Home Giuseppe Nativo

2009

Gennaio 2009

- I Cabrera tra Catalogna e Sicilia (Dialogo, gennaio 2009)

- Quando l’idea diventa segno tangibile dell’Arte (Insieme, 16/01/2009)

- Il Fumetto atterra sul pianeta Scuola (Insieme, 16/01/2009)

- Riti funerari nell’antica Camarina (Insieme, 16/01/2009)

 

Febbraio 2009

- Ricordando Angelo Campo intellettuale generoso ed impegnato (Dialogo, febbraio 2009)

- “Il Tour del tempo” di Giovanni Bellina (Insieme, 02/02/2009)

- Dedicata all’infanzia l’Agenda degli Archivi 2009 (Insieme, 02/02/2009)

- Maria Occhipinti. Una ribelle del Novecento (Insieme, 16/02/2009)

 

Marzo 2009

- “Il Protagonismo della Donna nella Storia dell’Arte (Dialogo, marzo 2009)

- “Al cuore della mia razza” di Elisa Mandarà (Insieme, 02/03/2009)

- Conversazione con l’autore, tra letteratura e vita (Insieme, 16/03/2009)

 

Aprile 2009

- Incontro culturale promosso dal Gruppo MEIC di Ragusa (Dialogo, aprile 2009)

- Le antiche memorie dell’Archivio storico della Chiesa Madre San Giorgio di Ragusa Ibla (Insieme, 01/04/2009)

- Dialogo interculturale e accoglienza dello straniero nell’area euromediterranea (Insieme, 01/04/2009)

- Celebrati i 90 anni dell’ingegnere Cesare Zipelli (Insieme, 12/04/2009)

 

Maggio 2009

- Flora poco nota degli iblei. Incontro-dibattito col prof. Giovanni Bellina al Centro Servizi Culturali di Ragusa (Dialogo, maggio 2009)

- L’economia solidale e il Benessere interno lordo (Bil) (Insieme, 03/05/2009)

- Costituita l’associazione SiciliAntica (Insieme, 03/05/2009)

- Rileggere la nostra storia attraverso tessuti, abiti e gioielli (Insieme, 12/05/2009)

- Crisi del sistema economico figlia dell’assenza di regole (Insieme, 12/05/2009)

- Speranze e memorie di una generazione (Insieme, 31/05/2009)

- Educare i giovani parlando loro attraverso i fumetti (Insieme, 31/05/2009)

 

Giugno 2009

- “Quando eravamo comunisti…” (Dialogo, giugno 2009)

- Un temporale di sentimenti (Insieme, 16/06/2009)

 

Luglio 2009

- Il mulo, prezioso compagno di lavoro (Insieme, 06/07/2009)

- Dal 2010 lo scontrino del farmacista non parla più (Insieme, 06/07/2009)

 

Settembre 2009

- Influenza suina: rischio o psicosi? (Insieme, 29/09/2009)

  

Ottobre 2009

- “Aucisu comu e novi” - Una lapide in memoria di nove modicani fucilati nel 1860 (Dialogo, ottobre 2009);

- Il “Marranzano d’Argento” al giornalista e scrittore Salvatore Scalia (Dialogo, ottobre 2009)

- Il lavoro delle donne, la nostra storia (Insieme, 15/10/2009);

- Visite ed esami si potranno prenotare in farmacia (Insieme, 31/10/2009);

 

Novembre 2009

- Il territorio ibleo tra arte e cultura (Dialogo, novembre 2009);

- Il cammino dei popoli in una rivista (Insieme, 15/11/2009);

- Storia e fantasia con la fondazione “Carlo Terron” (Insieme, 15/11/2009);

- In un’immagine l’integrazione dei “San Ghiuvannari” (Insieme, 29/11/2009);

 

Dicembre 2009

- Presentato il romanzo “Fuori gioco” del giornalista Salvatore Scalia (Dialogo, dicembre 2009);

- Mio caro diario… (Insieme, 08/12/2009);

- L’omaggio a Ettore Scola di Alida Pardo (Insieme, 22/12/2009);

 

 

 

GENNAIO 2009

 

 

I Cabrera tra Catalogna e Sicilia

Al Centro Studi “F. Rossitto” presentato libro del pozzallese Marcello Vindigni

 

“Nell’agosto del 2006 rivisitavo, dopo tanti anni, la torre di Pozzallo costruita dal conte Bernardo Cabrera, personaggio a me del tutto sconosciuto e avvolto, come per molti, nel mito. L’architettura della torre svelava un palazzo signorile di notevole fattura e qualità. Dalla visita scaturiva in me il bisogno di saperne di più sulla torre, su chi l’aveva commissionata, per quale funzione, chi l’aveva progettata e chi l’aveva costruita...”. Inizia così il viaggio storico che Marcello Vindigni, attraverso lo studio di numerose fonti bibliografiche ed archivistiche, propone con il suo libro “I Cabrera Conti di Modica tra Catalogna e Sicilia 1392 - 1480”. Si tratta di una preziosa ricerca che ha permesso all’Autore di “mettere assieme i primi tasselli sul lignaggio dei Cabrera, Visconti di Bas e Cabrera, conti d’Osona in Catalogna e di Modica in Sicilia”. “Via via che proseguivo” – spiega Vindigni – “nelle letture emergeva, con rilievo sempre maggiore, la figura del figlio Bernardo Giovanni Cabrera, mentre acquistavano un sapore verghiano le vicende degli ultimi conti di questa grande famiglia caratterizzata dalla presenza di straordinari personaggi femminili. Nel frattempo constatavo come la storia dei Cabrera, nel XV secolo, vedeva intrecciarsi strettamente le vicende italiane e siciliane con quelle spagnole e catalane”. E’ proprio sulla base di tali riflessioni che il Centro Studi “F. Rossitto”, nell’ambito delle attività volte a diffondere gli studi sulla Sicilia ed in particolare sul territorio ibleo, ha promosso ed organizzato la presentazione del citato volume che si è tenuta presso i locali del Centro.

Nato a Pozzallo negli anni ’40, Marcello Vindigni, dopo aver compiuto gli studi liceali nel capoluogo ibleo, si laurea, al Politecnico, nella città della Mole Antonelliana, dove attualmente vive e svolge la sua professione. Rivisitando i luoghi giovanili della sua città natale, in particolare la “Torre Cabrera”, è “folgorato” dalla passione della ricerca storica per “risvegliare il senso della cittadinanza e dell’impegno alla cooperazione nella costruzione della propria città, luogo e memoria dei più alti valori culturali e spirituali di un popolo”. Con umiltà intellettuale chiede ai suoi lettori “di accogliere benevolmente questo lavoro”, da lui definito “compilatorio”, “che non trascura tuttavia di avanzare qua e là ipotesi di una qualche novità sui personaggi studiati”, posti dallo stesso Vindigni “in una luce diversa rispetto a quella comunemente corrente”. L’Autore, dunque, svolge uno studio approfondito sugli aspetti economici e politici della “mediterraneità” connessa alla ridefinizione del “Caricatore di Pozzallo” e del suo “Palazzo-Torre Cabrera”, segno dei giochi di potere dei Cabrera, nobili catalani che, dal 1392 al 1480, lasciano un solco indelebile sulle vicende della Contea e della stessa Sicilia. A Vindigni va il merito di aver inquadrato l’apporto della dinastia cabreriana nella gestione del potere comitale visto nella prospettiva commerciale e territoriale di Pozzallo, a quell’epoca struttura portuale nonché frontiera euro-mediterranea di notevole rilievo.

A relazionare su tale pregevole saggio sono stati chiamati l’avv. Francesco Garofalo, studioso da oltre mezzo secolo delle vicende siculo-ispaniche della dinastia cabreriana, che ha posto l’accento sull’importanza storica dei Conti tra l’alto e basso Medioevo (periodo temporale collocato rispettivamente prima e dopo l'anno 1000) e il dott. Giorgio Veninata, cultore di storia patria, il quale ha evidenziato non solo l’impegno profuso dal Vindigni ma anche la rilevanza della ricerca svolta che mette in luce determinati aspetti socio-politici ed economici di un’epoca ricca di eventi e di cui, in maniera non infrequente, viene rilevata una notevole frammentazione delle fonti documentarie custodite in variegati archivi (la maggior parte spagnoli), comportando, per il ricercatore, non poche difficoltà logistiche e di consultazione delle stesse fonti. I lavori sono stati preceduti dalla relazione introduttiva dell’on. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”), il quale si è soffermato sulla problematica relativa agli studi sul Medioevo siciliano facendo rilevare che, in passato, sono stati di carattere generale e solo recentemente, in presenza di una maggiore valorizzazione degli archivi locali, si sta dando vita a studi specifici su singoli comparti tematici. Il saluto e la partecipazione dell’Assessore ai Beni Culturali del Comune di Ragusa, dott. Mimì Arezzo, ha impreziosito la serata seguita da un numeroso ed attento pubblico.

 

 

 

 

 

 

Installazione artistica ideata dal maestro Franco Cilia per la città di Ragusa

Quando l’idea diventa segno tangibile dell’Arte

 

Percorrendo Corso Mazzini, dopo aver lasciato la parte bassa di Corso Italia, ci si addentra, quasi volteggiando, in un sinuoso percorso, che conduce nella barocca Ragusa Ibla, verso cui fanno più volte capolino porzioni visive della cava San Leonardo, una delle due vallate fra cui si è sviluppato il nucleo abitativo originario del capoluogo ragusano, laddove l’aerea leggerezza delle rondini, nelle giornate di vento, è ancora spezzata dalle grida dei cavalieri normanni. Il visitatore, incamminandosi per questa via, si viene a trovare in un bellissimo e particolarissimo ambiente in cui Ibla sembra essa stessa un quadro, un pezzo al naturale di Presepe. E’ proprio dalla notte di Natale che squarci di cielo notturno, fuggendo dall’ultimo barlume vespertino, fanno spazio ad un fascio di luci, potenti come cascate, illuminanti un frammento di roccia che si erge solitario sulla vallata San Leonardo: la “Timpa ro’ nannu”. Si tratta di una installazione, ideata da Franco Cilia, maestro delle arti figurative, che vede come protagonista un promontorio roccioso, “a Timpa ro’ nannu” per l’appunto, silenziosa sentinella che svetta sulla forma piscis dell’antica Ragusa. Una sfida artistica, quella messa a punto da Cilia, rappresentata da un imponente costone roccioso, gemma solitaria dalla massa casualmente antropomorfa, di 150 metri di base per 40 di altezza, “un’opera d’arte della natura a cui dare vita”. Sta proprio qui l’estrosità dell’ideazione proposta dall’Artista e sostenuta dall’Amministrazione comunale. Un intervento realizzato e portato avanti nel rispetto dell’ambiente che, in tal modo, viene valorizzato esaltandone le peculiarità. L’installazione, attiva nelle ore notturne, consta di venticinque fari che proiettano i loro fasci di luce verso la “Timpa ro’ nannu” per affascinare, con la sua incomparabile e naturale architettura, l’occhio del passante. L’opera, realizzata in 20 settimane, si caratterizza anche per la sua notevole rilevanza paesaggistica in quanto può essere osservata e gustata da tutti gli angoli di Ragusa che si affacciano su San Leonardo. L’installazione non ammette spettatori distratti, li annulla in un rapporto che, più e oltre un dialogo, si trasforma in un affascinante libro aperto dal sapore misterioso che da sempre accompagna la “Timpa ro’ nannu”, antica sentinella nel cuore degli iblei. Sembra di trovarsi dinanzi ad un’opera simile alle piramidi o al Pantheon per grandiosità e forza. E’ come tuffarsi nel profondo antico dell’anima, resa spumeggiante dai potenti fasci di luce che, come una cascata, illuminano quel frammento di roccia, sospeso tra cielo e terra, nella cui penombra affiorano appena sagome antropomorfe che sembrano cogliere “lo spirito dei luoghi”. Ancora una volta in Cilia affiora dirompente il suo interesse artistico verso il seducente mistero antropomorfo delle pietre della terra iblea, come espressione profonda e sotterranea dell’anima siciliana. Con tale installazione l’Artista vuol fare emergere il legame simbiotico tra l’uomo, la natura e le rocce dove il potere evocativo dei soggetti illuminati (il costone roccioso e l’ambiente circostante) o posti in penombra (le sagome antropomorfe), posti come soggetto-oggetto, divengono solo un pretesto da utilizzare per evocare il più profondo dilemma sulla “poliedricità” dell’essere umano.

In tale iniziativa, inquadrata nell’ambito delle attività volte a promuovere la valorizzazione delle vallate del territorio ibleo, Cilia riprende un suo progetto artistico già tratteggiato alcuni decenni or sono e che solo adesso ha preso vita. Viva soddisfazione è stata espressa da Mimì Arezzo (Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa), nel corso di un suo intervento, puntualizzando che “Franco Cilia è riuscito a intervenire con la sua arte senza violentare il nostro paesaggio” che fa parte di un territorio “straordinariamente ricco di leggende, di cunti, di moti dell’anima… la Timpa ro’ nannu parla di invasioni ostili, di truvaturi, di vite intense sepolte sotto le sabbie del tempo, ma vive e presenti nel cuore di ciascuno di noi”. “L’Amministrazione” – ha precisato il Sindaco, Nello Dipasquale – “è grata a Cilia perché arricchisce la nostra identità di ragusani e di cittadini della terra iblea, costituendo un motivo in più per chi viene a trovarci per visitare o ritornare nei luoghi misteriosi degli Iblei”.

