2019

Gennaio 2019

- Presepe napoletano del ‘700 a Ragusa bla (Dialogo, gennaio 2019)

 

Febbraio 2019

- Ragusa, Anno Domini 1693. Il ricordo e la rinascita. 326° Anniversario del terremoto (Dialogo, febbraio 2019)

 

Marzo 2019

- La storia sconosciuta del Campo di internamento Ferramonti (Dialogo, marzo 2019)

 

Aprile 2019

- “Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI)”, di Salvo Micciché e Stefania Fiorilla (Dialogo, aprile 2019)

- In ricordo di Sebastiano Tusa, scomparso in un incidente aereo (Dialogo, aprile 2019)

 

Maggio 2019

- In memoria di Angelo Campo. L’uomo, l’intellettuale, l’artista (Dialogo, maggio 2019)

 

Giugno 2019

- Piero Gobetti e gli intellettuali siciliani (Dialogo, giugno 2019)

 

Ottobre 2019

- Giorgio Sparacino, uomo di cultura, attore e regista

 

Novembre 2019

- Elisa Mandarà nella conduzione di Unicef Italia (Dialogo, novembre 2019)

 

Dicembre 2019

- La pittura della modicana Margaret Carpenzano. Le intime radici dell’animo artistico (Dialogo, dicembre 2019)

 

 

 

GENNAIO 2019

 

 

Ibla si arricchisce di un presepe permanente

Presepe napoletano del ‘700 a Ragusa bla

Il “preseparo” avellinese Salvatore Carulli e “La Madonna partoriente”

 

Da alcuni anni la Chiesa San Filippo Neri a Ragusa Ibla è stata oggetto di esposizione di molteplici presepi di varia tipologia e fattura che sono stati molto apprezzati anche dai turisti. Tali iniziative si sono sviluppate nel corso degli anni soprattutto grazie all’operosità ed impegno profuso da non pochi fedeli e di volenterosi appartenenti al quartiere che ruota attorno la citata Chiesa San Filippo Neri. Per il Natale 2018 si è pensato ad un qualcosa di particolare che non solo dovesse stimolare gli animi ma rappresentare qualcosa di duraturo. L’idea principe proposta dall’instancabile sig.ra Guastella – promotrice di tanti eventi che hanno da anni vivacizzato l’antico quartiere – è stata quella di poter installare un presepe permanente. Da qui l’idea di realizzare scene della Natività monumentali per valorizzare il patrimonio architettonico di Ibla attraverso la preziosa opera di un “preseparo”.

Per lo svolgimento, preparazione e installazione dell’opera presso la Chiesa San Filippo Neri è stato dato incarico all’artista avellinese Salvatore Carulli il quale ha proposto un tema a lui assai caro, ovvero quello de “La Madonna partoriente” in stile napoletano del Settecento. Il presepe è stato donato dall’Associazione Amici del Presepe Napoletano del ‘700 “Alfonso Carulli” e fa parte di un Trittico che ne comprende altri due: il “Presepe della Madonna che allatta” ed il “Presepe della Madonna Nera di Montevergine” (Avellino).

Il lavoro di predisporre scene sulla Natività affonda le sue radici nel 1223 quando il poverello d’Assisi diede vita per la prima volta a un presepe. La tradizione si è poi sviluppata nel corso dei secoli sino ad arrivare agli anni Trenta del XVI secolo quando San Gaetano da Thiene (1480-1547; sacerdote, che a Napoli si dedica a pie opere di carità, in particolare adoperandosi per i malati incurabili) propone l’allestimento di un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo dopo che la Madonna, apparsagli in visione, gli aveva concesso il privilegio di tenere il Bambino Gesù tra le sue braccia. Il merito di San Gaetano fu quello di arricchire la rappresentazione con personaggi che appartenevano al mondo antico e all’epoca contemporanea, senza cadere in possibili anacronismi. In tal modo, il Santo diede vita a quella che sarebbe rimasta una delle principali caratteristiche del Presepe: la sua atemporalità. Fu così che a Napoli e dintorni si diffuse la consuetudine di allestire una scenografia presepiale che poi prese la denominazione di “Presepe Napoletano”. All’interno di questa articolata trama culturale, popolare e familiare si inserisce il Presepe della famiglia di Salvatore Carulli, autore dello splendido presepe allestito presso la Chiesa San Filippo Neri a Ragusa Ibla, che dal padre Alfonso eredita quattro edifici (negli anni ’50 del secolo scorso) utilizzati poi come “arredo urbanistico” della Natività.

Il “Presepe della Madonna partoriente” si presenta, dunque, come una sorta di libro che racconta lo stato d’animo del suo autore e le “contaminazioni affettive” di cui è stato oggetto nell’eseguire le scene che lo compongono. Il tema della Natività è rappresentato in maniera molto inconsueta: Maria è distesa ed è aiutata dalle donne che lavano Gesù mentre altre si affannano a riscaldare i panni per vestirlo, e frattanto papà Giuseppe attende alla culla. “Questa scena – spiega l’artista Salvatore Carulli – ripresa nel momento dopo il parto vuole essere un omaggio alle donne che talora rischiano la vita nel concepire ed è anche un omaggio a mia madre”, verso la quale l’artista nutre un dolcissimo ricordo. Tante le simbologie presenti. Non passa inosservata, ad esempio, la carrozza dei Re Magi. “Si tratta – precisa l’autore – di una ‘berlina napoletana’ ed è una splendida e fedelissima riproduzione di un raro giocattolo settecentesco conservato nella collezione Luigi Parmeggiani a Reggio Emilia”.

Al tanto attesto taglio del nastro sono stati presenti il Sindaco di Ragusa (Peppe Cassì), don Giovanni Pluchino, don Giuseppe Antoci, la sig.ra Guastella che tutti hanno ringraziato per la sua vulcanica e coinvolgente attività. L’architetto Enza Battaglia ha introdotto la serata inaugurale accennando l’importanza dell’iniziativa favorevolmente accolta dalla Diocesi di Ragusa e che ha riscontrato l’adesione di tantissimi sponsor.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FEBBRAIO 2019

 

 

Ragusa, Anno Domini 1693

Il ricordo e la rinascita

326° Anniversario del terremoto

 

Anche quest’anno si sono tenute a Ragusa le iniziative culturali, ormai giunte alla Vª edizione, inserite nel programma avente per titolo “A.D. 1693 - La memoria e l’orgoglio”. Si tratta di una serie di eventi commemorativi organizzati dal Comune di Ragusa, dall’Associazione Youpolis Sicilia, dal Vicariato della Diocesi di Ragusa, dalle parrocchie della Cattedrale San Giovanni Battista e della Chiesa Madre San Giorgio Martire, per ricordare il terribile terremoto dell’11 gennaio 1693.

