelando un mito; come i loro coetanei di tutta Italia vivono la crisi politica e ideale che da tempo avvolge l’intero Paese. Le famiglie modicane sono in maggioranza caratterizzate da una sana laboriosità e da una indiscussa onestà, oltre che, in molti casi, da una profonda  religiosità: tutto ciò ci rende fiduciosi sulla loro capacità di trasmettere ai figli valori  pregnanti e autentici e di intervenire proficuamente là dove fosse necessario. La scuola è certamente chiamata ad arginare i fenomeni di devianza , e,  nonostante la pessima direzione a livello ministeriale, certamente fa il massimo- e non lo diciamo per spirito corporativo ma perchè quotidianamente lo constatiamo- per dare ai nostri ragazzi ideali e motivazioni, per trasmettere cultura e senso civico. I nostri amministratori, però,  sono chiamati a fare la loro parte: mentre Modica è sgomenta per questi strani riti che animano le notti cittadine, sindaco e vicesindaco sono a Milano per propagandare un video clip sulle immagini della città, a proporre il solito barocco e la consueta gastronomia. La smettano di additare ai giovani modelli di vita intrisi di materialismo e di apparenza: i più piccoli e i più fragili potrebbero convincersi che il valore di una città è direttamente proporzionale ai suoi monumenti, al flusso turistico e ai suoi prodotti gastronomici, finendo così per conferire valore all’infausta tesi di Feuerbach e convincersi che”l’uomo è ciò che mangia”. I nostri amministratori hanno il dovere morale di non distruggere ciò che le famiglie e la scuola costruiscono: chiudano pertanto, e per sempre, con l’impostazione che hanno conferito alla loro azione politica.”Lo stand dedicato a Modica - ha detto il senatore Minardo - ha ottenuto grande successo e curiosità(...)la nostra presenza a Milano ci consentirà di qualificare ulteriormente l’offerta per dare risposte concrete alla sempre crescente domanda”. Sarebbe ora che la domanda alla quale prestare attenzione non fosse più quella che arriva dalle squallide leggi dell’economia, ma quella che giunge dalle coscienze dei giovani, che chiedono sicurezza, lavoro, avvenire e che hanno il diritto di vivere in una città magari meno alla ribalta sul palcoscenico nazionale, magari meno invasa dai turisti e dai loro quattrini, ma dotata di un’anima, che possa dar loro fiducia e certezze, e,  nello stesso tempo,  prepararli ad affrontare la vita futura: quella vera, non quella dei video clip, delle inaugurazioni e delle fiere gastronomiche.

 

 

Marzo 2004

                                        

 

                                             L’arroganza e la prepotenza dei numeri

 

La vicenda dell’approvazione del piano particolareggiato per il recupero dell’edilizia popolare di Treppiedi è l’ennesimo episodio che rivela i gravi e preoccupanti metodi coi quali l’Amministrazione Torchi governa la nostra città. Esso rivela una concezione arrogante del potere in spregio alle più elementari norme della dialettica democratica. Ancora una volta, sebbene le nostre idee siano distanti da quelle espresse dall’opposizione, non possiamo non condividere le obiezioni e le ragioni del centro sinistra, il quale, in relazione alla vicenda della quale ci stiamo occupando, aveva giustamente evidenziato la necessità di rinviare l’approvazione del piano urbanistico, nella consapevolezza che ciò avrebbe potuto consentire di analizzare in modo più approfondito il progetto, condizione imprescindibile per poterne valutare i molteplici aspetti ed esprimere un fondato parere. Sospendere momentaneamente i lavori del consiglio comunale ha permesso alla maggioranza di richiamare i propri consiglieri, che nel frattempo avevano già abbandonato l’aula consiliare, i quali, a notte fonda, precipitosamente rientravano, consentendo in tal modo l’approvazione del piano. Non possiamo che condividere la nota dei capigruppo dell’Ulivo:”Denunciamo all’opinione pubblica il maldestro tentativo della maggioranza e della bicefala giunta Torchi-Minardo, di far valere l’arroganza e la prepotenza dei numeri sulla forza del ragionamento e delle argomentazioni, impedendo al consiglio comunale di esercitare pienamente le sue prerogative in materia urbanistica”. Chi scrive non ha alcuna intenzione di entrare nel merito del piano particolareggiato, anche perchè non ne ha preso diretta visione, ma ha l’obbligo morale di porre all’attenzione della pubblica opinione i metodi politici di questa maggioranza, metodi che ci lasciano quantomeno perplessi e sicuramente sconcertati. E’ una maggioranza che governa la città basandosi su un equivoco che è pericoloso dal punto di vista politico e assai discutibile  sotto il profilo morale. Ciò che accade al consiglio comunale di Modica rispecchia fedelmente quanto avviene nel parlamento nazionale e la maggioranza che amministra la città della Contea assume i medesimi e arroganti atteggiamenti di quella che amministra l’intero Paese. Si pensi alla riforma Moratti: osteggiata dai sindacati, non condivisa dai docenti,dai genitori e dagli alunni, contrastata dall’intera opposizione parlamentare; nonostante ciò la si sta imponendo con la forza dei numeri. La vicenda è assai grave, anche perchè non si tratta di imporre il solito aumento del carburante e dei tabacchi; quì è in gioco il futuro della Nazione, perchè si sta intervenendo  su una realtà, la scuola, dal funzionamento della quale dipende l’efficacia di tutte le altre strutture che compongono lo Stato. L’attuale maggioranza, quella che governa a Roma e quella che amministra Modica, manifesta un’allarmante ignoranza politica, nel senso che ignora i presupposti filosofici del concetto di democrazia, che non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza. La visione ragionieristica fà male alla politica, perchè la priva delle sue connotazioni etiche e la riduce ad una squallida questione di numeri.Il centro sinistra afferma – e la cosa ci preoccupa non poco – che”non sussistono le ragioni per un positivo rapporto istituzionale”.La rottura è stata determinata non soltanto dalla vicenda che abbiamo già esaminato, ma anche dalla mancata condivisione del bilancio di previsione. Nonostante le sollecitazioni della Regione, l’amministrazione comunale non ha ancora consegnato, a meno di un mese dalla scadenza, il documento contabile.Ci auguriamo che la maggioranza proceda al più presto alla pubblicazione e alla approvazione del bilancio; se infatti tutto ciò dovesse accadere pochi giorni o addirittura poche ore prima della scadenza fissata, si renderebbe protagonista, ancora una volta, di una grave scorrettezza istituzionale, impedendo all’opposizione di svolgere correttamente il suo ruolo, che è quello di vigilare sull’operato della maggioranza e privandola, altresì, della possibilità di conoscere a fondo il bilancio preventivo, che la maggioranza ha il dovere di discutere con le forze di opposizione e di fare tutto il possibile per trovare il massimo della convergenza. Il bilancio è certamente uno strumento finanziario, ma dalle enormi implicazioni politiche, giacchè da questo dipende la qualità dell’azione di governo che la maggioranza intende svolgere nel corso del corrente anno. A nessuno, pertanto, è concesso tergiversare, minimizzare o, peggio ancora, impedire che diventi oggetto di un dibattito proficuo, approfondito e democratico. Come osservava giustamente Popper, in una democrazia:”I poteri dei governanti devono essere limitati(...)Se gli uomini al potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia”.E’ evidente che le analisi del Popper vanno contestualizzate ed è per tale motivo che, nella fattispecie, sarebbe quanto meno ridicolo qualificare Torchi e Minardo come tiranni. Non si tratta di questo ovviamente, ma di ricordare ai nostri amministratori, e alla maggioranza che li sostiene, che la forza dei numeri non li esime dal dovere, che è insieme morale e politico, di porre sempre la minoranza nelle condizioni di esprimere la sua opinione e le sue critiche, e di convincersi che, contrariamente a quanto ha ultimamente sostenuto l’on. Drago,  nessuno è intoccabile e che tutti, quando ricopriamo incarichi pubblici, siamo chiamati a dar conto del nostro operato.Se tale atteggiamento è pericoloso dal punto di vista politico, è assai discutibile, come si diceva, sotto il profilo morale, in quanto intende la politica come fatto meramente tecnico e dunque privo di un qualsiasi sostrato umanistico: se ciò è normale per coloro che appartengono ad una forza politica che è portatrice di una mentalità puramente aziendalistica, non può esserlo per coloro i quali si richiamano ai valori del Cattolicesimo: su questo terreno è in gioco la loro credibilità. Se tali valori sono soltanto lo strumento col quale nobilitare la loro attività politica, in tal caso si mortifica la propria coscienza e si ingannano gli elettori; se,viceversa, il richiamo agli ideali cristiani è espressione di una sincera adesione e della volontà di attualizzarli nelle scelte concrete che la politica impone, allora, coloro che hanno idee diverse dalle nostre non sono nemici da distruggere, non sono avversari da mettere a tacere, ma persone che meritano lo stesso rispetto che pretendiamo per noi, che vanno ascoltate con attenzione, perchè solo dal dialogo può scaturire quel confronto sereno e costruttivo senza il quale la crescita civile di una città diventa soltanto uno slogan, vuoto e insignificante, sebbene elettoralmente utile per tutte le stagioni.

 

 

                                                                   Una carezza per guarire

 

Le notizie, pubblicate sulla stampa locale, riguardanti le condizioni ottimali che caratterizzano il reparto di Chirurgia dell’Ospedale Maggiore di Modica non possono che suscitare in noi sentimenti di soddisfazione per gli alti livelli conseguiti e di gratitudine nei confronti del personale sanitario che gestisce un reparto di primaria importanza qual è quello chirurgico. Tutto ciò, ovviamente, ci inorgoglisce come modicani e ci tranquillizza come cittadini. Tuttavia, l’efficienza e la professionalità del reparto chirurgico del nosocomio modicano  costituiscono, purtroppo, la classica eccezione che conferma la regola, che è quella, come tutti sappiamo, di una sanità pubblica ormai da troppo tempo sull’orlo del collasso ed oggi costantemente aggredita dal nostro governo nazionale, e, ancor di più, da quello regionale. Una sanità amministrata  e gestita in maniera caotica, sottovalutata e colpevolmente trascurata dall’attuale classe dirigente, la quale, così come sta accadendo nel settore della pubblica istruzione, preferisce di gran lunga favorire quella privata, creando in tal modo situazioni di discriminazione sociale, che sono destabilizzanti sotto il profilo politico ed oscene dal punto di vista morale. Non v’è dubbio che il liberismo perseguito dal governo sta contribuendo ad infliggere un colpo mortale a due istituzioni pubbliche, la scuola e la sanità, già  carenti e bisognose di serie e durature ristrutturazioni. Riteniamo che del vero problema che affligge la sanità italiana non se n’è mai veramente parlato, per non urtare forse la suscettibilità di un’ intera categoria, per motivi di ordine elettorale, e per una sottovalutazione di quei problemi legati al mondo dei valori e degli ideali, ai quali, purtroppo, la nostra società è sempre meno sensibile. Non intendiamo criminalizzare un’intera categoria, quella medica, giacché sarebbe ingiusto e qualunquistico, ma riteniamo che sia altrettanto onesto dirci la verità. Quando si parla di medici e di ospedali, non si può non tener conto dei problemi economici, professionali, strutturali, ma non ci si può fermare a questi: bisogna cogliere l’essenza della questione, giungere alle radici dalle quali germoglia il male, che, nella fattispecie, è la crisi ormai decennale in cui versa la sanità italiana. Crediamo che l’essenza di questo male stia nel processo di costante disumanizzazione che in tutti questi anni ha svilito e corroso la professione medica. E’ facile, in questi casi, rischiare di essere retorici: cercheremo di evitarlo. Non si tratta, infatti, di riproporre figure come quella, celebre, del dottor Manson; non perché il medico de “La Cittadella” non esprima la professione medica nel suo più alto grado morale e professionale, anzi! ma perché lo scorrere del tempo, inesorabilmente, cambia i modi di essere, di fare e di sentire. Non si tratta nemmeno di rimpiangere la figura del vecchio medico di famiglia – anche se resta tra i ricordi più vividi della nostra infanzia – oggi sicuramente improponibile, considerati i ritmi frenetici che scandiscono il nostro vivere quotidiano. Si tratta  di ridare senso, umanità ed altruismo ad una professione che, in molti casi, guarda soltanto al denaro e alla carriera. Crediamo che ciascuno di noi abbia avuto modo di constatare quanto sia difficile, oramai, provare il conforto di una visita domiciliare del proprio medico: l’unica, di questo tipo, è quella anonima e temuta del medico fiscale! Abbiamo conosciuto e conosciamo medici che svolgono con umanità e dedizione la loro professione, ecco perché non riteniamo giusto criticare la categoria nella sua interezza, ma molti, forse troppi, soprattutto quelli della nostra generazione, che intrapresero gli studi universitari nei primi anni settanta, si iscrissero a medicina perché attratti da una professione che allora garantiva la macchina di lusso, la villa e un consistente conto in banca. Il medico, come l’insegnante, non può svolgere la sua professione in modo costruttivo e onesto se non ha piena consapevolezza della sacralità del suo lavoro: non si tratta di fare i missionari, perché è legittimo che una professione dia opportunità di carriera, guadagno e gratificazione; ma un medico che è disposto ad eseguire un intervento di alta chirurgia a condizione che gli sia garantito un compenso ultramilionario, anche quando il paziente non ha i mezzi economici per poterglielo garantire,  non è degno di esercitare tale professione. Ci diranno, sicuramente, che il medico di oggi è figlio del suo tempo e pertanto si tirerà fuori la solita storiella che la colpa è della società. Crediamo che tale tesi abbia prodotto un’ infinità di equivoci, sebbene sostenuta, ieri come oggi, da intellettuali di altissimo livello, si pensi al Rousseau e al mito del “buon selvaggio”: è vero che per lui il paradisiaco stato di natura è una categoria filosofica e una norma di giudizio e non una particolare esperienza storica, ma è altrettanto vero che le sue teorie hanno fuorviato le menti, inducendo, troppo spesso, noi occidentali ad addossare la responsabilità del male alla società e alle istituzioni, nel tentativo di assolvere le nostre coscienze. Farebbe bene, a tal proposito, un’attenta rilettura di Schopenhauer, il quale è difficilmente contestabile quando scrive che”l’uomo è l’unico animale che faccia soffrire gli altri per il solo scopo di far soffrire”;ciò è certamente accaduto in tutti i secoli, ma quello che ci siamo appena lasciati alle spalle ha conosciuto tanti, troppi esempi di questa brutalità umana, ed è per tale motivo che condividiamo le analisi di Schopenhauer:”l’uomo gioisce del male altrui, e per lui l’ira, come dice Omero, è più dolce del miele”.La si smetta, dunque, di riversare sull’altro- individuale o universale che sia- il male che nasce dal cuore malato dell’uomo e che sgorga da ogni singolo io, che ha invece il dovere di assumersene la piena e personale responsabilità. “I medici sono utili non tanto per il fatto che ci fanno inghiottire ogni possibile sostanza, ma piuttosto perché corrispondono a un bisogno spirituale del paziente: l’eterno bisogno di speranza, di simpatia e di sollievo di cui un uomo che soffre ha estremo bisogno” Crediamo che queste parole del professor Veronesi possano riepilogare il senso delle nostre riflessioni. Ogni progresso compiuto in campo diagnostico o terapeutico, qualunque crescita sul piano dell’ efficienza e della professionalità, come quella riguardante la divisione chirurgica del nostro ospedale, vanno sempre accolte con sollievo e soddisfazione, ma ciò che più conta è trovare il coraggio di attuare, nella medicina, una vera e propria rivoluzione etica, senza la quale questa nobilissima arte, pur raggiungendo vette altissime di professionalità ed eccezionali risultati scientifici,  rischia di apparire e di essere come un guscio vuoto: un corpo senz’anima e senza vita! Come sostiene il già citato Veronesi, “è necessaria una carezza per guarire. Il bravo medico non deve mai dimenticare di mettere il paziente al centro della sua attenzione, di instaurare con lui un legane di fiducia ed un rapporto prima di tutto umano, perché curare un paziente vuol dire soprattutto prendersi cura di lui”.