 

 

 

Il Fumetto atterra sul pianeta Scuola

Concorso Grafico promosso ed organizzato dal Museo del Fumetto

di S. Croce Camerina

 

L’anno appena trascorso si è rivelato, da un punto di vista fumettistico, intenso e vivace. Numerose sono state le iniziative per ricordare importanti eventi che hanno segnato la storia del Fumetto, quello con la “F” maiuscola. Il “Corriere dei Piccoli” (per tutti il “Corrierino”) ha raggiunto un secolo dalla nascita (1908 – 2008); 80 anni li ha compiuti Mickey Mouse, per gli italiani semplicemente Topolino, eroe semplice e coraggioso, mentre ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno Tex Willer (personaggio nato dalla fantasia di G.L. Bonelli e dalla matita di Galluppini), ancora oggi uno dei più popolari eroi del fumetto italiano. A quest’ultimo va riconosciuto il merito di aver accompagnato generazioni di lettori, seguendo l’evolversi della società italiana e offrendo una copiosa serie di icone di cui si è alimentato l’immaginario nazionale. E’ sulla scia di tali eventi che ben si inserisce il “Concorso Grafico” avente per tema “Da Topolino a Tex, tra umorismo e impegno sociale”, recentemente promosso ed organizzato dal Museo del Fumetto Xanadu di Santa Croce Camerina (Rg). E’ proprio in questa città che opera, da ben otto anni, una struttura museale, presente anche su rete internet (www.museodelfumetto.net ), unica nel suo genere in Sicilia ed una delle pochissime in Italia, con i suoi 150 mq di esposizione permanente. Sono i coniugi Miccichè – Canto che mantengono in vita tale impianto che registra, annualmente, la presenza di numerosi visitatori e scolaresche e conta, al suo interno, diverse migliaia di esemplari di “giornalini” che tracciano – in maniera ampia ed esaustiva – il percorso storico del fumetto dagli albori ai giorni nostri.

Giunto ormai alla sesta edizione, il “Concorso Grafico” - ennesima iniziativa culturale dopo il successo delle precedenti edizioni (Castello di Biscari, Castello di Donnafugata) abbinate ad importanti convegni a cui sono intervenuti importanti nomi nel settore fumettistico - ha dato prezioso spunto per un’ampia trattazione delle problematiche riguardanti il pianeta scuola che si intrecciano con quelle del fumetto. Si tratta di due dimensioni che vanno a confluire in obiettivi culturali comuni, quali il recupero di conoscenze storico-sociali, grafiche e, non ultimi, lo studio di tendenze, pensiero ed evoluzioni di una memoria stratificata nel tempo che può essere letta attraverso le avvincenti storie dei “giornalini”. La “letteratura disegnata”, espressione coniata da Hugo Pratt (noto fumettista, romanziere e saggista italiano del ‘900), essendo anche un linguaggio iconico, verbale, sonoro ma anche geografico apre a numerosi percorsi didattici. Malgrado l’avvento di altre dimensioni virtuali (utilizzo del computer, navigazione internet, etc.), il fumetto, oggi, riesce a conservare quel fascino verso i giovani e i meno giovani che può senz’altro perpetuarsi come strumento di comunicazione. E’ sulla base di tali istanze che il “Concorso Grafico” ha fatto registrare la presenza di un folto uditorio che ha riempito la saletta conferenze annessa ai locali museali. Altrettanto numerosa si è rivelata l’adesione di ragazzi provenienti da non pochi istituti scolastici della provincia di Ragusa. Questi i numeri: cinque le città rappresentate (Ragusa, S. Croce Camerina, Comiso, Vittoria, Modica); tre le sezioni in cui sono stati suddivisi i partecipanti (sez. “A”, per le Scuole elementari della provincia di Ragusa; sez. “B”, per le Scuole medie inferiori; sez. “C”, per le Scuole superiori e partecipanti “Esterni”), e, soprattutto, tanto interesse per il disegno. Ai vincitori sono stati consegnati degli attestati di idoneità e dei premi in denaro, offerti dalla B.A.P.R. di Ragusa.

In particolare: per la sez. “A” (Scuole elementari) è stato premiato il disegno realizzato dall’alunna Cacciaguerra Melissa, Istituto “Portella della Ginestra” di Vittoria (Rg), per il fumetto “I promessi sposi”, inserito nell’ambito di un progetto grafico svolto in sinergia tra scuola e Museo del Fumetto. Il secondo premio della sez. “C” (Scuole medie superiori) è andato allo studente Biagio Biondo per la tavola su “I Florio”, propedeutica di un fumetto sulla famiglia Florio di Palermo che il giovane sta realizzando in collaborazione con l’arch. Miccichè, che ne cura la scenografia.

Per la sez. “C” (partecipanti “Esterni”) è stato conferito il primo premio alla disegnatrice Caruso Maria Carola (già premiata nel 2007 per la sezione “Giovani talenti iblei”) per una tavola di fumetto su Dylan Dog, magistralmente realizzata.

Un caldo ringraziamento è stato espresso dai coniugi Miccichè per il vivo e continuo sostegno della Banca Agricola Popolare di Ragusa, dagli inizi a fianco del Museo del Fumetto. “La nostra idea” – ha puntualizzato l’arch. Miccichè, nel corso della presentazione del 6° Concorso Grafico – “è quella di muoverci in sinergia con le Associazioni culturali e, soprattutto, con le Istituzioni. Con questa iniziativa abbiamo compiuto un altro piccolo passo in questa direzione”.

 

 

 

 

 

Riti funerari nell’antica Camarina

Al Centro Servizi Culturali conversazione archeologica

del prof. Giovanni Di Stefano

 

“Sarebbe emozionante poter apprendere se a Camarina si svolgevano, in occasione della morte e del seppellimento di un cittadino, quell’insieme di cerimonie, di pratiche funerarie, veri e propri rituali molto complessi che noi conosciamo dalla letteratura antica, soprattutto per l’Attica e per Atene… per la preparazione delle tombe e dei corredi, ad esempio, Platone raccomandava una spesa di 5 talenti… non sappiamo invece le spese che si dovevano sostenere per l’organizzazione e lo svolgimento del funerale… ma conosciamo quali erano…”. Questo è l’incipit dell’interessantissima conversazione recentemente tenuta dal prof. Giovanni Di Stefano (Dirigente della Sezione Beni Archeologici della Soprintendenza di Ragusa nonché Docente di Archeologia e Storia dell’Arte tardo antica all’Università della Calabria) avente per tema “Plebei e aristocratici a Camarina dopo la morte. I rituali funerari”. Alla conferenza, promossa ed organizzata dal Centro Servizi Culturali di Ragusa – in sinergia con la Provincia Regionale, il Comune e l’Archeoclub d’Italia sede di Ragusa – ha partecipato un folto pubblico che ha seguito con molta attenzione l’articolata discettazione preceduta dalla relazione introduttiva di Enzo Piazzese (Consigliere Nazionale di Archeoclub d’Italia), il quale ha posto l’accento sulle varie attività culturali svolte anche con il notevole apporto di non poche Associazioni e Istituzioni tanto in campo archeologico quanto in quello dei Beni Culturali per la promozione e fruizione del patrimonio architettonico del territorio ibleo. Si tratta di attività, ha spiegato Piazzese, per le quali si è rivelata preziosa la collaborazione offerta dal Consiglio Circoscrizionale Ragusa Centro, il cui Presidente, sig.ra Giannella Gurrieri, intervenuta per l’occasione, ha auspicato un maggiore fermento culturale all’insegna dello slogan “cultura è vita”. Presenti alla serata anche Mimì Arezzo (Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa), che ha ribadito l’esigenza di creare maggiori punti di contatto tra le Associazioni e le Istituzioni il cui collante è rappresentato dalla cultura e dall’amore per il proprio territorio, e Franco Valenti (esperto in enologia, Titolare dell’Azienda Valenti), il quale ha tratteggiato come l’impegno di un’azienda, in campo vitivinicolo, possa accrescere non solo la qualità dei prodotti offerti ma anche l’interesse verso sapori antichi attraverso la proposizione di un antico vino siracusano, il “Pollio”, risalente al VII secolo a. C.. Ed è intorno a tale periodo che si rifanno le molteplici tematiche archeologiche proposte dal prof. Giovanni Di Stefano nel corso delle sue articolate argomentazioni, accompagnate da un corredo di immagini il cui carattere didattico è stato molto apprezzato dal pubblico presente nella sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa. Si tratta di ricerche che si sono occupate, nel corso del tempo, non solo dei resti monumentali della necropoli di Camarina ma anche delle variegate tipologie di sepolture, riti e corredi funerari unitamente a studi antropologici su reperti scheletrici provenienti sia dalle necropoli camarinensi che da quelle indigene dell’entroterra. Dai ritrovamenti archeologici emerge un quadro abbastanza chiaro tanto dei riti connessi alla inumazione quanto di quelli riguardanti la incinerazione e relativo studio dei vasi contenenti i resti. Nelle sepolture (la maggiore concentrazione di deposizioni si registra con il cranio posto a nord-est, ma anche a nord o a sud) ad inumazione, ad esempio, attraverso il rinvenimento dei corredi ceramici (presenti all’interno delle sepolture), si può cogliere traccia del rituale connesso alla inumazione (ciò può indicare che la cerimonia principale si svolgeva durante la fase della tumulazione). I funerali, con tutta probabilità, si svolgevano secondo i dettami della tradizione greca, peraltro tramandati attraverso le antiche fonti. Le raffigurazioni presenti su variegato materiale fittile (costituito da vasi per attingere, vasi per versare, vasi per le libazioni, vasi per unguenti e lucerne), trovato a Camarina ed utilizzato come corredo funerario, ne rappresentano ampia testimonianza: la salma, posta nella cassa sul carro, o portata a spalla, prima del sorgere del sole, era seguita dai parenti collocati ai lati della strada per non intralciare il normale traffico cittadino. Il ritrovamento di notevoli quantità di vasi destinati a infanti sembra indicare che la pietas dei Greci, e dunque dei camarinensi, comprendeva anche i più piccoli.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2009

 

 

Ricordando Angelo Campo intellettuale generoso ed impegnato

Manifestazione culturale all’auditorium della Camcom di Ragusa

 

“Visse da artista; colse l’essenza stessa della vita; se n’è andato – ci piace pensare – senza rimpianti. Non chiediamo a Dio perché ce l’ha tolto, ringraziamoLo per avercelo donato”. Lo descrive così Angelo Battaglia attraverso il suo contributo giornalistico pubblicato sul trimestrale “Pagine dal Sud” (edito dal Centro Studi “F. Rossitto”), di cui Campo è stato il primo direttore responsabile. A circa un anno dalla sua scomparsa (dicembre 2007) gli operatori e organismi culturali di Ragusa hanno sentito il bisogno di lavorare in sinergia per pianificare la manifestazione “Ricordando Angelo Campo”, promossa dall’associazione Teatro Club “Salvy D’Albergo” che lo ha avuto come socio fondatore ed animatore instancabile, tenutasi il 25 gennaio scorso presso l’auditorium “Giambattista Cartia” della Camera di Commercio. L’iniziativa - che ha visto nell’organizzazione la collaborazione anche di altre associazioni alle quali Angelo Campo ha dato il suo apporto di entusiasmo e di partecipazione (quali il Centro Studi “F. Rossitto” e il Centro Servizi Culturali di Ragusa, l’associazione “Amici della Musica”, la “Confraternita dei Cenacolari dell’Antica Contea”, la “Promotrice delle Arti”) - si è avvalsa anche del coinvolgimento del CRAL della Banca Agricola Popolare di Ragusa, istituto nel quale Angelo Campo ha lavorato per tutta la sua carriera di apprezzato bancario.

Ad aprire la serata, seguita da un folto ed attento pubblico, è stata l’interessante ed articolata relazione introduttiva del dott. Carmelo Arezzo (Presidente del Teatro Club) che ha posto in evidenza le tantissime attività dell’indimenticabile Angelo. Sono seguiti alcuni momenti all’insegna del teatro, attraverso la lettura di alcune pagine di poesia da Spoon River ai nostri Guastella e Bonafede, al Foscolo dei Sepolcri, a Quasimodo, con voce recitante l’attore e regista Gianni Battaglia, che Campo stimolò nel suo debutto da teatrante. Al maestro Peppe Arezzo, che lo ebbe nella formazione del Coro “Il Pentagramma” da lui diretto, è stato affidato il momento musicale con l’esecuzione di alcuni brani, in onore del protagonista della serata, proposti con il pianoforte.

Subito dopo, nell’attigua Sala Borsa della Camera di Commercio, è stata inaugurata la mostra “Omaggio ad Angelo Campo” con cui è stata presentata, per la prima volta e in una affascinate retrospettiva, un numero significativo delle opere di Angelo Campo, che fu anche pittore sensibile e preparato, nonché di alcuni dei tanti allievi che alla “Promotrice delle Arti”, la scuola di pittura da lui fondata (che amava chiamare “laboratorio”), ed al Centro arte “Il Convegno” ebbero modo di affinare la propria dimensione artistica e creativa. Il percorso espositivo, estremamente ricco e gradevole, è stato coordinato da Mariella Guastella Gulino, attuale presidente della Promotrice, e da Angelo Battaglia. Nel corso della splendida serata è stato distribuito un volumetto commemorativo, edito per l’occasione anche grazie al contributo della Banca Agricola Popolare di Ragusa, che raccoglie una serie di ricordi e di testimonianze su Angelo Campo ed è anche catalogo della mostra di pittura che è rimasta aperta in Sala Borsa fino a domenica 1° febbraio.

Angelo Campo è stato per Ragusa un intellettuale generoso ed impegnato, sempre pronto a raccogliere gli stimoli culturali di una provincia periferica ma effervescente, alla quale ha restituito numerose iniziative dall’arte alla musica, dal teatro alla gastronomia, dal giornalismo all’impegno civile. Può essere considerato il papà del Centro Servizi Culturali fu lui a proporlo, all’inizio degli anni ’80, a Nino Minardi, in quel periodo sindaco di Ragusa, di cui era carissimo amico, malgrado le divergenze politiche ed ideologiche. Personalità molto versatile, si è mostrato sempre lucido, coraggioso, coerente con le proprie posizioni intellettuali, aperto al dialogo e consapevole che la ricchezza di una comunità passa attraverso la valorizzazione delle proprie peculiarità e attraverso il confronto costante. La sua biblioteca, ricchissima di libri, era aperta a chiunque volesse effettuare delle ricerche. Oltre ad essere ispirato e fecondo cultore di storia dell’arte, prima, e di tecnica pittorica, poi, era anche un intenditore della buona cucina senza per questo trascendere nella golosità. Innamorato della vita, si mostrava custode della sacralità dell’amicizia in cui credeva senza riserve.