Il ciclo di incontri è iniziato proprio l’undici gennaio scorso con la commemorazione civile che, tenutasi presso l’antico Portale San Giorgio, ha visto momenti di riflessione da parte delle autorità, la posa simbolica di un mazzo di fiori davanti al Portale ed un momento di preghiera, con successivo corteo verso il Duomo, la Santa Messa e la fiaccolata che, attraverso varie tappe, ha raggiunto la Cattedrale San Giovanni Battista. “La commemorazione del catastrofico terremoto - hanno spiegato Don Giuseppe Burrafato (Vicario Foraneo e Parroco della Cattedrale), e Don Pietro Floridia (Parroco del Duomo di San Giorgio) - si è sempre svolta ogni anno nelle nostre Chiese, come momento di preghiera e di riflessione. Da due anni è stata estesa con iniziative esterne come la fiaccolata e la Santa Messa cittadina, in sinergia con le commemorazioni civili e culturali: un segno che ci ricorda quanto sia importante custodirci nell’unità. Nel 1693, dinanzi alla distruzione, tutto il popolo si unì per ricostruire; oggi, in un mondo che sembra sempre più diviso, quella vicenda ci insegna parecchio”.

Interessanti si sono rivelate le conferenze inserite nel cartellone dei tre giorni dedicati al terremoto del 1693 e alla rinascita, coordinate da Simone Digrandi e da Stefano Vaccaro. Sono state apprezzate le relazioni del professore Giuseppe Barone (Università di Catania) e del professore Marco Rosario Nobile (Università di Palermo) svoltesi giorno 12 gennaio presso l’auditorium San Vincenzo Ferreri. Il primo ha posto l’accento sulla classe imprenditrice iblea che si è resa protagonista della rinascita non solo architettonica ma, più in generale, artistica e spirituale. Il “rivelo”, ovvero il censimento della popolazione, del 1607 - ha specificato Barone - mostra, sorprendentemente, una Ragusa con famiglie nucleari, alcune delle quali molto ricche e committenti dei beni architettonici oggi universalmente riconosciuti. In ambito architettonico il professore Nobile, con una serie incalzante di immagini, ha dimostrato come i modelli del Tardo Barocco siciliano siano stati diretta rimodulazione degli stili d’oltralpe e giunti sotto gli occhi degli architetti locali grazie alla circolazione di stampe ed incisioni.

Durante la serata del 13 gennaio, tenutasi presso la sala Falcone-Borsellino, le relazioni a cura dell’Ordine dei Geologi di Sicilia, rappresentati da Massimo Petralia e Mario Dipasquale, hanno puntato i riflettori sulla storia “sommersa”: una ricostruzione in chiave geofisica del terremoto del 1693 confrontato con eventi sismici relativamente recenti quali il terremoto del Belice, quello del 1990 o quello dell’Aquila, descrivendo in termini scientifici la portata catastrofica del movimento tellurico e le devastanti conseguenze. A chiudere la tre giorni lo storico Giorgio Flaccavento il quale, riallacciandosi alla tematica affrontata da Giuseppe Barone, si è soffermato sulla ricostruzione della città di Ragusa spiegando come il terremoto può essere valutato e interpretato come una sorta di “pretesto” per una “rifondazione” della Città, poiché fermenti di natura sociale, e soprattutto economica, avrebbero comunque portato ad una divisione in due dell’abitato.

Molto apprezzata è stata la mostra, curata da Davide Arestia e Rita Baglieri, organizzata dall’associazione Culturale A.St.R.A.Co. (Architettura Storia Rappresentazione Arte Costruzione) che, da alcuni anni, svolge attività di ricerca e divulgazione di contenuti afferenti alle discipline della storia dell’architettura e della costruzione tramite l’indagine del patrimonio edilizio siciliano. Il percorso espositivo – ricollegandosi al barocco siciliano e alle tematiche affrontate durante gli incontri culturali - è stato allestito presso l’auditorium San Vincenzo Ferreri riscuotendo tanto interesse da rimanere fruibile fino al 20 gennaio scorso.

Vivo compiacimento è stato espresso dal sindaco, Peppe Cassì, per la riuscita del ciclo delle iniziative, sottolineando grande soddisfazione per il vasto consenso rivolto alla “installazione di bozzetti e illustrazioni sulle origini del nostro tardobarocco all’interno dell’Auditorium San Vincenzo Ferreri”. “La commemorazione dei fatti del 1693 – ha aggiunto il primo cittadino – non vuole significare solo uno sguardo al passato, ricordandoci da dove nasce la città odierna, ma si pone anche come riscoperta delle nostre radici, approfondimento su un presente architettonico da valorizzare, proiezione al futuro affinché Ragusa non si faccia trovare impreparata nella malaugurata eventualità di nuovi sismi”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2019

 

 

La storia sconosciuta del Campo di internamento Ferramonti

La scrittrice Marinella Tumino: “Una esperienza toccante da condividere con i miei studenti”

 

La prima volta che varcai il cancello, sentii per diversi minuti solo il calpestio dei miei passi che rompevano il silenzio di un luogo che profuma di storia e narra storie ed eventi che in nessuna pagina di testi scolastici è possibile ritrovare.

Inizia così l’esperienza emozionale della scrittrice ragusana Marinella Tumino a Ferramonti, nel comune di Tarsia in provincia di Cosenza. Proprio lì, in quella zona, il 20 giugno 1940 inizia la storia sconosciuta a molti ma la cui eco penetra in molti cuori.

Il 10 giugno l’annuncio della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini. Sono gli anni in cui sono coinvolti quasi tutti i paesi del mondo, combattuto dal 1939 al 1945. I principali contendenti sono Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica da una parte, Germania, Italia e Giappone dall’altra. Si tratta di una guerra totale sotto diversi aspetti: geografico, perché interessa tutti i continenti; economico, perché costringe i paesi coinvolti a uno sforzo produttivo senza precedenti; ideologico, perché combattuta per ideali radicalmente contrapposti; demografico, perché coinvolge la popolazione civile.

Il 20 giugno 1940, a Ferramonti di Tarsia, nasce uno dei più grandi campi di internamento per ebrei stranieri d'Italia. «È una storia poco conosciuta quella del campo fatto costruire da Mussolini, sul modello di quello di Dachau, ubicato in una zona paludosa», spiega, col fiato in gola, Marinella Tumino. «In quel campo transitano, nei cinque anni e mezzo in cui rimane attivo, circa quattromila cittadini ebrei provenienti da tutta Europa, antifascisti italiani e stranieri, profughi politici. L’Italia è appena entrata in guerra e i cittadini ebrei, anche se appartenenti a nazioni alleate dell'Italia, sono considerati nemici e devono essere arrestati e internati». In quella triste giornata vi giunge un primo piccolo gruppo di ebrei provenienti da Roma. Sono poco di più di 150 persone. Anche se il campo di Ferramonti viene liberato dal Comando Alleato nel settembre del 1943, sono in molti a restare a viverci anche negli anni a seguire. Dal punto di vista cronologico, è il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l'ultimo ad essere formalmente chiuso l’11 dicembre 1945. All'interno del campo la vita non è facile, ma comunque ben lontana da quella cui sono costretti gli ebrei imprigionati nei campi di concentramento tedeschi.

«Per molti, troppi anni, il Campo è stato lasciato in stato di abbandono, vittima dell’incuria. Molte delle 92 baracche (così come buona parte del campo!) furono distrutte per la costruzione dell’autostrada che lo attraversa e solo nel 2004, grazie all’accurato lavoro dello storico Francesco Folino e alla sensibilità delle Istituzioni Pubbliche, fu inaugurato il Museo».