 

                                                          Le pretese dell’onorevole

“Tra tutte le creature l’uomo è la più fragile e nello stesso tempo la più orgogliosa. Egli si sente e si vede legato e inchiodato alla parte peggiore, più morta e stagnante dell’universo, all’ultimo livello del creato, il più lontano dalla volta celeste, e va con l’immaginazione a piantarsi  al di sopra del cerchio della luna; a mettere il cielo sotto i propri piedi.”
dai “Saggi” di  Montaigne

 I “Saggi”di Montaigne costituiscono senz’altro l’antitesi più evidente al “Discorso sulla dignità dell’uomo” di Pico della Mirandola; alla visione antropocentrica di quest’ultimo, che addirittura considerava l’uomo come la creatura più vicina a Dio, Montaigne contrappone un’idea ben diversa dell’uomo: ”creatura miserabile e infelice”.Come Pascal, Montaigne è tra i maggiori protagonisti di quel processo che pone da parte la presunzione tutta rinascimentale di ritenere l’uomo capace di creare il proprio destino e che pone invece le premesse per l’affermazione di un umanesimo davvero moderno, perchè realistico e problematico. Una seria riflessione sulla condizione umana non può non condurre  alla coscienza dei propri limiti e, soprattutto, alla consapevolezza di quanto sia imperfetta e caduca la nostra esistenza: ciò può conferire all’essere umano un’autentica maturità intellettuale e dunque la capacità di poter discernere con equilibrio ciò che egli è in grado di determinare da quel che inesorabilmente gli sfugge, in termini di progettualità e soprattutto di realizzazione. Credo sia superfluo ricordare quante catastrofi ha dovuto subire il mondo ogni qualvolta questa creatura”miserabile e infelice”si è ritenuta padrona e regina dell’universo, “del quale invece non è in suo potere conoscere la più piccola parte, e tanto meno comandarla”. E’ davvero difficile per noi uomini non assecondare le pulsioni egocentriche che caratterizzano il nostro vivere quotidiano e che sono certamente deleterie per la nostra crescita morale e che danno ai rapporti interpersonali delle connotazioni sicuramente negative. Si scatena, dunque, per dirla con Hegel, una vera e propria lotta tra le coscienze, ognuna, infatti, tende ad appropriarsi delle cose e a far dipendere tutto da sè: “ a togliere l’alterità che si presenta come vita indipendente”, cosicchè l’altro diventa “ inessenziale e negativo”. Nasce la convinzione illusoria di sentirsi indispensabili e qualche volta onnipotenti. Tra le attività umane, la politica è sicuramente quella che più d’ogni altra può dilatare a dismisura l’egocentrismo che si annida in ogni uomo. Approfitto di queste mie considerazioni per consigliare la lettura di Montaigne agli attuali amministratori di Modica, e, soprattutto, all’on. Drago, dopo l’intervista da lui rilasciata  il 28 Febbraio al Giornale di Sicilia. In ciò che egli dice sull’attuale situazione politica di Modica ho riscontrato una concreta attuazione delle analisi hegeliane che ho citato; mi pare, infatti, che il leader dell’UDC modicano si sia appropriato di ogni cosa e si sia convinto che tutto dipenda da lui. Ciò che mi sembra assai grave è che si sia appropriato del Sindaco. Egli infatti, in riferimento alla ben nota vicenda dell’uscita dall’aula dei consiglieri dell’UDC per sottolineare il loro disaccordo col sindaco, ha affermato:” Torchi è il mio sindaco e non si tocca”. La frase è breve e lapidaria, ma abbonda di inesattezze e scorrettezze. Che il nostro sindaco sia stato indicato e voluto dall’on.Drago non è una novità, giacchè tutti ne siamo a conoscenza, ma che fosse di sua proprietà davvero non lo sapevamo. Si tratta di una affermazione assai grave che rivela una visione nepotistica della politica. Ricordo all’on.Drago che il sindaco è di tutti, nel senso che rappresenta l’intera cittadinanza: per quanto espressione di una ben precisa parte politica, nel momento in cui  assume tale carica, il sindaco deve porsi al di sopra delle parti e governare la città col fermo proposito di rappresentare  gli interessi e le aspettative dell’intera comunità che amministra. La sortita del parlamentare dell’UDC esprime senz’altro stima e solidarietà nei confronti del sindaco, ma è indiscutibile che, sebbene, ne siamo certi,  in modo involontario, ne sminuisce però  il potere e ne mortifica il ruolo. “Dietro Torchi c’è il leader dell’UDC”: se non si è trattato di un refuso e dunque il virgolettato è corretto, mi sembra legittimo che la cittadinanza debba sapere con estrema chiarezza da chi è amministrata, anche perchè l’on.Drago sostiene tra l’altro:”mi assumo la paternità delle scelte impopolari dell’amministrazione comunale perchè l’importante è equilibrare la situazione finanziaria”. E’ ovvio, che, nell’ambito del proprio collegio elettorale, un parlamentare incida sulle decisioni politiche di carattere locale, ma ciò è cosa assai diversa dal rivendicarne la paternità. Quì si scambia, davvero, l’autorevolezza con l’autorità. Non possiamo a questo punto non chiederci:nella nostra città vige un sistema democratico, in cui il sindaco e la giunta liberamente amministrano, oppure Modica è diventata una sorta di repubblica sudamericana dove  qualcuno detiene  il potere e amministra per conto di un altro? Anche l’altra affermazione:”Il sindaco non si tocca” non è meno grave della prima: mi sembra una pretesa arrogante e politicamente inaccettabile e ancora una volta lesiva dell’autonomia del sindaco. L’on.Drago ha formulato il più classico dei sillogismi:Torchi è il sindaco di Drago; Drago non si discute; Pertanto Torchi non si tocca. Un ragionamento logicamente ineccepibile, ma politicamente assai preoccupante, in quanto calpesta il pluralismo delle scelte, delle opinioni e delle azioni di tutti i consiglieri comunali dell’UDC: ed è preoccupante che nessuno di loro abbia sentito il dovere di  far sentire il proprio dissenso e di rivendicare la propria libertà di pensiero e la propria autonomia di giudizio. L’on.Drago ha assunto l’atteggiamento del gran manovratore che decide i destini della città, ma egli non può e non deve, perchè non ha titoli istituzionali per farlo: la città si amministra dalla sede municipale e non dalle segreterie politiche, per quanto influenti possano essere. Il sindaco e la sua giunta hanno l’inderogabile dovere di garantire ai cittadini modicani che nessuno, oltre loro, ha mai preso e mai potrà prendere, per quanto riguarda Modica, alcuna decisione di carattere amministrativo.

                                    

 


Aprile 2004

                                               

 

                                                    L’ultimo sorriso di Francesca

 

I sogni e le speranze di Francesca, ventitre anni, sono finiti per sempre; perduti sull’asfalto, naufragati nel grande mare dell’imponderabile, frantumati come sassi.  I sogni e le speranze hanno l’odore della gioventù, hanno il sapore di quel particolare incanto che avvolge i giorni del sorriso e della spensieratezza, prima che la vita si riveli nella sua dimensione oscura e crudele. Non conoscevamo Francesca Salonia, ma la sua ingiusta fine nel tragico incidente del 29 marzo, sulla Gela-Catania, ha suscitato anche in noi un vivissimo cordoglio e un sentimento di ribellione per quella vita stroncata in un istante. L’episodio, anche per il coinvolgimento di altre tre ragazze modicane, delle quali una in gravi condizioni, ha scosso l’intera cittadinanza. Vicende come questa ci liberano dall’alienazione e dalla falsità nelle quali inconsapevolmente viviamo, e ci riconducono alla realtà, che non è quella ingannevole e vuota delle telenovele né quella edulcorata dei salotti televisivi. Viviamo un’epoca che tende ad esorcizzare la morte e il dolore: anch’esse fagocitate dall’esasperato economismo che sta divorando ogni cosa e in nome di questo mostro dai mille tentacoli offriamo sacrifici a nuove divinità dai nomi seducenti: salute, bellezza, denaro e benessere. Non è certo piacevole parlare di morte e dolore, ma è profondamente stupido celarli nei meandri più reconditi della nostra coscienza, perché arrivano momenti, come questi, che ce li ripropongono nella loro ineluttabilità, perché fanno parte di noi, della nostra umanità. “Gli uomini – ammoniva Pascal -non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci”. E invece è proprio il pensarci che ci può rendere tristi ma liberi, perché consapevoli della dimensione effimera della vita, coscienti che siamo nulla dinanzi al tutto. Se potessimo osservare noi stessi da una prospettiva cosmica, forse, finalmente, vedremmo in modo chiaro e distinto la nostra stupidità, le nostre ridicole beghe, il nostro inconcludente affannarci; da tale prospettiva, forse, diventeremmo finalmente coscienti della grettezza delle nostre aspirazioni e della superficialità dei nostri progetti. Ne usciremmo di sicuro ridimensionati, ma vivremmo nell’autenticità: la consapevolezza di essere atomi sperduti nell’universo ci affrancherebbe da quell’inganno che da secoli ci fa compiere le più efferate scelleratezze: quello di sentirci padroni del pianeta che abitiamo. La fine di Francesca ci sia di monito e ci convinca, tutti, della nostra caducità e della nostra fragilità, ci aiuti a cambiare la sua e la nostra città, a recuperare quei valori che l’hanno resa grande dal punto di vista storico-culturale, buona ed ospitale sotto il profilo umano. Ci aiuti a recuperare il buon senso e la serietà, a ridare a questa città quella dimensione spirituale che sta perdendo, perché da qualche tempo rincorre traguardi - quattrini, commercio, affari - che le daranno il benessere materiale ma le strapperanno l’anima. La tragica fine di Francesca sia l’occasione per ripensare la vita e il nostro modo di condurla. La nostra esistenza è anonima e inautentica,  perché, come diceva Heidegger , viviamo fuggendo la morte. “L’individuo la considera come un caso fra i tanti della vita di ogni giorno, nasconde il suo carattere di possibilità immanente, la sua natura incondizionata e insormontabile, e cerca di dimenticarla, di non pensarci nelle cure quotidiane del vivere”. Occorre andare al di là dell’esistenza anonima, e, con un atto di libertà, accettare la possibilità più propria del nostro destino. E’ vero che tutto ciò significherà vivere l’angoscia, ma la si vivrà senza illusioni; sarà un’angoscia che ci renderà veramente liberi. La coscienza della nostra fragilità e la consapevolezza della nostra miseria ontologica sono l’unica strada per bandire dai nostri cuori l’intolleranza e la superbia e per unirci fraternamente contro ciò che Leopardi definiva l’ostilità della natura e del destino. E allora, forse, da qualche parte, nell’universo, la nostra giovane e sfortunata Francesca ci regalerà il suo ultimo sorriso.