 

 

 

 

 

Una guida alla riscoperta di campanili, campane e segnatempo del territorio ibleo

“Il Tour del tempo” di Giovanni Bellina

 

Che cos’è il tempo? “Se nessuno me lo chiede, so cos’è, ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire”. Così sentenzia, nel IV secolo, Sant’Agostino nelle sue Confessioni. Eppure grande è la sfida per capire cosa sia il tempo, inarrestabile forza dell’universo che rincorre l’uomo in tutti gli stadi della sua vita. L’unico tentativo che rimane è quello di “catturare” il tempo. Ed è questo lo sforzo messo in atto da tante generazioni attraverso i quadranti solari, antichi orologi e campane, vetusti manufatti che scandiscono il tempo per cercare di carpire il suo ineffabile segreto. Si tende ad associare il tempo ai fenomeni di cambiamento, ma sotto c’è forse dell’altro che nella quotidiana e scalmanata giungla urbana sicuramente sfugge: il tempo a misura d’uomo. A tale tematica si prefigge di rispondere il recente volume di Giovanni Bellina, “Il Tour del tempo” (edito dal Circolo Didattico “P. Vetri” di Ragusa, con il contributo della Regione Sicilia, pp. 96), che vuole essere un viaggio “nel” tempo e “con” il tempo alla ricerca di una sensibilità perduta attraverso i segnatempo del passato. “Un filo di Arianna” – come precisa l’Autore in quarta di copertina – “per ripensare le misure di tempo alla luce della storia e dei contesti sociali”. Le comunità preindustriali hanno una percezione del tempo strettamente collegata al ciclo solare congiuntamente a quello delle stagioni. Il tempo civile è intrecciato al sacro ed il segnale orario delle campane rappresenta un richiamo alla preghiera ed un riferimento per orientarsi nelle varie fasi della giornata (l’alzata mattutina, la regolarità dei pasti, il saper distinguere una giornata feriale da quella festiva, il rispetto del coprifuoco). E’ questa la disarmante “bellezza” del tempo di cui Giovanni Bellina, già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa nonché esperto di gnomonica, fa assaporare i risvolti sociali, economici, simbolici e, non ultimi, religiosi degli strumenti che nel corso dei secoli hanno scandito il tempo. Il percorso descrittivo è svolto con una descrizione attenta, articolata e scorrevole nella lettura, mirabilmente condita da un copioso numero di foto esplicative. E lo fa accompagnando, quasi per mano, il lettore in un viaggio verso una dimensione didattica dai risvolti turistico-culturali. In tal modo il volume assume anche le connotazioni di una “guida” che, attraverso la proposizione di quattro itinerari nella Sicilia sud orientale, va a riscoprire quanto rimane, ancora oggi, degli antichi “misura tempo” nei centri abitati afferenti al territorio ibleo. Un’escursione, dunque, nel passato verso una realtà a misura d’uomo dove tutto è regolato dal ciclo fisiologico della vita nel rispetto della natura. Una esplorazione che conduce il lettore verso una dimensione che coinvolge l’anima di una collettività ammantata da un’innocente e simpatica gestualità da cui prendono vita i proverbi, i modi di dire, le micro-storie e da cui trae nutrimento quella saggezza popolare ormai difficile da preservare e tramandare alle nuove generazioni. Ogni apparecchiatura adottata per la misurazione del tempo assume anche un valore simbolico, immerso in una dimensione religiosa correlata talora ad un intimo rapporto tra mondo rurale e ritmi naturali. Gli strumenti solari, quali ad esempio la meridiana (antico strumento di misurazione del tempo basato sull’ombra proiettata da un’asta su un piano), oltre la funzione oraria e calendariale, ne possiedono una simbolica: “sul quadrante” – spiega Bellina – “s’incontrano e interagiscono la luce e l’ombra, il cielo e la terra, lo spazio e il tempo, complesse realtà fisiche, psichiche e archetipi di principi contrapposti”. Ai quadranti solari subentrano gli orologi pubblici la cui costruzione, in tempi remoti, rappresenta il prestigio dei finanziatori “suscitando l’ammirazione di chi li osservava” per la presenza di “animazioni di personaggi simbolici”. Ben presto si trasformano in apparecchiature specializzate nella misura oraria, necessitando, quindi, di una ricarica giornaliera e di una continua manutenzione dei meccanismi (comprensiva della rimessa all’ora nonché “registrazione dello scappamento e sincronizzazione delle suonerie”). Ciò comporta l’utilizzo di un addetto che, nel 1826, per i tre orologi pubblici di cui è dotata Ragusa, percepisce uno stipendio annuo di 36 ducati. Prende piede anche l’orologio meccanico da torre il cui compito è quello di far suonare con regolarità e costanza le campane, i cui profili (dal XVI al XIX secolo) cambiano per consentire una maggiore amplificazione del volume sonoro. Alle loro funzioni di richiamo si sono aggiunte, nel tempo, virtù esorcistiche, magiche e protettive. Queste credenze sono messe in evidenza da apposite raffigurazioni simboliche sul corpo dello strumento nonché da dedicazioni a compiti specifici: per l’acqua, per il fuoco, contro i diavoli, per i morti e così via. Curioso è il caso della “campana dei caduti”, alloggiata sulla torretta della Prefettura di Ragusa, progettata da Ugo Tarchi su richiesta del sen. Pennavaria, tenuta a battesimo dalla madre di tre giovani ragusani caduti nel corso del primo conflitto mondiale. Sul bordo della campana si trova un’iscrizione altisonante accompagnata dai simboli dei combattenti e del fascio.

 

 

 

 

 

Dedicata all’Infanzia l’Agenda degli Archivi 2009

Pubblicati alcuni documenti provenienti dall’Archivio di Stato Ibleo

 

L’anno appena trascorso è stato oggetto, da parte dell’UNICEF, di un rapporto avente per tema “Le condizioni dell’infanzia nel mondo. Nascere e crescere bene”. I bambini, sebbene molto spesso siano protagonisti invisibili nei dibattiti pubblici e nella legislazione, nelle statistiche e nelle notizie, sono i destinatari di iniziative volte a tutelare la loro incolumità e garantire un’infanzia talvolta costellata di abusi ed emergenze. Quello dell’infanzia è un tema impegnativo per tutte le Istituzioni che, nel corso del tempo, hanno prodotto una rilevante documentazione le cui tracce affiorano negli archivi pubblici, ma anche in quelli privati. I bambini sono solo dei “comprimari” nella storia di un Paese, rispetto ai “veri” protagonisti rappresentati dagli adulti. Tutto ciò si riflette nei carteggi degli archivi ministeriali in cui i fanciulli, però, sono poco presenti. Fa eccezione il periodo fascista, nel corso del quale le organizzazioni giovanili rappresentano uno dei pilastri del sistema politico, educativo e sociale del regime. Le tracce documentarie, specie per i bambini appartenenti alle classi medio-basse, sono costituite dalla documentazione pubblica (Scuola, Enti, Organismi istituzionali, carta stampata, etc.), mentre per i fanciulli delle classi agiate le notizie affiorano numerose da quei carteggi provenienti dagli Archivi privati di famiglie, che ne documentano l’intera esistenza.

E’ sulla base di tali considerazioni che la Direzione Generale per gli Archivi, allo scopo di perseguire tanto l’obiettivo della tutela del materiale archivistico quanto quello della sua valorizzazione, per la pubblicazione della “Agenda” annuale, si è prefissata un tema che, per il 2009, dedica all’infanzia: alla fanciullezza “dorata”, la cui varietà di problematiche trattate risulta molto vasta ed esauriente, ma anche a quella dai risvolti tristi (emigrazione, problemi sanitari, etc.). A dare un’immagine di insieme alle variegate tematiche sono state chiamate le sedi archivistiche periferiche che con il materiale pubblicato hanno contribuito ad arricchire l’Agenda attraverso la proposizione di cartoline d’epoca, fotografie, immagini tratte dall’editoria scolastica e di svago, o dalla pubblicità; di cartamodelli, di immagini che riproducono vetusti marchi di fabbrica, o scatole di metallo di note industrie dolciarie; di quaderni della scuola elementare con temi d’italiano, di fumetti, di disegni fatti dai bambini. Anche per quest’anno l’Archivio di Stato di Ragusa, unitamente alla Sezione di Modica, attraverso l’impegno profuso dalla direttrice, dottoressa Anna Maria Iozzia, e dai suoi collaboratori, ha contribuito alla stesura della “Agenda 2009” fornendo all’Organo centrale archivistico, dopo un’attenta ricerca e selezione, per la relativa pubblicazione, materiale cartaceo proveniente anche da collezioni private. Si tratta di sei documenti che assumono una particolare rilevanza non solo da un punto di visto storico ma anche da quello iconografico.

Due sono i documenti attraverso cui è rappresentata la sede archivistica di Ragusa: disegno tratto dall’opuscolo del “Comitato italiano per il gioco infantile”, raffigurante “Tipiche attrezzature robinsoniane”, risalente al 1965, anno in cui a tale organismo è affidato il compito di “diffondere ed approfondire la coscienza dell’importanza educativa del gioco per lo sviluppo psico-fisico del fanciullo” attraverso particolari parchi giochi basati sulla formula “gioco-lavoro”, che danno ai ragazzi la possibilità di interagire con le stesse attrezzature ludiche partecipando anche alla loro stessa costruzione (“Amministrazione Aiuti Internazionali”, b. 199, 1965); tessera di un avanguardista dell’età di otto anni, iscritto, dal 1928, all’Opera Nazionale Balilla - istituzione fascista a carattere parascolastico, fondata nel 1926 e sciolta nel 1937 – e rilasciata nell’anno XIV (Rg, Collezione privata, 1936).

“Si tratta di materiale cartaceo la cui ricerca ci ha tenuti impegnati per alcune settimane” – ha puntualizzato la dott.ssa Iozzia, direttrice dell’Archivio di Stato del capoluogo ibleo – “e la scelta non è stata casuale al fine di consentire una trattazione ad ampio respiro. Si è fatta molta attenzione a tutto ciò per cercare di rendere più fluido il racconto delle immagini e dei documenti, e di consegnare il tutto all’intuito del lettore”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Maria Occhipinti

Una ribelle del Novecento

 

Ragusa, 4 gennaio 1945. Quella fredda mattina non sarebbe stata come le altre. Si preannunciava una giornata gravida di eventi che avrebbero dato inizio a quei tumulti passati alla cronaca come il movimento del “non si parte!”. “Lasciateli! Mi ucciderete, ma voi non passate”. Questo è il grido, secco ed asciutto come i suoi grandi occhi, di una giovane donna che, incinta di cinque mesi, stesa supina davanti alle ruote di un camion carico di giovani “rastrellati” per la coscrizione militare, si oppone col proprio corpo cercando di facilitare la fuga a quei poveri disgraziati. Scoppia il tumulto. I soldati sparano contro la folla, mentre i giovani gridano di non essere “carne da cannone”. Si tratta di una sollevazione antimonarchica ed antimilitarista che trae linfa dal profondo malessere della popolazione, “spossata dalla guerra e sfiduciata da ogni governo”. A farsi partecipe di tale condizione di disagio e di frustrazione è la giovane Maria Occhipinti. Ma chi è questa donna che ha illuminato quella “zona grigia” dal dopoguerra agli anni ’90 del Novecento? A tale domanda risponde, in maniera brillante, con un testo espositivo trascinante ed appassionato, Silvia Ragusa, giornalista ragusana, con la sua tesi di laurea “Maria Occhipinti. Una ribelle del Novecento” (Università degli Studi di Catania, Lettere e Filosofia, corso in Lettere Moderne) che di recente ha avuto un esito a stampa per la Prospettiva Editrice (Roma, pp. 120). Anni durissimi quelli vissuti da Maria (classe 1921), una donna che porta in sé la condizione “tragica” di “donna libera”. Popolana di estrazione, cresce in un ambiente dove alle donne, come diceva il siciliano Borgese, “mancava perfino la forza di gemere”. Un ambiente nel quale la servitù delle donne è anche una servitù volontaria, vissuta come cosa naturale. La Occhipinti, per la sua tenacia, per il suo spirito libero e indomito, diviene subito una “ribelle” in controtendenza allo spirito arcaico della sua famiglia, immersa in una società contadina “incapace di mettere balsamo nel cuore…” nonché chiusa ed offuscata da ottuse convinzioni secondo cui una madre “per essere rispettata” deve accarezzare o baciare i propri figli “solo quando dormono…”. La ribellione di Maria consiste nell’affermare in maniera prioritaria il diritto proprio alla parola, alla manifestazione ed alla testimonianza. Un percorso di vita in cui prende coscienza dei grandi interrogativi esistenziali e sociali attraverso un accanito impegno intellettuale, politico e letterario che s’innesta negli anni della seconda guerra mondiale. Protagonista della storia e simbolo dell’insurrezione scoppiata con la nuova chiamata alle armi, la Occhipinti lotta in prima linea facendosi carico di “tutta la stanchezza di vent’anni di stenti, di continue guerre, di una situazione di estrema povertà in un contesto di violento e soffocante autoritarismo”, divenendo in tal modo “la bandiera della rivolta”. Momento epico della sua vita che sfreccia come una meteora nell’oscuro cielo della repressione giudiziaria. “Sguardo saettante in un volto sereno, capelli crespi e vaporosi”, combattiva, di sinistra, “unica donna iscritta alla Camera del Lavoro e membro del Partito Comunista”, non si capacita che a chiuderla in galera, in quel gennaio 1945, sia la nuova Italia democratica e antifascista. Subisce anche il confino. Gli anni successivi vedono Maria peregrinare all’estero (Marocco, Francia, Canada, New York), dove rimane per molto tempo. Lavora duramente ma trova il tempo di scrivere. Politicamente avvia una forte critica con le forze politiche, compreso il suo partito di riferimento, il Pci, che hanno liquidato i moti ragusani come frutto di manovre separatiste o di un “rigurgito” fascista. L’affettuosa simpatia di alcuni intellettuali non basta a creare consenso intorno al personaggio della levatura della Occhipinti, comunista dal cuore anarchico. Il saggio di Silvia Ragusa va ben oltre l’intento espositivo delle vicende storiche rese più complete dall’utilizzo di una vasta ed articolata bibliografia a corredo del testo. L’Autrice, con quel suo stile “trascinante”, appassionato ed appassionante, presenta la figura di Maria Occhipinti anche nelle vesti di scrittrice e poetessa cogliendone non solo lo spessore letterario, scavando al di là del sostrato politico e di lotta, ma anche quello di una donna “allo stesso tempo coraggiosa e fragile”. Le stanche membra di Maria trovano riposo nell’agosto del 1996. E’ proprio in quegli anni che Maria compone la sua ultima poesia i cui versi, nelle giornate di vento, riecheggiano ancora nelle vanedde ragusane: “Va questo corpo mio stanco / verso il calvario / con i passi incerti / …e la mia anima vola / …nell’immensità del Creato”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

