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2018

Gennaio 2018

- Guglielmo Manenti e “L’uomo in rivolta” (Dialogo, gennaio 2018)

- Il brodo di gallina della nonna si conferma rimedio efficace (Insieme, 28.01.2018)

 

Febbraio 2018

- Francesco Fronte e la sua Spaccaforno (Dialogo, febbraio 2018)

- Si sta perdendo il piacere di reincontrarsi al cinema (Insieme, 25.02.2018)

 

Marzo 2018

- Tango: un pensiero triste che si balla (Dialogo, marzo 2018)

- Ragazzi troppo fragili e aggressivi (Insieme, 25.03.2018)

 

Aprile 2018

- “Da Camarina a Caucana” di Paola Pelagatti (Dialogo, aprile 2018)

- Il medico di famiglia ci cura con Whatsapp (Insieme.it, 27.04.2018)

 

Maggio 2018

- Insegnanti aggrediti dai genitori. Siamo in presenza di un’emergenza educativa? (Dialogo, maggio 2018)

- Allergie di primavera Difendersi dai pollini (Insieme, 27.05.2018)

 

Giugno 2018

- Educazione al risparmio. “C’era una volta il salvadanaio” (Dialogo, giugno 2018)

- Scuole e Rotary Club educano al risparmio (Insieme, 24.06.2018)

 

Ottobre 2018

- Presentato il saggio storico di Salvo Micciché e Stefania Fornaro (Dialogo, ottobre 2018)

 

Novembre 2018

- Da Mogliano a Ragusa. Progetto “Erasmus Plus” (Dialogo, novembre 2018)

 

Dicembre 2018

- Incontro all’Istituto “G. Curcio” di Ispica. “Cultura del vino e del cibo” passando per il cinema (Dialogo, dicembre 2018);

 

 

 

GENNAIO 2018

 

Guglielmo Manenti e “L’uomo in rivolta”

 

La Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa ha ospitato, per ben quattro settimane, dal 17 novembre al 16 dicembre scorso, la raccolta di illustrazioni di Guglielmo Manenti, dal titolo “L’uomo in rivolta”, a cura del critico Andrea Guastella. L’iniziativa è stata promossa ed organizzata dal Comune di Ragusa in sinergia con l’Associazione Culturale Aurea Phoenix.

Il percorso espositivo ha fatto da pungolo relativamente ad una costellazione di riflessioni sull’identità in crisi dell’uomo contemporaneo attraverso il commento visivo a tre opere letterarie di assoluto spessore: la Metamorfosi di Kafla, Woyzeck di Büchner e l’opera poetica di Majakovskij. Si tratta, pertanto, di una rassegna che raccoglie disegni realizzati in contesti e circostanze diversi, nonché ispirati a testi variegati, ma accomunati dalle stesse aspirazioni. Durante la mostra il regista, docente e critico cinematografico Danilo Amione ha tenuto un incontro su episodi filmici ispirati alle opere letterarie scelte come soggetto dall’artista.

Presente anche Guglielmo Manenti (classe 1976), il quale ha illustrato i segreti del suo mestiere di illustratore, anche mediante esemplificazioni che hanno incuriosito non poco le numerose persone presenti in sala. Manenti, in questi anni, ha acquisito una notevole padronanza pittorica esponendo i propri dipinti e riscuotendo vasti consensi dalla critica. Ha illustrato numerosi libri in Italia e all’estero e collabora come disegnatore per svariate riviste. Ha inoltre progettato e realizzato scenografie, installazioni, performance e video di animazione. Vive e lavora a Modica.

“L’uomo in rivolta” è un titolo impegnativo. Ma chi è l’uomo in rivolta? “E’ un uomo che dice no. E’ – per dirla con Camus (riprendendo il titolo di un suo saggio pubblicato nel 1951), precisa Andrea Guastella - uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini e che giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. L’uomo di Guglielmo Manenti, sia che si cimenti con la Metamorfosi di Kafka, sia che vaghi disperato come il Woyzeck di Büchner, sia che declami i suoi versi nel chiuso di una gabbia, dice sempre ‘no’: alla sopraffazione, all’invidia, all’ignoranza. Un no che non abbraccia la sola sfera intellettuale”.

Una rassegna che raccoglie disegni realizzati in contesti e circostanze diversi ma accomunati dalle stesse aspirazioni. Quanto ha influito nelle illustrazioni di Manenti il suo stato d’animo? “Le illustrazioni risentono, come era prevedibile, degli amori e infatuazioni dell’artista, ma è individuabile in tutte una misura giottesca, un’interpretazione colloquiale della tragedia umana, dove il dramma, pur presente, non è mai assoluto. Sebbene guardi spesso al Nord, alla Mitteleuropa, al regno di ghiaccio dove nascono gli incubi, i sogni, le ideologie, Guglielmo è pur sempre figlio di Trinacria, di quella terra in cui non esiste Ethos che non sia abbinato al Pathos, di Eros e Thanatos intrecciati”.

Qual è il ruolo dell’illustratore? “Il ruolo dell’illustratore – afferma Guglielmo Manenti - è come quello del traduttore che cerca una forma in un’altra lingua cercando di entrare in sintonia con l’autore rispettandone lo spirito. L’illustratore lavora con quelle immagini che gli nascono mentalmente dalla lettura di un testo, e in quello spazio intermedio, prima di diventare disegno, si caricano del vissuto dell’illustratore e in alcuni casi sono loro a decidere i tempi in cui emergere. Un universo in bianco e nero in cui il pennino e una pozzanghera di china nera, strumenti che dettano un tempo di lavoro lento, aiutano a creare una giusta concentrazione immersa nel rumore di quel graffio che la punta di metallo incide nella carta. Quella ferita che comincia ad assorbire colore. Questa produzione in bianco e nero ha sempre avuto per me qualcosa di intimo che si alterna alle tante mie produzioni giornaliere di illustrazioni, dove il colore e i temi affrontati sembrano creare una divisione tra la produzione del giorno e quella notturna … ma so che la divisione non è mai così netta e che i due mondi interagiscono e si alimentano tra di loro … due vasi comunicanti”.

La serata conclusiva del 16 dicembre scorso è stata impreziosita dalle note di Stefano Meli con una splendida esibizione alla chitarra.

 

 

 

Il brodo di gallina della nonna si conferma rimedio efficace

 

Il freddo e le prime piogge sono già arrivati, ma anche i primi malesseri dovuti alla stagione. Il freddo è in agguato e, soprattutto, raffreddore e tosse vanno a braccetto. A farne le spese sono i bambini, le persone debilitate, le donne in dolce attesa, ma anche gli anziani o più semplicemente le persone adulte che temono fortemente l’influenza e sue conseguenze.

Tale stato di cose andrebbe affrontato con i farmaci e con rimedi dei tempi passati, ovvero con un salutare brodo di gallina.

L'antico rimedio della nonna è sempre di moda in quanto la zuppa di gallina ha una marcia in più. Il brodo, infatti, ha la caratteristica di essere un buon antinfiammatorio, di favorire la fluidificazione del muco, del catarro e quindi di alleviare i sintomi del raffreddore. Recenti studi sulle proprietà antinfiammatorie della carne bianca di gallina ne hanno confermato i risultati positivi.

Ma i punti di forza sono anche altri. Le proteine della gallina e gli antiossidanti delle verdure contenute nella zuppa (di solito porri, sedano, cipolle, carote, patate, broccoli, fagioli, piselli, prezzemolo e così via) aiutano le difese immunitarie dell’organismo. Alcuni, addirittura, per migliorarne ulteriormente le proprietà del brodo consigliano di aggiungere aglio e peperoncino in modo da potenziare il potere disinfettante, ma per sopportare una correzione simile bisogna anche avere lo stomaco adatto. Per aumentare il potere nutritivo basta aggiungere alla zuppa parmigiano grattugiato.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2018

 

 

Francesco Fronte e la sua Spaccaforno

Quando l’amore per la propria città si trasforma in impegno culturale e sociale

 

Leggere il lungo ed ampio percorso biografico dell’ispicese Francesco Fronte risulta essere un compito assai arduo. Numerosi, infatti, si rivelano le attività svolte in tanti anni sia in ambito culturale sia in quello sociale. Ufficiale in congedo del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana, Fronte è stato promosso, nel 2016, con Decreto direttoriale del Ministero della Difesa, al grado di Tenente Colonnello. Si tratta di un prestigioso riconoscimento che arriva dopo oltre cinque lustri di attività, contraddistinta da tantissimi richiami in servizio attivo, durante i quali ha conseguito molte qualifiche partecipando a diversi corsi, tra cui: 21° Corso di caricamento e trasporto aereo (Guidonia, Scuola di Aerocooperazione), 1991; 41° Corso di soccorso aereo (Guidonia, Scuola di Aerocooperazione), 1992; 2° Corso sperimentale di Storia della Croce Rossa e della Medicina (Maenza, Latina, 2005); Corso di Qualificazione per personale civile e militare per l’applicazione del Diritto Internazionale Umanitario nei Conflitti Armati e nelle Crisis Response Operations, all’Università degli Studi di Roma Tre, 2009. Tantissimi sono gli incarichi ricoperti a livello provinciale. Francesco Fronte è l’unico volontario Cri della provincia di Ragusa che ha raggiunto questo alto grado militare. E’ di qualche settimana fa la notizia della sua nomina a presidente del Comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Ragusa.