Che effetto fa essere a Ferramonti? «Ritornare a Ferramonti a distanza di poco tempo dalla precedente visita, è stata un’appassionante e toccante esperienza. Sono stata invitata per la “Settimana della Memoria” per partecipare a un tavolo di lavori e presentare il mio ultimo lavoro, L’urlo del Danubio, Operaincerta Editore, 2018, con tema “Shoah”. E’ stata certamente un’occasione davvero speciale. Ho potuto assistere ad alcune delle iniziative ma sicuramente ad alcuni momenti commoventi che mi hanno lasciato il segno. Ho avuto l’opportunità di conoscere di presenza due ex-internate, Dina Smadar e Eva Rachel Porcilian, nate nel Campo ma dopo la liberazione trasferitesi in Israele. La loro presenza assieme a quella di Yolanda Bentham, figlia dell’ex-internato, David Ropschitz, è un prezioso dono. Tutte e tre incontrano gli studenti e a tutti gli ospiti regalano la loro testimonianza. Commuove ascoltarle perché con la loro umiltà raccontano la vita dei loro genitori che furono reclusi nel Campo, vivendo in condizioni molto dure e, a volte, estreme».

Che aria si respirava al Campo di Ferramonti? «Il Campo di Ferramonti fu un campo “sui generis” perché era delimitato dal filo spinato, ma ha conosciuto la solidarietà del popolo tarsiano che porgeva agli sfortunati uova, patate e abiti pesanti, ma anche l’umanità del comandante del Campo, Paolo Salvatore. Grazie alla scelta non punitiva di Salvatore, la vita si svolse in maniera il più possibile accettabile. Non venivano negate autorizzazioni ad uscire dal campo se necessario. Fu creata anche una scuola elementare, una biblioteca e spesso proprio lui, Salvatore, portava i bambini fuori dal campo, a Tarsia dove comprava loro il gelato, o li scorrazzava per il campo in motocicletta. Si organizzavano concerti, rappresentazioni teatrali, letture, gare di poesia. Molti di loro erano artisti, medici o professionisti stimati, una baracca venne adoperata come laboratorio e impiegata anche da Michel Fingestein, pittore e incisore. Si svolse anche un campionato europeo di calcio: della partita Jugoslavia Polonia esiste ancora la cronaca scritta. Gli internati potevano sposarsi, avere figli, praticare la loro religione. Furono costruite tre Sinagoghe: una ortodossa, una riformata e una specifica per un gruppo sionista appartenente all’organizzazione Betar».

Hanno perso la vita parecchie persone? «Poche persone sono morte ma sempre e solo per malattie o morte naturale, mai per annientamento. Ferramonti, nonostante fame e freddo, fu un luogo di aggregazione e integrazione tra popoli.

Quali emozioni hai provato incontrando le ex-internate? «E’ stata un’esperienza davvero toccante. Quando ho stretto loro la mano, mi sono sentita elettrizzare, per di più alloggiavamo nello stesso albergo a Tarsia. Conoscevo le loro storie, le avevo apprese nella precedente visita, ma poterle sfiorare dal vivo è stata un’emozione, a dir poco, stellare. Insieme abbiamo condiviso i vari momenti di attività all’interno del Campo per ricordare una delle pagine più buie e tristi dell’umanità».

Ti ha lasciato un segno la visita al Campo di Ferramonti? «La visita al Campo di Ferramonti è stata per me un ulteriore momento di riflessione che, appena rientrata in classe, ho condiviso anche con i miei studenti; riflessioni sulla tolleranza che deve essere tradotta in azioni concrete, sull’indifferenza, che è il male assoluto, la ferita più profonda che un essere umano possa subire. Occorre darsi da fare con un’arma: l’Educazione. Non è semplice, ma non dobbiamo arrenderci… mai!».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

APRILE 2019

 

Dieci secoli di storia e archeologia ricostruiti da Salvo Micciché e Stefania Fornaro

“Scicli. Storia cultura e religione (secc. V-XVI)”

L’opera è stata presentata al Centro Studi F. Rossitto di Ragusa

 

Dopo i momenti introduttivi di Scicli (la “prima” al Convento della Croce, a cura del Polo Regionale di Ragusa per i siti culturali il 22 settembre 2018) e Siracusa (Palazzo Bellomo il 16 gennaio 2019 a cura di Polo Regionale di Siracusa per i siti culturali diretto da Lorenzo Guzzardi), il volume su “Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI)”, con prefazione di Giuseppe Pitrolo, pubblicato da Carocci Editore (Roma, pp. 402), è stato presentato a Ragusa, presso il Centro Studi Feliciano Rossitto, venerdì 22 marzo scorso. Gli autori sono: Salvo Micciché (saggista ed esperto di informatica) e Stefania Fornaro (giovane archeologa messinese ma ragusana di adozione).

L’iniziativa culturale è stata promossa ed organizzata dallo stesso Centro Studi Feliciano Rossitto in collaborazione con il Polo Regionale di Ragusa per i siti culturali, con Archoeclub d'Italia, Centro Servizi Culturali Ragusa e Ondaiblea.it (quotidiano on line del sud-est).

Dopo i saluti, l'introduzione di Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi F. Rossitto) e di Enzo Piazzese (presidente Archeoclub Ragusa, consigliere nazionale Archeoclub d'Italia) che si sono soffermati sull’aspetto storico-critico dell’opera rivisitata in alcuni temi fondamentali rivenienti dalle fonti letterarie e archeologiche, la presentazione è stata curata dall’archeologo Giovanni Distefano (direttore del Polo Regionale di Ragusa per i siti culturali, docente Università della Calabria, Tor Vergata). Numeroso il pubblico presente in sala che ha ascoltato con attenzione l’articolata discettazione del professore Distefano che ha definito il libro un “condensato lavoro storiografico sulle fonti”, soffermandosi sulle variegate peculiarità del volume quali, ad esempio, la cronologia storiografica che gli autori hanno seguito nella parte storica del volume per presentare al lettore l’evoluzione della città, i cambiamenti demografici. Ne è emersa una radiografia molto interessante e dettagliata del volume che è caratterizzato da un esauriente apparato bibliografico e corposo indice analitico e toponomastico.

La storia di Scicli (dal V al XVI secolo) è inquadrata nella storia generale della Sicilia e della Contea di Modica e ciò non solo dal punto di vista storico e archeologico ma anche culturale e religioso, trattando la storia dei personaggi e dei luoghi e dei monumenti, le istituzioni religiose e la pietà popolare, dall’alto medioevo al Cinquecento. Notevole, dunque, è stato il lavoro di sintesi degli autori non solo sulla storia della Chiesa e degli ordini mendicanti nella Scicli del Medioevo, ma anche su quella delle strutture difensive della città, dal kastron bizantino alla struttura del Castellaccio a guardia dell’abitato rupestre di Chiafura fino all’epoca della Sergenzia, quando nella prima metà del Cinquecento si procedette alla manutenzione del Castello, utilizzato anche come carcere.