MARZO 2009

 

 

“Il Protagonismo della Donna nella Storia dell’Arte”

Convegno organizzato dalla Consulta Comunale Femminile di Ragusa

 

Figlie, sorelle, mogli e allieve, emule e amanti, ma soprattutto donne. La storia e la storia dell’arte tendono, in maniera non infrequente, a trascurare la creazione artistica prodotta dalle donne, che non ha nulla da invidiare ai grandi protagonisti maschili. Un’arte al femminile, dunque, tutta da apprezzare e, soprattutto, da ri-scoprire e capace di affascinare e meravigliare, tanto quanto quella maschile che ha l’unico merito di essere, semplicemente, meglio conosciuta.

Per valorizzare la figura della donna come pittrice e non solo come soggetto dipinto, assegnandole un ruolo di protagonista della scena artistica, da tempo appannaggio della figura maschile, la Consulta Comunale Femminile di Ragusa - nell’ambito di un più ampio progetto volto a far conoscere e, in particolare, valorizzare la creatività femminile – ha organizzato un convegno avente per oggetto “Il Protagonismo della Donna nella Storia dell’Arte”, recentemente tenutosi presso la sala Avis di Ragusa. L’interessante tematica, promossa in sinergia con la Provincia Regionale (Assessorato ai BB.CC.) ed il Comune di Ragusa (Assessorato alla Cultura), è stata articolata in tre specifici settori che si sono intersecati e completati nell’ambito della Storia dell’Arte vista al femminile.

Dopo la relazione introduttiva curata dalla prof.ssa Giuseppina Pavone (Presidente della Consulta Comunale Femminile di Ragusa), ha iniziato i lavori la prof.ssa Elvira Ferrara (Componente Direttivo Consulta Femminile di Rg, nonché docente di materie artistiche all’Istituto Comprensivo “F. Crispi” di Ragusa) con un breve ma esauriente excursus storico delle donne che si sono contraddistinte in campo artistico e la cui carriera ha inizio proprio nel corso del Rinascimento, quando in Italia e in Europa il caso di una donna artista – pur incontrando non poche difficoltà per la mentalità di quei tempi – non rappresenta più, come nel Medioevo, un fenomeno isolato. La Anguissola e Fontana sono alcune delle prime artiste attive nel Cinquecento italiano. Risulta assai frequente che le artiste siano figlie, sorelle o mogli di artisti. E’ il caso di Marietta Robusti (c. 1550-1590), figlia di Tintoretto (detta la “Tintoretta”, fin da bambina accompagna il padre in bottega vestendosi da maschietto), dalla cui produzione pittorica emerge il suo luminoso “Autoritratto”, esposto alla Galleria degli Uffizi, che fa cenno alla sua educazione musicale (è anche valente musicista, sia strumentale che vocale), in accordo con le regole educative del tempo. Ma è la romana Artemisia Gentileschi (1593-1654), a ricoprire un ruolo fondamentale nell’affermazione della donna artista, non solo perché si rivela grande pittrice, ma anche perché è lei ad ispirare, negli anni Settanta del secolo scorso, un nuovo interesse di natura femminista e sociale, su tutto il mondo femminile nelle arti. Di scuola caravaggesca, figlia di Orazio Gentileschi, subisce violenza da Agostino Tassi, pittore raffinatissimo, impegnato, in quel tempo, con il padre di Artemisia, nella decorazione a fresco delle volte di Palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma. La raccolta degli atti del processo per lo stupro subìto è uno dei primi documenti di questo tipo e spiega l’oscuro fascino che, unendosi a quello della sua pittura, la trasforma in una eroina senza tempo. Nel ‘700 il palcoscenico delle donne dell’arte si apre per accogliere biografie straordinarie, come, ad esempio, quella dell’italiana Rosalba Carriera (1675-1757), specializzata nella raffinatissima tecnica del pastello. I secoli XIX e XX annoverano un copioso numero di artiste (quali ad esempio: Morisot, Cassatt, Munter, Lempicka e Kahlo) che si distinguono nelle loro specifiche tecniche.

Relativamente alla seconda parte del convegno, dedicata alla “Donna artista o arte femminile? Riflessioni sul ruolo della donna nella storia dell’Arte”, ha relazionato la prof.ssa Gaudenzia Flaccavento (docente di Storia dell’Arte all’Università di Catania) la quale ha messo in evidenza il concetto di Arte in relazione agli usi e costumi di ogni epoca correlando l’interessante esposizione alla figura della cremonese Sofonisba Anguissola (c. 1535-1625) che, specializzata, come le sue sorelle, nel ritratto e nell’autoritratto, introduce un tema che avrà, nelle biografie delle artiste, uno speciale rilievo e un preciso significato, destinato a rappresentare uno dei filoni principali della produzione femminile fino ai nostri giorni.

La terza parte è stata affidata alla prof.ssa Martina Corgnati (docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino), che, disquisendo sul tema “Da Berthe Morisot a Sophie Calle. Il valore del racconto autobiografico nel lavoro di donne artiste, ieri e oggi”, ha posto in evidenza la necessità di valorizzare e recuperare il “naufragio” che il tempo produce negli archivi della storia relativamente alle figure del passato che non sono state nemmeno storicizzate.

 

 

 

 

Un viaggio verso la poesia in lingua e itinerari iblei nel secondo ‘900 siciliano

“Al cuore della mia razza” un libro di Elisa Mandarà

 

Una serata all’insegna della Cultura. Una serata all’insegna della Poesia, nutrita della forza esplicativa del verso. Un verso intriso di “sicilianità”, di quella insularità la cui radice non si recide mai e che vuole proiettarsi, con tutte le tensioni, le forze ma anche le debolezze ed i tormenti, al di là dell’Isola terra dove niente è mai dato per scontato e “dove le parole sono pietre e i valori sono pietre”. E’ sulla scia di tali riflessioni che il Centro Studi “F. Rossitto” – in sinergica cooperazione con la Provincia Regionale ed il Centro Servizi Culturali di Ragusa – ha promosso ed organizzato la presentazione del libro della professoressa Elisa Mandarà, “Al cuore della mia razza. Poesia in lingua e itinerari iblei nel secondo Novecento siciliano” (Libroitaliano World, Ragusa, pp. 240), tenutasi nell’Aula Magna della Facoltà di Agraria, a Ragusa Ibla, alla presente di un folto, attento e qualificato pubblico. Si tratta di un interessante saggio di critica letteraria sul Novecento siciliano e, in particolare, dedicato alla provincia di Ragusa. L’Autrice, abbastanza giovane, di Santa Croce Camerina (Rg), alla sua prima pubblicazione, è docente in materie letterarie. Specializzata nel settore culturale, ha al suo attivo numerosissimi contributi pubblicati da variegate testate giornalistiche a carattere provinciale, regionale (“La Provincia di Ragusa”, “La Sicilia”) ed oltre. Recentemente ha iniziato la collaborazione giornalistica al periodico “Trasmigrazioni” – rassegna semestrale di civiltà letteraria globale, la nuova rivista diretta da Giorgio Barberi Squarotti, Giovanni Occhipinti e Nunzio Zago, in corso di stampa, edita dal Centro Studi “F. Rossitto”.

Nella seconda parte del volume, dopo essersi occupata del ‘900 letterario siciliano, la Mandarà si sofferma con competenza analitica e ampiezza di vedute su quattro poeti della provincia di Ragusa, due scomparsi (Enzo Leopardi ed Emanuele Mandarà) e due viventi (Giovanni Occhipinti ed Emanuele Schembari). Il volume è stato presentato dai professori Mario Specchio (docente di Letteratura tedesca e Traduzione letteraria presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena) e Carmelo Mezzasalma (saggista, critico letterario nonché cultore di teologia ed esperto in musicologia), che hanno brillantemente intrattenuto il pubblico dopo i saluti dell’ing. Franco Antoci (Presidente della Provincia Regionale di Ragusa) e le relazioni introduttive dell’on. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto” Rg) e del prof. Nino Cirnigliaro (Presidente del Centro Servizi Culturali Rg).

“E’ un libro molto articolato, ma anche straordinario” di cui riesce difficile parlarne in quanto, come più volte sottolineato dal prof. Specchio, si tratta di un saggio nel quale Elisa agisce contemporaneamente su due prospettive: quella della collocazione specifica dei poeti di cui parla (collocazione di tipo tematico) e quella di tipo stilistico (con connotazioni anche sociali) che viene “fatta con rapide, sintetiche ma estremamente solide ed intense linee organizzative” entro le quali articola il suo excursus rappresentativo dei poeti di area iblea presenti nella trattazione. “E’ un percorso molto rigoroso”, quello affrontato dalla Mandarà, che si colloca in un vettore ad ampio spettro caratterizzato da una “profonda visione e sentimento della poesia siciliana” intrisa di quella “sicilianità” la cui essenza emerge non solo da una terra di poesia e di riflessione, ma anche da una terra dove la “figuralità espressiva, la metafora più audace si sposa ad una mente speculativa, ad un rigore intellettuale antico che fa sì che la poesia siciliana sia sempre e contemporaneamente reperto reale e grande metafora”. Tale caratteristica, che la Mandarà sottolinea in poeti come Enzo Leopardi e come Giovanni Occhipinti, è una peculiarità tipicamente siciliana cioè quella di “trasformare immediatamente il dato reale in immagine, in forza metaforica che però non perde niente di quel dato”. La prima parte del volume si presenta come una sorta di “viatico” in cui Elisa traccia alcuni percorsi fondamentali della poesia siciliana nei quali “la ricerca stilistica e timbrica più raffinata si articola e si coniuga ad alcuni profondi sentimenti ancestrali della sicilianità” che si riscontrano in poeti come Sebastiano Addamo, Bartolo Cattafi, Danilo Dolci, Salvatore Quasimodo e Angelo Maria Ripellino dei quali l’Autrice fornisce un’ottima illustrazione nel panorama del Novecento siciliano. Attraverso un “discorso generale ma mai generico”, l’Autrice accompagna il lettore verso la seconda parte in cui passa in rassegna i quattro poeti iblei, decifrando - come ha puntualizzato il prof. Mezzasalma – i sentieri accidentati delle loro storie poetiche che sono “nell’insieme una storia individuale e corale al contempo”.

“Ho vissuto la realizzazione di questo lavoro come un regalo – ha spiegato Elisa Mandarà, nel corso del suo intervento – … è stato un viaggio di conoscenza, meraviglioso e sinceramente meravigliato, alla scoperta graduale di autori straordinari: un’immensità poetica inaspettatamente palpitante accanto a me… da qui il titolo… dove al significato primario di appressamento… si accompagna quello recondito, implicito di dedica”. I momenti conclusivi della serata sono stati impreziositi dagli interventi spontanei di Giovanni Occhipinti (poeta, saggista, critico letterario) ed Emanuele Schembari (giornalista e poeta), entrambi figli di terra iblea.

 

 

 

 

Conversazione con l’autore, tra letteratura e vita

Incontro con Giovanni Occhipinti, scrittore, poeta, saggista del XX secolo

 

“Una vita, si potrebbe dire senza ombra di retorica, dominata dalla passione per la letteratura e donata senza risparmio alla poesia nel più puro sacrificio, anche se non sono mancati a questo sacrificio straordinari riconoscimenti nazionali e internazionali”. E’ su queste riflessioni che, recentemente, presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali, si è dato vita ad un incontro culturale – promosso ed organizzato dallo stesso Centro Servizi in sinergia con il Comune di Ragusa, il Gruppo “Mario Gori” e l’Associazione Teatro Aperto - avente come protagonista di eccellenza Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei. Una serata all’insegna della Cultura che ha dato modo di approfondire le tematiche che stanno dietro la sua instancabile attività letteraria, peraltro già oggetto di due giornate di studio (27 e 28 marzo 2006) promosse ed organizzate dal Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergia con il Centro Servizi Culturali e l’Università di Catania-sede di Ragusa. Non pochi sono stati gli interventi del numeroso ed attento pubblico che ha seguito con interesse l’incontro culturale, la cui introduzione è stata affidata al Vice Presidente del Centro Servizi Culturali, Emanuele Schembari, che ha messo in evidenza i primissimi “passi” letterari del giovane Occhipinti iniziati, in campo poetico, con “L’arco maggiore” (Rebellato, 1967) e “L’agave spinosa” (Rebellato, 1970). Quest’ultime, come ha recentemente scritto Elisa Mandarà nel suo pregevole volume “Al cuore della mia razza” (Libroitaliano World, Ragusa 2007) attingono “genericamente alla koinè linguistica ottonovecentesca, in particolare crepuscolare ed ermetica”.