Francesco Fronte, classe 1961, ha conseguito il Diploma di maturità classica nel Liceo di Ispica e la Laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Catania, discutendo una tesi di Storia Contemporanea su “Spaccaforno nel Risorgimento (1816-1860)”, relatore il professore Giuseppe Barone. Socio fondatore della Società Ispicese di Storia Patria e componente del Comitato di Direzione della rivista di storia locale e cultura “Hyspicaefundus”, dove ha pubblicato una cospicua mole di articoli e saggi di storia locale.

Autore, anche, delle seguenti pubblicazioni: “Ispica nell’epopea garibaldina”, edita dalla Società Operaia (di cui è Socio Onorario), in occasione del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi

(2007); “La Società Operaia Giuseppe Garibaldi di Ispica. 150 anni di solidarietà e mutualità. 1865-2015”, in occasione del 150° anniversario della fondazione.

Nel 2011 presenta il libro “Ego Primogenita. L’Arciconfraternita della SS. Annunziata di Ispica nei documenti d’archivio (sec. XV – XIX)”, di alto valore storico. Il volume, redatto con spirito di imparzialità e l’occhio attento dello storico, descrive il ruolo chiave di una delle prime e più significative esperienze confraternali siciliane e recupera vetusti ed inediti documenti d’archivio che hanno permesso all’autore, con perizia e in maniera certosina, di ricostruire uno dei passaggi più rilevanti ed emblematici nella storia della comunità ispicese. L’excursus tematico ripercorre l’edificazione delle magnifiche chiese dopo il terremoto del 1693, il loro adornamento la custodia del loro ricco patrimonio. Vicende che si rivelano legate alla nascita e all’estendersi dei sodalizi confraternali. Tra gli innumerevoli carteggi non mancano gli atti d’archivio della basilica, cenni biografici degli amministratori e dei sacerdoti di quel tempo, nonché i vivaci contrasti con l’altra grande confraternita ispicese, quella di S. Maria Maggiore. Queste aggregazioni hanno contribuito a tracciare un percorso che ha dato vita ad una delle più celebrate ed ammirate tradizioni ispicesi, la Settimana Santa.

A proposito di storia delle confraternite ispicesi, qual è stato il loro ruolo nel tessuto sociale a partire dal XVI secolo e come esso è cambiato nel tempo?Fin dal XV secolo, nasce e si sviluppa a Spaccaforno (oggi Ispica), una esperienza confraternale tra le più antiche della Sicilia. Ci si riferisce, soprattutto, alle due Arciconfraternite della SS. Annunziata e di Santa Maria Maggiore, erette nelle chiese basiliche omonime. La devozione popolare, il bisogno di associazionismo da parte di laici impegnati in un cammino di spiritualità, riuniti in confraternite, ha portato alla costituzione di un grande patrimonio architettonico e artistico. Costruzione e manutenzione delle chiese, erezione di altari, fondazioni di messe e cappellanie, committenza di piccole e grandi opere d’arte, dalle suppellettili ai paramenti sacri, dal quadro al fercolo processionale, all’argenteria: quasi tutto è stata opera dell’impegno e della collaborazione di migliaia di anonimi confrati che si sono avvicendati nei secoli, la cui memoria è tutt’oggi custodita, almeno in parte, nelle carte che sono rimaste negli Archivi storici delle Arciconfraternite e nella documentazione esistente presso l’Archivio di Stato di Ragusa, cioè nell’Archivio Statella. Le finalità iniziali delle confraternite erano state la preghiera e la beneficenza, ma col tempo esse accentuarono il loro carattere pragmatico e sociale fino ad articolarsi in strutture sempre più complesse e ricche di beni materiali ai cui vertici si trovava la classe dirigente municipale (piccola aristocrazia e borghesia possidente emergente)”.

Visitando gli archivi si entra in contatto con vetusti carteggi che consentono al ricercatore di acquisire un vastissimo patrimonio documentario di inestimabile valore ed importanza per la storia della propria città. Se dovessi intervistare un personaggio del passato ispicese chi sceglieresti? “Un personaggio del passato lontano, sicuramente Antonio Caruso, nobile netino che acquistò il feudo, con atto del 4 gennaio 1453, dal conte di Modica don Bernardo Giovanni Cabrera. Antonio Caruso comprò, per sé e i suoi eredi e successori, in perpetuo, “il Casale abitato chiamato volgarmente Spaccaforno con suo fortilizio” nel territorio del Val di Noto. Il re Alfonso approvò definitivamente il passaggio del feudo di Spaccaforno ad Antonio Caruso, che ricopriva le cariche di Milite nel Regno di Sicilia, Maestro razionale, Presidente della Real Camera Sommaria. Antonio Caruso si insedia subito nel nuovo feudo, perché in una prospettiva imprenditoriale e commerciale vuole mettere a frutto il suo investimento e ne fa una delle baronie più dinamiche e ricche. È quindi con i Caruso che il feudo diventa non solo autonomo dalla Contea di Modica, ma assume un certo peso economico prima, militare e politico poi (a fine Cinquecento sarà, con gli Statella, elevato a Marchesato)”.

Nel tuo attento lavoro di accanito cultore di storia locale ispicese si intreccia anche l’attività in ambito umano e sociale. Come si intessono questi molteplici interessi: hanno una radice comune o si sono sviluppati indipendentemente l'uno dall'altro? “Avendo avuto una formazione umanistica, sono stato sempre convinto che un buon cittadino, nella sua ‘polis’, deve vivere, nella forma del volontariato, tutte le esperienze pubbliche possibili. Sono stato amministratore comunale, presidente di confraternita, presidente di varie associazioni culturali (e della biblioteca comunale) ecc. Ora sono presidente del Comitato di Croce Rossa Italiana di Ragusa che ha competenza territoriale provinciale. Tutti i miei impegni e le mie attività si intrecciano coerentemente con l’aspirazione a mettermi, in questi settori, al servizio della comunità in cui vivo e dare il mio modesto, piccolo contributo per la crescita civile, culturale e sociale. Con quali risultati, non è mio compito giudicare”.

 

 

 

Si sta perdendo il piacere di reincontrarsi al cinema

 

Una volta si andava al cinema, magari più volte la settimana, e questo serviva a riempire l’animo di sogni e idee. Ora sembra che gli incassi dei cinema siano quasi dimezzati perché le sale sono semivuote. Una delle principali ragioni è dovuta al fatto che ogni giorno i canali televisivi ci invadono di film per l’intera giornata e quindi non hai più il piacere di andare al cinema per vedere un’altra pellicola. E, quindi, siamo destinati a perdere sogni e fantasia. Finirà che un giorno i cinematografi diventeranno archeologia artistica.

Tale stato di cose percorre tutta la nostra penisola toccando numerose città. Anche il territorio ragusano non è immune dalla problematica. A tale proposito abbiamo contattato Marco, che svolge la sua quotidiana attività lavorativa come collaboratore nella gestione di una rinomata sala cinematografica in zona iblea. La sua esperienza, ormai pluriennale, gli consente di esternare alcune riflessioni che ci possono aiutare a comprendere cosa sta accadendo al comparto.

Come vanno le sale cinematografiche? “La gente che a Ragusa va al cinema – spiega Marco - è una pochissima parte. Le sale cinematografiche sono, per lo più, frequentate da due categorie: gli anziani e i giovanissimi. All’appello mancano quelli che spesso preferiscono fruire del cinema tramite il mezzo televisivo. Resta assente dalle sale la fascia di popolazione che va dai 45 ai 65 anni. Va detto anche che è aumentata la fruizione on line del cinema e che la stessa, talora anche a discapito della qualità, garantisce di avere a portata di clic tutti i film usciti nel periodo desiderato dall’utente”.

Come sono andate le sale cinematografiche lo scorso anno, ad esempio, a Ragusa? “Lo scorso anno, anche a Ragusa, è stato l’anno orribile del cinema italiano avendo registrato un calo molto cospicuo degli incassi rispetto all’anno precedente. La spiegazione è semplice. Nel 2016 il noto film interpretato dal bravo cabarettista Checco Zalone ha incassato approssimativamente la metà del totale complessivo registrato dagli altri film. Ciò significa, altresì, che la stragrande maggioranza delle persone va al cinema solo in occasione dell’uscita di alcuni film. Per il resto si registrano fenomeni per lo più di categoria destinati ad esaurirsi nel giro poche settimane”.

