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Giovanni Papini, Le disgrazie del libro in Italia. Con pretesto posposto di Saro Jacopo Cascino. Formato 12x12, Rilegatura a quaderno, pp. 66, Modica 2003.
(Stralcio)
1.
Quando un italiano, spinto da una inconsueta e incoercibile voglia, desidera leggere un libro, ricorre a uno dei modi seguenti:
1) Lo chiede in omaggio, con un pretesto qualunque all'editore.
2) Lo chiede in grazioso dono all'autore.
3) Cerca di farselo regalare da qualcuno che l'abbia ottenuto gratis dall'editore o dall'autore.
4) Lo chiede in prestito a un amico, col segreto proposito di non restituirlo mai più.
5) Lo prende in prestito da una biblioteca pubblica.
6) Lo cerca in una biblioteca circolante.
7) Lo ruba, se gli riesce, in casa d'un conoscente o nella bottega di un libraio.
Sol quando tutti questi sette modi falliscono o si dimostrano impraticabili e impossibili, sol quando ogni tentativo di ottenere il libro senza spendere un centesimo è frustrato, soltanto allora il nostro italiano, se il desiderio o la necessità l'assillano, prende una decisione eroica e sceglie l'ultimo e disperato mezzo: compra il libro con i suoi denari.
2.
Molta gente, in Italia, s'immagina - o fa finta d'immaginarsi - che un libro non ha un vero costo e che perciò si può chiederlo in dono senza pudori né rossori. Codesti parassiti pensano che le cartiere forniscano generosamente la carta senza presentare fatture né spiccar tratte; che le fabbriche d'inchiostri seguano con entusiasmo questo mirabil costume mecenatesco; che le macchine per comporre e stampare siano offerte ai tipografi come strenne natalizie; che le società del gas e dell'elettricità non si curino mai di mandare le loro bollette a chi fabbrica volumi; che gli operai tipografi sian mantenuti con tutte le loro famiglie, a spese di sconosciuti benefattori, senza mai pretendere salari e stipendi dai padroni delle stamperie; che gli editori, gli autori e i librai si nutrano d'aria colata, d'acqua piovana e di rugiada mattutina. Credono, cioè, o fingono di credere che i libri non costino assolutamente nulla a chi li fa, e che perciò possono chiederli impunemente e serenamente in dono, come un fiore di campo o un sassolino del greto. Persone serie e danarose, che si vergognerebbero di chiedere in omaggio una bottiglia di marsala a un vinaio o una cravatta a un cravattaio, non hanno nessun riguardo e ritegno a mendicare libri in omaggio agli editori e agli scrittori. "Tanto - pensano costoro tra sé - i libri, in Italia, non si vendono e l'editore sarà lieto di vuotare i suoi magazzini e l'autore sarà felice di trovar qualcuno che legga l'opera sua". Questo ragionamento fa una sola grinza: codesti accattoni benestanti non riflettono che proprio per colpa di questa loro storta e stolta mendicità, i libri, in Italia, si vendono pochissimo, con grave danno della cultura, della dignità nazionale, e di una industria ch'è tra le più meritevoli e tra le meno redditizie. Non parliamo degli scrittori perché, secondo una vecchia superstizione borghese, la miseria e la fame sono le migliori ispiratrici dell'ingegno.