                       

 

 

 

 

 

Maggio 2004

 



                                                  Il fumo e l’arrosto

 

Che la nostra città, dal momento in cui si è insediata l’attuale amministrazione, stia vivendo un momento di desolante declino, probabilmente tra i più gravi della sua lunga storia, non crediamo costituisca ormai una novità, quanto meno per coloro i quali non si lasciano ingannare dalle apparenze e dalla propaganda. Sulle cause di tale declino abbiamo già scritto abbastanza, e non crediamo, pertanto, che sia il caso di insistere, se non per ricordare che la crescita civile di una città non si misura nè dalla quantità degli affari, nè dalla smodata pubblicità con la quale sindaco e assessori celebrano come evento di straordinario valore politico persino il più semplice e banale atto amministrativo. La gravità della situazione scaturisce dal fatto che la politica dell’attuale maggioranza, anzichè limitarsi ad amministrare la città promuovendone lo sviluppo generale, che è poi il motivo per la quale è stata eletta, sta attuando delle scelte operative funzionali a delle strategie che non le competono: è in atto, infatti, un tentativo di uniformare la nostra città alla miserabile idea dello Stato-azienda che alberga nella mente del burattinaio di Arcore. Per fortuna i cittadini modicani non sono degli sprovveduti, e certamente si saranno accorti che il tanto sbandierato cambiamento promesso dalla giunta Torchi-Minardo è soltanto una riedizione del vecchio adagio siciliano reso celebre dal romanzo di Tomasi di Lampedusa:cambiare tutto perchè nulla cambi! Ciò che è ancora più deleterio è il fatto che questa Amministrazione – anche in questo caso perfettamente  in linea con la visione aziendalistica dello Stato propugnata dal già citato burattinaio -  procede imperterrita nell’annientamento delle radici cristiane della nostra comunità, che, inevitabilmente, finiscono per essere soffocate e represse, nel momento in cui il mondo degli affari viene posto come parametro della crescita civile di una città. L’oligarchia mercantile, della quale ci siamo già occupati, e l’amministrazione Torchi, costituiscono per la città una perniciosa diarchia. La prima esaltando in maniera smisurata la realtà del lavoro e del guadagno, in nome dei quali si fà scempio della sacralità della domenica e del legittimo diritto dei lavoratori al riposo o alla santificazione della festa, la seconda assecondando sempre e comunque i desideri e le aspettative della prima. In questo mese di Maggio, per esempio, le serate domenicali dei modicani che faranno shopping in via Sacro Cuore trascorreranno all’insegna del jazz,del blues e del rock: è la nuova iniziativa del consorzio dei commercianti di via Sacro Cuore. Pensavamo che i problemi della più importante arteria del quartiere fossero altri: primo fra tutti quello della viabilità,divenuto ormai insostenibile,ma che la nostra amministrazione si guarda bene dal risolvere. E così, poichè la giunta non intende turbare l’idillio coi commercianti della zona, il senso unico rimane una chimera e coloro che vi risiedono continuano a restare prigionieri di una situazione non più tollerabile, subendo un autentico sopruso, considerato che i problemi che sono costretti a vivere non vengono risolti per tutelare gli interessi economici di altri. Pensavamo che i problemi della via Sacro Cuore fossero altri: si pensi alla totale assenza di marciapiedi nel suo secondo tratto, o alla mancanza degli scivoli per i portatori di handicap. Adesso, in verità, ci sentiamo rinfrancati visto che il presidente del Consorzio ha dichiarato:”Unire all’attività commerciale iniziative di intrattenimento musicale, rappresenterà un modo per valorizzare un quartiere ben oltre la sua importanza commerciale, creando un centro di aggregazione e socializzazione non solamente per i residenti”. Al signor Riscica ci permettiamo di ricordare che l’aggregazione e la socializzazione sono categorie sociologiche e filosofiche talmente alte che non è il caso di utilizzare quando sono in gioco questioni di basso profilo, come i soldi, i clienti e gli affari. Alla maggioranza che ci amministra chiediamo di cominciare a lavorare sul serio per il bene della città, con la speranza che ci liberi dal soffocante fumo che ci avvolge e ci faccia finalmente gustare l’arrosto.

 

 

 

 

                             La crescita di una città non può dipendere da logiche mercantilistiche

 

Al Giornale di Sicilia del 18 Maggio, a proposito dell’iniziativa del consorzio dei commercianti di via Sacro Cuore, della quale ci siamo occupati nello scorso numero de”La Pagina”, l’assessore Drago ha dichiarato:”Apprezziamo l’iniziativa del Consorzio, perchè dimostra come le scelte differenziate per tipologia d’intervento, e per zone omogenee, siano assolutamente preminenti, come del resto testimonia da anni la brillante esperienza del Polo commerciale. A nome dell’amministrazione comunale esprimo il compiacimento per la brillante intuizione che ha visto protagonisti i commercianti della via Sacro Cuore”.
L’idillio, come si vede, continua!
Ho letto con attenzione le amichevoli critiche che Luisa Montù ha ritenuto di fare al mio ultimo articolo”Il fumo e l’arrosto”, ma, altrettanto amichevolmente, devo confessare di non averle condivise. Non è mai stato nostro intendimento sottovalutare gli aspetti economici della città, sappiamo bene che il commercio o il turismo sono fonte di progresso e di benessere, tuttavia, ribadiamo la nostra tesi che la crescita civile di una città non può dipendere da logiche mercantilistiche: noi rifiutiamo l’equazione secondo la quale la crescita culturale e spirituale di un popolo(nella fattispecie di una comunità cittadina)sia direttamente proporzionale al suo sviluppo economico. E’ una tesi marxista – non sostenuta, peraltro, nemmeno dalla Montù -  che abbiamo sempre combattuto e continueremo a combattere, perchè riteniamo che i valori dello spirito non debbano essere contaminati dalla merce e dal profitto. Crediamo che occorra separare la crescita economica da quella civile, perchè vanno giudicate con diverse categorie filosofiche e perchè differenti sono le motivazioni e le finalità che le contraddistinguono. E’ da questi presupposti teorici che derivano le nostre reiterate critiche all’attuale classe politica che governa la città.Essa ha ridotto in macerie quel poco di retaggio umanistico che s’era salvato da sessant’anni di storia nazionale, che ha visto il trionfo del più becero materialismo e del più squallido consumismo. Se nel nome del dio denaro non si consente ad un credente di partecipare alla messa domenicale, noi critichiamo aspramente tutto ciò, non per integralismo religioso, ma perchè rappresenta un’offesa lacerante e intollerabile alla libertà di coscienza dell’essere umano; se l’amministrazione comunale, tramite l’assessore Drago, esprime il suo apprezzamento per l’iniziativa dei commercianti e nel contempo non mostra alcun interesse per rendere vivibile il quartiere, rivela ancora una volta di non tenere in alcuna considerazione la salute, il benessere e la serenità dei cittadini. L’attuale amministrazione è portatrice di una mentalità ragionieristica,tecnocratica e mercantilistica:non c’è traccia di Umanesimo nella sua azione politica, e pertanto non può in alcun modo promuovere la crescita civile della città. Il grande limite di questa amministrazione non è quello di pensare allo sviluppo economico della città, è quello di aver inconsapevolmente elaborato una sorta di “metafisica dell’economia”: assolutizzato ,sacralizzato e venerato,  il fatto economico ha finito per porre in secondo piano situazioni e problematiche di gran lunga più importanti e qualificanti. Una politica senza basi umanistiche produce, inevitabilmente, una scarsa considerazione per la cultura, non in senso etnico-antropologico, ma nel suo significato più alto,  come manifestazione dell’attività dello spirito .L’indifferenza dei nostri amministratori per la cultura di alto livello emerge dai loro atti e soprattutto dalle loro omissioni; si pensi alla vicenda dell’Istituto musicale, agli atti relativi al convegno internazionale sulla Contea, che aspettano ancora di essere pubblicati, alla mancata istituzione della facoltà di Giurisprudenza, o ,ancora,  ad un episodio del quale siamo stati testimoni lo scorso 26 Aprile: nella sede dell’Ente Liceo Convitto, il prof.Colombo,con la consueta competenza,ha illustrato agli intervenuti il nono fascicolo dell’ Archivum historicum mothycense, rivista il cui spessore culturale non può certo essere messo in discussione: non abbiamo potuto fare a meno di notare l’assenza di sindaco e assessori. La nostra classe politica esprime apprezzamento sulla stampa locale per la brillante idea dei commercianti di organizzare un po’ di baldoria per allietare le serate dei potenziali clienti  e poi tace sulle iniziative come quella del Liceo Convitto. Non crediamo di dover aggiungere più nulla: i fatti, talvolta,  si commentano da soli!

 

 

 

                                                      La trasmigrazione dei consiglieri

 

“Le altre anime,giunte al termine della loro prima vita,subiranno un giudizio, e, dopo che  saranno state giudicate, alcune sconteranno la pena andando in luoghi di espiazione chestanno sotto terra(...) Un’anima umana può anche passare in una vita da bestia, e chi era una volta uomo può ancora una volta da bestia ritornare ad essere uomo. Ma l’anima che non ha mai contemplato la verità non giungerà alla forma di uomo”
dal “Fedro”  di Platone

 La maggioranza di centrodestra che governa Modica, incurante delle critiche e delle pessime figure già fatte, dà di sè, per l’ennesima volta, un’immagine che da un lato evidenzia le lacune culturali della coalizione – che tante volte abbiamo denunciato – e dall’altro offende l’intera città, che, per la sua storia e per la sua nobile tradizione, meriterebbe una classe politica di ben altra levatura intellettuale e fornita di un sistema di valori in grado d’innalzare il livello civile di questa città. Lo scorso mese di Marzo il consigliere comunale dell’UDC Tato Cavallino si è dimesso dal suo partito, così come, l’estate scorsa, aveva fatto Michele Polino, altro consigliere comunale, anch’egli eletto nelle fila dell’UDC e poi confluito in quelle di Forza Italia. Dalla trasmigrazione delle anime, di platonica memoria, siamo passati alla trasmigrazione dei consiglieri comunali. Non si è verificato certamente un salto di qualità: tutt’altro! Siamo in presenza di un’avvilente discesa verso il basso: un’aula consiliare, per quanto austera ed elegante, non può reggere in alcun modo il confronto con la paradisiaca pianura della verità: il celebre Iperuranio. C’è poi un’altra importante considerazione da fare: l’analisi che Platone fà intorno al destino delle anime lascia poco spazio al buonismo, oggi così ipocritamente imperante, prevedendo, per coloro che in questa vita sono stati schiavi dei più bassi istinti, un’umiliante vita successiva; saranno infatti condannati a reincarnarsi in uomini bruti o in feroci animali. I protagonisti dell’attuale trasmigrazione, invece, non corrono di questi rischi: per loro non incombe il pericolo di squalificanti reincarnazioni o di una mortificante discesa agli inferi, anzi, al contrario, tali salti da un banco all’altro dell’aula consiliare, molto spesso, finiscono per condurre questi politici “itineranti” verso migliori traguardi, a sedere su più comode poltrone, a conquistare, insomma, maggiore visibilità e, talvolta, qualche fetta di potere, la mancanza del quale – e questo è l’unico pensiero del senatore Andreotti che riusciamo a condividere – ne logorava il fisico e lo spirito. Non occorre essere uno scienziato della politica per constatare che abbandonare il partito nel quale si è stati eletti significa tradire i propri elettori, e, nello stesso tempo, le proprie convinzioni politiche:ciò è consentito soltanto se il partito cui si appartiene modifica radicalmente la propria linea politica e i propri valori di riferimento o se il gruppo dirigente impedisce ai suoi consiglieri di esprimere liberamente le loro convinzioni e le loro opinioni. Il consigliere in questione ha dichiarato di non rinnegare il suo partito, che ha condiviso e condivide il programma elettorale del sindaco ed ha persino promesso che resterà politicamente vicino al centrodestra, adducendo come unica motivazione della sua fuoruscita il desiderio di sentirsi libero e di essere indipendente nelle sue decisioni, e, infine, di non volere avere legami di natura politica. Crediamo che il consigliere Cavallino non se la possa cavare con delle espressioni che dal punto di vista politico non significano assolutamente nulla. Egli ha il dovere di dare delle spiegazioni, non a noi, certamente, che nemmeno lo conosciamo, ma a coloro che lo hanno votato. Tra l’altro, in una fase della politica locale nella quale più volte s’è parlato dell’esigenza di un rimpasto, riteniamo sarebbe nel suo interesse esprimersi con maggiore chiarezza, onde evitare che l’aver abbandonato il partito nel quale è stato eletto possa essere interpretato come una forma di protesta per una maggiore visibilità chiesta e non ottenuta. Se escludiamo, infatti, tale interpretazione, le sue affermazioni appaiono politicamente insignificanti, giacchè è palesemente contraddittorio esprimere fiducia nel partito che si abbandona, così come appare inconciliabile il desiderio di sentirsi libero con l’apprezzamento espresso per il partito dal quale si fuoriesce: se la logica ha ancora un senso, ciò significa che quel partito non permette al consigliere di essere autenticamente libero, ma in tal caso non si spiega più l’apprezzamento. La verità è che l’atto compiuto dai due consiglieri dell’UDC non fà che esplicitare quel degrado della politica, del quale l’UDC, quanto meno quello siciliano, è certamente tra i maggiori responsabili; si pensi ai guai giudiziari del presidente della Regione che non ha nemmeno il buongusto di farsi da parte o all’arresto del deputato regionale Vincenzo Lo Giudice con l’infamante accusa di essere al servizio della mafia.Questo partito, d’altronde, è il legittimo erede di quell’altro, che, in cinquant’anni di storia repubblicana, ha contribuito più di tutti ad inquinare la politica, con la sua perniciosa gestione degli appalti, col suo becero trasformismo e con i suoi devastanti metodi clientelari. La spiacevole novità della politica nazionale e locale non è il centro ma la destra. Non è questo ovviamente il luogo per analizzare quale sia la vera destra, se quella liberale o quella che affonda le radici nel partito che fu di Almirante, nè la  sede per discutere dei suoi meriti  e dei suoi limiti, ma certamente è possibile affermare che il governo di centrodestra è una realtà virtuale, è più presunto che reale: a Roma, come a Modica, non c’è traccia della destra, qualunque sia il modo in cui la si voglia intendere; le deludenti  motivazioni che stanno alla base della recente polemica all’interno della locale sezione di Alleanza Nazionale sono lo specchio di uno stile tutto democristiano di fare politica. Non esiste più la destra  perchè non esiste più l’onore, il dovere, la coerenza e la lealtà, e il partito che si dichiara tale ha abbracciato l’opportunismo, l’efficientismo e persino il federalismo. Non esiste più la destra perchè quella che si ritiene tale  non parla più di ordine, distanza e diversità: una società è davvero matura e autenticamente democratica quando queste categorie si contrappongono alla libertà, alla fraternità e all’uguaglianza, non per annullarle, ovviamente, ma per fa sì che la libertà non diventi anarchia e l’uguaglianza non conduca ad una desolante massificazione. Il problema  del quale abbiamo trattato, comunque, trascende l’episodio dei due consiglieri dell’UDC modicano: si tratta infatti di un collaudato e infausto vizio dell’italica gente. Basti per tutti l’esempio della innumerevole schiera di politici e intellettuali che fascisticamente agirono e pensarono fino al 24 Luglio del ’43: il giorno dopo mutarono casacca e bandiera, si travestirono da campioni dell’antifascismo e su questo edificarono le loro fortune personali e politiche. Lo scorrere inesorabile del tempo li ha ridotti di numero, ma qualcuno ancora si aggira tra Montecitorio  e Palazzo Madama e qualcun altro ancora pontifica da qualche cattedra universitaria. Parafrasando Gobetti, antifascista serio e coerente, potremmo dire che l’arte – tutta italiana – dell’incoerenza ideologica e del travestimento politico non è che l’autobiografia della nostra nazione.