Ci sono fasce di categorie di pubblico che apprezzano il cinema? “Occorre distinguere per generi. Vi sono quelli che attirano pubblico di sesso femminile, altri, come i cartoni animati, sono dedicati ai più piccoli. Quelli sui super eroi attirano un pubblico di giovanissimi, in particolare, di sesso maschile. Infine, ci sono i film di qualità, che richiamano la ristrettissima cerchia dei cinefili, che, non di rado, in un territorio come quello ragusano, non consentono una programmazione settimanale a causa della scarsa affluenza. Altra considerazione riguarda l'introduzione delle multisale che, in ambito ibleo, hanno certamente contribuito a portare un incremento di persone che frequentano le sale, sebbene siano cambiate del tutto le abitudini e anche le modalità di scelta: si sceglie sul posto il film”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

MARZO 2018

 

Tango: un pensiero triste che si balla

Conferenza musicale di Gino Carbonaro al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa

 

Che cos’è la musica? E’ l’Arte di esprimere gli intimi sentimenti attraverso suoni modulati. E’ gioia, dolore, poesia ma anche riflessione interiore dell’animo. E’ il respiro della mente che tocca le sensibili corde del cuore. Se a tutto ciò si aggiunge passione, movimento, ballo di coppia dalle sequenze ritmiche, rapide, focose e tumultuose, si ottiene una “danza dell’abbraccio” che si realizza in parte attraverso l’improvvisazione ed in parte mediante passi codificati. Tutto ciò è il Tango, il tango argentino: una cultura a sé stante che oltrepassa i confini della terra che lo ha generato. Esso affronta questioni esistenziali legate alla condizione umana essendo intriso di solitudine e malinconia nonché di nostalgia, nemica e, nel contempo, consolatrice.

A spiegarlo con perizia tecnica del professionista in campo musicale, utilizzando quella sincera e genuina affabulazione propria del ricercatore e scrittore, è stato il prof. Gino Carbonaro, con la sua inseparabile fisarmonica, nel corso di una “conferenza musicale” recentemente tenutasi presso il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa ed avente per tema “Il Tango. Una storia in breve”. La splendida serata, in compagnia dei tangheri Giorgio Cavalieri e Ornella Lissandrello, si è resa possibile grazia alla sinergica collaborazione dello stesso Centro Studi “F. Rossitto” con il Centro Servizi Culturali “E. Schembari”, Associazione Culturale “Genius”, Movimento Italiano Casalinghe, Associazione Italiana Maestri Cattolici.

Come nasce il Tango? “Il Tango – spiega Gino Carbonaro - nasce in Argentina e Uruguay verso la fine dell’Ottocento. Nel giro di pochi anni diventa un evento di eccezionale importanza, subito esportato in tutte le parti del mondo. Per comprendere la dinamica del Tango, è necessario ripercorrere la storia dell’Argentina in quel particolare momento. Fra il 1880 e il 1910, l’Argentina è la quinta potenza economica mondiale, e diventa meta di una immigrazione multi-etnica da parte di europei, africani, giapponesi, ebrei. Gli immigrati che arrivano nel porto di Buenos Ayres sono accolti dai “compadritos” (sorta di “padrini” che reclutano questa massa di forza-lavoro) e avviati in grandi fabbricati (“conventillos”, ovvero vecchie case con ampio cortile interno, caratteristico dell’architettura spagnola e sudamericana, su cui si affacciano numerose stanze), dove viene assegnato ad ognuno di loro un giaciglio e trovato un lavoro. Ben presto, gli immigrati si accorgono che il lavoro è insostenibile, dall’alba all’ultima luce del tramonto. La libertà è perduta. Lontani dalla loro terra, dalla famiglia, dai genitori, privati dagli affetti, questi uomini mettono in crisi il valore stesso della esistenza. Nel giro di pochi anni, il costante afflusso degli immigrati fa raddoppiare la popolazione dell’Argentina, facendo modificare il rapporto uomo-donna, che a Buenos Ayres diventa (si dice) di quattro uomini per ogni donna. Poche donne per uomini che non hanno opportunità di soddisfare esigenze affettive, e bisogni sessuali”.

Un rapporto anomalo, dunque, tra uomini e donne. “Il rapporto anomalo fra maschi e femmine potenzia lo sviluppo della prostituzione, e il moltiplicarsi di locali detti “Quilombos”, “Enramadas” (luoghi di piacere) dove i giovani immigrati, si recano per trascorrere il tempo libero, parlare con qualcuno, annegare nell’alcol le loro preoccupazioni, e ammirare i Gauchos della Pampas (sono meticci, antichi incroci fra indigene e soldati spagnoli che, a partire dal XVI sec. conquistarono l’Argentina; in pratica, sono l’equivalente sudamericano dei cow boy), esperti ballerini che, aspettando il loro turno per andare con una donna, si esibiscono in mirabolanti e applauditissime gare di danza (fra uomini) sul ritmo della Milonga. Per ingannare l’attesa vengono assoldate delle orchestrine. Si tratta di piccoli complessi musicali: all’inizio, violino, flauto, basso, concertina (la progenitrice del bandoneon e, poi, della fisarmonica) che ebbero molto successo interpretando “Milonga” e “Criolla”, musiche e danze tipicamente argentine (il Tango non è ancora nato). Solo dopo il 1895 farà la sua apparizione il bandoneon, che diventerà lo strumento classico del Tango”.

In che cosa consisteva il ballo? “I partner si abbracciavano in modo provocante, il compadrito-magnaccio mostrava la sua abilità di ballerino inventando movimenti e figure con passi estemporanei. La donna lo assecondava, ma, le “figure” di ballo erano nello stesso tempo di bellezza estetica e di provocazione sessuale, certamente funzionali al luogo e al momento, comunque atte a tenere attento e surriscaldato il clima dell’ambiente. È così che lentamente si definisce il Tango. Tango come spettacolo offerto intenzionalmente ad una clientela “particolare” ed eterogenea. Tango come conforto dell’anima, che rende la vita più degna di essere vissuta. Tango che lentamente diventa simbolo nel quale finiranno per riconoscersi tutti gli immigrati. Solitudine, sconforto, bisogno di affetto, amarezze, desiderio di una donna, sessualità inappagata, ma anche bisogno di dire a sè stessi che non si è soli nella sventura, tutto questo dicono le parole e la musica del Tango”.

Il ballo, nel tempo, come si evolve? “Col tempo, il testo diventò importante. Capace di toccare le corde dell’animo di coloro che erano gli effettivi fruitori del Tango. Fu così che lentamente la Milonga si trasforma in Tango. I testi del Tango (lírics) parlano di uomini che sono stati abbandonati da una donna (Caminito), di luoghi di appuntamento con donne da sogno (A Media Luz), di figli che muoiono con sensi di colpa per avere lasciato la madre da sola in patria (Cumparsita), di situazioni drammatiche e di dolore assoluto (Mi dolor). L’atmosfera del Tango è da “fin du siècle”, malinconica e decadente. Non è un caso che il Tango avrà una fortuna mai registrata nella storia della musica, con una durata che è giunta sino ai nostri giorni. Di fatto, se le parole piangenti del Tango, e la sua musica ovattata, mirano a saturare i bisogni dell’immigrato, il Tango danzato simula la voluttà sessuale, il bisogno di un contatto carnale, sorta di corteggiamento simulato, che la coppia dei “tangheri” realizza nel ballo, all’interno di uno spazio-tempo ideale nel quale i ballerini entrano, per vivere il loro momento di sogno e di complicità con una donna o un uomo vero o sognato. Donna (o uomo) che la sorte concede per la durata di un Tango, realtà di un sogno che svanirà nel nulla, come un miraggio, lasciando ai tangheri di quella vissuta evasione solo il ricordo. Il ritorno nella realtà è segnato dalla decisa crudezza delle battute finali della musica, che segnalano la fine del sogno e il ritorno alla realtà. Alla squallida prosa di tutti i giorni”.

Il Tango, dunque, mantiene un vincolo obliquo con la realtà: permette di sfuggirla e, nel contempo, se ne costituisce riflesso spietato. Per dirla con una celebre riflessione di Enrique Santo Discepolo (un napoletano amante dell’opera, del teatro e della musica che arriva in Argentina verso la fine del ‘900 quando ancora non ha vent’anni, divenuto poi Direttore dell’Orchestra municipale di Buenos Aires), il Tango è “un pensiero triste che si balla”.

 

 

 

 

Ragazzi troppo fragili e aggressivi

Il preside Palazzolo: “Scuola e famiglie sono in forte difficoltà”

 

Nel campo dell’insegnamento quando un docente viene apostrofato o, peggio ancora, ferito da genitori impazziti per difendere un figlio che, talora, risulta indifendibile, quanti ne parlano? Che tipo di azioni si mettono in campo?