Circa quarant’anni di poesia, contraddistinguono l’esperienza letteraria di Giovanni Occhipinti, fondatore di riviste letterarie (la più recente è “Trasmigrazioni”, rassegna semestrale di civiltà letteraria globale, diretta congiuntamente a Giorgio Bàrberi Squarotti e Nunzio Zago, edita dal Centro Studi “F. Rossitto”, in corso di diffusione). Occhipinti è finissimo narratore e saggista letterario. La sua lunga avventura di poesia gli ha dato la possibilità di essere parte attiva in quel “frastagliato e contraddittorio panorama letterario del secondo Novecento”, come più volte evidenziato da non pochi critici letterari tra cui Andrea Guastella. Pochi, infatti, come Occhipinti hanno attraversato quella stagione della nostra letteratura in cui si sono alternati gruppi, movimenti, riviste e tendenze di ogni ordine e provenienza. Lo ha fatto cogliendo fermenti nuovi e inquadrando criticamente quelli effimeri o superficiali con la passione della sua scrittura “ardente e dolente allo stesso tempo” (così scrive nel 2004 Carmelo Mezzasalma nella prefazione al volume di Giovanni Occhipinti, “La voce della poesia. Un itinerario poetico per Alberto Caramella”). A tale riguardo emblematica risulta la scheda critica curata da Emanuele Schembari (giornalista e poeta) per il volume “Un plurimo brillare” di G. Occhipinti, pubblicata in “Pagine dal Sud” (ottobre 2004, p. 32): “…squarci di vita vissuta, fantasie, giochi letterari, tutti ricchi di spunti e di riflessioni. E’ una narrativa in perenne movimento… Il passaggio dal tono divertito a quello affabulante e… a quello drammatico… dimostra la duttilità tematica e formale di Occhipinti…”. E ancora, nella poesia di Giovanni Occhipinti emerge una “forte tensione etica ed esistenziale”, “un incontro tra carne e spirito, in un andamento ora fortemente lirico, ora divagante e quasi discorsivo, e in cui le due linee di sentimento e di pensiero si intrecciano e si rincorrono fino a gettare affascinanti bagliori l’una sull’altra”.

La serata è stata impreziosita dalla presenza di due figure di eccellenza in campo poetico ed in quello delle arti figurative: Mimmo Cultrera e Franco Cilia. Al primo è stata affidata la declamazione di alcuni versi tratti da “Sinfonia per conchiglia” (2002) e “Dialogo con le comete” (2005) in cui “scendendo nelle sue molecolari scene - come scrive Giuseppe Amoroso – Occhipinti delinea un canto sibillino, ora rettilineo, ora spiraliforme, da cui emerge una vicenda autobiografica”. Il maestro Franco Cilia ha curato, in maniera magistrale, la lettura di un racconto inedito di Giovanni Occhipinti che trae spunto dalla recente installazione dell’artista ragusano “a Timpa ro Nannu”. La penna di Occhipinti appena si posa sulla pagina dà vita ad un mondo di maschere che si anima svelando e mostrando scenari inaspettati che riportano alle “origini perdute e a quella appartenenza alla terra iblea così ricca di fascino” e di mistero.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

APRILE 2009

 

 

I linguaggi della comunicazione fra informazione e deformazione

Incontro culturale promosso dal Gruppo MEIC di Ragusa

 

“La cittadinanza attiva richiede una piena comprensione dei linguaggi della politica, così come si manifestano nella comunicazione pubblica, fra informazione corretta e tentazioni di deformazione dei fatti. La società civile è chiamata a interrogarsi sul tema, a intercettare i problemi che ad esso si collegano, a orientarsi per non soccombere ai casi di manipolazione politica dell’opinione pubblica e a decodificarli alla ricerca della verità dei fatti, distinti dalle opinioni”. E’ sulla base di tali riflessioni che presso la sala Avis di Ragusa si è recentemente svolto – nell’ambito degli appuntamenti denominati “Venerdì Insieme 2009. Testimoni e Percorsi di Cittadinanza Attiva” – l’incontro dedicato a “I linguaggi della politica fra informazione e deformazione”. Promotrice di tale iniziativa, seguita da un numeroso ed attento pubblico, è stata l’Associazione MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) di Ragusa in sinergica cooperazione con FUCI, UCIIM, AVIS, Pax Christi e Oasi Famiglia.

L’appuntamento ha fornito un’interessante occasione per discutere di comunicazione politica, tra veicolo di contenuti e strategie di marketing, di costruzione del consenso, di ruolo dei media nella percezione collettiva dei problemi, di casi concreti di informazione e deformazione. Obiettivo dell’incontro-dibattito è stato quello di aprire un confronto finalizzato a valorizzare il cambiamento nella realtà dell’informazione a livello locale in relazione all’ampio panorama di pubblicazioni presenti ed all’attività svolta dagli operatori che si muovono nel mondo del giornalismo.

Quest’ultimo è un metodo, dell’era moderna, utilizzato per raccontare accadimenti attraverso la “creazione” delle notizie. Tutto ciò serve ad appagare una innata e necessaria esigenza dell’uomo di trasmettere e ricevere informazioni (pratica che ha avuto origine, ancor prima dello sviluppo del linguaggio parlato, con i primi graffiti sulle pareti delle caverne che rappresentavano scene di vissuto quotidiano). Il giornalismo, dunque, si può considerare come una forma evoluta della comunicazione che nell’era telematica è quanto mai a tutto campo e costituita da un insieme di linguaggi (audio, video e testuale). Questi, al giorno d’oggi, si intrecciano e si fondono nella pubblicazione on line che affianca quella su carta stampata. Entrambe le forme, inserite in un più ampio concetto definito “multi-linguaggio”, devono essere “maneggiate” da seri professionisti a cui è demandato il compito di “confezionare” un prodotto dalle caratteristiche chiare e, soprattutto, volte a svelare ed interpretare il fatto nella sua oggettività. Di qui l’esigenza primaria di una “obiettività giornalistica” ovvero un approccio giornalistico serio e professionale. Nella società odierna l’informazione è un diritto sempre più rispettabile, ma, nel contempo, può divenire un prodotto di facile manipolazione. Confrontando alcuni quotidiani, non è infrequente notare come una stessa notizia possa essere presentata in modi diversi. Vi sono testate che sono riferibili ad uno schieramento politico, economico o ecclesiastico. Esiste un rapporto fra potere e informazione che rappresenta un ostacolo alla piena trasparenza dell’informazione. Esistono anche fenomeni di assetti proprietari di testate giornalistiche e televisive che vedono la presenza, in maniera influente, di importanti figure di politici locali. Il problema del controllo politico e dell’interferenza con la libertà di espressione rimane comunque una cocente tematica. La conquista del potere da parte dei mass media e, in particolare, della televisione del palcoscenico della politica, se da un lato ha reso l’informazione consultabile ovunque e più direttamente disponibile, dall’altro ha profondamente cambiato le caratteristiche della comunicazione politica, fino ad immaginare difficile la possibilità di un’informazione che non sia “mediatica” e “spettacolarizzata”.

A relazionare su tale delicata e quanto mai intricata questione sono stati chiamati: Angelo Di Natale (giornalista RAI), Riccardo Orioles (giornalista de “I Siciliani”), Antonio Roccuzzo (Direttore del TG LA7), Filippo Spataro (docente di Scienze della Comunicazione all’Università di Catania). I lavori sono stati introdotti da Antonio La Monica (giovane giornalista ragusano, direttore responsabile del magazine on-line “Operaincerta.it”), che, in appendice all’incontro, ha stimolato un ampio ed articolato dibattito tra il pubblico ed i relatori.

 

 

 

 

Le antiche memorie dell’Archivio storico Chiesa Madre San Giorgio di Ragusa Ibla

 

Gli archivi parrocchiali rivestono un ruolo di primaria importanza non solo per la storia della comunità ecclesiale, ma anche per quella della società civile. E’ attraverso lo studio degli antichi carteggi, raccolti nel corso dei secoli, che gli storici entrano in contatto con il passato per indagare su vicende che, non di rado, sono difficilmente ricostruibili attraverso fonti di diversa provenienza.

La recente pubblicazione del “Quaderno n. 2” dell’Archivio Storico della Chiesa Madre di San Giorgio in Ragusa Ibla nasce con l’intento di sottolineare l’importanza dell’archivio parrocchiale attraverso cui, ancora una volta, vengono accesi i riflettori sulla memoria storica dell’antica Ragusa. “Questo secondo quaderno – scrive il parroco, l’arciprete don Pietro Floridia, nell’introduzione al volume – vuole, come già il primo dello scorso anno, rendere noti alcuni documenti che la squadra parrocchiale ha avuto modo di mettere in chiaro e di studiare”. Il lavoro certosino, consistente nella catalogazione, visione e trascrizione del contenuto di vetusti carteggi, fa parte di un’annosa ricerca cui si sono dedicati, con impegno non comune, quattro studiosi di storia locale che hanno messo a disposizione le loro competenze maturate sul campo per portare alla giusta attenzione un complesso ed articolato materiale archivistico: l’ing. Giuseppe Arezzo, la dr.ssa Clorinda Arezzo (esperta in Conservazione dei Beni Culturali), la dr.ssa Rosalba Capodicasa ed il dott. Gaetano Veninata (autore di non pochi saggi storici e prat. giornalista).

L’Archivio, come già rappresentato nell’Introduzione del “Quaderno n. 1”, riveste non poca rilevanza avuto riguardo al fatto che la Chiesa Madre di San Giorgio ha svolto, per oltre cinque secoli, il ruolo di sede vicariale ricoprendo una posizione cardine dal punto di vista “amministrativo, decisionale e comunque di guida dell’intera collettività ragusana”. Recentemente, grazie all’impegno profuso dal citato team, l’Archivio parrocchiale si è arricchito di altro materiale documentario, ivi traslocato da un magazzino della chiesa, che – puntualizza don Pietro Floridia - “si dovrà pazientemente provvedere a visionare, individuandone l’argomento e, conseguentemente, a catalogare”. Si tratta, infatti, di un lavoro lungo consistente anche in ricerche bibliografiche ed archivistiche collaterali allo scopo anche di far luce su determinati aspetti socio-economici di una collettività che ruota attorno ad una realtà territoriale dinamica e variegata. La documentazione su cui sta lavorando il menzionato gruppo di lavoro copre un arco temporale abbastanza esteso che va dagli anni ’20 del XVI secolo ai primi anni del Novecento. “Non a caso – aggiunge il parroco – l’ingegnere Arezzo, delegato della parrocchia per l’Archivio, mi confidava recentemente che non basterà una generazione per completare il lavoro di catalogazione e sistematica messa in chiaro su supporto informatico dei contenuti delle carte”.

Il “Quaderno n. 2” (pp. 176, Rg, ediz. 2009), che ha avuto un esito a stampa grazie al contributo della Banca Agricola Popolare di Ragusa, è suddiviso in quattro tematiche: “L’abate Antonino Giampiccolo, l’Insigne Collegiata di S. Giorgio e la Famiglia Giampiccolo nella prima metà del 1700” (a cura di Giuseppe Arezzo), periodo in cui i canonici dell’insigne Collegiata, autorizzati a portare “il rocchetto bianco e la mozzetta paonazza con fodera di seta rossa”, intervengono “in modo solenne nelle funzioni della chiesa, […] godendo di preminenze e precedenze rispetto al resto del clero cittadino…”; poi “La storia del convento di San Francesco d’Assisi di Ragusa nel sec. XVI” (trattata da Gaetano Veninata), attraverso il manoscritto “Liber Omnium Actorum” che riveste non poca rilevanza in quanto al suo interno si trovano documenti stilati a far tempo dal XVI secolo e riguardanti, tra gli altri, “donationes, cessiones, permutationes et cambij” in favore del convento; terza tematica affrontata è “Il convento di San Benedetto e la nuova chiesa di San Giuseppe” in cui Clorinda Arezzo, attraverso il ritrovamento di due piante schizzate, cerca di approfondire le vicende che “ruotano intorno ad un ristretto numero di personaggi” legati da un unico filo conduttore: la “compra” della “diruta” chiesa di S. Tommaso e l’erezione della nuova chiesa di S. Giuseppe; e, infine, “La numerazione delle anime della Parrocchia di S. Giorgio in un quaderno del 1791” (curata da Rosalba Capodicasa), da cui emerge uno spaccato settecentesco della collettività ragusana contraddistinta dalla presenza di famiglie con titolo nobiliare, di notai con reddito cospicuo e di una popolazione (1/5 della quale di età inferiore ai dodici anni, a testimonianza che la mortalità infantile, all’epoca elevata, è bilanciata da un cospicuo numero di nascite) in cui una considerevole parte delle famiglie trae il proprio sostentamento da lavori artigianali e dalla coltivazione della terra.

Quattro elaborati, dunque, di diverso argomento e di diversa impostazione che contribuiscono a stuzzicare la curiosità del lettore e ad aprire “ampi squarci di luce in un passato”, per certi versi, ancora “nebuloso”.