         

 

 

Giugno 2004

                                         

 

                                           Esami di Stato, si raccomanda di vigilare

 

Leggo sulla stampa locale che il direttore regionale della Pubblica Istruzione ha raccomandato ai Provveditorati agli Studi, e dunque anche al nostro, di vigilare, in occasione degli esami di Stato, sull’operato delle Commissioni nelle scuole paritarie presenti nel territorio di competenza. Tale preoccupazione deriva dal recente scandalo dei cosiddetti”diplomifici”, come furono allora definiti dal ministro Berlinguer, che, in quella occasione, ebbe il merito di porre all’attenzione dell’opinione pubblica un problema scottante e serio. La raccomandazione della Direzione regionale mira soprattutto a controllare la carriera scolastica dei candidati delle scuole private: non è un mistero, infatti, che troppo spesso tali candidati, presentati peraltro con medie altissime, non hanno frequentato la scuola nemmeno per un giorno.Anche la nostra provincia è stata, come le altre, oggetto d’indagine: alcune scuole di Comiso e di Vittoria, infatti, sono state monitorate per scoprire se vi fossero state delle irregolarità. Come ogni anno, in occasione degli esami di Stato, il mondo dei mass media, con grande ipocrisia, si diletta a fornirci numeri, dati, statistiche, a toccare le corde del pietismo nazionale, intervistando terrorizzati adolescenti prima che varchino la soglia di quella che nell’immaginario collettivo  assume le sembianze dell’inferno dantesco; e, infine, come ogni anno, ci tormentano con il totoesame: sarà ancora una volta Montale a rendere “pallidi e assorti” i già tremanti candidati, o finalmente lassù, al Ministero, si ricorderanno del nostro conterraneo Quasimodo? Naturalmente il gran mistero circonda anche gli altri protagonisti del temuto esame:l’articolo, il saggio breve, il tema di carattere storico. Televisioni e giornali, complici del governo di turno, cercano di confondere con tali cianfrusaglie le menti dei più semplici, con la speranza di celare, con tali sciocchezze, i seri e reali problemi che da tanto, troppo tempo non consentono ai nostri esami di Stato di assumere una dimensione veramente formativa e uno spessore autenticamente culturale. Non si tratta di voler ripristinare un esame di stampo gentiliano – anche se mai ci uniremo al coro dei denigratori di Gentile e della sua riforma, che resta a tutt’oggi la migliore che l’Italia abbia avuto, anche se in alcuni suoi aspetti non più proponibile, per l’inevitabile evolversi dei tempi e dei costumi – si tratta semplicemente di abolirlo, alla luce degli interventi inopportuni compiuti da Berlinguer prima e dalla Moratti dopo. Già la riforma Berlinguer era apparsa inconcludente sul piano pratico e demagogica su quello teorico: una concessione agli studenti maggiorenni, e pertanto potenziali elettori, indotti a vedere nel  Ministro della Pubblica Istruzione una sorta di rassicurante babbo natale; non più un solo docente(il famoso”membro interno”), eroe solitario che affrontava impavido la titanica battaglia coi commissari esterni pronti a sbranare gli incolpevoli candidati, ma una sorta di pars condicio ante litteram: metà dei commissari  interni, l’altra metà esterni, insomma una partita ad armi pari. Gli esami voluti da Berlinguer furono assai discutibili dal punto di vista della correttezza politica, perchè scaturiti da motivazioni elettoralistiche, carenti sotto il profilo morale, perchè nati da una premessa offensiva verso la classe docente, ritenuta, evidentemente, incapace di essere autonoma nel giudizio e obiettiva nell’esercizio della sua funzione: il docente esterno carnefice degli alunni, quello interno complice. La situazione, già grave, è divenuta tragica ed esilarante allo stesso tempo con l’avvento della signora Moratti, una manager, che, seguendo l’esempio del suo capo, pensa di poter gestire la scuola come fosse un’azienda. Coi commissari tutti interni, la signora è riuscita abilmente a conseguire due obiettivi: risparmiare, elargendo ai docenti un’umiliante elemosina e nello stesso tempo offrire alle scuole private la possibilità che i loro candidati siano esaminati dai loro stessi docenti, con la conseguenza d’incrementare il fenomeno dei diplomifici. Adesso la signora Letizia, dopo essere stata l’artefice di questa desolante pagliacciata, crede di emendare la propria coscienza e di turlupinare docenti, alunni e famiglie inviando qualche ispettore a controllare ciò che controllabile non è: i mezzi per sfuggire ai presunti controlli sono infatti innumerevoli, e  ne abbiamo avuto conferma in occasione dell’ultimo, recente scandalo. Incrementare, come si diceva, i diplomifici è un atto insano e deplorevole, ma pretendere, nello stesso tempo, di presentarsi all’opinione pubblica come paladina della legalità è nauseante e stupido. Terminiamo queste nostre considerazioni evidenziando l’aspetto che abbiamo definito esilarante. La Moratti cambia gli esami di Stato voluti da Berlinguer decidendo che tutti i commissari siano interni e poi mantiene il famoso Documento sulla classe, voluto dal suo predecessore, che contiene relazioni, programmi, storia della classe: il docente, insomma, informa se stesso sul livello dei suoi alunni, sui programmi che ha svolto e lo mette pure per iscritto. In tal modo, i commissari d’esame, prima dello svolgimento delle prove, saranno solennemente informati di ciò che essi stessi hanno fatto e scritto. Tutto ciò è certamente motivo d’ irrefrenabile ilarità, ma nel contempo ci dà la misura del quoziente intellettivo di chi dirige in questo momento la scuola italiana. Signora Moratti, prenda finalmente una decisione seria e radicale, che certamente innalzerebbe il suddetto quoziente: abolisca gli esami di Stato!

 

 

 

                                        Uno spettacolo sgradevole e sconfortante

 

“Fra gli individui l’unico legame ammesso come veramente fattivo è l’amicizia, la quale è un libero legame che insieme unisce chi in modo identico sente, pensa e vive”
G. Reale

 Questa riflessione di Giovanni Reale,eminente storico della filosofia greca, sul significato e sull’importanza dell’amicizia nel pensiero epicureo, ci è stata suggerita dalle recenti polemiche sorte in seno al Consiglio comunale di Modica tra l’UDC e Alleanza Nazionale da una parte e Forza Italia dall’altra. All’origine dello scontro sta l’approvazione del Piano triennale delle opere pubbliche: una vicenda nata male e finita peggio. Si ricorderà, a tal proposito, l’infelice sortita del senatore Minardo, l’ancor più infelice difesa del consigliere Iabichella e l’avvilente conclusione a tarallucci e vino, come allora avemmo modo di definirla; tutto nacque dalla decisione del sindaco di escludere il consiglio comunale dall’incontro con la giunta provinciale relativamente alla discussione sul piano delle opere pubbliche. La vicenda è tornata alla ribalta in questi giorni con le critiche che AN e UDC hanno espresso nei confronti dei consiglieri di Forza Italia, che hanno, di fatto, disertato la riunione della civica assise per l’approvazione del piano; ad innescare la miccia, ancora una volta, è stato il vicesindaco Minardo, il quale, in spregio alle più elementari regole della coerenza, ha espresso la sua piena soddisfazione per quanto approvato dal consiglio comunale, dimenticando la latitanza del suo partito, quella dell’assessore alle Infrastrutture e quella sua personale. E’ vero che le considerazioni di Giovanni Reale su Epicuro riguardano l’amicizia, che ha con la politica la stessa relazione che una suora di clausura potrebbe avere con un’attricetta di film pornografici, anche se, in verità, i democristiani d’un tempo facevano della parola “amici” largo uso, e, ogni qualvolta che ciò accadeva, il grande  Montanelli esclamava il suo irriverente e caustico”Dio li perdoni”.Dicevamo che l’iniziale citazione ha per tema l’amicizia, ma noi crediamo che possa essere valida anche in un contesto diverso e più ampio: il comune sentire è un dato imprescindibile perchè un legame, anche politico, possa essere fruttuoso e duraturo. Gli screzi e le incomprensioni nella maggioranza che governa Modica non sono soltanto deleteri dal punto di vista amministrativo, sono soprattutto avvilenti sotto il profilo culturale e politico: i nostri amministratori e i consiglieri di maggioranza litigano sul nulla; essi cercano di emulare i rispettivi leaders che risiedono a Roma: è là, infatti, che le fratture profonde vengono quotidianamente colmate per salvare le poltrone, alla comodità delle quali, come si sa, noi italiani siamo particolarmente sensibili. Ma quale comune sentire dovremmo poter rintracciare tra la Lega,col suo sfrenato liberismo e il suo federalismo, che nasconde, in realtà,  un mai tramontato progetto secessionistico e Alleanza Nazionale, che, nonostante la svolta neoliberistica, rimane pur sempre sensibile ai temi della solidarietà sociale e dell’unità del Paese; quale comune sentire dovremmo individuare tra un partito che ritiene di amministrare lo Stato come fosse un’azienda e quell’altro che si richiama alla vecchia Democrazia Cristiana, che, per quanto largamente corrotta, era pur sempre l’erede di Sturzo e dei suoi alti insegnamenti. Per questi motivi, la maggioranza che governa il Paese è profondamente lacerata. Siamo perfettamente consapevoli che in politica non si possono costruire maggioranze sul comune sentire, non accadeva col sistema proporzionale figuriamoci con quello maggioritario, ma partiti come AN e UDC avrebbero avuto la forza e la dignità- che deriva loro dai valori cui fanno riferimento- per imporre le loro ragioni al provincialismo nordista della Lega e allo squallido aziendalismo di Forza Italia. Tale coraggio è mancato: per ovvie ragioni di spazio non possiamo in questa sede approfondire le recondite motivazioni di questa imperdonabile viltà. Per quanto riguarda le liti in periferia, e pertanto anche nella nostra città, queste sono ancora più deprimenti. Ci piacerebbe sapere, infatti, quanti fra i consiglieri comunali dell’UDC hanno letto Sturzo o conoscono approfonditamente l’attività politica di De Gasperi , e quanti, fra quelli di Alleanza Nazionale(ci riferiamo ovviamente a coloro la cui iscrizione a questo partito coincide con l’inizio della loro attività politica) conoscono i progetti socio-economici e gli ideali politici del Movimento Sociale Italiano,le motivazioni storico-politiche dei suoi richiami all’esperienza della Repubblica Sociale o il travaglio politico e culturale attraverso il quale tutto ciò è potuto sfociare nel partito nel quale militano, e di cui, sinceramente, stentiamo ancora a comprendere quali siano i suoi valori, i suoi progetti e i suoi ideali.  Non prendiamo naturalmente in considerazione i consiglieri di Forza Italia,militando costoro in un partito senza storia e senza ideali. Non potendo, dunque, i nostri consiglieri di maggioranza  dividersi sui contenuti culturali, potrebbero almeno farlo sulle scelte amministrative di rilevante spessore; ma dividersi per motivi di bassa politica (i consiglieri forzisti Covato e Iabichella  parlano addirittura di”un preciso disegno manovrato da qualche rappresentante istituzionale locale”) e celarli sotto motivazioni credute erroneamente più serie, mentre,essendo chiaramente pretestuose, sono soltanto più ridicole(mi riferisco alla vicenda del numero dei consiglieri presenti in aula) vuol dire offrire ai cittadini uno spettacolo che è certamente esilarante, ma nello stesso tempo sconfortante e assai sgradevole.

 

 

Luglio 2004

 

 

                                               LA POLTRONA NELLO STEMMA

 In questi giorni, nella nostra città, la politica è in uno stato di costante fibrillazione. Le cronache registrano le dimissioni di Marisa Giunta, capogruppo consiliare di Forza Italia, l’azzeramento della commissione Affari Generali, dovuto alle dimissioni dei tre consiglieri della maggioranza cui hanno fatto seguito quelle dei due componenti della minoranza: Rosa della Margherita e Barone dei Democratici di Sinistra. Il presidente della Commissione, Michele Polino, respinge ovviamente le critiche e sostiene che” le dimissioni in massa dei componenti la maggioranza sono frutto di una strategia politica da parte del direttore d’orchestra”. Chi sia costui non è dato ovviamente sapere! Intanto, un consigliere facente parte della nutrita schiera degli “itineranti”(ci si perdoni l’autocitazione), Frasca Caccia, difende con veemenza la decisione del capogruppo azzurro in consiglio comunale. E pensare che, ancora oggi, qualcuno contesta le nostre affermazioni sul degrado della politica a Modica! Consiglieri comunali che cambiano partito con la stessa disinvoltura con cui ci si cambia d’abito, altri che ormai hanno fatto della metafora il centro dei loro presunti discorsi politici, per fare in modo che l’oscuro messaggio giunga al destinatario di turno; è la politica del quiz: ai cittadini l’arduo compito d’indovinare chi possa essere, nella fattispecie, il misterioso direttore d’orchestra.
Alla faccia della democrazia e della trasparenza! I seri problemi che affliggono la città e che nonostante le promesse elettorali non sono ancora stati risolti sembrano essere l’ultima preoccupazione dei nostri politici, impegnati come sono  ad accusarsi reciprocamente di oscure manovre, a paventare bufere e terremoti nella maggioranza. Coincidenza davvero strana quella che vede tali cataclismi scuotere le mura del Palazzo proprio nel momento in cui il sindaco annuncia l’imminente rimpasto nella giunta di governo. E su questo punto, il sindaco riteniamo sia chiamato a dare ai cittadini una risposta chiara e convincente: noi vogliamo credere che Torchi nel momento in cui scelse i componenti della sua giunta lo fece in piena autonomia (nonostante la presenza dell’avvocato Drago) e soprattutto con la convinzione di aver scelto delle persone di sicura affidabilità e competenza; il fatto che adesso voglia procedere alla loro sostituzione riteniamo debba essere spiegato all’intera collettività. Se non è l’ammissione di un fallimento, il cosiddetto rimpasto – che tutti a parole disprezzano in quanto emblema della Prima Repubblica, ma al quale tutti, nei fatti,  ricorrono - risponde soltanto a logiche di spartizione, o meglio, di ridistribuzione del potere. Ci chiediamo allora quale sia la sbandierata diversità di questa Amministrazione, in cosa consista il tanto propagandato rinnovamento  promesso alla città.
Assistiamo, invece, con grande fastidio, a questo teatrino fatto di congiure e tradimenti: ci sembra di vederli questi mediocri professionisti della politica, mentre, assetati di potere, mettono in atto tutte le più astute strategie pur di sedere sull’agognata poltrona. Sono i limiti della Democrazia: è il dazio da pagare per conservare la libertà: il più alto valore della vita. Il clientelismo, endemica piaga del nostro Sud, fa si che una città come Modica abbia un consiglio comunale popolato da personaggi che, nella maggior parte dei casi, non sono assistiti da una cultura adeguata al ruolo che ricoprono e soprattutto non dimostrano di possedere il valore della coerenza ideologica e l’idea della politica come servizio. La poltrona sembra essere l’unico obiettivo dei nostri consiglieri comunali. Il passato di questa città grida vendetta: lo scadimento culturale e sociale nell’amministrazione della cosa pubblica fà emergere ancora di più l’insanabile frattura tra la Modica colta, aristocratica e civile che ancora vive in molte persone e in alcune Istituzioni e quella  popolana e incolta che soffoca la prima con l’arroganza del denaro e della politica. A questo punto, considerato che per noi la coerenza è un valore irrinunciabile, proponiamo ai nostri amministratori di apportare una significativa modifica allo stemma della nostra città, una modifica che lasci un segno indelebile dei tempi che stiamo vivendo: che vi campeggi, nei secoli, l’agognata poltrona!