La questione preoccupa. Siamo di fronte a un’emergenza educativa che tocca solo la scuola o solo la famiglia, o entrambe? Abbiamo girato la domanda al professore Giuseppe Palazzolo, già dirigente scolastico in una scuola iblea.

“La domanda che mi pone è complessa e meriterebbe una risposta ampia e articolata. Proverò a sintetizzare alcuni dei punti salienti. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che non si tratta affatto di “emergenze”, ma di fenomeni che si innestano in una deriva cronica del sistema scolastico italiano, affiancato da serie difficoltà formative all’interno di molte famiglie. A ciò si aggiungono le continue “riforme” che hanno interessato la scuola e che, non di rado, hanno nascosto la volontà di ridurre ulteriormente i costi dell’offerta formativa. Un esempio fra i tanti: l’introduzione dell’insegnante “prevalente” nella scuola primaria (il cosiddetto “maestro unico”), introdotto con la riforma Gelmini nel 2008. A parte i risvolti ideologici di un ritorno al passato, l’aver voluto annullare la pluralità di insegnanti di riferimento, previsti nei “moduli” (tre insegnanti su due classi), ha perseguito l’evidente risparmio negli organici di diritto per la scuola primaria. La ricaduta negativa è evidente, se pensiamo che in un rapporto educativo è molto importante la qualità e la quantità del tempo dedicato ad ogni singolo alunno dall’insegnante”.

Dunque, carenze del sistema scolastico? “Sicuramente ve ne sono tante, ma accanto alle insufficienze del sistema scolastico, nonostante gli encomiabili sforzi profusi da tanti docenti nella loro “missione” educativa, è necessario anche prendere atto che le famiglie, in generale, sono in forte difficoltà nei loro compiti educativi. Se nel passato l’educazione era la semplice trasmissione dei propri valori dai genitori ai figli, attraverso l’esempio o il meccanismo di premio/punizione, oggi gli adulti faticano a trovare modalità efficaci di educazione, anche per la scomparsa del classico modello familiare (madre casalinga, padre occupato fuori casa), con conseguente riduzione dei momenti di dialogo e di crescita”.

Allora sorge la necessità di una revisione dei modelli educativi? “Penso che dopo le profonde trasformazioni sociali e culturali avvenute in Italia degli ultimi tre/quattro decenni, sia più che urgente una tale revisione, sia nelle famiglie, sia a scuola. Purtroppo, dobbiamo riconoscere che i valori dominanti in gran parte della popolazione italiana si sono sempre più allontanati dai semplici principi di onestà, solidarietà, rispetto reciproco, laboriosità, risparmio. Modelli culturali a noi estranei fino a non molto tempo addietro, quali l’individualismo esasperato, il rampantismo, il “successo” che giustifica tutto, hanno formato delle generazioni di individui fragili e perciò aggressivi, sostenuti da famiglie spesso inadeguate ai loro essenziali compiti formativi. E’ necessario anche riportare serenità e sicurezza lavorativa agli operatori della scuola (insegnanti, dirigenti scolastici), potenziandone veramente il numero e riducendo gli obblighi di carattere amministrativo che li distolgono dal loro delicato compito educativo”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

APRILE 2018

 

 

“Da Camarina a Caucana” di Paola Pelagatti

Pregevole volume presentato al Centro Studi Feliciano Rossitto di Ragusa

 

Una poderosa opera che può essere considerata come una sorta di enciclopedia che abbraccia in maniera rigorosa e scientifica l’archeologia iblea. Questa, in estrema sintesi, la natura del volume “Da Camarina a Caucana” (Gangemi editore, Roma, 2017, pp. 590) a firma della professoressa Paola Pelagatti. Archeologa, docente, accademica dei Lincei, la studiosa bolognese è diventata, da febbraio 2017, anche ragusana, con il conferimento della “cittadinanza onoraria” nel corso di una toccante cerimonia tenutasi il successivo 14 marzo. Onorificenza oltremodo giustificata se si considera che l’archeologa inizia a frequentare il territorio ibleo sin dai primi anni Sessanta. E la scia degli apprezzamenti continua perché la Pelagatti (di recente ha oltrepassato le novanta primavere) – come recita il dispositivo di quell’atto predisposto dal Comune di Ragusa - “ha dedicato buona parte della propria vita professionale allo studio” volto anche alla conservazione, fruizione e “tutela del notevole patrimonio archeologico della Sicilia sud-orientale”.

A ulteriore testimonianza di ciò il Centro Studi Feliciano Rossitto di Ragusa si è fatto promotore della pubblicazione del voluminoso libro della Pelagatti, la cui presentazione si è tenuta a marzo scorso presso la sala conferenze del Centro stesso e alla presenza di un folto pubblico. Dopo l’incipit introduttivo di Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa), i saluti del Sindaco di Ragusa (Federico Piccitto) e dei Presidenti delle associazioni che hanno prestato fattiva collaborazione all’evento culturale (Archeoclub d’Italia-sezione di Ragusa e Associazione Culturale “Genius”), hanno relazionato: Giovanni Di Stefano (Museo di Camarina, Università della Calabria), il quale ha posto l’attenzione su alcune parti essenziali del volume che forniscono dati rigorosamente scientifici e contraddistinguono la costante e certosina ricerca in campo archeologico dell’autrice; Massimo Frasca (Università di Catania) che ha messo in luce la figura della Pelagatti in ambito professionale a testimonianza del suo quotidiano impegno a svolgere il suo compito con spirito di abnegazione in un settore lavorativo, quello della ricerca archeologica, molto speso gravido di difficoltà.

Il volume è costituto da una raccolta di scritti su scavi e ricerche a Camarina, Santa Croce Camerina-Punta Secca, nelle necropoli sicule di Castiglione e Monte Casasia dell’entroterra e in altri siti del ragusano. E’ una corposa ed articolata riedizione di contributi pubblicati in numerose sedi, dal Bollettino d'Arte del Ministero dei Beni Culturali, all'Istituto Italiano di Numismatica, a Kokalos (Istituto di Storia Antica, Università di Palermo), all’Archivio Storico Siracusano, e ad altre riviste, nell’arco degli anni della permanenza dell’autrice a Siracusa, nella Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale. Sono presenti anche testi inediti, integrazioni e appendici frutto di nuovi dati e della continua attività di ricerca in ambito archeologico.

La pubblicazione del volume della Pelagatti dà attuazione all’impegno assunto dal Centro Studi Rossitto nel convegno internazionale di studi su “Camarina 2600 anni dalla fondazione”, programmato come la conclusione ideale delle iniziative realizzate per celebrare il 70° anniversario della riunificazione amministrativa della Città e della sua elevazione a capoluogo di provincia. Paola Pelagatti, in oltre un cinquantennio di attività, ha dato senz’altro un contributo di grande rilevanza per la storia antica della Sicilia. Da tale consapevolezza ha preso le mosse il progetto della pubblicazione degli “Scritti” della grande archeologa. L’impresa sin dall’inizio si presentò alquanto ardua in quanto la produzione scientifica della studiosa superava le 1500 pagine. Il piano generale dell’opera che il Centro Studi ha presentato al Ministero per i Beni culturali e le Attività culturali ha previsto la pubblicazione di tre volumi, alla cui preparazione della prima stesura ha collaborato Giorgio Sparacino. A questo primo volume dovranno seguire il secondo con gli scritti su Siracusa, Naxos e le altre ricerche della Sicilia orientale; e il terzo contenente gli studi sulla tutela e conservazione, la storiografia e le produzioni artigianali. Il Centro studi Feliciano Rossitto ha inserito nei propri programmi di attività tali progetti confidando nella possibilità di potere ottenere il sostegno finanziario delle istituzioni e degli enti pubblici e privati che hanno reso possibile la pubblicazione di questo volume.

Qual è l’importanza dell’opera di Paola Pelagatti? “Si tratta di un’opera di grande rilevanza– spiega il presidente Giorgio Chessari - perché ha scandagliato il territorio di Ragusa (da Camarina a Castiglione a Caucana) fornendo un quadro scientifico sulla storia, anche in ambito antropologico, della nostra terra nell’età greca arcaica e classica, ellenistica, romana e bizantina. L’attenzione posta da Paola Pelagatti sulla lekane (una sorta di coppa di dimensioni notevoli, bassa e schiacciata, con due anse orizzontali, piede ad anello, orlo appiattito) attica arcaica con doppio fregio zoomorfo proveniente dalla necropoli di Rito (nell’area dell’ospedale Maria Paternò Arezzo), di fronte al colle di Ragusa Antica, ha evidenziato che nel VI secolo a. C. il nostro territorio era in relazione con l’Attica”.