 

 

 

 

Dialogo interculturale e accoglienza dello straniero nell’area euromediterranea

Incontro di studi tenutosi all’Aula Magna Facoltà di Giurisprudenza di Ragusa

 

“Quello che abbiamo fatto nell’Unione europea possiamo crearlo anche per il Mediterraneo, da oggi dobbiamo impegnarci per essere uniti e per costruire uno spazio di sicurezza, solidarietà e giustizia”. Così il Presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha dato inizio, il 13 luglio 2008, al vertice per la creazione dell’Unione per il Mediterraneo. La prospettiva cui si guarda è quella di dar vita, entro il 2010, ad un ampio progetto di co-sviluppo tra l’Unione europea (con 27 Paesi membri), ormai allargata a Est, gli Stati del Nord-Africa e ancora altri paesi, come Turchia, Albania, Croazia, Bosnia, Montenegro: complessivamente oltre 40 Stati e più di 750 milioni di cittadini. L’obiettivo principe è quello di dar vita a una zona di libero scambio, che possa favorire uno sviluppo socio-economico bilanciato dei vari sistemi nazionali. Si avverte, però, grande consapevolezza che questo obiettivo, in sé difficile, debba scontare gravi errori commessi dall’Occidente nella politica estera, militare, economica, energetica e culturale negli ultimi anni, errori che hanno contribuito ad allontanare le varie sponde del Mediterraneo invece di unirle. Si ravvisa anche la necessità di una più forte integrazione sociale e culturale tra i vari Paesi coinvolti. E’ sulla base di tali istanze che presso la sede di Giurisprudenza di Ragusa si è tenuto l’incontro di studi avente per tema “L’unione per il Mediterraneo. Un percorso possibile per i problemi dell’area euromediterranea”, promosso nell’ambito del progetto della rete italiana dei Centri di Documentazione Europea (CDE), “La diversità culturale nel processo di integrazione europea”, ed organizzato dall’Università di Catania, Facoltà di Giurisprudenza (sedi di Catania e Ragusa), Facoltà di Lingue e Letterature straniere (sede di Ragusa) e dal CDE, in collaborazione con “Association Européenne Des Enseignants”, Centro Studi “F. Rossitto”, Provincia Regionale di Ragusa, Ass. Regionale BB.CC. e P.I., Movimento Federalista Europeo e Banca Agricola Popolare di Ragusa.

Nel corso del convegno, suddiviso in due sessioni, si è puntata l’attenzione su variegate e cocenti tematiche quali l’identità europea e accoglienza dello straniero (prof.ssa N. Parisi) con riflessioni sul trattato di Lisbona (avv. M. Asero), formazione e ricerca intesi come “ponti” del dialogo interculturale nell’area euromediterranea (prof. A. Pioletti), giurisprudenza europea in tema di protezione dello straniero (prof. P. Pirrone) e, nell’ambito delle migrazioni, la condizione della donna musulmana fra diritto europeo e diritti nazionali (prof.ssa A. Di Stefano). Dopo il saluto di F. Antoci (Presidente della Provincia Regionale di Ragusa), delle autorità accademiche rappresentate da V. Di Cataldo (Preside della Facoltà di Giurisprudenza) e da A. Pioletti (Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Univ. CT), e di M. Palumbo (Ufficio di Rappresentanza in Italia del Parlamento Europeo), ha introdotto i lavori G. Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) con un’articolata ed estesa panoramica sulle delicate problematiche che ruotano attorno alle diversità culturali nel processo di integrazione europea, puntando i riflettori sulle molteplici potenzialità che può offrire uno spazio geo-culturale come il “mare nostrum”.

Le sessioni dei lavori sono state seguite da un folto ed attento pubblico rappresentato in gran parte da studenti universitari avviati verso i molteplici settori disciplinari della materia giuridica. Quest’ultima deve assumere un ruolo chiave nell’ambito delle attività che la nuova Unione per il Mediterraneo è chiamata a svolgere. E’ necessario puntare su un dialogo sociale non più limitato ai rapporti tra rappresentanti dei diversi governi, ma esteso a tutte le forze sociali organizzate. Tutto ciò è indispensabile, sia per rafforzare e rendere effettive le tutele dei cittadini e dei lavoratori di Paesi ancora molto poveri e poco democratici, sia per intervenire più profondamente e stabilmente sulle dinamiche sociali che determinano una fortissima emigrazione, diretta prevalentemente verso l’Europa più ricca e più vicina. “Occorre incrementare il ponte del dialogo tra Paesi di culture diverse non solo tramite la presenza di studenti stranieri nelle nostre università – ha commentato Pioletti nel corso del suo intervento – ma sarebbe anche importante creare nell’intera area mediterranea strutture di formazione e ricerca, atte alla circolazione del sapere”. Tra le cocenti problematiche affrontate nel corso del convegno è stata posta l’attenzione, attraverso la relazione dell’avv. Angela Barone, sul riconoscimento dei diritti di cittadinanza europea agli stranieri che è strettamente correlato alla condizione esistenziale del migrante in Italia ed il suo relativo diritto all’affettività in relazione alle norme che regolano i rapporti di matrimoni di una coppia appartenente a diverse etnie.

 

 

 

 

 

 

 

Iniziativa promossa dal Centro Studi “Feliciano Rossitto”

Celebrati i 90 anni di Cesare Zipelli

 

Il Centro Studi “Feliciano Rossitto” ha celebrato i 90 anni di Cesare Zipelli. Uomo di grande cultura, l’ingegner Zipelli, nato a Messina, laureato in ingegneria mineraria, si distinse subito a Ragusa rappresentando il punto di riferimento dei processi di industrializzazione. “Ho iniziato molto tardi a lavorare ma, da quando ho svolto il mio lavoro come ingegnere minerario qui a Ragusa, mi sono sentito un altro uomo”, così ha puntualizzato, non senza commozione, lo stesso Zipelli.

E’ nel ricordo di tutti i ragusani il suo impulso dato all’attività mineraria che lo vede dapprima come giovane dirigente d’azienda della “Calce e Cementi di Segni” (Gruppo Bomprini Parodi Delfino), poi dell’ABCD (Asfalti Bitumi Cementi e Derivati) e di una società del gruppo AZASI (Azienda Asfalti Siciliani).

Dal 1958 al 1985, l’ingegnere Zipelli è impegnato sul fronte accademico e, negli anni a seguire, su quello della funzione pubblica (assessore provinciale, presidente del Consorzio ASI.

Da sottolineare l’impegno profuso attraverso “Italia Nostra” e la sua attività come soprintendente onorario (a lui si devono anche importanti scoperte archeologiche).

Ha promosso anche l’istituzione della fondazione dedicata allo scultore Carmelo Cappello e donato la sua biblioteca al consorzio universitario.

Il presidente del Centro Studi Giorgio Chessari ha proposto l’istituzione di una borsa di studio destinata a laureati in ingegneria e geologia e la pubblicazione di una raccolta degli scritti di Cesare Zipelli.

Sull’aspetto umano dell’ingegner Zipelli si è soffermato il vescovo, mons. Paolo Urso: “Mi hanno colpito due cose di quest’uomo da quando l’ho conosciuto: la disponibilità al dono e la grande umiltà che lo caratterizza”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MAGGIO 2009

 

 

Flora poco nota degli iblei

Incontro-dibattito col prof. Giovanni Bellina al Centro Servizi Culturali di Ragusa

 

   Tra le crepe di una vecchia parete, ma anche tra le pietre di un muro a secco o tra l’intercapedine delle mattonelle di un marciapiede si incontrano, non di rado, le cosiddette “erbacce”, piante umili e bistrattate che crescono negli spazi urbani in condizioni talora impossibili, senza luce, senza cure, molto spesso con pochissima acqua. Sono osservate da pochi, ma quando esagerano e danno un certo fastidio sono sotto gli occhi di tutti. Gli studiosi e gli appassionati le guardano con molta attenzione; le studiano, restituendo loro una dignità. Si tratta della flora spontanea che ancora riesce a svilupparsi e sopravvivere nell’area urbana. A parlarne, con una interessante ed articolata relazione accompagnata da numerose diapositive è il prof. Giovanni Bellina (già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa ed accanito studioso di orologi solari), che recentemente ha tenuto un incontro-dibattito, presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa, suscitando molta curiosità tra il numeroso pubblico intervenuto.

   “Flora poco nota degli Iblei” è stato l’argomento trattato ed avente l’obiettivo di approfondire le dinamiche che permettono alle piante spontanee, in particolare muschi e licheni, di crescere e svilupparsi e ad analizzare la complessa rete di rapporti uomo-natura all’interno degli ecosistemi urbani. Ma cosa sono i muschi e i licheni? E dove si trovano? Si tratta di piante dalle caratteristiche relativamente “primitive”, dette anche “inferiori”. Esse infatti non possiedono vere e proprie radici, né fusti, foglie o gli altri organi specializzati che caratterizzano le piante cosiddette “superiori”. Tali piante, poiché non possiedono i fiori, sono chiamate Crittogame proprio per indicare che i loro organi riproduttivi sono nascosti. Nonostante queste loro peculiarità, si tratta di piante di grande interesse per le forme e per le soluzioni adottate per la loro riproduzione e sopravvivenza. I muschi sono piante molto resistenti, di piccole dimensioni e prive di sistema vascolare, vale a dire di strutture specializzate per il trasporto dell’acqua e delle sostanze nutritive. In territorio ibleo si può apprezzare la loro presenza specie in luoghi boschivi, dove terreni e rupi ombrose assicurano quella umidità necessaria alla loro crescita, ma anche urbani. Essi sono verdi perchè svolgono attività di fotosintesi, ovvero quel processo attraverso cui trasformano, in presenza della luce solare, l’anidride carbonica e l’acqua in composti organici liberando ossigeno. Si riproducono tramite “spore” che sono prodotte in una capsula portata da un lungo filamento. Anche se piccoli, sono molto importanti perché hanno la capacità di colonizzare ambienti ostili, svolgendo, pertanto, un ruolo ecologico. A tale riguardo, corre l’obbligo ricordare che i muschi sono utilizzati come bio-indicatori, cioè sono ottimi rilevatori di sostanze inquinanti presenti nell’aria. Per questo motivo in città, spesso, se ne trovano pochi esemplari. Per le loro alte capacità di accumulo di materiale “pesante”, ovvero di composti organici nocivi e concentrati nell’atmosfera, i muschi sono stati utilizzati dagli studiosi per monitorare la deposizione di sostanze radioattive, ad esempio nell’area circostante una centrale nucleare.

   Anche i licheni, in campo scientifico, specie nell’ultimo decennio, sono stati utilizzati come bio-indicatori di contaminanti atmosferici. I licheni, come del resto anche i muschi, si possono apprezzare in territorio ibleo, in particolare nella zona boschiva di Monte Lauro. Osservabili sui tronchi degli alberi, i licheni sono organismi che vivono in “simbiosi”, cioè presentano l’associazione di due individui diversi in maniera tale che dalla vita in comune traggano vantaggi senza che l’uno danneggi l’altro. E’ da questo connubio (tra un fungo ed un’alga) che prende vita il lichene. L’alga, grazie al già citato processo di fotosintesi, è responsabile della produzione di tante bio-molecole, ossia sostanze necessarie per i processi vitali dell’attività simbiotica. La parte “fungina” (quella che si riferisce al fungo) svolge una funzione di protezione e sostegno dando così all’alga una struttura solida che la protegge da fattori esterni, conferendo anche una sorta di serbatoio dove l’acqua è accumulata per il fabbisogno di entrambi gli individui.

   Un tematica, dunque, interessante attraverso cui il prof. Bellina ha condotto per mano il pubblico presente in sala verso una dimensione sicuramente poco conosciuta. L’incontro-dibattito si è chiuso con una parte che rivendica la valenza estetica delle “erbacce” e con l’invito ad osservare e, perché no?, a fotografare anche loro, le cenerentole del mondo vegetale.

 

 

 

Lo sviluppo economico solidale nel “Modello Ragusa”

Lezioni di politica economica locale in una pubblicazione di G. P. Saladino

 

La difficile congiuntura epocale che si sta vivendo in questi ultimi tempi ha stravolto alcune certezze dell’Occidente. Cercare di interpretarne le problematiche, muniti di semplici occhiali da economisti, potrebbe non essere così facile come sembra. La crisi si presenta di natura poliedrica in quanto non solo finanziaria ma anche psicologica, occupazionale, morale. C’è, alle spalle del disastro, qualcosa che non attiene solo all’economia, ma all’etica individuale e al costume collettivo. E’ necessario coltivare, nel cuore di ciascuno, la speranza che “le nostre piccole scelte quotidiane… possono cambiare il mondo”, e che “farlo insieme è certamente più facile”. E’ su questo spirito che trae spunto la recente pubblicazione di Gian Piero Saladino, “Lezioni di politica economica locale. L’impegno dei cristiani per il distretto del sud est siciliano” (La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica 2009, pp. 28). Un libretto in cui l’Autore – specializzato in “Organizzazione e Formazione Aziendale” – ha modo di sviscerare le problematiche legate all’attuale crisi mediante un’analisi seria e puntuale dei segnali di disagio in cui si muove la provincia di Ragusa nell’ambito di una più ampia realtà territoriale del sud-est siciliano, già fortemente provato dalle attuali emergenze. Sono segni caratterizzati non solo da un “aumento del senso di precarietà, e di disperazione di tanti padri di famiglia” (licenziamento e ricorso alla cassa integrazione per i lavoratori di diverse ditte nel ragusano) ma anche dalle difficoltà di tantissimi giovani a trovare occupazione o addirittura il rischio di perderla. Il contesto economico del “Modello Ragusa” è contrassegnato da un andamento negativo. Su tale fronte un recente rapporto di Unioncamere, riguardante l’indice di crescita delle imprese nel 2007 in Sicilia, registra, per alcuni comuni, tra cui anche il capoluogo ibleo, un trend negativo relativamente al tasso di crescita delle imprese (indice dato dal rapporto tra iscrizioni e cessazioni delle imprese registrate nel periodo considerato). L’incremento del PIL (Prodotto Interno Lordo, valore monetario di tutti i beni e servizi finali forniti in un anno sul territorio) è stato, nel 2007, il più basso della Sicilia, mentre il tasso di occupazione si è ulteriormente ridotto rispetto alle altre province siciliane.