Una storia, dunque, molto articolata quella che caratterizza questo lembo di Sicilia e, quindi, la città di Scicli, e che Salvo Miccichè e Stefania Fornaro hanno saputo cogliere accendendo i riflettori su variegati percorsi di lettura che gli stessi propongono tanto allo studioso quanto al lettore con argomentazioni storiche arricchite anche da alcuni saggi inseriti nel libro a firma di Stefania Santangelo (numismatica, CNR-Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali di Catania), don Ignazio La China (studioso di storia locale religiosa) e Giuseppe Nativo (pubblicista).

 

Concetta Ferma

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

In ricordo di Sebastiano Tusa, scomparso in un incidente aereo

Una vita per l’archeologia a scoprire tesori tra terra e fondali marini

 

“È difficile individuare l’inizio dell’andar per mare mediterraneo anche se già dal paleolitico superiore è probabile che qualche ardito cacciatore aurignaziano abbia solcato limitati spazi di mare per raggiungere l’Oriente con rudimentali canoe monossili simili a quelle rinvenute nei laghi in contesti neolitici. Con la scoperta dell’ossidiana nel neolitico iniziarono i primi collegamenti marittimi per cercare e trasportare il prezioso vetro vulcanico presente a Lipari, Pantelleria, Monte Arci (Sardegna), Palmarola, Giali e Melos. S’intensificano l’andare per mare provocando la colonizzazione di quasi tutte le piccole isole del Mediterraneo. Proprio in Sicilia abbiamo un’evidenza che ci mostra come durante il neolitico si ebbero complesse navigazioni d’altura. La prova di tale assunto è il rinvenimento di ossidiane di Pantelleria a Malta e Lampedusa”. Ciascun momento della storia della Sicilia è “documentato attraverso reperti di provenienza marina che spaziano dalla statuaria ai complementi di navigazione, dalle suppellettili da mensa in metallo prezioso ai più comuni contenitori da trasporto delle diverse tipologie ed epoche (anfore puniche, greche, romane, tardoantiche, arabe, normanne), ai poderosi strumenti da guerra quali alcuni dei rostri navali in bronzo della battaglia delle Egadi del 241 a.C. che sancì l’epilogo della I Guerra Punica, originando, così, l’inizio del dominio romano nel Mediterraneo”.

 

Queste le riflessioni introduttive di Sebastiano Tusa, Soprintendente del mare, esperto di archeologia subacquea di fama internazionale, al catalogo della mostra “Mirabilia Maris. Tesori dai mari di Sicilia” tenutasi a Palermo, Palazzo Reale (Sale duca di Montalto), da novembre 2016 a marzo 2017. La mostra, ideata e realizzata dalla Soprintendenza del Mare, è stata un esempio di collaborazione internazionale poiché condivisa con alcuni prestigiosi musei europei. In quella occasione è stato possibile ammirare l’articolata raccolta di oggetti che hanno fatto comprendere quale sia stata l’importanza dei commerci nei quali la Sicilia è stata coinvolta nel corso della lunga storia del Mediterraneo. Il mare non ha restituito soltanto tracce delle rotte, ma anche dei grandi conflitti che videro l’isola al centro di eventi politico-militari epocali. In tale ambito ci viene in aiuto l’archeologia subacquea di cui era tanto innamorato Sebastiano Tusa.

A novembre scorso Tusa è stato presente a Modica - nei locali della Società operaia di mutuo soccorso - parlando di radici identitarie del popolo siciliano in occasione della presentazione della sua ultima opera “Sicilia archeologica” (Edizioni di Storia e Studi Sociali, pp. 320, 150 foto in b/n), nell'ambito di una serie di incontri curati da Daniele Pavone per l'anniversario della libreria “La Talpa”. A marzo a Scicli si è occupato della promozione di un parco archeologico (Chiafura, San Matteo), in due dibattiti con Paolo Nifosì, Pietro Militello e altri studiosi e con le autorità civiche. Docente e scrittore assai prolifico, prima di approdare all’incarico nella Giunta regionale siciliana, è stato soprintendente per i Beni culturali e ambientali di Trapani e a capo della “sua” creatura, la prima Soprintendenza del Mare istituita in Italia con compiti di ricerca, censimento, tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio archeologico subacqueo, storico, naturalistico e demo-antropologico dei mari siciliani e delle isole minori.

Tra le tantissime ricerche, sempre nell’ambito dell’archeologia subacquea, è stato proprio Tusa che nel 2014 ha rivelato particolari inediti sui rostri recuperati nel mare delle isole Egadi, nello specchio acqueo dove, secondo una ricostruzione storica ormai consolidata, si consumò la prima guerra punica (nel 241 a.C.), un’area di mare tra le isole di Levanzo e Marettimo.

Molteplici le iniziative culturali cui ha partecipato qui in Sicilia nel corso di quest’ultimo decennio. A Pozzallo, nel 2016, ha presieduto il Comitato organizzatore della sedicesima edizione del “Trofeo del Mare”. “Un appuntamento – come ebbe modo di precisare nel corso di quella serata - di rilevante interesse ed importanza come punto di riferimento per coloro che amano il mare e sono fortemente convinti che la sua salvaguardia e valorizzazione ecocompatibile sia fondamentale per il futuro del pianeta”.

Quando si parla di Sebastiano Tusa la mente varca i confini della terra per immergersi in un ambiente in cui l’uomo è ospite e da cui c’è ancora molto da imparare: il mare. Tusa da parecchi anni si è speso molto per promuovere e valorizzare il patrimonio storico archeologico subacqueo recuperato, nel tempo, in Sicilia e promuoverlo in un contesto unitario attraverso un percorso storico di notevole livello. Lo incontrammo a maggio del 2008 quando venne a Ragusa, in occasione del convegno su “L’archeologia tra terra e mare” promosso ed organizzato dal Centro Studi “F. Rossitto”, in collaborazione con l’Assessorato Regionale Beni Culturali e Pubblica Istruzione, Centro Subacqueo Ibleo Blu Diving, l’UISP di Ragusa, e tenutosi a Ragusa Ibla presso l’Aula Magna della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Catania.

Fu un’occasione unica, come ebbe modo di spiegare il Presidente del Centro Studi, on. Giorgio Chessari – “per illustrare le ricerche e le nuove prospettive di indagine sul versante dell’archeologia e, in particolare, nell’ambito della conservazione e fruizione dei reperti che vengono alla luce non solo dagli scavi di terra ma anche dal mare. Tutto ciò grazie all’impegno, ultradecennale, da parte di valenti studiosi da anni dediti alla ricerca di un prezioso patrimonio che viene dal passato”. Presenti in sala come relatori Sebastiano Tusa e il padre, 87enne, Vincenzo (accademico dei Lincei; fondatore e direttore di “Sicilia Archeologica”). A Sebastiano (all’epoca responsabile del Centro regionale per l’archeologia subacquea), fu affidata la seconda giornata di studi. Col suo fare pacato ma preciso tenne un’articolata discettazione sui ritrovamenti dell’archeologia subacquea in Sicilia (dai relitti delle isole Lipari al sito preistorico di Pignataro, dal relitto normanno di S. Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, alle ricerche su porti ed approdi). Tali ritrovamenti non fanno altro che confermare ciò che emerge dai documenti archivistici attestanti notizie circa le antiche rotte seguite nei secoli scorsi dalle imbarcazioni.