Nel volume sono stati inclusi numerosi “argomenti collaterali” quali: l’ampliamento del Museo Archeologico di Ragusa e le premesse per quello di Camarina, tenuto conto che – ha sottolineato la professoressa Pelagatti - “condizione indispensabile per la prosecuzione delle indagini sono la collocazione e conservazione ordinata dei materiali” avuto riguardo alla problematica che ruota attorno alla tutela dei beni archeologici.

 

 

 

Il medico di famiglia ci cura con Whatsapp

 

Ai nostri tempi, quando eravamo ragazzini, nel momento in cui stavamo male perché avevamo “preso fresco” (così si diceva allora) e faceva capolino un fastidioso rialzo di temperatura evidenziato dal termometro al mercurio, si chiamava subito il medico che, dopo attenta e scrupolosa auscultazione del torace (famosa la domanda “dica 33”), toccandosi il canuto pelo del pizzetto, prescriveva il farmaco più adatto rilasciando la sua ricetta dopo averla trascritta (rigorosamente a mano) con quelli che noi definivamo “geroglifici” (grafia poco chiara e gioia dei farmacisti).

Vennero poi i tempi del computer da tavolo e la cosa nettamente migliorò (soprattutto per i farmacisti che finalmente potevano leggere in modo comprensibile la prescrizione medica sfornata dalla stampante).

Ma il pensiero digitale, nel corso degli anni, non si è per niente fermato e una buona parte dei medici di famiglia anziani si sono adattati alle nuove tecnologie, anzi i più longevi le hanno subìte.

Oggi esistono diverse fasce di medici. Quelli di mezza età o i più giovani (soprattutto quelli che operano nelle grandi città) usano i tablet o gli smartphone attraverso cui cercano di seguire i pazienti sfruttando le innumerevoli possibilità offerte dalla rete internet. Lo fanno con disinvoltura, a volte anche troppa.

Da una recente ricerca emergerebbe che non pochi medici possiedono un computer, l’85% lo smartphone, il 60% un tablet connesso ad internet. E così accade che se c’è la febbre o la dissenteria e proviamo a cercarli probabilmente non rispondono al cellulare, e neppure allo studio. Anche le segretarie sono passate di moda: costano troppo.

L’ultimo rifugio è un messaggio audio su Whatsapp (quella forma di messaggistica istantanea ormai presente in tutti i cellulari di nuova generazione). E lì si gioca la vera partita dell’assistenza. Dobbiamo, in pochi secondi, raccontare nei dettagli i sintomi accusati e, se siamo pratici, inviare una foto che possa chiarire quanto segnalato tramite messaggio digitale. Qualche secondo di attesa e, probabilmente, arriva il messaggio audio di risposta e via mail la ricetta. Il tutto con risparmio di tempo e velocità di esecuzione. Ma il malanno è altrettanto veloce a sparire? Questo è il presente. E nel futuro? Può darsi che ci cureranno i social network con farmaci virtuali!

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2018

 

 

Insegnanti aggrediti dai genitori

Siamo in presenza di un’emergenza educativa?

 

Nel campo delle forze armate riportare una ferita in battaglia viene riconosciuto come un merito e premiato dallo Stato con una medaglia al valore.

Nel campo dell’insegnamento, invece, quando un docente viene apostrofato o, peggio ancora, ferito da genitori impazziti per difendere un figlio che, talora, risulta indifendibile, chi se ne accorge? Quanti ne parlano? Quali attestati di solidarietà? Che tipo di azioni si mettono in campo?

Entrambi hanno subìto un duro colpo nell’esercizio delle loro funzioni: il primo (il militare) armato, il secondo (l’insegnante) equipaggiato solo della forza dell’educazione. Uno preparato a combattere, l’altro formato al dialogo.

La questione, ovviamente, non sta nel ricevere una medaglia, in quanto il riconoscimento più bello di ogni insegnante è rappresentato dagli alunni, unitamente al loro impegno, i loro risultati e, non ultima, la loro amicizia. Preoccupano, invece, la velocità con cui i media fanno passare le notizie di aggressioni verso i docenti, le prese di posizione delle parti in causa (famiglia e scuola; insegnanti e studenti).

Siamo di fronte a un’emergenza educativa che tocca solo la scuola o solo la famiglia, o entrambe? Abbiamo girato la domanda al professore Giuseppe Palazzolo, già dirigente scolastico in una scuola del territorio ibleo. «La domanda che mi pone è complessa e meriterebbe una risposta ampia e articolata. Proverò a sintetizzare alcuni dei punti che ritengo cruciali per cercare di comprendere il dilagare di questi comportamenti, di cui la violenza fisica ai danni di insegnanti è solo l’aspetto più eclatante. Non dobbiamo infatti dimenticare che non si tratta affatto di “emergenze”, ma di fenomeni che si innestano in una deriva cronica del sistema scolastico italiano, affiancato da serie difficoltà formative all’interno di molte famiglie. Sono ormai decenni che la tendenza a ridurre le risorse finanziarie per la scuola pubblica produce i suoi devastanti effetti, dal sovraffollamento delle aule alla riduzione del “tempo-scuola”. Infatti, le continue “riforme” che hanno interessato la scuola, spesso hanno nascosto la volontà di ridurre ulteriormente i costi dell’offerta formativa. Un esempio fra i tanti: l’introduzione dell’insegnante “prevalente” nella scuola primaria (il cosiddetto “maestro unico”), introdotto con la riforma Gelmini (Decreto legge del 1° settembre 2008, n.137). A parte i risvolti ideologici di un ritorno al passato, l’aver voluto annullare la pluralità di insegnanti di riferimento, previsti nei “moduli” (tre insegnanti su due classi), ha perseguito l’evidente risparmio negli organici di diritto per la scuola primaria. La ricaduta negativa è evidente, se pensiamo che in un rapporto educativo è molto importante la qualità e la quantità del tempo dedicato ad ogni singolo alunno dall’insegnante».

Dunque, carenze del sistema scolastico? «Sicuramente ve ne sono tante, ma accanto alle insufficienze del sistema scolastico, nonostante gli encomiabili sforzi profusi da tanti docenti nella loro “missione” educativa, è necessario anche prendere atto che le famiglie, in generale, sono in forte difficoltà nei loro compiti educativi. Se nel passato l’educazione era la semplice trasmissione dei propri valori dai genitori ai figli, attraverso l’esempio o il meccanismo di premio/punizione, oggi gli adulti faticano a trovare modalità efficaci di educazione, anche per la scomparsa del classico modello familiare (madre casalinga, padre occupato fuori casa), con conseguente riduzione dei momenti di dialogo e di crescita».

Allora sorge la necessità di una revisione dei modelli educativi? «Penso che dopo le profonde trasformazioni sociali e culturali avvenute in Italia degli ultimi tre/quattro decenni, sia più che urgente una tale revisione, sia nelle famiglie, sia a scuola. Basterebbe cominciare a riflettere seriamente sulle analisi e le proposte di grandi studiosi, come Edgar Morin (se posso permettermi, consiglierei la lettura del suo recente “Insegnare a vivere - Manifesto per cambiare l’educazione”, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2015, pp.115). Purtroppo, dobbiamo riconoscere che i valori dominanti in gran parte della popolazione italiana si sono sempre più allontanati dai semplici principi di onestà, solidarietà, rispetto reciproco, laboriosità, risparmio. Modelli culturali a noi estranei fino a non molto tempo addietro, quali l’individualismo esasperato, il rampantismo, il “successo” che giustifica tutto, hanno formato delle generazioni di individui fragili e perciò aggressivi, sostenuti da famiglie spesso inadeguate ai loro essenziali compiti formativi. Nella mancanza di punti di riferimento forti, i nuovi modelli diventano, da un lato, i “divi” effimeri proposti dai media, dall’altro gli arcaici modelli delle sotto culture locali, in una regressione tristissima verso forme sociali pre-statuali. Anche la recente riforma introdotta con la legge n. 107 del 2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, si muove, almeno nei principi enunciati, nella direzione modernista della “produttività”, del “merito” (misurato da chi? con quali strumenti?), introducendo elementi di conflittualità anche nel corpo docenti, dove dovrebbe regnare (e per fortuna in gran parte è così) la cooperazione e la solidarietà. La scuola non è un’azienda e fin quando questa verità elementare non sarà compresa dai decisori politici, non possiamo sperare in una inversione di rotta. Gli alunni, ma anche i genitori, apprendono soprattutto dagli esempi, dal clima educativo che respirano a scuola. Riportare serenità e sicurezza lavorativa agli operatori della scuola potrebbe essere un primo passo verso una maggiore efficacia educativa della scuola pubblica».