L’Autore - forte dell’esperienza acquisita in tanti anni in materia di Comunicazione, Organizzazione e Management, fornendo il suo apporto professionale a Confindustria Ragusa – va oltre gli asettici dati e bilanci delle indagini economiche analizzando soluzioni possibili alla crisi. Tale cocente e delicata tematica è affrontata con la perizia dello studioso avuto anche riguardo al necessario cambiamento di rotta ostacolato da molteplici fattori quali “la cultura individualistica, la micro-dimensione delle imprese e la loro sottocapitalizzazione, la farraginosità della P. A., frutto dell’inconsistenza della rappresentanza politica”. E’ in tale quadro che diventa “necessario, e non solo eticamente auspicabile… tentare esperienze di sviluppo economico solidale” ovvero l’esigenza di creare un “distretto del Sud-Est” atto a “razionalizzare le risorse e favorire uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile”. Un nuovo modello di sviluppo, dunque, in cui la solidarietà diventi “fattore essenziale” ed il “bene comune… un obiettivo primario e vitale dell’azione sociale dei cattolici” orientato al “sostegno e partecipazione reale alle scelte di vita dei giovani adulti”. Da qui l’idea secondo la quale è necessario passare dal PIL al BIL (Benessere Interno Lordo), allo scopo di “liberarsi del PIL superfluo” per cercare di “vivere felici”.

L’elaborato di Saladino, muovendo dalla concreta sintesi di problematiche che attanagliano non poco l’animo di tanti lavoratori, fornisce una significativa “lezione di economia per la legalità”. La trattazione, pertanto, non vuole essere un punto di arrivo ma, al contrario, un trampolino di lancio verso un percorso da intraprendere per attuare quella “valorizzazione del capitale umano creativo” volta a creare un raccordo, un ponte, fra valori cristiani ed economia locale negli Iblei.

 

 

 

 

 

 

 

Associazione “SiciliAntica”: una passione nel cuore degli iblei

Importante iniziativa al Centro Servizi Culturali di Ragusa

 

E’ nata a Ragusa l’Associazione “SiciliAntica” con sede regionale nel capoluogo etneo ma presente, in maniera capillare, in tutte le province siciliane. I soci, un affiatato e folto gruppo di amici, sono animati da una stessa passione: quella di esplorare in lungo e largo la zona iblea per ri-scoprire zone di interesse archeologico e promuovere, anche nell’ambito scolastico, incontri per stimolare la conoscenza di un territorio ricco di tradizioni. Il Presidente della sezione di Ragusa, Giovanni Bellina, già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa, accanito studioso di orologi solari, è un ragusano con un acceso amore per la sua terra e per la Sicilia che, per le sue bellezze e per il suo patrimonio materiale (antiche vestigia, ipogei, necropoli, etc.) e immateriale (tradizione orale, leggende, “cunti”, folklore siciliano, etc.) può essere considerata come un museo a cielo aperto.

L’obiettivo principe dell’Associazione è quello di promuovere la tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali attraverso molteplici attività di comunicazione esterna che si avvale anche di una fitta rete di collegamenti telematici volti a sviluppare gli interventi nel territorio e diffondere in tempo reale le proprie iniziative attraverso un proprio sito internet (www.sicilianticaragusa.it), a cui tutti gli appassionati possono fare riferimento per eventuali e preziose collaborazioni.

E’ sulla base di tali istanze che il prof. Bellina, allo scopo di far conoscere a tutta la Comunità iblea la nascita dell’Associazione, ha promosso ed organizzato – in collaborazione con il Centro Servizi Culturali ed il Comune di Ragusa – una serata di presentazione dell’attività associativa che si è recentemente tenuta presso la sala convegni dello stesso Centro Servizi. L’introduzione è stata affidata a Domenico Arezzo (Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa), che ha messo in luce le capacità operative dei componenti di “SiciliAntica” auspicando una proficua collaborazione con le Istituzioni. Due gli interventi tematici che sono stati curati, per l’occasione, da Giovanni Distefano (Direttore del Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza BB.CC.AA. di Ragusa), con “Le Chiese rupestri dell’abitato medievale di Ragusa” e Saverio Scerra (Archeologo del Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza BB.CC.AA. di Ragusa) sulle problematiche riguardanti “Armi dal mare, Armi dalla terra: storia e archeologia dei siti sulla costa iblea tra i secoli XIV e XIX”.

La Redazione si è piacevolmente intrattenuta con il Presidente di “SiciliAntica” intavolando un piacevole conversazione.

Prof. Bellina come nasce “SiciliAntica”?

L’associazione rinasce da un gruppo collaudato di amici che amano, nel tempo libero, esplorare il territorio ibleo per effettuare ricerche, da dilettanti e senza alcuna pretesa cattedratica, che proprio per questo risultano gratificanti e coinvolgenti.

Quali le attività operative e le mete scelte per le vostre escursioni?

Tutto è reso in maniera molto semplice. I giorni festivi, purché col cielo terso e il sole splendente, hanno visto il gruppo lungo itinerari affascinanti e poco battuti. Ci si sente per telefono, ci si dà appuntamento la mattina del giorno di festa e si parte, senza fretta, senza ansia e con la certezza di andare incontro alle emozioni che solo l'immersione nell'ambiente sa dare. Le mete sono basate su ricordi d’infanzia o suggerite da esperti. Il tutto nasce dalla voglia di condividere con gli altri una scoperta individuale e di fotografare, osservare e fantasticare attorno ad un ipogeo, un fondo di capanna, un muro megalitico, un paesaggio insolito, un albero secolare, una meridiana, un’abitazione abbandonata.

 

 

 

 

 

Si potrà visitare sino al 30 giugno la mostra allestita all’Archivio di Stato

in occasione della Settimana della Cultura

 

Rileggere la nostra storia attraverso tessuti, abiti e gioielli

 

 

Eleganza, arte e cultura. Sono questi gli ingredienti che hanno caratterizzato la “Settimana della Cultura”, giunta quest’anno all’undicesima edizione, promossa ed organizzata dal Ministero per i Beni e le attività culturali e posta in essere attraverso le sue strutture periferiche per favorire la fruizione e valorizzazione dell’immenso patrimonio artistico e culturale italiano.

E’ sulla base di tale spirito che, anche quest’anno, l’Archivio di Stato di Ragusa (unitamente alla Sezione di Modica), sotto l’egida del direttore, Anna Maria Iozzia, coadiuvata dai suoi collaboratori e dall’instancabile archivista Liliana Scribano, ha aderito all’iniziativa realizzando un’interessante mostra documentaria (che sarà possibile visitare sino al 30 giugno) avente per tema “Drappi d’oro, ed argento, e pura seta. Un percorso tra tessuti, abiti, gioielli e…” arricchendola con la presenza di accessori provenienti dal “Museo del Costume” di Scicli (Rg). L’originale titolo trae spunto da un bando datato 11 agosto 1736, emanato a Palermo dal Viceré di Sicilia don Pietro de Castro Figueroa e Salazar.

Alla serata inaugurale - cui hanno partecipato il prefetto Carlo Fanara, il presidente della Provincia Franco Antoci, lo storico Giorgio Flaccavento ed il presidente dell’associazione “L’Isola” di Scicli, Giovanni Portelli - la direttrice Iozzia ha puntualizzato che “la mostra vuole focalizzare l’attenzione del visitatore sul ruolo svolto dall’abbigliamento nel corso dei secoli, cercando di cogliere il contesto sociale ma anche in quello di carattere economico, commerciale e legislativo”.

Particolare attenzione è stata rivolta al percorso espositivo. Sono stati presi in considerazione gli importanti aspetti legati alle tecniche di lavorazione e le evoluzioni stilistiche che hanno accompagnato la moda nel corso del tempo. Variegato è il materiale esposto tra cui la documentazione, proveniente dall’archivio privato di Biagio Miceli (docente all’IPSIA di Ragusa) consistente in alcune foto, riguardanti la sfilata dei modelli realizzati dalle alunne dell’istituto del capoluogo ibleo, sezione “Sarta per Donna”, scattate in occasione della sesta Mostra Provinciale dell’Artigianato tenutasi a Ragusa il 16 ottobre 1965, nonché numerosi figurini disegnati dalle stesse alunne nel corso del biennio 1963-’65 (carteggio concesso dal professor Flaccavento). Il presidente Portelli ha invece messo a disposizione dei visitatori alcuni abiti dei primi decenni del XX secolo provenienti dal “Museo del Costume” di Scicli.

 

 

 

 

 

Incontro con il professor Elio Rossitto all’istituto tecnico commerciale

“F. Besta” di Ragusa

Crisi del sistema economico figlia dell’assenza di regole

 

L’economia mondiale ha conosciuto, sino a due anni or sono, una fase abbastanza prolungata di crescita dovuta agli elevati tassi di sviluppo delle economie di grandi paesi emergenti, le cui prospettive di crescita apparivano, secondo le previsioni di consenso, stabili e certe. Quella fiducia si è gradualmente sfaldata a seguito degli eventi succedutisi a partire dall’estate del 2007 fino all’autunno scorso, ed è precipitata in maniera rapida negli ultimi mesi, cedendo il campo a un forte e generalizzato aumento della volatilità dei mercati e dell’attività economica, e provocando, altresì, una diffusa incertezza sul futuro. Ma qual è il panorama finanziario che si prospetta nei prossimi mesi? E, soprattutto, esistono soluzioni che possano contribuire a poter uscire fuori dal tunnel della crisi?

A tali scottanti domande ha cercato di rispondere Elio Rossitto (ordinario di Economia politica all’Università di Catania e incaricato di Teoria della decisione all’Università di Parigi) nel corso di un’iniziativa promossa ed organizzata dal centro studi “F. Rossitto”, dall’istituto tecnico commerciale “F. Besta” e dall’associazione “Amici del F. Besta”.

Il prof. Rossitto ha illustrato le origini dell’attuale crisi che ha portato al fallimento di un sistema economico, contraddistinto da meccanismi destabilizzanti venutisi a creare nei mercati finanziari internazionali. Tali problematiche sono da ricercarsi nell’assenza di limiti adeguati e di regole più severe preposte al funzionamento dell’economia di mercato i cui variegati parametri socio-economici e geo-politici rendono ardua l’impresa di elaborare una possibile soluzione anti-crisi. Ad introdurre i lavori sono stati il preside Girolamo Piparo e la presidente dell’associazione Maria Teresa Tumino. Ha concluso i lavori il presidente del centro studi Giorgio Chessari preannunciando ulteriori iniziative di approfondimento sull’attuale instabilità finanziaria.

 

 

 

 

I giovani e la società di oggi attraverso la lente del professor Giovanni Di Rosa

Speranze e memorie di una generazione

 

Un confronto tra generazioni per cercare di capire l’orientamento dei giovani, il loro agire nella società odierna, i loro obiettivi, le loro speranze. E’ questo, in estrema sintesi, il tema promosso dal centro studi Feliciano Rossitto nell’ambito dell’attività formativa volta a creare una stretta connessione tra società e cultura. Lo ha fatto con un incontro-dibattito che ha preso spunto dalla presentazione del libro del professore Giovanni Di Rosa, “Speranza e memoria della mia generazione” (Argo Software, 2007, pp. 208).

Oggetto di trattazione è la speranza che da sempre è una delle molle fondamentali dell’agire umano, cioè una di quelle forze in grado di muovere la storia. L’attenzione è rivolta ai giovani, che forse più di altri soffrono di questa perdita di centralità della speranza, ponendo in esame tutta una serie di problematiche riguardanti valori negativi (quali, ad esempio, ignoranza, arrivismo, carrierismo, alcune forme di degenerazione della politica) che la società odierna eleva a valori positivi. L’autore esamina il significato di speranza la cui peculiarità è quella di possedere un’energia potenziale rivolta al cambiamento. E’ su questo percorso che Di Rosa pone le basi per riflessioni riguardanti la consapevolezza di essere innanzi ad un “conflitto” tra generazioni portatrici di valori differenti. I giovani riflettono l’ambivalenza dei processi di transizione: da una parte esprimono la speranza inclusa nel cambiamento sociale, dall’altra rispecchiano una serie di resistenze e contraddizioni che il mutamento sociale produce inevitabilmente. Da qui l’esigenza di un percorso di speranza che faccia riferimento ad una memoria storica tra custodia del passato e progetto per il futuro.

A trattare la delicata e cocente problematica sono stati chiamati a relazionare, dopo il discorso introduttivo di Giorgio Chessari (presidente del centro studi), Gaetano Barone, Nino Barrera, Giovanni Criscione, Teo Criscione, Nello Rosso, Riccardo Schininà e Salvo Zago. Le riflessioni finali dell’autore sono state impreziosite dalla lettura di alcuni brani tratti dal libro recitati dall’attore Giorgio Sparacino.

 

 

 

 

Educare i giovani parlando loro attraverso i fumetti

 

“Oggi è riconosciuto che il fumetto è in grado di assolvere importanti funzioni nell’ambito della formazione perché capace di veicolare messaggi di elevato contenuto educativo”. Ciò è quanto sostenuto da Giuseppe Miccichè, direttore del museo del fumetto di S. Croce Camerina, attraverso iniziative culturali che in questi ultimi anni hanno riscosso notevole interesse.

Il fumetto è una forma espressiva da considerare come un mezzo di comunicazione, in quanto le immagini sono impiegate come un linguaggio che, al pari delle parole, riesce a raccontare e suscitare emozioni.

Due istituti scolastici di Pedalino hanno posto il “giornalino” al centro di un progetto formativo particolarmente originale. A tale scopo è stato chiamato a svolgere uno specifico corso di creazione del fumetto Luigi Corteggi (direttore artistico della casa editrice Bonelli e da decenni apprezzato protagonista in campo fumettistico).