Il viaggio archeologico e professionale di Sebastiano Tusa nel Mediterraneo è stato un percorso esistenziale, che ha investito non solo la sua dimensione di archeologo ma anche quella di uomo di cultura che a questo mare piccolo-grande appartiene e apparterrà per sempre.

 

Salvo Micciché

Giuseppe Nativo

 

 

 

MAGGIO 2019

 

 

 

In memoria di Angelo Campo

Angelo Campo. L’uomo, l’intellettuale, l’artista

Iniziativa culturale al Centro Studi Feliciano Rossitto di Ragusa

 

In un affollatissimo auditorium del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa si è tenuta, il mese scorso, l’iniziativa culturale dal titolo “Omaggio ad Angelo Campo. L’uomo, l’intellettuale, l’artista”. Nel corso della manifestazione è stato presentato il volume su “Angelo Campo. Scritti di politica, cultura e arte”, edito dal Centro Studi Rossitto e dal Centro Servizi Culturali “E. Schembari” di Ragusa e curato da Angelo Battaglia, Mariella Guastella e Giorgio Occhipinti. Agli interventi introduttivi di Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi F. Rossitto), Pasquale Spadola (presidente del Centro Servizi Culturali “E. Schembari”) e Salvatore Burrafato (presidente di Unitre Ragusa), è seguito il premuroso excursus formulato dal sindaco di Ragusa, Giuseppe Cassì, genero del compianto Angelo Campo. Il primo cittadino ha ricordato con tanta emozione ed affetto la figura del suocero, uno dei maggiori intellettuali iblei, che ha animato la vita culturale della città di Ragusa sino alla sua scomparsa avvenuta nel 2007.

“Tra le tantissime iniziative che Angelo Campo contribuì a promuovere negli anni Sessanta – ha spiegato Giorgio Chessari – va ricordato il circolo intitolato a Vann’Antò. Va menzionato anche il suo contributo all’attività del Circolo Amici del Cinema che ebbe il merito di organizzare a Ragusa la messa in scena del ‘Mistero Buffo’ di Daro Fo e gli spettacoli della compagnia di Franca Rame”.

“Visse da artista; colse l’essenza stessa della vita”. Lo descrive così Angelo Battaglia attraverso il suo contributo giornalistico pubblicato sul trimestrale “Pagine dal Sud” (dicembre 2007, p.18, edito dal Centro Studi “F. Rossitto”) di cui il compianto Angelo Campo è stato il primo direttore responsabile. Molteplici le attività intraprese dall’indimenticabile Angelo, dipendente della Banca Agricola Popolare di Ragusa, istituto nel quale ha lavorato per tutta la sua carriera di apprezzato bancario. Non poche sono state le associazioni alle quali Angelo Campo ha dato il suo apporto di entusiasmo e di partecipazione quali: il Centro Studi “F. Rossitto” e il Centro Servizi Culturali di Ragusa, l’associazione “Amici della Musica”, la “Confraternita dei Cenacolari dell’Antica Contea” e, non ultima, l’associazione Teatro Club “Salvy D’Albergo” che lo ha avuto come socio fondatore ed animatore instancabile.

Angelo Campo fu anche pittore sensibile e preparato. “Promotrice delle Arti” fu la scuola di pittura da lui fondata (che amava chiamare “laboratorio”). Da non dimenticare “Il Convegno”, centro d’arte in cui tanti allievi iblei ebbero modo di affinare la propria dimensione artistica e creativa. Era anche un amante dello sport. Il suo entusiasmo si manifestava anche in occasione delle eccezionali prestazioni cestistiche del genero Peppe Cassì e della Virtus Ragusa.

Angelo Campo è stato per Ragusa un intellettuale generoso ed impegnato, sempre pronto a raccogliere gli stimoli culturali di una provincia periferica ma effervescente, alla quale ha restituito numerose iniziative dall’arte alla musica, dal teatro alla gastronomia, dal giornalismo all’impegno civile. Può essere considerato il papà del Centro Servizi Culturali. Fu lui a proporlo, all’inizio degli anni ’80, a Giovanni Minardi, in quel periodo sindaco di Ragusa, di cui era carissimo amico, malgrado le divergenze politiche e ideologiche. Personalità molto versatile, si è mostrato sempre lucido, coraggioso, coerente con le proprie posizioni intellettuali, aperto al dialogo e consapevole che la ricchezza di una comunità passa attraverso la valorizzazione delle proprie peculiarità e attraverso il confronto costante. La sua biblioteca, ricchissima di libri, era aperta a chiunque volesse effettuare delle ricerche. Oltre ad essere ispirato e fecondo cultore di storia dell’arte, prima, e di tecnica pittorica, poi, era anche un intenditore della buona cucina senza per questo trascendere nella golosità. Innamorato della vita, si mostrava custode della sacralità dell’amicizia in cui credeva senza riserve.

A poco più di undici anni dalla sua scomparsa (dicembre 2007) gli operatori e organismi culturali di Ragusa hanno sentito il bisogno di lavorare in sinergia per pianificare la serata culturale impreziosita dalla lettura drammatizzata de “La Passione di Cristo” di Angelo Campo, a cura di Teatro Utopia (con Pippo Antoci, Pino Arestia, Emanuele Campo, Ornella Cappello, Giorgio Gurrieri, Natalina Lotta, Daniele Voi) per la regia di Giorgio Sparacino. Al pianoforte Fabrizio Arestia. Luci e fonica sono state curate da Davide Criscione. La serata si è conclusa con un articolato e simpatico intervento musicale di Peppe e Michele Arezzo.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

GIUGNO 2019

 

Piero Gobetti e gli intellettuali siciliani

Iniziativa culturale all’Istituto “Curcio” di Ispica con la prof.ssa Ersilia Alessandrone Perona

 

Torino, 5 settembre 1924. Piero Gobetti, giovane intellettuale torinese, mentre sta uscendo di casa è barbaramente aggredito sulle scale da quattro facinorosi squadristi che lo colpiscono violentemente al torace e al volto, rompendogli gli occhiali e procurandogli gravissime lesioni invalidanti. Costretto ad espatriare in Francia, la morte lo coglie esule a Parigi nella notte tra il 15 e 16 febbraio 1926, alla giovane età di 24 anni.

Gobetti, a seguito della sua instancabile attività svolta a sostegno dell’occupazione delle fabbriche torinesi, dei suoi frequenti incontri con gli operai, del suo pensiero e della sua “rivoluzione liberale”, provoca la reazione e l’interessamento di Mussolini a tal punto da spingere questi a telegrafare al prefetto di Torino usando toni perentori.

Ma qual è il suo pensiero politico e soprattutto quali sono i rapporti che intrattiene con gli intellettuali dell’epoca? A queste domande ha brillantemente risposto Ersilia Alessandrone Perona (accanita studiosa dell’epistolario gobettiano) con il volume “Carteggio 1923” (Einaudi, pp. XCVII-601) in cui è sviluppato un ritratto di Gobetti attraverso il copioso epistolario intrattenuto con diverse personalità: da Croce a Prezzolini a Monti, da Sapegno a Saba. Sono ricostruiti la trama dei contatti, il flusso di idee, il fervore di un mondo politico e intellettuale che non vuole arrendersi al fascismo. Il 1923 è un anno cruciale nella breve esistenza di Gobetti. “Ti sposi, consegni in una volta sola quattro numeri d’una Rivista, vai in viaggio di nozze, e al ritorno ti mettono in carcere”, così gli scrive in quell’anno Umberto Saba. Sono numerosissime le epistole (ben 579) da e per Piero Gobetti.