 

 

                          I COMMERCIANTI ORDINANO, IL SINDACO OBBEDISCE

 Su La Pagina del 12   Gennaio fu pubblicato un nostro articolo”L’oligarchia mercantile”, nel quale denunciavamo la troppa influenza esercitata dai commercianti modicani su alcune scelte dell’amministrazione comunale. In quell’articolo ricordavamo le loro lamentele per la chiusura al traffico del corso Umberto nelle ore serali, e, soprattutto, si rammentava ai nostri lettori la responsabilità degli operatori commerciali di aver reso impossibile un ordinato e scorrevole  traffico veicolare nel quartiere Sorda e soprattutto nella via Sacro Cuore, giacchè furono proprio i commercianti a far desistere l’amministrazione Ruta dall’intento di risolvere la questione con l’ istituzione dei sensi unici. Adesso, però, ci sembra che la misura sia colma e che la pazienza di noi cittadini  stia davvero per esaurirsi. La sera del 13 Luglio, infatti, gli operatori commerciali di Marina di Modica hanno spento le insegne dei loro negozi per protestare contro la decisione dell’amministrazione comunale di chiudere al traffico veicolare, nelle ore serali, alcune vie della nota frazione balneare. Abbiamo la non piacevole sensazione che gli operatori commerciali di Modica, non contenti di esercitare quel potere oligarchico di cui abbiamo detto, stiano adesso tentando, con proclami e proteste, d’imporre ancora di più la loro concezione della vita – contro la quale non finiremo mai di batterci – per porre i loro interessi al centro dell’azione amministrativa della giunta comunale. Si tratta di una inaccettabile tentazione totalitaria, nel senso che il potere di questo gruppo, ormai indiscutibilmente dominante, sta travalicando i limiti consentiti da una società libera e democratica. E ci asteniamo dall’ approfondire, in questa sede, un altro aspetto della vicenda, del quale si è già occupata Ninì Giudici su La Pagina del 28 Giugno: ci riferiamo alle due enormi tazzine da caffè fatte collocare da una ditta modicana in una delle rotatorie sulla SS.115; a parte l’offesa al buon gusto e all’eleganza, nella totale ignoranza dei più elementari canoni estetici, ci chiediamo perché mai qualcuno debba poter imporre a tutti le sue orribili scelte promozionali. Ma ci chiediamo, soprattutto, perché tali scelte debbano essere sempre e comunque assecondate da chi ci amministra. Ci auguriamo sia evidente l’intento provocatorio della nostra espressione”tentazione totalitaria”- giacchè se adoperata nel suo significato autentico sarebbe nella fattispecie sicuramente inappropriata – tuttavia ci è assai utile per dare un’idea di ciò che sta accadendo nella nostra città, nella incomprensione di tanti, nella indifferenza di molti e nella deprecabile compiacenza di pochi. Questa città non può e non deve tollerare che un gruppo sociale si arroghi diritti e prerogative che non gli competono; come cittadini che vivono in una società democratica non possiamo accettare che siano i commercianti a stabilire la segnaletica di questa città, la chiusura o meno delle sue vie, a poterla deturpare con discutibili scelte pubblicitarie. Anche questa volta, ci riferiamo ovviamente alla vicenda di Marina, l’amministrazione comunale non è stata in grado di perseverare nelle proprie decisioni ed ha ceduto allo strapotere dei commercianti, e la circolazione veicolare è stata ripristinata nelle strade dove, solo qualche giorno prima, il transito era stato vietato. Il sindaco ha dichiarato: “Abbiamo assecondato i commercianti, ne abbiamo immediatamente compreso i disagi, revocando le ordinanze di concerto con gli operatori”.Bravo signor Sindaco! Ancora una volta lei non ha fatto il suo dovere, che è quello di rappresentare tutti i cittadini, e non di essere succube di quella che è soltanto una parte, importante, certo, della cittadinanza che amministra. Non sono soltanto i commercianti, in questa città, a dover subire dei disagi. Noi, a causa di un esercizio commerciale sotto casa, siamo costretti a lasciare tutti i giorni la nostra autovettura a duecento metri dalla nostra abitazione; i commercianti di Marina avrebbero dovuto rassegnarsi, anche loro, come tutti i comuni mortali, a subire un lieve calo nelle vendite, per consentire alla gente di poter fare quattro passi in santa pace. Siamo in tempi di par condicio: applichiamola; per tutti!

 

 

 

 

 

Settembre 2004

                                                      

                                                 IL TEATRINO DELLA POLITICA

Una delle innumerevoli contraddizioni dell’on.Berlusconi è quella di attribuire ai suoi oppositori comportamenti che invece appartengono  al suo schieramento politico, basti pensare alle intricate vicende che in estate hanno caratterizzato la vita politica locale. Tra le tante manifestazioni che hanno allietato le serate dei modicani ve n’è stata una che non ha conosciuto momenti di sosta e che ha sempre polarizzato l’attenzione di tutti: il teatrino della politica, appunto! Si è  trattato di uno spettacolo che avremmo voglia di definire esilarante, se non fossero in gioco gli interessi della collettività. L’episodio più inquietante è stato certamente quello riguardante la cosiddetta “rotazione” degli assessori comunali: l’aspetto sconcertante della vicenda è legato al penoso tentativo di mascherare con motivazioni di ordine ideale e politico interessi di parte, ordini di scuderia,incontenibili desideri di maggiore visibilità. L’intervista del 27 Agosto rilasciata al Giornale di Sicilia dall’ex assessore Federico Mavilla è la prova di quanto sosteniamo: l’ex assessore all’Ecologia sarebbe stato costretto a lasciare la carica per la sua vicinanza al consigliere provinciale Carpentieri, reo  di essersi allontanato dalle posizioni del senatore Minardo. Tre le preoccupanti conclusioni che possiamo trarre da questa vicenda. La prima riguarda il sindaco, del quale più di una volta abbiamo messo in evidenza quella che a noi sembra una scarsa autonomia decisionale, derivante dai pesanti condizionamenti  politici che sembra subire; la seconda è che Modica deve rinunciare ad un assessore, che aveva dimostrato di lavorare con serietà e competenza, per motivi( i dissidi tra Minardo e Carpentieri)che svuotano la politica dei suoi significati più seri e pregnanti,facendola scivolare in quella sorta di teatrino la cui fatuità ricade poi, inevitabilmente, sull’intera collettività. La terza è che il sen. Minardo, anzichè dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di parlamentare, continua a condizionare pesantemente la politica modicana, tradendo , fra l’altro,il mandato dei suoi elettori, che lo hanno eletto perchè rappresenti a Roma gli interessi della provincia e non per essere protagonista della politica locale, sulla quale, peraltro, dimostra di incidere in maniera destabilizzante. Per quanto riguarda poi la sostituzione di alcuni assessori e la permanenza di altri al loro posto, la città aspetta ancora di conoscere dal sindaco i criteri e le motivazioni che lo hanno indotto a sostituire i primi e a rendere inamovibili i secondi. La situazione non è certamente migliore a livello provinciale; anche in questo caso Forza Italia mostra tutti i suoi limiti di partito-azienda, privo di ogni riferimento culturale e politico degno di rilievo, che trascina nella farsa gli altri partiti della coalizione, che da tempo hanno rinunciato al loro patrimonio di valori e di idee che invece essi posseggono. Aspettiamo da tempo, da troppo tempo, che alcuni gravi problemi della nostra provincia vengano risolti, e siamo costretti, invece, ad assistere a spettacoli di pessimo gusto e di assoluta inutilità, fatti di contraddizioni più o meno latenti, di rimpasti, di inaccettabili atteggiamenti nepotistici. E’ la politica che mira ad un unico e desolante obiettivo: la spartizione delle poltrone! Ce n’è abbastanza per zittire tutti coloro che negano ostinatamente lo squallore e il degrado che caratterizzano la vita politica del nostro comune e della nostra provincia .Il nostro pessimismo è attenuato da una sola, segreta speranza: che il partito-azienda si sgretoli e crolli per la sua intrinseca vacuità e che la sete di potere dei suoi esponenti ne faccia esplodere le interne lacerazioni.La politica, allora, sia quella nazionale sia quella locale,si affrancherebbe da un inutile e pericoloso pachiderma, e forse ritroverebbe il suo senso e sue finalità più autentiche.

 

 

                                                  GIU’ LE MANI DALLA SCUOLA !

 “Le Istituzioni più vicine agli studenti, creando momenti di formazione da cui trarre spunti di riflessione che favoriscano una crescita reciproca”.E’ il messaggio inviato dal presidente del consiglio comunale Enzo Scarso ai dirigenti scolastici e ai docenti che operano nelle scuole della nostra città. Possiamo assicurare che noi docenti, di tale messaggio, avremmo fatto volentieri a meno, poichè, come si suol dire, la predica giunge da un pulpito che non è nelle condizioni ideali di poterla fare, soprattutto se tale pulpito sostiene che”è indispensabile educare i giovani alla convivenza democratica”. Chiariamo subito, a scanso d’equivoci, che le nostre perplessità non sono legate alla persona che presiede il consiglio comunale e pertanto non è Scarso l’obiettivo delle nostre critiche, nè tanto meno la carica che egli ricopre e per la quale, come tutti coloro che si professano democratici, nutriamo grande rispetto. Noi riteniamo che le istituzioni cittadine, per il cattivo esempio che quotidianamente forniscono ai nostri ragazzi, è bene che stiano da loro il più lontano possibile, che è poi l’esatto contrario di ciò che auspica il presidente del nostro consiglio comunale. Non si tratta, ovviamente, di inculcare nelle menti dei nostri alunni il disprezzo per le istituzioni o di eliminare l’educazione civica dai programmi scolastici, giacchè questo creerebbe  un danno incalcolabile nel processo formativo dei ragazzi. Al contrario, offrire agli alunni tutti gli strumenti possibili per cominciare ad essere cittadini maturi  e responsabili, nel rispetto delle regole democratiche del vivere civile, è uno degli obiettivi primari che la scuola deve offrire ai propri alunni. L’aspetto polemico di queste nostre riflessioni nasce da un profondo senso di fastidio legato a un deplorevole vizio della nostra classe politica, che è quello legato ad una intollerabile autoesaltazione e al non vedere, o fingere di non vedere,il baratro etico e morale nel quale ha condotto la città che amministra. Il consigliere Scarso presiede un consiglio comunale nel quale la coerenza politico-ideologica è ormai costantemente soffocata da motivi non certo edificanti, e dove le regole democratiche non sempre costituiscono il dato imprescindibile cui attenersi in tutte le iniziative politiche; ricordiamo, a tal proposito, le varie concessioni rilasciate per impianti industriali e sportivi, con le ovvie conseguenze  sul piano paesaggistico e su quello relativo all’inquinamento:ci riferiamo all’impianto di trattamento biomassa e all’insediamento della discarica comprensoriale; ciò che è assai grave, come sostiene il presidente dell’Eco-sezione del Movimento azzurro di Marina di Modica, è che” tali concessioni sono state rilasciate a ditte private con autorizzazioni e finanziamenti già approvati tramite ufficio, ma che i cittadini dei siti interessati hanno appreso soltanto a lavori già iniziati.”Si pensi, poi, ai criteri seguiti nelle revoche e nelle nomine degli assessori comunali .Davvero un bell’esempio per i nostri giovani! E tralasciamo, per carità di patria, di tornare sull’argomento della nuova giunta provinciale, a proposito della quale le nostre istituzioni non hanno certo brillato per trasparenza e spirito democratico, dando spazio a lotte di potere e a deleterie scelte nepotistiche che sollevano qualche dubbio sulle possibilità del presidente della Provincia di fare le sue scelte in totale e piena autonomia.  Noi docenti siamo quotidianamente impegnati a formare le nuove generazioni, offrendo loro ideali nobili e valori irrinunciabili, ma il nostro lavoro è costantemente vanificato dalla fragilità etica e dai comportamenti poco edificanti della nostra classe politica, che pertanto rappresenta un cattivo esempio per i nostri giovani. Continui pure a crogiolarsi nelle sue beghe quotidiane, nel suo stucchevole autoelogiarsi, nelle sue lotte di potere, ma non abbia l’ardire di ritenersi in grado di promuovere momenti di formazione e di riflessione in quelle istituzioni, come la scuola, che rimangono l’ultimo baluardo a difesa dei valori che contano.Consigliamo al presidente Scarso di promuovere tali processi all’interno del consiglio che presiede- dio sa quanto ne abbia bisogno- ed  esortiamo la classe politica che ci amministra a farci fare il nostro lavoro senza dover subire presenze, sermoni e sollecitazioni politiche: ci bastano quelle ministeriali, di una signora arrogante e incompetente che sta arrecando alla scuola italiana(quella pubblica, s’intende!) un danno incalcolabile e probabilmente irreversibile.