 

 

 

 

Allergie di primavera

Difendersi dai pollini

 

C’è starnuto e starnuto in questi mesi. Chi ha il raffreddore da virus, anche per le frequenti differenze di temperature nel corso della giornata che hanno caratterizzato questi periodi, e chi già ha iniziato a starnutire per l’allergia legata all’arrivo dei pollini. Complice anche il vento. Tali condizioni climatiche creano l’ideale habitat per gli agenti patogeni e per quella tremenda parietaria (altrimenti denominata “erba di vento”). Questa pianta erbacea appartenente alla famiglia delle urticacee emerge (oppure si nasconde) infatti dovunque: nelle zone campagnole di periferia come anche al centro della città, non disdegnando, in quest’ultimo caso, persino i piccoli angoli dei marciapiedi. Per il resto, i pollini che maggiormente colpiscono in questa stagione nel nostro territorio sono quelli delle graminacee (ad esempio, frumento e granturco), già presenti sin dal mese di marzo per continuare a imperversare con crescente intensità a maggio e giugno.

La reazione allergica è una risposta complessa determinata dall’interazione di diversi fattori, genetici, immunitari e ambientali. Esiste un certo grado di familiarità nella propensione di un individuo a diventare allergico, anche se questa familiarità non è stata provata in relazione al tipo di allergeni (ad esempio pollini e polvere). La permanenza in ambienti ricchi di pollini o l’abbassamento delle difese immunitarie, a causa di una malattia o a un periodo di debilitazione, possono però contribuire allo sviluppo di allergie anche in individui non predisposti.

Paradossalmente esistono in natura delle piante che si rivelano insolite “alleate” degli allergici. In tal caso possono essere di grande aiuto erbe ricche di oli essenziali per fluidificare il muco delle vie respiratorie e che possono essere utili per chi soffre di bronchite cronica e si trova a fare i conti con i pollini. In questi casi molto utili si rivelano i vapori a base di pino, eucalipto, lavanda e menta, che non hanno un’azione specifica per l’allergia ma posseggono un’ottima attività fluidificante.

L’acqua calda, infatti, allo stato aeriforme è già di per sé curativa, ma con l’aggiunta di elementi balsamici l’effetto benefico aumenta. Il vapore, tra l’altro, essendo in grado di raggiungere anche cavità e spazi particolarmente angusti, penetra nelle mucose infiammate, fluidificando muco e decongestionando il naso. Insomma, dalla natura non arrivano solo insidie per chi soffre di pollinosi.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

GIUGNO 2018

 

 

Educazione al risparmio

“C’era una volta un salvadanaio”

Il Rotary Club Ragusa Hybla Heraea incontra le scuole

 

   Undici gli incontri programmati e oltre seicento gli alunni delle scuole elementari di Ragusa che hanno partecipato ad un gruppo di incontri formativi sull’educazione al risparmio, “C’era una volta un salvadanaio”.

   Parte da qui l’idea fatta propria dal Rotary Club Ragusa Hybla Heraea che, per l’anno sociale 2018/’19, ha programmato un concorso tra gli alunni delle quinte classi delle scuole primarie di Ragusa. I partecipanti avranno la possibilità, a partire dal prossimo 20 settembre, di produrre degli elaborati scritti o grafici che verranno valutati da una commissione. I vincitori saranno premiati il 31 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio. In palio dei libretti bancari intestati ai vincitori e messi a disposizione dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa che ha sostenuto il progetto.

   Trattandosi di un’attività da svolgere nel primo mese del prossimo anno scolastico, il Rotary ha pensato di effettuare degli incontri con gli alunni che quest’anno frequentano le quarte classi coinvolgendoli in un corso di educazione al risparmio, in modo da renderli edotti sia sulla storia e sull’evoluzione della moneta, sia sul risparmio e sui consumi, usufruendo del materiale didattico fornito dalla Banca d’Italia. Il progetto, già iniziato il 27 aprile scorso, entusiasmando non pochi dirigenti scolastici delle scuole primarie della città, ha coinvolto tantissimi alunni a cui è stato consegnato simbolicamente un piccolo salvadanaio.

   Il primo appuntamento si è già svolto presso la scuola elementare di Marina di Ragusa e gli incontri si sono susseguiti per tutto il mese di maggio presso altri istituti. La formazione è stata affidata a Calogero Strazzeri (socio Rotary) e Angelo Battaglia, già dipendenti della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele. “L'istruzione finanziaria è assolutamente importante - ha spiegato Calogero Strazzeri nel corso della presentazione - si tratta di un bene pubblico come può essere l’educazione stradale”.

   Con quale spirito i ragazzi hanno seguito il corso? “Nei sette incontri sin qui effettuati abbiamo riscontrato molto interesse e partecipazione da parte degli alunni, aldilà di quanto immaginavamo. Preziosa si è rivelata la collaborazione delle insegnanti che, talora, sono intervenute divenendo anche protagoniste di spiegazioni su quanto si discuteva. Considerata la platea di giovanissimi, con Angelo Battaglia abbiamo pensato di svolgere le lezioni col supporto di slide la cui proiezione si apre con un breve cartone animato che traccia, senza appesantire la tematica, l’excursus storico della moneta, dal baratto alla moneta elettronica. Parliamo anche delle malattie che colpiscono la moneta (inflazione e svalutazione). Tutte queste spiegazioni sono illustrate con esempi pratici della vita quotidiana”.

   I ragazzi sono a conoscenza degli strumenti del circuito bancario? “Nel corso delle lezioni abbiamo rilevato come tutti fossero a conoscenza del bancomat e della sua funzione. In particolare, ad esempio, in una classe ci siamo resi conto che gli alunni conoscevano l’assegno, domandavano della sicurezza nella sua circolazione e delle azioni da mettere in campo nel caso l’assegno rimanesse impagato. Ma la cosa che più ci ha fatto sorridere è stata la definizione del cancelletto di apertura e chiusura degli importi definito da una ragazzina come hashtag (simbolo associato a una o più parole chiave per facilitare le ricerche tematiche in un blog o in un social network). In quel momento ci siamo resi conto di quanto fossimo superati dal linguaggio delle moderne tecnologie”.

 

 

 

Scuole e Rotary Club educano al risparmio

 

“C’era una volta un salvadanaio”. Parte da qui l’idea fatta propria dal Rotary Club Ragusa Hybla Heraea che, per l’anno sociale 2018/’19, ha programmato un concorso tra gli alunni delle quinte classi delle scuole primarie di Ragusa sul tema del risparmio. I partecipanti avranno la possibilità, a partire dal prossimo 20 settembre, di produrre degli elaborati scritti o grafici che verranno valutati da una commissione. I vincitori saranno premiati il 31 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio. In palio dei libretti bancari intestati ai vincitori e messi a disposizione dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa che ha sostenuto il progetto.

Trattandosi di un’attività da svolgere nel primo mese dell’anno scolastico 2018/’19, il Rotary ha pensato di effettuare degli incontri con gli alunni che quest’anno frequentano le quarte classi coinvolgendoli in un corso di educazione al risparmio, in modo da renderli edotti sia sulla storia e sull’evoluzione della moneta, sia sul risparmio e sui consumi, usufruendo del materiale didattico fornito dalla Banca d’Italia. Il progetto ha coinvolto oltre seicento alunni a cui è stato consegnato simbolicamente un piccolo salvadanaio in occasione degli incontri propedeutici.

Il primo appuntamento si è già svolto presso la scuola elementare di Marina di Ragusa e gli incontri sono proseguiti per tutto il mese di maggio presso altri istituti. La formazione è stata curata da Calogero Strazzeri (socio Rotary) e Angelo Battaglia, già dipendenti della Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanuele.

“L'istruzione finanziaria è assolutamente importante - ha spiegato Calogero Strazzeri nel corso della presentazione - si tratta di un bene pubblico come può essere l’educazione stradale”.

Con quale spirito i ragazzi hanno seguito il corso? “Nei sette incontri sin qui effettuati abbiamo riscontrato molto interesse e partecipazione da parte degli alunni, aldilà di quanto immaginavamo. Preziosa si è rivelata la collaborazione delle insegnanti che, talora, sono intervenute divenendo anche protagoniste di spiegazioni su quanto si discuteva”.