Il carteggio, già considerevole, sarebbe stato ancora più ampio se altre lettere non fossero state sequestrate durante le perquisizioni. «Il libro – spiega l’autrice – delinea quella “autobiografia involontaria” che l’edizione di un carteggio può restituire» mettendo in evidenza la fitta rete di intellettuali che nella figura di Gobetti trovano un interlocutore intelligente e sicuro punto di riferimento, da Gorizia a Reggio Calabria, da Palermo a Catania, da Caltanissetta a Modica. In Sicilia Gobetti ha vari corrispondenti che propongono articoli, libri da stampare, sfogano insoddisfazioni, o volenterosamente si offrono per recensire i libri e diffondere “La Rivoluzione Liberale”. Egli riesce ad ottenere una collaborazione al quotidiano “L’Ora” di Palermo (un articolo a settimana per trecento lire al mese). La collaborazione non dura molto, ma gli dà la possibilità di scrivere per quella testata dal 26 settembre 1923 fino al 4 gennaio 1925, pubblicando venti articoli.

La presenza di Gobetti in Sicilia appartiene alla pienezza degli anni in cui il giovane ideologo torinese - che con “La Rivoluzione Liberale” (rivista da lui fondata nella sua città, 1922-‘25), aveva raccolto intorno al suo battagliero periodico convinte adesioni di una vivace élite intellettuale – ha come obiettivo quello di estendere a Sud la penetrazione del proprio progetto.

Tra i numerosi interlocutori: Gaetano Navarra Crimi (etneo; titolare di uno studio legale a Siracusa), che si presenta come «educato alla scuola dei più grandi liberisti inglesi e italiani» (la lettera del 30 settembre 1923 fa riferimento al suo articolo “Il senso della giustizia”, pubblicato su “La Rivoluzione Liberale” il successivo 23 ottobre); Pietro Mignosi (palermitano; nell’ottobre 1925 su “La Rivoluzione Liberale” pubblica un articolo contro la mafia, provocando il sequestro del giornale per la polemica sull’intervento del prefetto Mori); Luca Pignato di Caltanissetta (poeta, giornalista e cultore di letteratura francese); Stefano Rizzone, palermitano, ma vissuto per molti anni a Modica dove era titolare di uno studio legale (tre documenti sono su carta intestata “Studio Legale - Avv. Stefano Rizzone”, lettera del 1° aprile 1923, 28 novembre 1924, e 8 gennaio 1925). Rizzone rappresenta per Gobetti una specie di “agente” a Modica, diffondendo “La Rivoluzione Liberale” e i libri della Casa editrice, come si evince dalla cartolina postale del 23 marzo 1924.

Proprio l’epistolario con gli intellettuali siciliani è stato oggetto di analisi e di confronto tra Ersilia Alessandrone Perona e gli studenti dell’Istituto “Curcio” di Ispica (Rg) durante l’iniziativa culturale svoltasi a maggio scorso e caratterizzata da interventi programmati di Maurizio Franzò (dirigente dell’Istituto “G. Curcio”), prof.ssa Antonella Macauda (che ha guidato gli studenti nelle ricerche). Ha coordinato i lavori la vicepreside prof.ssa Gabriella Bruno. L’evento, organizzato in collaborazione con Centro Studi Piero Gobetti-Torino e Villa Barone Alfieri di Pozzallo, è stato molto seguito e apprezzato dagli studenti che hanno formulato articolate domande alla studiosa Alessandrone Perona. In particolare, tre studentesse hanno proposto la lettura di alcune lettere estrapolate dal carteggio tra Piero Gobetti e la moglie Ada, pubblicate nel testo “Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926” (Einaudi, 2017). La studentessa Matilde Costa ha scelto di leggere la lettera numero quaranta scritta da Ada dal paese di Finalmarina il 18 agosto1919. Ilaria Monaco e Maria Vittoria Iemmolo hanno proposto una lettera di Gobetti (la numero 64) scritta da Torino il 17 settembre 1919. Sono state scelte in particolare queste due, tra le tante possibili, in quanto mettono in evidenza due diverse sfaccettature di questo personaggio: la prima, rivela il suo lato fortemente sentimentale e passionale nei riguardi dell’amata Ada, compagna di vita alla quale comunica sempre i suoi pensieri e le sue esperienze. La seconda epistola risveglia un forte senso patriottico perché descrive la situazione italiana del suo tempo.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

OTTOBRE 2019

 

Giorgio Sparacino

uomo di cultura, attore e regista

 

Gennaio 1970. Eletto a Modica il Direttivo del Club “Amici del teatro”

E' stato eletto a Modica il direttivo del club «Amici del teatro», che il mese scorso ebbe a esordire in pubblico con successo presentando la commedia «Non ti pago» in versione dialettale modicana. Esso risulta così composto: Giorgio Sparacino (presidente), Vincenzo Bonini (vice presidente), Giovanni Buscema (segretario), Natalina Lotta (amministratrice).

(quotidiano “La Sicilia”, mercoledì 14/01/1970, “Cronaca di Ragusa”, pag. 6, a firma G.B.)

 

Sfogliando le pagine dell’Archivio storico del quotidiano “La Sicilia”, tra gli anni ’70 e ’80 (ma anche successivi), non sono poche le notizie riguardanti l’instancabile attività culturale e, soprattutto, teatrale di Giorgio Sparacino, scomparso a luglio scorso.

Conobbi l’amico Giorgio Sparacino quando iniziai, verso la fine degli anni ’90, a frequentare il Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa. Molteplici i suoi interventi – anche con letture di testi teatrali o poesie – nel corso dei numerosissimi incontri culturali promossi e organizzati dal Centro stesso. Mi hanno sempre colpito la sua accesa passione per il teatro e, soprattutto, il suo essere sapientemente ironico anche in situazioni serie. Al telefono esordiva quasi sempre con “Arà!”. Una forma molto affettuosa per dire anche “come va” e che includeva tutto il suo essere uomo di teatro. Di lui me ne parlava anche mia suocera perché, a suo tempo, colleghi di ufficio: “Persona seria è!”, declamando anche le accese passioni di Giorgio per l’arte dello spettacolo e, in particolare, della recitazione.

Gli amici del Centro Studi Feliciano Rossitto e dell’Associazione Teatro Utopia hanno espresso il loro dolore per l’improvvisa scomparsa di Giorgio Sparacino. Lo hanno fatto con un comunicato stampa congiunto e rimarcando più volte il fatto che Giorgio è stato per tanto tempo uno dei più eminenti intellettuali impegnati nella vita culturale del Feliciano Rossitto, fondatore e presidente del Teatro Utopia. “La morte di Giorgio Sparacino è una grave perdita per la cultura, per l’arte, per il teatro in questa parte dell’Europa”, è stato il primo commento molto accorato di Giorgio Chessari (presidente del Centro “F. Rossitto”).