 

 

Ottobre 2004

 

                                               
UN MONUMENTO ALL’INEFFICIENZA

Il prossimo 22 Ottobre si terrà l’ennesima udienza sul grave incidente stradale verificatosi sei anni fa in via Rocciola-Torre Cannata, nel quale restò coinvolto un sedicenne modicano che percorreva quella strada a bordo del suo ciclomotore: sembra incredibile, ma quella buca nel terreno, responsabile del sinistro e che costò al ragazzo venti giorni di coma e un handicap permanente alla schiena, è ancora là: monumento alla inefficienza e alla insensibilità delle forze politiche che hanno governato e che governano la nostra città. Da oltre due anni è in atto un contenzioso col  Comune, che, non soltanto non ha avvertito il dovere morale e civile di procedere al riconoscimento del danno provocato al ragazzo, ma, si stenta davvero a crederlo, non ha ancora provveduto, dopo sei anni, a ricoprire quel fosso, incurante delle gravi conseguenze che potrebbe ancora provocare. Abbiamo appreso questa notizia dal Giornale di Sicilia dello scorso 2 Ottobre: al sentimento di sdegno suscitato da tale vicenda si è aggiunto poi un senso di smarrimento e di profondo fastidio, visto che, sulla stessa pagina, il segretario cittadino dell’UDC, in perfetta sintonia col suo sindaco e collega di partito, manifestava , anche lui, l’insopportabile vizio dell’autoelogio, enfatizzando alcuni obiettivi conseguiti dall’Amministrazione Torchi, obiettivi che in qualunque  altra amministrazione comunale, che non avesse perso lo stile e il senso della misura, sarebbero stati considerati soltanto degli atti dovuti ed espressione di una normale azione amministrativa. Per il segretario Lavima, invece, tali traguardi raggiunti( l’ascensore a Palazzo San Domenico, le nuove tariffe sui rifiuti nella discarica di Scicli e il miglioramento della strada provinciale Pozzo Cassero- Passo Parrino) “ testimoniano come l’azione costante,lungimirante e determinata della Casa delle Libertà consenta che ai fatti si facciano seguire altri fatti, come il centrosinistra alle parole fà seguire soltanto altre parole”.Scriveva Indro Montanelli, in suo caustico Controcorrente, a proposito di Spadolini:”Diciamo la verità: tutti siamo innammorati di noi stessi. Ciò che caratterizza Spadolini è che, a differenza di noi e di tanti altri, lui si corrisponde”. Inutile dire che i nostri amministratori dimostrano di essere affetti da tale sindrome: non si spiega altrimenti il quotidiano apparire, la costante autoesaltazione e il sistematico ricorso a questo tono enfatico che ci appare assolutamente fuori luogo e che rischia di fare scivolare nel grottesco quel poco di buono che pure si trova in quegli obiettivi conseguiti. L’azione costante, la determinazione, la lungimiranza sono categorie che bene si legano a problematiche di ampio respiro, a scelte di politica nazionale e internazionale di alto profilo; un po’ meno alle strade provinciali, ai rifiuti e alle discariche. Come se non bastasse, la cronaca modicana di quel 2 Ottobre ci propone sindaco, presidente del consiglio comunale e assessori vari, che, non sottraendosi alla gratificante consuetudine di una bella foto, sono ritratti assieme a un disabile nello “storico” momento della inaugurazione del nuovo ascensore del palazzo comunale. Non c’è niente da fare! I nostri amministratori non sanno rinunciare alla cattiva abitudine di anteporre la forma al contenuto: una foto e un’intervista sono di gran lunga più redditizzi di un lavoro oscuro ma fruttuoso, svolto nel silenzio della dedizione e del servizio alla comunità. Per tale motivo, ci permettiamo di dare un suggerimento al signor Azzaro, che da anni si batte per far valere le sue ragioni e perchè non accada ad altri di subire la stessa sorte del figlio: convochi la stampa e qualche televisione locale, si assicuri della presenza d’un fotografo e si prepari al taglio del nastro: vedrà che in un batter d’occhio, come in una favola, all’improvviso, qualcuno ricoprirà quella buca pericolosa e dimenticata!

 

 

                                        LA STORIA E L’OBLIO: I MORTI DI ACATE

                  Il valore di una vita non si misura dalle convinzioni ideologiche o religiose
                                                             di colui che l’ha persa

 

 Finalmente qualcosa si muove nell’acqua torbida e stagnante della storiografia nazionale, da sessant’anni narcotizzata e assoggettata alle più becere leggi del mercato ideologico dominante. Noi, quando il problema fu sollevato, non condividemmo il progetto di Storace, presidente della Regione Lazio, d’instaurare una sorta di comitato di salute pubblica che controllasse l’obiettività e la veridicità dei manuali di storia. Non lo condividemmo, perché pretendere da un testo di storia una assoluta obiettività è praticamente impossibile; la Wertfreiheit (A-valutatività) di cui parlava Max Weber è più una tensione ideale che un dato empiricamente attuabile. Lo storico non può non esprimere giudizi di valore, giacché la storia, nonostante certe mode e taluni orientamenti, non la si potrà mai scrivere utilizzando squadrette e compasso; il momento interpretativo, espressione e dispiegamento della razionalità umana, sfugge alle fredde regole della scienza e si lega, invece, ai convincimenti più reconditi e alle passioni più nascoste dell’animo umano. Non è la a-valutatività che si chiede allo storico, ma l’onestà intellettuale di non omettere le convinzioni altrui, di non tacere episodi e momenti della storia, quando questi infangano il suo credo politico e le sue convinzioni ideologiche. Non condividemmo quel progetto, inoltre, perché, avendo l’Italia, dopo oltre mezzo secolo, cambiato regime – da quello cattocomunista a quello liberistico-padano – era evidente il gravissimo rischio di ritrovarci nella stessa palude dalla quale  Storace intendeva farci uscire: l’idea che i manuali di storia siano scritti per compiacere il principe di turno non ci è mai piaciuta e non ci piace. Detto questo, tuttavia, occorre anche dire che il problema sollevato dal presidente della regione Lazio ha avuto il pregio di gettare un sasso nello stagno dell’ipocrisia, dell’unanimismo e della persuasione occulta che da più di mezzo secolo soffocano la storiografia italiana; un sasso importante, dunque, non certo nel metodo, ma nel merito sicuramente. E’ vero che la storia è sempre scritta dai vincitori, ma in Italia, non c’è dubbio, si è esagerato, ed anche troppo. Per mezzo secolo abbiamo subito e ancora subiamo, a livello storiografico, il fascismo dell’antifascismo: intendiamo riferirci ad una sorta di totalitarismo culturale esercitato da quasi tutti gli storici italiani, che hanno trasformato i manuali scolastici in strumenti di propaganda al servizio delle loro idee e dei loro referenti politici. Di questa casta, indisponentemente ieratica e insopportabilmente faziosa, potremmo dire ciò che Gobetti soleva affermare di Mussolini:” Non v’è dunque nulla di nuovo: ma (con essa) ci si offre la prova sperimentale dell’unanimità, ci si attesta l’inesistenza di minoranze eroiche, la fine provvisoria delle eresie”. Non intendiamo, in questa sede, elencare le innumerevoli falsità e le tante omissioni facilmente riscontrabili nella maggior parte dei manuali di storia; vogliamo soltanto porre all’attenzione dei lettori un fatto di storia locale, e che pertanto ci riguarda molto da vicino, che è un’ulteriore prova delle squallide omissioni e delle vergognose complicità che hanno caratterizzato la ricostruzione storica dell’Italia post-fascista. Ci riferiamo ad un avvenimento che finalmente, questa estate, ha avuto la giusta eco che meritava sulle pagine dei giornali: è la storia dell’eccidio di Piano Stella, località ad una manciata di chilometri da Acate. Il 14 Luglio del ’43 dei militari americani fucilarono 73 militari italiani; il giorno prima, sempre fra Acate e Santo Pietro, i “liberatori” avevano massacrato sette civili innocenti. L’uccisione dei soldati italiani é stata recentemente portata alla luce dal libro “Arrivano i nostri” di Alfio Caruso, mentre nel totale oblio, a livello nazionale, giacché sul piano locale la vicenda era nota, sarebbe rimasto l’eccidio dei civili, se Gianfranco Ciriacono, nipote dell’unico sopravvissuto alla strage, non avesse deciso di approfondire i molti lati oscuri della tragica vicenda di quelle vittime innocenti che in quel drammatico 13 Luglio furono prelevate dalla casa colonica nella quale si erano rifugiate, per essere, a sangue freddo, crivellate di colpi. Per ben due volte uccise: la prima, dalla barbarie di coloro che oggi si ergono a difensori della democrazia e paladini della libertà; la seconda, dal vile silenzio di una storiografia infame e falsa. I morti dimenticati di Piano Stella  sono soltanto la punta di un iceberg tenuto volontariamente sommerso; se questo emergesse del tutto, infatti, trascinerebbe nell’oceano della vergogna tutti coloro –storici di regime, giornalisti prezzolati, politici al servizio dell’una o dell’altra superpotenza- che per sessant’anni hanno dipinto il mondo in bianco e nero, imponendoci una visione manichea della realtà: i buoni da un lato, i cattivi dall’altro. Ma la realtà non è così semplicisticamente strutturata: ci sono sfumature e zone d’ombra che non é possibile occultare per sempre. E difatti, lentamente, vengono alla luce, per rischiarare i misfatti celati e le omissioni compiute. Sulla ricostruzione storica dell’Europa e dell’Italia dell’ultimo sessantennio é stata compiuta la più volgare e la più vile operazione culturale che si possa immaginare: la selezione dei morti! Per alcuni la sopravvivenza nella memoria collettiva, per altri l’oblio. I morti di Acate stanno li a ricordarci che la barbarie non ha colore, che i morti per mano partigiana, nel famoso triangolo emiliano-romagnolo, non erano peggiori di coloro che furono trucidati dai fascisti; le vittime innocenti di Piano Stella ci siano di monito per convincerci, finalmente, che i morti di Hiroshima e Bagdad meritano la stessa pietà e lo stesso rispetto di quelli che son caduti tra le macerie in quel nefasto 11 settembre. Non può esserci pace, solidarietà e riconciliazione fin quando si misura il valore di una vita dalle convinzioni ideologiche o religiose di colui che l’ha persa. Parafrasando Marx potremmo dire che uno spettro s’aggira per l’Europa (e per il mondo): é l’ombra di un gigante che sparge ancora, dappertutto, il seme di un manicheismo obsoleto e deleterio, in nome del quale continua a intossicare le menti e le coscienze, facendoci restare intrappolati nella palude dell’odio e della violenza.

 

                                              Nelle stanze delle segreterie politiche

I nostri amministratori, ancora una volta, hanno dimostrato di non possedere una cultura politica all’altezza del ruolo che ricoprono: è di questi giorni, infatti, la notizia che il nostro sindaco e il presidente del consiglio comunale hanno organizzato un vertice sulla futura zona artigianale di Modica alta, non invitandovi, però, la Confederazione degli artigiani, provocando il giusto risentimento dei rappresentanti dell’organizzazione di categoria, che adesso minacciano d’interrompere il rapporto di collaborazione con il Comune. Al nostro sindaco, il quale dev’ essersi infatuato del termine “interlocuzione”, visto che ne fà largo uso, per la verità anche eccessivo, ci permettiamo di ricordare l’importanza della coerenza tra il dire e il fare, e che tale sostantivo significa confronto e dialogo: si tratta, pertanto,  di categorie imprescindibili nell’amministrazione della cosa pubblica. E qui giungiamo all’essenza del problema che tante volte abbiamo sollevato ma che adesso vogliamo sottoporre all’attenzione dei nostri lettori in modo esplicito e chiaro: i nostri attuali amministratori non rivelano una cultura politica autenticamente democratica. Ciò non significa, ovviamente, che essi disprezzino la democrazia e che vogliano governare in modo autoritario. Non si tratta infatti di questo. Le motivazioni, come diremo più avanti, sono altre. Intanto, ci sembra doveroso sottolineare che le nostre asserzioni non nascono da alcuna prevenzione o, ancora peggio, dalla nostra fervida fantasia, ma hanno il supporto di fatti incontrovertibili che abbiamo sempre segnalato sulle pagine di questo giornale. Si pensi alla questione del difensore civico, a proposito del quale il sindaco dichiarò che”la società civile non può prevaricare sulla politica”: affermazione totalmente inaccettabile in una società democratica; si ricordi la questione del piano triennale delle opere pubbliche, con la decisione di Torchi di escludere il consiglio comunale dall’incontro con la giunta provinciale; e non si dimentichi il metodo col quale si è giunti all’approvazione del piano particolareggiato per il recupero dell’edilizia popolare di Treppiedi: a tal proposito scrivemmo, su questo stesso giornale, che al dialogo e al confronto erano state preferite l’arroganza e la prepotenza dei numeri. Altro che interlocuzione, signor sindaco! Questi atteggiamenti , naturalmente, non sono soltanto del nostro sindaco: egli è infatti in buona compagnia; si pensi ai nostri rappresentanti nel parlamento nazionale, dei quali più volte abbiamo messo in rilievo certi loro modi di fare politica che non ci piacciono per niente. Il fatto che la Confederazione degli artigiani debba apprendere dalla stampa degli incontri che riguardano la nuova zona artigianale nella parte alta della città contrasta con le più elementari norme del buon senso, e, per quel che riguarda la pubblica amministrazione, rivela un modo davvero strano d’intendere il confronto e la concertazione. Ma, come abbiamo cercato di dimostrare, tale atteggiamento è perfettamente in linea con quelli che hanno finora caratterizzato l’agire dell’amministrazione Torchi. Quali allora le motivazioni di una politica  così carente sotto il profilo della cultura democratica? Le cause sono ovviamente molteplici, ma a noi sembra che una sia particolarmente palese e determinante: una causa che trascende la piccola dimensione modicana, giacchè si riferisce a un dato oggettivo che riguarda la riflessione filosofica sulla politica; tale causa è da individuare nella politica come professione. La maggior parte degli amministratori, non soltanto quelli modicani, naturalmente, sono cresciuti nelle segreterie politiche: dalle piccole e insignificanti mansioni sono passati via via a quelle più impegnative, e da quelle segreterie  hanno poi spiccato il volo verso traguardi ambiziosi e gratificanti. Quello è stato il loro mondo: un mondo dove non si legge Voltaire o Locke e dal quale le regole democratiche sono drasticamente bandite. Non può certo attecchire e crescere, nelle segreterie politiche, l’idea della politica come servizio e come confronto dialettico. In quelle stanze, fra intrighi e clientele, si elabora un’idea della politica come potere da gestire e da conservare. Se gli amministratori pubblici provenissero da altri ambienti, altri sarebbero, probabilmente, i loro atteggiamenti e ben diversa la loro cultura politica. Ma questo è un discorso che, per evidenti motivi di spazio, non possiamo affrontare in questa sede,  per tale motivo ci riserviamo di tornarci su, eventualmente, in un’altra occasione.