Giuseppe Nativo

 

 

 

OTTOBRE 2018

 

 

Scicli. Convento di Santa Maria della Croce Giornate Europee del Patrimonio 2018

Presentato il saggio storico di Salvo Miccichè e Stefania Fornaro

 

Il Convento di santa Maria della Croce a Scicli è un complesso monumentale molto suggestivo. Da lì si domina un panorama mozzafiato. Per arrivare sul posto è necessario percorrere un tracciato abbastanza articolato, tortuoso e, al contempo, bello. Col bus navetta è altrettanto stimolante anche se meno faticoso. Sull’itinerario ci ha aiutato molto la puntuale descrizione dell’amico Vincenzo Burragato, guida turistica. Partendo da Piazza Italia, ci dirigiamo in Via Castellana e cominciamo a immergerci nel quartiere di San Giuseppe svoltando verso Via Peralta, nella quale si trovano la chiesa seicentesca della Maddalena e il Collegio del Ritiro, già Palazzo Ribera alla fine del ‘500, oltre a una splendida edicola votiva tardo-barocca. Arrivati a Via San Giuseppe, dopo duecento metri si giunge alla chiesa settecentesca omonima della via, custode al suo interno di opere meravigliose come la statua marmorea quattrocentesca di Sant’Agrippina e quella settecentesca rivestita con lamine d’argento di San Giuseppe. La Chiesa di San Giuseppe è trampolino di lancio per arrampicarsi verso il convento della Croce. La prima tappa, a metà colle, è la cinquecentesca chiesa rupestre del Calvario. Cento metri più in alto si incontra l’edicola votiva della Madonna della Grazia ultimo passo prima di arrivare alla meta. Qualche tornante e giungiamo al Convento della Croce, splendido monumento della Scicli medievale, da cui si può ammirare una splendida vista su tutta la città e, in particolare, sulle grotte di Chiafura.

Splendido posto per una serata all’insegna della cultura promossa ed organizzata, il 22 settembre scorso, dal Polo Regionale di Ragusa per i Siti culturali e per i Parchi archeologici di Kamarina e Cava d’Ispica che ben si inserisce nelle “Giornate Europee del Patrimonio 2018” a cui ha aderito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tali giornate rappresentano un momento di straordinario coinvolgimento dei cittadini nella fruizione aperta del patrimonio storico, artistico e culturale della propria città attraverso variegate iniziative. Si tratta di riconsiderare quel patrimonio nella sua valenza più profonda. Il tema scelto per quest’anno, “L’arte da condividere”, risponde all'esigenza, così come le manifestazioni organizzate, di far conoscere il patrimonio di ogni territorio, nella consapevolezza dell’appartenenza a comuni radici culturali europee. La Sicilia, per la sua speciale postazione, può essere considerata come un “museo a cielo aperto” col suo territorio disseminato di ogni forma di memoria che si intreccia con le tanto travagliate vicende storiche gravide di quella pluralità di espressioni scaturite dall'incontro tra civiltà e culture.

In tale contesto è stato presentato il nuovo libro “Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI)”, di Salvo Micciché e Stefania Fornaro (Carocci editore, 2018, pp. 404). L’evento è stato promosso a cura del Polo Regionale di Ragusa per i Siti culturali in sinergica collaborazione con il Comune di Scicli e “Il Giornale di Scicli”. Sono intervenuti: Giovanni Di Stefano (archeologo, direttore del Polo Regionale di Ragusa per i Siti culturali), Vincenzo Giannone (sindaco di Scicli), Franco Causarano (direttore de Il Giornale di Scicli), Salvina Fiorilla (medievalista, Soprintendenza Beni Culturali Ragusa), Paolo Nifosì (storico dell’arte), Giuseppe Pitrolo (critico letterario e autore della Prefazione), Anna Maria Sammito (archeologa, Soprintendenza Beni Culturali Ragusa). Presenti gli autori, Salvo Micciché e Stefania Fornaro, e gli studiosi che hanno contribuito al volume: don Ignazio La China (storico), Giuseppe Nativo (pubblicista), Stefania Santangelo (numismatica, CNR Catania).

Il libro tratta le fonti della storia medievale di Scicli (dal V al XVI secolo) inquadrandole nella storia generale della Sicilia e della Contea di Modica, dal punto di vista storico e archeologico ma anche culturale e religioso, non tralasciando le tematiche che ruotano attorno alla numismatica, trattando la storia dei personaggi e dei luoghi e dei monumenti, le istituzioni religiose e la pietà popolare, dall’alto medioevo al Cinquecento.

“Che cosa si conosce realmente di Scicli nel Medioevo? – si sono chiesti gli Autori – Che cosa tramandano le fonti, i reperti dell’abitato e del circondario (e poi della città) di Scicli e le varie forme del suo toponimo (Xicli, Sicli, Sycla, Shiklah...)?” Per rispondere a queste domande, il volume analizza la storia, la cultura e la religione di Scicli dal Medioevo al Cinquecento commentando le fonti e i reperti relativi alla storia della città. “L’importanza di Scicli nell’ambito della Contea di Modica, il più vasto Stato feudale della Sicilia, – sottolineano Fornaro e Micciché – si impose con forza anche grazie alla sua felice posizione geografica, non lontana dal mare”. Toponomastica, onomastica, culti e storie di uomini e luoghi, cristiani ed ebrei, dal V al XVI secolo, sono i percorsi di lettura che gli Autori propongono allo studioso e al lettore curioso che vuole approfondire la storia che conduce alla nascita della città iblea che sarà poi barocca e moderna e che Vittorini definì “la più bella del mondo”.

Molto è stato scritto della Scicli barocca e moderna (si pensi agli ottimi lavori di Giuseppe Barone, Paolo Nifosì, Paolo Militello per esempio), abbastanza sull’archeologia del territorio sciclitano (anche grazie all’instancabile attività degli archeologi Pietro Militello ed Elio Militello), tanto sulla religione (Ignazio La China tra tutti). Le fonti e gli scritti sul Medioevo erano sparsi in vari testi e documenti e gli Autori hanno avuto l’ambizione di proporre un testo guida da cui partire per approfondire queste fonti e questi scritti con l’obiettivo di invitare giovani studiosi a portare avanti la ricerca e l’invito agli storici a proporre un rinnovato interesse per la storia medievale della città, che sicuramente va ampliata e ripensata, partendo dalle opere degli eruditi (tra gli altri, Carioti, Perello, Spadaro) e degli storici moderni (dal Cataudella al Santiapichi fino ai contemporanei).

Il volume nasce grazie alla collaborazione tra Carocci Editore (editore leader nel settore dei testi storici e scientifici dedicati agli studiosi e alle università), e la rivista on line Ondaiblea, Rivista del Sud Est (di cui Salvo Micciché è il direttore editoriale), che con orgoglio – insieme a Stefania Fornaro - presenta lo studio a chi ama Scicli e la sua storia.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

NOVEMBRE 2018

 

Da Mogliano a Ragusa. Progetto “Erasmus Plus”

 

Marche e Sicilia. Mogliano e Ragusa. Uniti idealmente dall’Erasmus plus con Irlanda, Spagna, Polonia e Grecia.

«Con il progetto Erasmus si porta avanti un progetto europeo che per i nostri giovani rappresenta la possibilità di vivere esperienze formative all’estero. La scuola deve essere un luogo di aggregazione e di crescita culturale dei nostri ragazzi futuri cittadini europei». Questo l’incipit del primo cittadino di Ragusa in occasione del progetto “Erasmus Plus” che ha coinvolto il capoluogo ibleo a partire da sabato 20 ottobre fino al 22. Luogo di incontro, moderna “agorà” didattica, l’Istituto Comprensivo “Berlinguer” (di cui è dirigente scolastico la dottoressa Ornella Campo).

Giornate intense, dunque, che hanno caratterizzato l’appuntamento in terra iblea: la scuola di Ragusa ha ospitato non solo le colleghe marchigiane di Mogliano e Petriolo, ma anche accolto entusiasti insegnanti provenienti dalle quattro nazioni partecipanti. Ciò è stato possibile grazie ad “Erasmus Plus”, progetto volto a promuovere il concetto di cittadinanza globale e di cittadinanza multipla, promuovendo scambi linguistici e culturali relativamente a determinate tematiche che quest’anno sono rivolte al tema dei trasporti, nel passato, nel presente e nel futuro, in ambito locale e globale.

Accoglienza, partecipazione, esposizione di carretti siciliani e auto d’epoca. Sono state queste le peculiarità che hanno caratterizzato le giornate dedicate al citato progetto. Nella giornata di sabato 20 ottobre la città di Ragusa ha respirato aria “europea” in quanto promotrice di uno scambio culturale che ha avuto inizio in primavera quando alcune insegnanti dell’Istituto “Berlinguer” sono state ospitate a Mogliano, presso l’Istituto Comprensivo “Giovanni XXIII”, in territorio maceratese, sempre nell’ambito di “Erasmus”.

In cosa consiste il progetto “Erasmus Plus”? «Il progetto, rivolto a tutti gli alunni – spiega la dirigente Ornella Campo – vuole promuovere il concetto di cittadinanza globale e di cittadinanza multipla coniugando la conoscenza degli ambienti circostanti e le tradizioni locali su livelli europei e mondiali attraverso scambi linguistici e culturali riguardanti, quest’anno, la tematica dei “trasporti”. Tutto ciò rappresenta una grande opportunità di crescita e di riflessione sui temi dello sviluppo sostenibile per i nostri alunni».