Solo per riassumere la variegata, articolata e molteplice attività di Sparacino non basterebbero diverse colonne di questa testata. Ne citiamo solo alcune. A lui si deve la pubblicazione da parte del Centro Studi Feliciano Rossitto dell’opera di Vann’Antò, “Il dialetto del mio paese”, tratta dal Corso di Storia delle Tradizioni Popolari tenuto nell’anno accademico 1944-‘45 all’Università di Messina; la cura e la presentazione degli Atti del Convegno di Studi, promosso dal Centro Studi F. Rossitto, su Giovanni Occhipinti, che si svolse il 27 e 28 marzo 2006 nell’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Ragusa. Giorgio Sparacino, in collaborazione con Paolo Nifosì, ha curato la pubblicazione del volume “Piero Guccione”, che ha raccolto gli scritti di quanti si sono occupati dell’opera del grande artista. Ha dato un importante contributo alla organizzazione del Convegno Internazionale di Studi su “Camarina 2600 anni dopo la fondazione”, promosso dal Centro Studi con la collaborazione di Paola Pelagatti, Giovanni Di Stefano, Antonino Di Vita e Giovanni Pugliese Carratelli. Alla magistrale regia di Giorgio Sparacino dobbiamo il montaggio del filmato della prolusione che Giovanni Pugliese Carratelli, il maggiore storico dell’antichità del suo tempo, volle svolgere all’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, per il Convegno sui 2600 anni di Camarina che, grazie al lavoro di una troupe di Tele Nova guidata da Franco Portelli, i partecipanti al Convegno hanno potuto vedere.

Tra le innumerevoli opere teatrali messe in scena da Teatro Utopia con la regia di Giorgio Sparacino ricordiamo: Non ti pago di Eduardo De Filippo, Le Troiane di Euridipe, Il Paraninfo di Luigi Capuana, Re Lear di Shakespeare, Temporale di Strindberg, Il malato immaginario di Molière, Assurdamente da Achille Campanile, Colto in flagrante di Derek Benfield, Vaudeville, tre atti unici di Cechov. Tra i tantissimi recitals ricordiamo “D’Ares i ruenti riti funesti ai mortali”, “La passione di Cristo” di Angelo Campo. Sulla personalità di Giorgio Sparacino gli amici del Centro Studi e di Teatro Utopia sicuramente avranno modo di ritornare per rendergli il dovuto omaggio con una ricerca che percorra tutta l’opera che si è dispiegata per quasi sessant’anni e la pubblicazione di un’ampia raccolta dei suoi scritti.

Un’emozionata e particolareggiata testimonianza, tra i numerosissimi amici che sono intervenuti in questi mesi, è stata espressa da Domenico Pisana (scrittore, poeta e giornalista modicano), attraverso la testata www.radiortm.it (09.07.2019), ponendo sotto i riflettori la figura di Sparacino “che ha disegnato il tracciato storico-culturale del teatro nella città di Modica, sin da quando nacque il “Gruppo Teatro Emmeuno” che, successivamente, approdò nella costituzione del “Teatro del Vicolo”, il cui principale leader fu proprio Giorgio Sparacino, insieme ad Enzo Ruta. Con Sparacino nasce insomma in città un vero e proprio laboratorio teatrale, nel quale tanti giovani iniziano a trovare la possibilità di cimentarsi in rappresentazioni teatrali che venivano portate sulla scena non solo a Modica, ma anche in varie parti d’Italia, ove trovavano consenso di pubblico e di critica”.

Instancabile l’attività di Sparacino anche prima degli anni ’60 quando contribuì a far nascere il teatro a Modica prevalentemente in ambito parrocchiale, e i salesiani e i gesuiti furono i primi grandi sostenitori della sua pratica teatrale, che portò poi alla formazione, nel 1963, della Compagnia “Amici del teatro” con Giorgio Sparacino, Giorgio Barone, Pippo Caccamo ed Enzo Nitta; compagnia che operava nel salone parrocchiale della Chiesa Sacro Cuore. “In questa compagnia – precisa Domenico Pisana -, ove Giorgio Sparacino proponeva Martoglio e altre commedie della tradizione teatrale siciliana, cominciò i suoi primi passi insieme ad Andrea Tidona, oggi noto interprete di fiction televisive e stimato attore teatrale di fama nazionale”.

Non dobbiamo dimenticare - ad ulteriore riprova (qualora ce ne fosse bisogno) dell’impegno di Sparacino – che lui ebbe certamente un ruolo di primo piano nella prima amministrazione di Carmelo Ruta, ove fu chiamato per l’incarico di assessore alla cultura, distinguendosi, fra l’altro, per l’iniziativa “Modica 96 – la contea di Modica”, il cui programma venne presentato alla stampa a Palermo, a Palazzo d’Orleans il 15 marzo 1996, in occasione del VII Centenario della fondazione della contea di Modica.

Al figlio, Alessandro, attore e regista di spicco in terra iblea e oltre, il compito di continuare l’attività teatrale con quella sua consueta, esplosiva e spiccata verve artistica, mentre “papà” Giorgio ci osserverà dal suo “altrove” e stavolta da “spettatore”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

NOVEMBRE 2019

 

Elisa Mandarà nella conduzione di Unicef Italia

“Obbiettivo fondante di Unicef è aiutare i bambini”

 

“Un caloroso commosso grazie agli Amici che mi hanno testimoniato affetto in questi mesi, per il nuovo lavoro in seno alla grande famiglia di Unicef Italia”. E’ quanto scrive Elisa Mandarà, figlia degli iblei, non solo apprezzata docente ma anche scrittrice e giornalista con al suo attivo tantissimi contributi in campo culturale ed editoriale. Eletta da circa un anno Presidente Provinciale del Comitato Unicef Ragusa, è stata di recente nominata membro della Commissione Governance di Unicef Italia. Il prestigioso incarico nazionale è stato formalizzato lo scorso aprile, dando seguito alla riunione del Consiglio Direttivo, che, su proposta del Presidente di Unicef Italia Francesco Samengo (in aprile in visita a Scicli, presso la sede provinciale Unicef), ha nominato i componenti della Commissione Governance, secondo quanto previsto dallo Statuto. Una tappa sicuramente importante che bene si inserisce anche in occasione del trentesimo anniversario dall’approvazione (20 novembre 1989-2019) della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Il 25 luglio scorso è caduto un anno esatto dalla nomina di Presidente Provinciale, resa effettiva a settembre del 2018. Quali riflessioni al riguardo? “Si è rivelato un anno di particolare rilevanza – spiega Elisa Mandarà - in cui l’obbiettivo fondante di Unicef a sostegno dei bambini è diventata per me, nel mio modesto ambito, una priorità assoluta, supportata da un approfondimento nella conoscenza dei settori in cui l’Unicef quotidianamente opera concretamente per i bambini. Ho accettato la nomina conscia della delicatezza e della laboriosità di tale incarico. Non mi sono tirata indietro di fronte alla possibilità di dare un sia pur minimo contributo, per ogni bambino”.