 

 

 

Novembre 2004

                                                     LA RESURREZIONE DELLA DC

 

Il Giornale di Sicilia del 23 Ottobre riportava una notizia, che, lo diciamo apertamente, non c’è piaciuta affatto: al nuovo coordinatore provinciale della Democrazia Cristiana, il modicano Franco Castagnetta, è stato dato il compito di far risorgere il partito nella nostra provincia. Non ci sentiamo di augurargli buon lavoro. Noi non conosciamo Castagnetta, pertanto le considerazioni che esporremo in questo articolo non sono assolutamente riferibili alla sua persona, ma al partito che egli rappresenta. Davvero non sentivamo il bisogno di questa resurrezione: ci bastano i guai che l’intera provincia , e Modica in particolare, sono costrette a subire a causa degli eredi di quel partito. Che la vecchia Democrazia Cristiana non fosse definitivamente estinta lo sapevamo: molti dei suoi esponenti, infatti, si sono abilmente riciclati in Forza Italia, mentre l’ala cattolico-liberale dava vita all’UDC e quella cattolico-democratica confluiva nelle forze moderate e riformiste del centro-sinistra.La vecchia DC, insomma, è viva e vegeta, ma sotto altre spoglie. Il fatto che da un po’ di tempo, in tutta Italia, ed ora anche a Modica e in provincia, la Democrazia Cristiana si sia riorganizzata, nel tentativo di volere ancora calcare le scene della vita politica, contribuisce a degradare ulteriormente la politica nazionale e quella locale. Il neo coordinatore provinciale ha dichiarato che il suo intento è quello di favorire una ripresa di quelle forze moderate di centro che “ispirandosi ai valori della dottrina sociale della Chiesa- così come recita lo statuto della DC- vogliono anche interpretare le esigenze e le istante dei ceti sociali più deboli e indifesi”. Noi possiamo accordare al Castagnetta il beneficio della buona fede, e non abbiamo motivi per non farlo, ma le sue affermazioni, vere in linea di principio, sono smentite dalla storia del partito che rappresenta. Non c’è dubbio, infatti, che la politica perseguita dalla Democrazia Cristiana in cinquant’anni di potere è stata sempre caratterizzata da una nefasta ambiguità di fondo: alle posizioni cattoliche certamente sostenute nelle grandi battaglie civili( divorzio, aborto)  si è sempre contrapposta la discutibile moralità dei suoi esponenti. Noi non siamo tra coloro che hanno creduto alla favola della DC e del PSI corrotti e del PCI onesto e trasparente; sappiamo bene che Tangentopoli è stata un’operazione politica per mettere fuori gioco democristiani e socialisti e consentire al partito post-comunista, come di fatto è avvenuto, di diventare il primo partito d’Italia, prima che apparisse all’orizzonte la più grande sciagura politica che abbia colpito l’Italia del dopoguerra: ci riferiamo, naturalmente, al partito azienda e a colui che lo dirige. Detto questo, però, non possiamo e non dobbiamo dimenticare i misfatti compiuti dai democratici cristiani e la loro grave responsabilità nel  degrado morale e civile del Paese. La Sicilia, in particolare, è la regione che più d’ogni altra  ha pagato, in termini di immobilismo politico e di corruzione, le scellerate connivenze e le tante omissioni degli uomini dello scudo crociato.Ancora oggi, siamo costretti ad essere rappresentati da un uomo come Cuffaro: un uomo dalla risibile sintassi, dal portamento assai modesto, e, cosa ben più grave, da una discutibile coscienza morale: non sta a noi giudicare la sua innocenza o la sua colpevolezza, ma un uomo, sul quale pesa un’accusa infamante, come quella d’aver favorito la mafia, dovrebbe sentire, soprattutto quando quest’uomo è il presidente d’una regione, il dovere morale di farsi da parte, per essere giudicato come qualunque altro cittadino. Anche la nostra provincia e il nostro comune hanno pagato un prezzo altissimo per le nefandezze compiute da un partito, e non soltanto da quello, che non ha mai avuto il buon gusto di vergognarsi, per quel richiamo ai valori evangelici dei quali ha fatto scempio. Si pensi all’edilizia selvaggia i cui segni sono oggi ben visibili nel nostro centro storico, oltraggiato da quei mostri in cemento che deturpano lo splendido barocco dell’edilizia aristocratica ed ecclesiastica. Non ci soffermiamo ulteriormente sugli eredi di questo partito nella nostra città perché l’incoerenza e il cattivo esempio dell’UDC modicano li abbiamo sempre denunciati e continueremo a farlo ogni qualvolta questo partito ce ne avrà dato motivo.Per quanto riguarda la resurrezione della Democrazia Cristiana, non ce ne voglia il nostro concittadino Castagnetta, ci auguriamo che non abbia esito e auspichiamo per essa l’eterna dannazione nell’ottavo cerchio dell’inferno dantesco: quello dei fraudolenti!

 

 

                                LA MEMORIA CORTA DI SINDACO E ASSESSORI

 

Finalmente la nuova divisione di malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Modica è realtà; di ciò, naturalmente, siamo tutti soddisfatti, giacchè si tratta di un traguardo che concerne questioni attinenti alla salute dei cittadini e alla possibilità di ottenere servizi efficienti e di alta professionalità. Tuttavia, come sempre accade in queste circostanze, il sindaco e i suoi assessori, distratti dalle consuete foto, interviste e inaugurazioni, alle quali, come si sa, sono particolarmente sensibili, dimenticano di compiere fino in fondo la loro funzione politica e il loro dovere morale. Come già è avvenuto per altre opere portate a compimento dall’attuale amministrazione, valga per tutte l’esempio della nuova scuola media di Frigintini, i nostri amministratori dalla memoria  corta si attribuiscono meriti che solo in parte gli appartengono. A tal proposito, crediamo sia importante ricordare quanto dichiarato al Giornale di Sicilia dall’Avvocato Enzo Rizza, presidente della Margherita:” Si tratta di una iniziativa ottenuta per l’impegno profuso a suo tempo dall’onorevole Borrometi, prima come assessore regionale alla Sanità poi come parlamentare nazionale. Grazie al suo impegno e di coloro che si sono adoperati fin dal 1990 per il raggiungimento di questo risultato, il nostro comprensorio è stato dotato di una struttura moderna ed attrezzata e che arricchisce notevolmente il quadro dei servizi sanitari sul territorio, sottoposti ad una continua razzìa nel disinteresse di tutta l’attuale classe dirigente del centro-destra”.Se si leggono con attenzione le cronache di quanto è avvenuto, non è difficile cogliere l’inconsistenza delle dichiarazioni dei politici intervenuti, al di là della solita retorica e della consueta, insopportabile abitudine a descrivere ogni azione che li vede protagonisti come un avvenimento d’importanza straordinaria destinato a rimanere negli annali della storia modicana come un evento storico e memorabile. L’inconsistenza di tali dichiarazioni emerge dall’intervento, per certi aspetti polemico, del dott. Davì, primario della divisione, che, senza mezzi termini, ha parlato di contrasti e ostacoli  incontrati nella realizzazione della struttura e da quello di Piero Bonomo, direttore sanitario del nosocomio modicano, che non ha esitato a ricordare, con estrema chiarezza, il ruolo del dott.  Armando Caruso, come colui”che ha consentito di arrivare a questo storico appuntamento”. Crediamo che i rappresentanti della classe medica abbiano voluto rivendicare la paternità dei meriti, dinanzi ad una classe politica che ha fatto del narcisismo e del presenzialismo le coordinate fondamentali della sua azione politica, che per tale motivo appare sempre più superficiale e insignificante. Alla luce di quanto sostenuto dal presidente della Margherita e tenuto conto delle precisazioni di Bonomo e Davì, appare davvero fuori luogo la dichiarazione dell’onnipresente senatore Minardo:”Oggi possiamo dire che abbiamo una sanità che funziona(…)abbiamo assistito, in queste ultime settimane, a diverse inaugurazioni che qualificano l’intera provincia e ne siamo orgogliosi”. Noi, invece, siamo molto preoccupati di essere rappresentati da un parlamentare che sa trovare motivi di orgoglio nel taglio dei nastri e nelle inaugurazioni, soprattutto quando tutto ciò è legato ad opere iniziate e volute dai suoi avversari politici. Alla preoccupazione per un orgoglio legato ai nastri, si aggiunge l’indignazione per una appropriazione indebita dei meriti. In tutto questo, il senatore, come sempre, è in buona compagnia. Torchi ha infatti dichiarato:”Quando qualche anno fa il sottoscritto ed altri conducevamo una battaglia per evitare che il distretto sanitario modicano si svuotasse, qualcuno ci criticava. Oggi abbiamo dimostrato che avevamo ragione”. E’ una pessima abitudine, quella del nostro sindaco, di coniugare sempre, nelle sue dichiarazioni, l’esaltazione dei suoi presunti meriti con la critica alle critiche: si ricordi, il nostro sindaco, che in democrazia la critica non soltanto è consentita, ma ne è il fondamento e l’essenza. Nonostante tutto, noi non abbiamo motivo di non ammettere che,  nel momento in cui un’opera importante viene completata, gli amministratori hanno il diritto e il dovere di essere presenti e di rivendicare, se ne hanno, i loro meriti, che sono tanti, se quell’opera l’hanno voluta e portata a compimento, molto di meno se, voluta da altri, non l’hanno ostacolata e ne hanno consentito la realizzazione. Ciò che non riusciamo proprio a sopportare, in questa amministrazione, sono i toni trionfalistici coi quali riveste tutte le iniziative che la vedono protagonista, dalle più stupide e insignificanti a quelle più  importanti e più serie. Noi ci permettiamo di far notare che il trionfalismo è assai pericoloso: esso, infatti, rischia di convincere coloro che ne fanno largo uso d’essere giusti, bravi e infallibili, e pertanto li farà perseverare nell’errore; quando nasce, invece, dall’essersi indebitamente appropriati di meriti che appartengono ad altri, o quanto meno con questi altri andrebbero divisi, il trionfalismo oltre che pericoloso diventa vacuo, sgradevole e inopportuno.

 

 

 

                                       L’INTOLLERANZA DEI PRESUNTI TOLLERANTI

 Come tutti gli anni, con l’approssimarsi del periodo natalizio, ritorna d’attualità il problema dell’apertura domenicale dei negozi. Sul Giornale di Sicilia del 19 Novembre, il dirigente della CGIL modicana, Nicola Colombo, ha protestato,  giustamente, contro l’autorizzazione concessa dal sindaco di fare aprire i negozi domenica 21 novembre, così come richiesto dall’associazione dei commercianti. Il giorno dopo, sullo stesso giornale, l’assessore allo sviluppo economico, Carmelo Drago, smentiva l’esponente della CGIL, precisando che un suo rappresentante in un incontro avuto con lo stesso Drago aveva invece espresso il parere favorevole del sindacato. Noi ovviamente non sappiamo chi abbia ragione, ma la cosa ci sembra comunque irrilevante, considerato che il vero problema sta altrove. Ci spiace, per noi e per i nostri  lettori, doverci ripetere, ma, a volte, la gravità dei problemi impone di farlo. Sei mesi fa, in un nostro articolo su questo giornale, denunciammo la volontà dell’associazione dei commercianti di pretendere l’apertura dei negozi nei giorni festivi, stigmatizzando il comportamento dell’ l’amministrazione comunale per la sua palese sudditanza nei confronti della categoria dei commercianti. Due mesi dopo dovemmo tornare sull’argomento, considerato che il sindaco, dopo aver vietato la circolazione veicolare in alcune strade di Marina di Modica, nel giro di ventiquattr’ore, dopo le proteste dei commercianti, compì una virata di 360 gradi, ripristinandola immediatamente, per compiacere la sua prediletta categoria: poco importava, ovviamente, se al compiacimento degli uni si accompagnava lo sdegno degli altri, cioè dei residenti, che ormai, in questa città, ovunque risiedano, sono costretti a subire gli interessi di una categoria, col beneplacito di chi, invece, dovrebbe garantire l’uguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini. Sulla stessa pagina del Giornale di Sicilia del 19 novembre, mentre Colombo denuncia lo sfruttamento dei lavoratori e la mancanza di rispetto nei loro confronti, il sindaco, dopo essersi compiaciuto, a proposito del polo universitario, di aver ricevuto i complimenti “per la qualità e la tempestività dei lavori eseguiti nell’Ateneo”, si premura di ricordare – ma guarda un po’ – che “l’insediamento della cittadella universitaria  a Modica alta, con la creazione di un naturale indotto, non mancherà di regalare grandi soddisfazioni agli operatori commerciali”. E così, mentre questa amministrazione passa, con la massima disinvoltura, da un compiacimento all’altro, trascorrendo i giorni festivi e le prossime vacanze natalizie ben lontana dal posto di comando, per riposarsi delle fatiche delle interviste e delle inaugurazioni, altri lavoreranno durante le festività, nell’indifferenza del sindaco e degli assessori, dei titolari degli esercizi commerciali e, purtroppo, della quasi totalità degli abitanti di questa città, sempre più ricca di quattrini e sempre più povera di valori e di idee. La nostra battaglia, lo sappiamo, è perduta in partenza, ma non possiamo esimerci dal combatterla, perché è una battaglia di civiltà. Viviamo un’epoca di grandi contraddizioni e tutti diciamo di esserne consapevoli, ma, come spesso accade, il dire prevale sul fare e l’ipocrisia sulla sincerità. Tutti esprimiamo grande preoccupazione perché i nostri ragazzi non hanno più valori di riferimento e perché la famiglia ormai da tempo è un’istituzione in crisi; tutti lamentiamo la mancanza del dialogo e del confronto amichevole e sereno, ma quando siamo chiamati a concretizzare queste nostre profonde riflessioni non sappiamo, o non vogliamo, dare delle risposte convincenti. Il riposo nel giorno della festa, che lo si interpreti in modo laico o religioso, ha una sua intrinseca sacralità, perché riguarda l’uomo nel suo essere persona, con le implicazioni giuridiche e morali che ne conseguono. Non possiamo permettere che il lavoro, da soddisfacimento di un bisogno, quello di realizzarsi, diventi soltanto un mezzo per soddisfare un bisogno: quello di poter vivere. E’ quanto meno paradossale che si debba togliere il crocifisso dalle aule delle scuole e degli uffici per non turbare la sensibilità degli spiriti laici, e che nello stesso tempo il principio della laicità, e pertanto della tolleranza e del rispetto per tutte le opinioni e per tutte le fedi religiose, non debba valere per chi laico non è e vuole esercitare, la domenica, il sacrosanto diritto di recarsi in Chiesa. In tutto ciò risiede l’intolleranza dei presunti tolleranti. Appare inoltre assai contraddittorio lanciare gridi d’allarme contro il ritmo frenetico della vita, contro una società che ha bandito il dialogo, immersi come siamo nel freddo anonimato dei cellulari e dei computer, e, nello stesso tempo, impedire  a coloro che lavorano per un’intera settimana di trascorrere un giorno in famiglia, per recuperare, almeno in quel giorno, l’umanità  che è in ciascuno di noi, quell’umanità aggredita e vilipesa dall’indifferenza e dal silenzio degli altri, soffocata dalla venerazione del denaro e dall’idolatria tecnologica. Noi non abbiamo alcun preconcetto verso il commercio e il profitto, ma vorremmo che queste strutture e categorie sociali fossero organizzate in modo tale da non  ledere i diritti e i principi di coloro che vi sono coinvolti. Vorremmo che anche per i dipendenti degli esercizi commerciali valesse il grande insegnamento di Immanuel Kant: “ Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona sia nella persona di ogni altro, sempre come fine e mai come semplice mezzo”