«Attraverso Erasmus Plus – precisa la referente del progetto Erasmus, Marinella Pitino - si vuole mettere in evidenza il recupero dell’identità storica della nostra terra. Ciò attraverso la riscoperta dei mezzi di trasporto e della viabilità colta nel suo evolversi nel corso della storia. Tali obiettivi multidisciplinari consentono di restituire una visione globale e soddisfacente del territorio stesso anche in una prospettiva di promozione e sviluppo futuro».

Numerosa la presenza di docenti provenienti da diversi Paesi europei che, insieme a quelli di Mogliano, hanno rappresentato un piccolo esercito “europeo”. Comune denominatore, è da sottolineare, la lingua parlata nel corso degli incontri, ovvero l’inglese che ha permesso ai partecipanti di scambiarsi idee ed esperienze senza barriere e preclusioni. Ricca di impegni l’agenda di sabato 20 ottobre: accoglienza con balli folcloristici che hanno coinvolto anche i docenti provenienti da Mogliano. Presente anche il sindaco, Giuseppe Cassì, e l’assessore Giovanni Iacono.

Per la giornata di lunedì 22 ottobre il programma si è articolato presso i locali del plesso “Diodoro Siculo” – “F.lli Grimm” con la pigiatura dell’uva e mostra dei prodotti (progetto denominato “learning by doing e roleplay”, ovvero “imparare facendo e gioco di ruolo”). Nel pomeriggio, dopo la visita guidata a cura degli alunni scelti dai docenti di lingua (quattro coppie per l’Inglese e uno per lo Spagnolo), il programma è continuato con una simpatica “Accoglienza in musica” con esecuzione di brani e canti tradizionali tenuti dagli alunni. Non va dimenticato che l’Istituto Comprensivo “Berlinguer” è anche un istituto a indirizzo musicale.

I prossimi incontri interculturali saranno in Grecia ad aprile 2019 e in Spagna a giugno 2019.

 

Salvo Micciché

Giuseppe Nativo

 

 

 

DICEMBRE 2018

 

Incontro all’Istituto “G. Curcio” di Ispica

“Cultura del vino e del cibo” passando per il cinema

 

Cinema, vino e cibo. Una triade che viaggia nel tempo e nella storia dell’uomo, ma soprattutto è un impareggiabile connubio tra emozioni cinematografiche e piaceri della tavola. L’idea promossa da Francesco Lucania - scrittore e promotore di eventi culturali, di origini siciliane e catapultato da Torino a Ispica per amore della sua Trinacria - di associare il Cinema con le emozioni ed i piaceri della tavola ha suscitato tanto entusiasmo da coinvolgere l’Istituto di istruzione secondaria superiore “G. Curcio” di Ispica (Rg) ad indirizzo enogastronomico e ospitalità alberghiera. L’iniziativa è stata sposata dalla Società ispicese di storia patria che ha programmato alcuni incontri affrontando variegate tematiche.

«La Sicilia ha nel cibo e nel vino la sua punta di eccellenza – spiega Francesco Lucania – e proprio per questo l’itinerario culturale, già pianificato con l’istituto ispicese per il corrente anno scolastico, prevede come primo incontro quello inerente al “Viaggio nel mondo del vino” passando per il Cinema». Come dire, mettere insieme un’arte “giovane” come il cinema con una sorta di artigianato millenario, come quello praticato per ottenere il vino.

La storia della civiltà coincide, sotto molti aspetti, con la storia del vino. Rimedio curativo, sorta di lubrificante sociale, talora sostanza stupefacente, bene prezioso e merce di scambio, il vino assume ben presto un ruolo multisettoriale: nei culti religiosi, nella farmacopea, nell’economia e nella vita sociale di molte civiltà antiche. Quando oggi sorseggiamo un bicchiere di vino ricapitoliamo la storia dell’uomo. Tutto ciò ha consentito, partendo da una singola specie di uva, di ricavare una gamma pressoché infinita di gusti e di bouquets.

Un percorso, dunque, sensoriale tra emozioni, sfumature olfattive e gusto il cui grande tema è “Viaggio nel mondo del vino. Il vino nel cinema”. Non poche le argomentazioni che hanno coinvolto, in particolare, gli studenti del settore enogastronomico nella mattinata di venerdì 30 novembre, presso l’Aula magna dell’Istituto “G. Curcio” alla presenza dei docenti e di numerosi studenti. L’iniziativa è stata impreziosita dalla presenza di due relatori d’eccezione: Vittorio Manganelli (già direttore dell’Università degli studi delle scienze gastronomiche di Pollenzo, in territorio cuneese, e autore di numerose pubblicazioni nel settore enologico) ed Alessandro Avataneo (autore, produttore e regista cinematografico e teatrale; docente di cinema e storytelling alla Scuola Holden di Torino), coautore con Manganelli del primo “Atlante del Vino Italiano” (2015).

Cinema, cibo e vino, qual è il denominatore comune? «Il cibo – spiega Manganelli - è stato riconosciuto come elemento culturale che lega tradizioni e abilità di coltivazione e di allevamento con le tradizioni storiche dei popoli. Il vino fonte di piacere e strumento di condivisione e amicizia, capace com’è di divenire stimolante comprimario delle nostre tavole. Il legame sempre più stretto che si è creato tra vino e territorio sta inoltre stimolando riscoperte di vini e vitigni che sono motivo di orgoglio per i produttori e stimolante interesse gustativo per i consumatori. Cibo e vino sono quindi ormai riconosciuti a pieno titolo come forme di “artigianato artistico”. Il cinema d’autore, pur interessandosi raramente in modo predominante al cibo e al vino, li ha spesso utilizzati per costruire situazioni, per evidenziare complicità o distanze, per connotare personaggi in base al modo di bere o di mangiare, per raffigurare ruoli sociali. L’osservazione di alcuni celebri passaggi filmici è stata oggetto di trattazione con gli studenti che abbiamo stimolato per una riflessione sull’importanza di questi protagonisti della cultura moderna».

Qual è la geografia e l’alfabeto dell’eccellente vino siciliano? «Il vino siciliano sta vivendo anni tumultuosi e di straordinario interesse, anche sui mercati esteri. Ciò per merito di cantine sempre più numerose che, a partire soprattutto dagli anni ’80 del secolo scorso, hanno saputo dimostrare la grandezza dei terreni dell’isola e la loro capacità di dare grandi uve. La Sicilia di oggi sta invece valorizzando sempre più la propria peculiare storia enologica, basata su lavoro artigianale rispettoso dell’ambiente, in ciò favorita anche da un clima assai benevolo, da cui si traggono vini originali e ricchi di personalità».

Ad Alessandro Avataneo abbiamo chiesto: Il vino è protagonista nelle pellicole cinematografiche di ogni epoca. Sono numerosi i film nei quali registi, produttori e sceneggiatori hanno provato a raccontare, attraverso la cinepresa, la magia racchiusa in un calice di vino. Quando questa bevanda millenaria supera il valore “scenografico”, vestendo il ruolo di attore narrativo? «Solo quando lo mettiamo in tavola e lo beviamo, condividendolo con gli amici. I film e i vini sono due tra gli oggetti narrativi più complessi creati dagli umani. Ritengo che il cinema sia a oggi l’esperienza narrativa più potente, completa e accessibile, anche se questo primato si esaurirà in pochi anni, forse venti o trenta. Il vino è ancora più potente e completo del cinema perché suscita emozioni coinvolgendo tutti e cinque i sensi, non solo vista e udito come il cinema. Ed è un oggetto che entra dentro il corpo e lo modifica – altro elemento da tenere in considerazione. Il vino, come il cinema, è attraversato da mode, e la critica crea le mode perché così ci sono argomenti su cui fare polemica e guadagnarsi palcoscenico e stipendio. Tradurre il senso, anzi, i sensi del vino in linguaggio scritto o cinematografico non è facile. Parte dell’intensità si perde per strada, a meno che non si impari a trasferire l’intensità da un oggetto narrativo all’altro, che è proprio il cuore dell’arte dello storytelling».

In “Sideways, In viaggio con Jack” di Alexander Payne (2004) il vino è il filo conduttore di una commedia ironica e riflessiva su quattro ruote. Il vino può essere considerato come una metafora della vita? Nasce, diventa maturo e si sposa con il cibo. Cosa ne pensa? «Sideways è un piccolo capolavoro, nel suo sottogenere di commedia romantica amara on the road. Alexander Payne oltre a essere un bravo regista è uno scrittore raffinato, e la storia di Miles e Jack ci tocca da vicino, perché sono due perdenti, con pregi e difetti in cui ci possiamo riconoscere. Il vino può certamente essere una metafora della vita, come la cucina, il teatro, il pianoforte, il tennis e tutte le espressioni umane quando vengono innalzate a un livello artistico, grazie all’incontro tra creatività e capacità tecnica».

 

Giuseppe Nativo

 

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