La collaborazione dei volontari è essenziale? “Senza dubbio. Tra questi sono inclusi amici ed eccellenti professionisti che in provincia si sono spesi in tantissime iniziative e campagne umanitarie. Settori primari sono per noi la scuola e la sfera culturale, campi che devono veicolare, assieme alle urgenti raccolte fondi, la promozione dei diritti di bambini e ragazzi. Quest’anno si celebra il trentennale della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Ciò richiede un impegno speciale affinché il protagonismo giuridico garantito ai bambini dalla Convenzione possa farsi effettivo e reale”.

Quali sono state le ultime tappe del lavoro dell’Unicef? “Secondo il nuovo rapporto dell’Unicef, nel 2018, sono stati aiutati i bambini: procurando 2,36 miliardi di dosi di vaccini per sconfiggere tante malattie, fra cui morbillo, difterite, tetano e papilloma virus e raggiungendo quasi la metà dei bambini del mondo; fornendo ai bambini accesso ad acqua sicura con 1,26 miliardi di pastiglie per potabilizzare l’acqua e sacchetti per la clorurazione/flocculazione; proteggendo i bambini da malattie trasmissibili dalle zanzare attraverso l’uso di 13,3 miliardi di zanzariere; curando i bambini che soffrivano di malnutrizione con diverse tonnellate di alimenti terapeutici pronti all’uso; aiutando a tornare a scuola distribuendo 4,5 milioni di zaini scolastici e 84.000 kit per l’istruzione”.

Un lavoro immane che impegna tempo e tantissime risorse umane, anche nell’ambito del volontariato? “Certamente. Mi corre l’obbligo fare presente che garantire aiuti ai bambini non è così semplice come comprare prodotti dagli scaffali. Richiede una stretta collaborazione con diversi partner che possa garantire ai bambini in differenti Paesi ed aree di ricevere tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, essere al sicuro e in salute”.

Qual è il lavoro che state svolgendo in territorio ibleo e nell’ambito della Sicilia sud-orientale? “Proviamo ogni giorno, e col massimo impegno che impone una causa così alta, a calare nel contesto sociale locale le direttrici nazionali dell’Unicef. Stiamo avviando collaborazioni sostanziali con le amministrazioni comunali, in primis col Comune di Scicli, con la Prefettura, grazie all’apertura del prefetto Cocuzza ai nostri intenti, con l’Ufficio Scolastico Provinciale, con la cui collaborazione stiamo conducendo l’importante Progetto Unicef-Miur “Scuola Amica delle bambine, dei bambini e degli adolescenti”, che sostiene la cultura e la prassi della tutela giuridica e del benessere dei minori e favorisce la conoscenza e l’attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel contesto educativo. Una proficua collaborazione abbiamo stabilito anche con le Pro Loco provinciali. La sfida meravigliosa è la traduzione dell’impegno in azioni concrete, che possano realmente sovvertire i destini di bambini vulnerabili in tutto il mondo”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

DICEMBRE 2019

 

La pittura della modicana Margaret Carpenzano

Le intime radici dell’animo artistico

 

Quella di Margaret Carpenzano, modicana, è una pittura che trae origine dalle intime radici del suo animo. Ritrova un’accesa passione per il disegno e la pittura nel 2011. Segue la passione per le arti visive in forma autodidatta. In seguito continua le conoscenze con gli studi e approfondimenti delle tecniche pittoriche frequentando dei corsi di figurazione, di anatomia artistica e disegno dal vero. Ha partecipato a diverse collettive proponendo con le sue tele uno stile personale che risente di una delicata emozione vitale con cui restituisce identità culturale e valore estetico al territorio ibleo e alla sua storia. L’ultima, in ordine di tempo, è la tela premiata in occasione della recente manifestazione pittorica “Autunno a Ibla”, promossa dal Lions Club Ragusa Host con lo scopo di valorizzare il patrimonio Unesco della città.

“Come ogni bambina – racconta Margaret Carpenzano - mi piaceva molto disegnare ma avevo il difetto di lasciare i miei scarabocchi incompleti, me lo diceva sempre mia mamma. Ho scoperto la mia passione per la pittura quando frequentavo le medie, amavo le ore di arte ed ero una delle poche alunne che eseguiva a casa i dipinti che il professore di arte ci commissionava per esercitarci”. Non di rado, però, era la mamma ad interromperla ogni volta la vedeva intenta a disegnare. Si impadroniva del suo pennello continuando a suo piacimento l’opera. L’idea di Margaret era quello di frequentare l’Istituto d’arte a Comiso sebbene fosse fortemente ostacolata dai suoi genitori. Accantona così la sua passione per il disegno e la pittura frequentando un istituto scolastico di altro settore. Circa otto anni fa il senso dell’arte la stuzzica. La scintilla scatta in seguito ad un grave lutto familiare. “Tutto ciò mi fece giungere alla conclusione – spiega Margaret - che la vita è una, che vale la pena di essere vissuta al meglio delle proprie possibilità e che, se si ha un sogno, non è mai troppo tardi per poterlo realizzare”. Armata di entusiasmo e curiosità per questa nuova esperienza, cerca di esprimere il suo sentire lavorando con i pennelli e, soprattutto, con il cuore. Inizialmente da autodidatta, successivamente partecipando a corsi di disegno e pittura per approfondire le sue competenze artistiche che sperimenta tutti i giorni non tralasciando la famiglia.

Ama dipingere paesaggi perché la riportano alla sua infanzia vissuta in campagna con i nonni. In alcune tele si notano però figure femminili. Cosa rappresentano? “Sono delle figure che vengono spontanee. In queste donne forse c'è qualcosa di me, forza e al contempo fragilità, serenità ed inquietudine, solarità e mistero. Credo che ognuno di noi abbia delle caratteristiche che si contrappongono in base alle situazioni che si verificano”. Una sorta di conflitto tra le diverse anime di Margaret: quella femminile con l’immaginifica, che poi si intrecciano con quella pittorica. “Un po’ come la nostra bella Ragusa-Ibla, per questo ho associato la dimensione antica della città di Ragusa al volto di una donna. Una città barocca con piccole strade tortuose e strette ma che portano a monumenti mozzafiato. Una signora d’altri tempi avvolta da un alone di mistero. E’ quanto ho cercato di rappresentare nel mio ultimo dipinto Signora Ibla in autunno, realizzato in occasione della recente estemporanea d'arte tenutasi a Ibla”, nel corso della quale è stata premiata piazzandosi al primo posto.

Dal 2 al 30 novembre scorso Margaret Carpenzano ha partecipato a Venezia, insieme a non pochi artisti, alcuni dei quali iblei, ad una collettiva a Palazzo Zenobio presso il padiglione “Contea di Modica”, a cura dello storico e critico d’Arte Giorgio Gregorio Grasso e con la direzione dell’artista modicano Guido Cicero.

Dal 16 al 28 novembre la sua tela dal titolo Voglio sognare ancora è stata inserita, insieme ad altre proposte da oltre quaranta valenti artisti del territorio ibleo, nell’esposizione tenutasi presso il Centro di Aggregazione Culturale di Ragusa, a cura di Amedeo Fusco e Andreana Farris, nell’ambito di un ciclo di incontri culturali avente per titolo “Irragionevoli soprusi” e che ha visto la partecipazione di un numeroso pubblico.

 

Giuseppe Nativo

 

 

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