 

Dicembre 2004

                                 

                       Non calpestiamo i principi democratici nel nome della Democrazia

 

Abbiamo letto con molta attenzione l’articolo “Riflessioni sui disperati delle carrette del mare” apparso sullo scorso numero de “La Pagina”e ne abbiamo condiviso gran parte delle osservazioni. Una, però, ci ha lasciati alquanto perplessi; a nostro parere, infatti, rischia di sottovalutare una questione di primaria importanza:” E’ normale, logico – scrive l’autore dell’articolo – che fra i tanti che arrivano ci scappa dentro il malavitoso, ma qualcuno di questi non era anche tra i nostri emigranti?”. Siamo d’accordo sul fatto che ci vorrebbe maggiore comprensione “ per quegli sventurati che approdano sulle nostre coste”, purché la comprensione e la solidarietà non si traducano in complicità, certamente non voluta, ma non per questo meno pericolosa. E’ quasi superfluo ricordare – ma a scanso d’equivoci lo facciamo lo stesso – che la solidarietà e la comprensione non sono, per noi, soltanto un dovere morale, ma un sentimento sincero, frutto delle nostre convinzioni culturali e religiose; tuttavia, un argomento come quello dell’immigrazione non può essere affrontato con l’esprit de finesse, come direbbe Pascal: occorre mettere da parte l’approccio emozionale, per esaminare la questione in termini razionali, col rigore della logica e con la freddezza dell’analisi. E’ inevitabile che l’immigrazione extracomunitaria debba essere controllata; un afflusso selvaggio di immigrati potrebbe avere, nel tempo, effetti destabilizzanti, da diversi punti di vista, per i paesi che li accolgono. Il quadro complessivo in Europa è allarmante, ma non c’è dubbio che l’Italia, e la Sicilia soprattutto – e pertanto anche le coste della nostra provincia – sono fra le zone maggiormente esposte. L’autore  dell’articolo ci è sembrato, in verità, alquanto ottimista:  non si tratta, infatti,  di qualche malavitoso che di tanto in tanto inquina il flusso migratorio; il suo tasso delinquenziale non è poi così marginale, anche se, ad onor del vero, ciò riguarda soprattutto l’immigrazione dalla ex Yugoslavia e dall’Albania (l’articolo,invece, si riferiva  a quella nordafricana). In quest’ultimo caso, non possiamo negare che l’immigrazione è stata e continua ad essere, troppo spesso, uno strumento attraverso il quale la criminalità organizzata di quel paese si è infiltrata nel nostro, coi suoi loschi affari, come lo sfruttamento della prostituzione, le rapine e la violenza legata alle lotte tra i clan. Molto spesso sono stati i nostri connazionali a farne le spese, come quelli lasciati morire sull’asfalto da delinquenti senza pietà, in preda ai fumi dell’alcol o della droga, quegli stessi che riducono in schiavitù le loro connazionali, attratte in Italia con l’inganno, con la promessa di una vita agiata e serena e poi trascinate per strada a vendere il loro corpo e a perdere il loro futuro. Dinanzi a questa immigrazione non ci sentiamo di praticare l’accoglienza: ci sono zone nel nostro Paese, si pensi alla  Sicilia o alla Campania( dove proprio in questi giorni i morti ammazzati non si contano più)che hanno pagato e continuano a pagare un prezzo altissimo alla criminalità, organizzata e non, per poterci permettere anche quella d’importazione. Per quel che riguarda l’immigrazione dai paesi di religione islamica, la questione è più complessa e richiederebbe argomentazioni molto più articolate e approfondite, quali non è possibile sviluppare nella dimensione e nello spazio di un articolo; tenteremo, comunque, di esprimere sinteticamente il nostro punto di vista. Quando questi sventurati hanno la fortuna di arrivare, stremati e infreddoliti, sulle nostre coste, non c’è dubbio che essi vadano accolti e rifocillati, ma, in seguito, riteniamo sia inevitabile separare il loglio dal grano, giacché, sebbene in misura minore rispetto al primo, anche in questo caso i malavitosi sono certamente presenti. La pietà e il dovere della solidarietà non devono impedire allo Stato, dopo aver accolto i disperati in cerca di fortuna, di espellere con fermezza – ove naturalmente ve ne sia la certezza – chi è sbarcato sulla nostra terra per inquinarla ancora di più con le sue azioni criminali. Un’ultima considerazione: noi riteniamo giusto che in Italia– così come recita la nostra Costituzione – sia concesso alle minoranze religiose di professare liberamente il loro culto, tuttavia non dobbiamo cadere in quella che a noi sembra una paradossale contraddizione: quella di calpestare i principi democratici nel nome della democrazia. Questa impone, certamente, il rispetto delle minoranze(etniche, religiose, linguistiche) ma in nome di questo principio non è possibile snaturare l’essenza della democrazia, nella quale una minoranza non deve mai poter imporre alla maggioranza le proprie idee e i propri interessi. E’ indiscutibile che gli italiani, al di là di quanti frequentino o meno le nostre chiese, si riconoscono nel pensiero e nella tradizione cattolica, e vorremmo, pertanto, non assistere più a vicende come quella della scuola abruzzese, in cui un signore di religione islamica pretendeva che fosse tolto il crocifisso dall’aula scolastica del figlio. Noi non abbiamo alcuna preclusione verso i musulmani,  purché non pretendano di imporre a coloro che li ospitano il loro credo religioso e le loro tradizioni culturali e purché manifestino, sempre, il dovuto rispetto per le convinzioni religiose della maggioranza, che, in questo Paese, a tutt’oggi, preferisce le chiese e non le moschee.

 

 

 

                                                             Riprendiamoci  la città
                                     Liberare Modica dai mediocri è un inderogabile dovere morale

Da qualche tempo, a Modica, è in atto un movimento di opinione che lascia trasparire la volontà di non voler più subire, quasi con rassegnazione, il declino di questa città, e, nello stesso tempo, lascia intravedere il desiderio di riscatto, l’improrogabile necessità di voltare pagina e di poter dare connotazioni nuove alla politica modicana. Il dibattito svoltosi sullo scorso numero di Dialogo è soltanto un importante tassello di un mosaico più ampio, giacchè esprime un diffuso malessere che trascende gli stessi protagonisti di tale dibattito. Questo malessere è presente in tutti coloro che non amano l’ostentazione e che non fanno dell’apparire il fine ultimo della loro esistenza; per tale motivo la loro insofferenza non è facilmente percepibile: bisogna saperla cogliere e capire fra le pieghe della discrezione e della signorilità. E’ un malessere che scorre in silenzio, come un fiume: noi, e in questo sappiamo di non essere soli, vorremmo essere come la pioggia torrenziale, perché quel fiume, finalmente in piena, rompa gli argini e trascini nel fango la mediocrità che sta annientando Modica, compromettendone la crescita ed il futuro. Liberarci dai mediocri è divenuto un imperativo categorico, un inderogabile dovere morale. Ma chi sono costoro? Sono, innanzitutto, gli eterni voltagabbana, e ci piace descriverli con le parole con le quali furono qualificati da Nino Tripodi in un suo  libro del 1960, che fece letteralmente arrossire di vergogna molti protagonisti della vita politica nazionale di quegli anni:” Sono gli eroi del <tengo famiglia>, pronti a tutto pur di ottenere tutto; geni dell’<arte di arrangiarsi>, campioni del travestimento permanente, capaci di cambiare il doppio petto del borghese con la camicia nera, la camicia nera con quella rossa e quella rossa con la cotta bianca dei chierichetti”. Ma sono anche i portaborse senza dignità; coloro che barattano il decoro e l’onore persino col più infimo posto di sottogoverno; sono coloro per i quali la politica da fine è diventata mezzo: i mestieranti d’ogni colore, che troppo spesso nascondono, con la politica, i loro fallimenti umani e professionali. Sono coloro che non hanno scrupoli, che non sanno gettare il loro sguardo oltre il gretto orizzonte dei loro miseri interessi; sono quelli che non hanno avuto e non hanno il tempo di elevare il loro grado di cultura: lo studio e la lettura, infatti, sarebbero un’imperdonabile perdita di tempo, per chi il suo tempo lo impiega a genuflettersi innanzi all’onorevole di turno o ad organizzare intrighi di palazzo per sedere finalmente dietro l’agognata scrivania. Se questo bel campionario d’umanità si limitasse ad esistere susciterebbe in noi soltanto dileggio e compassione, ma così purtroppo non è. Abbiamo visto, infatti, che tale categoria, spinta dalla consapevolezza del proprio nulla, si getta a capofitto nella politica, con la disperazione del naufrago che intravede l’ultima riva, e, conquistatala, la inquina in modo irreparabile. Non c’è dubbio che l’affermazione dei mediocri nasce dalla diserzione dei migliori – tra i quali ovviamente noi non ci inseriamo, giacché non spetta a noi stabilire se ne facciano parte o meno – cui non difetta lo stile e la cultura, la coerenza e l’onestà. Sono coloro che non hanno mai accettato e mai accetterebbero i compromessi meschini, che mai baratterebbero i loro ideali politici con nessuna poltrona, che non farebbero del loro arricchimento personale l’obiettivo del loro impegno politico e che mai potrebbero inchinarsi alla volontà del potente di turno. Noi comprendiamo i motivi per i quali i migliori hanno scelto un’oscura latitanza: si tratta di persone pienamente realizzate nel loro lavoro e nella loro professione, che sanno guardare ai valori autentici della vita, che godono della stima delle persone oneste: come potrebbero mai coesistere con quelli della prima categoria? Di persone così , a Modica, per fortuna, ce ne sono tante, ed è naturale che la discrezione, l’onestà e la serietà le conduca verso un appartato isolamento, non per altezzosità, ma per una naturale repulsione verso tutto ciò che sa di opportunismo e di grettezza intellettuale. Poiché riteniamo che lo scadimento della vita politica locale abbia ormai raggiunto livelli allarmanti, crediamo sia giunto il momento di abbandonare le torri d’avorio ed affrontare la buona battaglia.  Siamo convinti che il coinvolgimento politico di queste persone potrebbe realmente cambiare il volto di questa città, infliggendo un duro colpo ai mestieranti della politica e all’arroganza del potere. La nostra città ha bisogno di fare  un salto di qualità, per liberarsi dal condizionamento di quei potentati politici ed economici  che la stringono in una morsa sempre più serrata e soffocante.  Noi auspichiamo che Modica non sia più governata dai mestieranti della politica – siano essi di destra, di centro o di sinistra -  i quali, per una questione che potremmo definire strutturale, non possono promuovere la crescita civile della città che amministrano: se la politica è il loro mestiere, è evidente che il loro precipuo obiettivo è la carriera politica e che a questa saranno indirizzati i loro sforzi e le loro azioni. Noi vorremmo, per la nostra città, il governo delle categorie sociali: una Modica delle professioni che soppiantasse quella dei politicanti. Una città amministrata da persone serie  ed oneste, che fossero espressione del mondo del lavoro, di coloro che danno il meglio di sé nella professione che svolgono. Un governo, dunque, libero dal condizionamento di onorevoli e senatori ed un consiglio comunale che non perdesse il suo tempo a verbalizzare gli abbandoni e i rientri dei suoi consiglieri. Un governo delle professioni, dunque, che certamente sarebbe in grado di essere autentico interprete dei concreti bisogni dei cittadini e delle loro legittime aspettative, e che potrebbe portare nel Palazzo il profumo della concretezza e della idealità, liberando quelle stanze dall’odore nauseabondo dell’aria fritta. Col vigore dell’onestà è possibile annientare i disonesti, col coraggio della coerenza si possono ridicolizzare le meschine banderuole, con la forza della cultura si possono emarginare gli ignoranti. Scendiamo a valle, dunque, e riprendiamoci la città, prima che i mediocri, con la rozzezza e la rabbia che li contraddistingue, salgano in massa per distruggerne l’ultimo baluardo.

 

Joomla templates by a4joomla