La scelta è quella di portare sui banchi di scuola un’esperienza professionale, quella di Corteggi, da condividere con gli studenti attraverso lezioni teorico-pratiche in cui sono trattate le tecniche narrative e di disegno.

Corteggi, com’è nato tale progetto?

Il progetto ha come obiettivo quello di vivacizzare il rapporto educativo inserendo il fumetto nell’area della giocosità del sapere e del fare. E’ in questo contesto che le storie a strisce, ovvero le vicende di un personaggio raccontate in modo sequenziale, completano il quadro narrativo del fumetto divenendo uno strumento efficace per attirare la curiosità e l’attenzione dei ragazzi che, in tal modo, imparano divertendosi.

Se dovesse disegnare oggi una storia a fumetti che tipo di personaggio sceglierebbe?

Sceglierei certamente il personaggio che sto tentando di realizzare qui a Comiso: un piccolo robot che guida un gruppo di ragazzi a visitare il sistema solare. Si tratta di un’avventura a fumetti, intercalata da tavole a tempera, avente scopo didattico. E’ uscito un primo volume, già esaurito. Sto tentando di preparare il secondo cercando di coinvolgere i ragazzi comisani.

 

Giuseppe Nativo

 

 

GIUGNO 2009

 

 

 

Al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa

“Quando eravamo comunisti…”

La singolare avventura del Partito Comunista in Sicilia in un saggio

di Elio Sanfilippo

 

   Un vero e proprio memoriale, un racconto con cui ripercorrere la storia del Partito Comunista in Sicilia, dal dopoguerra fino al crollo del muro di Berlino. Un intenso ed articolato excursus storico tracciato da pagine dense di aneddoti e ricordi vissuti in prima persona; non è solo l’immagine di un partito e dei suoi uomini, ma anche la storia di una regione, delle sue ferite e aspirazioni, dei suoi rapporti con l’Europa e gli eventi internazionali che hanno contraddistinto il Novecento. E’ questo il filo conduttore che caratterizza le pagine del volume di Elio Sanfilippo, “Quando eravamo comunisti. La singolare avventura del Partito Comunista in Sicilia” (Edizioni di Passaggio, Palermo, novembre 2008, pp. 472), recentemente presentato alla sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa nell’ambito di una serie di iniziative culturali promosse ed organizzate dallo stesso Centro e volte ad approfondire tematiche politiche, sociali ed economiche che hanno attraversato il secolo appena trascorso.

   L’autore, nato a Licata nel 1949, fin da giovane, ha iniziato a svolgere un’intensa attività politica militando dapprima nella Federazione giovanile comunista e poi nel Pci, ricoprendo le cariche di segretario della Federazione di Palermo, componente della segreteria regionale e del comitato centrale, fino al suo scioglimento. Eletto consigliere nazionale nel primo congresso costitutivo del Partito Democratico di Sinistra, è stato tra gli esponenti principali della componente riformista che si richiamava alle posizioni di Emanuele Macaluso e di Giorgio Napolitano. Consigliere comunale di Palermo dal 1975 al 1990, è autore di vari saggi e articoli (“Federalismo, verso una nuova frontiera della Democrazia”, L’Epos, 1996; “L’isola che non c’è”, Gelka, 1997). Attualmente ricopre la carica di presidente regionale della Legacoop Sicilia e di componente della Direzione e della Presidenza nazionali.

   A presentare il volume di Sanfilippo sono stati chiamati Pino Occhipinti (presidente della Legacoop Ragusa) e Giuseppe Giannone (già parlamentare regionale), i quali – dopo la relazione introduttiva di Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) - hanno posto in luce la valenza dell’opera sottolineando il ruolo, le lotte ed i sacrifici di non pochi attivisti il cui impegno era volto alla conquista e difesa della libertà e della democrazia in Italia.

   Molto attesa e seguita è stata la relazione del senatore Emanuele Macaluso (che ha curato la prefazione al voluminoso saggio di Sanfilippo), giornalista, deputato dal 1963 al ’76, anno in cui entra nel Senato della Repubblica dove conclude la sua esperienza nel 1992; fino a marzo del 2008 editorialista de “Il Riformista”, dalle cui pagine si è spesso premurato di sostenere l’ancoraggio di una moderna forza laica della Sinistra italiana ai valori del Socialismo europeo.

   Macaluso ha messo in evidenza le date in cui si è svolta l’intensa attività politica dell’autore puntualizzando che le stesse “servono a capire meglio lo svolgimento dei fatti di cui si parla in questo libro”. “Il Pci – ha spiegato Macaluso - è raccontato da un militante che ha vissuto intensamente la vicenda politica di quel partito, in una città ed in una regione che in tanti momenti hanno segnato lo svolgimento della storia politica dell’intero nostro paese” e che hanno visto come protagonisti alcuni dei nomi più significativi (sia da un punto di vista storico che politico): Girolamo Li Causi, Pancrazio De Pasquale, fino a Palmiro Togliatti, Pio La Torre e Achille Occhetto. Quest’ultimo, nel respingere il netto approdo al Socialismo europeo, è stato “condizionato anche da una campagna mediatica e da un’offensiva ideologica delle componenti più moderne della borghesia italiana”. Lo scioglimento del Pci, l’affacciarsi di nuove formazioni politiche fino alle vicende di Tangentopoli sono state tra le principali tappe che hanno segnato il “dissolvimento” di quei partiti posti a cardine del vecchio sistema politico. La successiva fase di costruzione della cosiddetta “seconda repubblica” è stata caratterizzata dalla “mancanza di una forza politica che avesse i tratti inconfondibili del socialismo europeo e che recuperasse il nucleo vitale della storia del Pci e le componenti più dinamiche del socialismo italiano dopo la frantumazione del Psi”.

 

 

 

 

 

 

In scena il teatro “Utopia”

Un temporale di sentimenti

 

Sul palco del Teatro Don Bosco è stato messo in scena, dalla compagnia Teatro Utopia, “Temporale” per la regia di Giorgio Sparacino. “Temporale” è il più noto dramma da camera del drammaturgo svedese Johan August Strindberg. «E’ una riflessione sulla vecchiaia e sulla morte – precisa il regista Sparacino – ma con un finale di speranza». E’ la storia di personaggi che vivono in un palazzo a più piani: il Signore, un vecchio funzionario in pensione (Giorgio Sparacino) che trascorre le giornate giocando a scacchi col fratello procuratore (Carmelo Gugliotta); la moglie del Signore, Gerda (Natalina Lotta); una parente-serva, Louise (Ornella Cappello) il pasticcere (Pippo Antoci) e la figlia Agnes (Rosaura Lucenti) e il misterioso signore dell’ultimo piano (Mario Dipasquale).

Il titolo dell’opera deve essere inteso nelle sue molteplici valenze simboliche: l’alternarsi della bella stagione, l’estate, a quella autunnale, che rappresenta il trapasso verso la stagione del tramonto, ovvero la vecchiaia. Ma vuole significare anche tempesta di sentimenti e passioni, una sorta di resa dei conti. Il velo di soffocante perbenismo che avvolge quei personaggi, specchio della società borghese dell’epoca, viene strappato mettendo a nudo le contraddizioni di una quotidiana esistenza sempre in lotta con il tempo che sembra non passare mai.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

LUGLIO 2009

 

 

La tradizione contadina rivive in una pubblicazione di Piera Teresa Dormiente

Il mulo, prezioso compagno di lavoro

 

«Si tratta di un’operazione culturale che il nostro territorio richiedeva»: è questo l’incipit del professor Nino Cirnigliaro alla serata di presentazione del libro della professoressa Piera Teresa Dormiente, “Storia del mulo ibleo - fratello dell’uomo nei campi di grano e di battaglia” (Ragusa 2009, pp. 223), tenutasi al centro studi Feliciano Rossitto curatore dell’azione editoriale.

Una serata all’insegna della storia della civiltà contadina iblea non industrializzata che per secoli ha vissuto in stretto connubio con l’ambiente naturale. E’ proprio questo che la Dormiente ha voluto evidenziare nel suo volume la cui tematica intende recuperare, ricostruire e preservare dall’oblio tutto ciò che di tale civiltà e del suo stile di vita, unico ed irripetibile, rimane. «Si tratta di utili esperienze di ricerca che – ha puntualizzato il professore Cirnigliaro, attento studioso di tradizioni popolari siciliane - arricchiscono il nostro bagaglio culturale».

L’autrice ha messo in luce una tradizione fortemente radicata nel territorio le cui attività giornaliere erano fortemente correlate all’utilizzo del mulo che, malgrado la sua preziosa presenza nell’area mediterranea, è l’animale più bistrattato per la sua proverbiale testardaggine. Animale ibrido degli equini, nato dall’incrocio di un asino con una cavalla, era usato non solo come bestia da soma o da trasporto di persone su terreni impervi, ma anche in zone di guerra e, quotidianamente, per il lavoro nei campi di grano.

L’autrice, inoltre, presenta testimonianze e documenti inediti sul mulo ibleo che hanno permesso di documentare gli antichi riti campestri (aratura, semina, mietitura, macinatura) di cui ancora oggi, nelle giornate di vento, riecheggia il vocio: «Ota utedda / la mula muredda, / stocca e macina / la mula mirrina, / passiella, passiella / caccia e curri».

 

 

 

 

Il garante della privacy accoglie la richiesta di numerosi cittadini e introduce

una novità che interessa tutti

Dal 2010 lo scontrino del farmacista non parla più

 

 

A partire dal prossimo anno sullo scontrino fiscale, che le farmacie rilasciano al momento dell’acquisto dei medicinali per poter dedurre e detrarre la spesa nella dichiarazione dei redditi, non verrà riportato il dettaglio del nome del farmaco acquistato. Ciò è quanto stabilito dal Garante per la protezione dei dati personali. Tale disposizione trae origine da lamentele di numerosi cittadini che si sono rivolti al Garante per segnalare il venire meno della loro riservatezza e dignità al momento di presentare la documentazione fiscale per la denuncia dei redditi presso il proprio commercialista o i Centri di assistenza fiscale. Il cosiddetto “scontrino parlante” riportando in chiaro, oltre al codice fiscale dell’interessato, la denominazione del farmaco acquistato è in grado di rivelare informazioni sullo stato di salute e patologie sofferte dai cittadini.

Lo studio di tale problematica, svolta dal Garante in collaborazione con l’Agenzia delle entrate e con i rappresentanti di Federfarma (la federazione più rappresentativa che raggruppa i farmacisti italiani), ha dato la possibilità di stabilire che il controllo sul medicinale venduto può essere effettuato attraverso l’utilizzo del “numero di autorizzazione all’immissione al commercio” (Aic) indicato sulla confezione del farmaco. Tale codice (composto da lettere e numeri), rilevabile anche tramite lettura ottica, consente infatti di identificare in modo inequivocabile ogni singola confezione farmaceutica venduta, allo stesso modo della specificazione in chiaro del nome del farmaco stesso.

E’ stata in questo modo individuata una soluzione in grado di bilanciare non solo il rispetto della dignità delle persone, ma anche l’interesse pubblico alla riduzione del rischio di indebite detrazioni e deduzioni fiscali.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

SETTEMBRE 2009

 

 

Come difendersi da un virus in grado di diffondersi in modo rapido

Influenza suina: rischio o psicosi?

 

Risale al 1830 il momento in cui in Europa appare una violenta epidemia di colera i cui effetti si ripercuotono per oltre un decennio. Sarà necessario attendere oltre un secolo per vedere consolidate iniziative di cooperazione internazionale in materia sanitaria con la creazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. I timori di una estesa epidemia, dopo la cosiddetta “influenza suina” esplosa in Messico, hanno riacceso i riflettori sul controllo della sanità mondiale. Ma quali sono i principali punti interrogativi che si affacciano sull’orizzonte della salute? In pochi mesi il virus dell’influenza A/H1N1 ha fatto il giro del pianeta, dimostrando una capacità di diffusione molto rapida. Esperti e studiosi di tutto il mondo non lo perdono di vista perché le probabilità che possa subire delle trasformazioni, diventando più aggressivo, non vanno sottovalutate. Porre la massima attenzione al responsabile della nuova pandemia è doveroso in quanto sono ancora senza risposta molte domande sul comportamento di questo virus.

Questo si presenta come una “miscela” di più frammenti di strutture molecolari provenienti da tre specie diverse (suina, aviaria e umana) che, combinandosi, hanno dato vita al quarto virus pandemico finora osservato (dopo quello della Spagnola, 1918; dell’Asiatica, 1957; e quello della Hong Kong, 1968). Come i virus dell’influenza stagionale, anche quello dell’influenza A si trasmette per via aerea (con colpi di tosse, starnuti, etc.). Possiede una grande capacità di trasmettersi visto che in pochi mesi ha attraversato cinque continenti.

I sintomi accusati sono simili a quelli dell’influenza stagionale (febbre, tosse, mal di gola, naso chiuso, dolori muscolari, mal di testa, debolezza).

I casi sinora registrati, in buona parte, tendono ad apparire lievi, con guarigione in pochi giorni. I decessi sono avvenuti in persone già indebolite da altre patologie e con problemi respiratori. Il quadro complessivo non è comunque ancora chiaro e per questo è posto sotto la massima sorveglianza. Come difendersi allora? Gli studiosi raccomandano di lavare spesso le mani con acqua e sapone e di non frequentare luoghi affollati.

Secondo quanto ha fatto sapere l’Oms, a breve, dovrebbe essere disponibile il vaccino contro il virus il cui picco è previsto per la fine dell’anno.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OTTOBRE 2009

 

 

“Aucisu comu ê novi”

Una lapide in memoria di nove modicani fucilati nel 1860

 

   Che rimanga almeno un lapide. Una lapide unica, che possa restare viva nel cuore dei modicani. Ma anche a memoria di quanto occorso 149 anni or sono e scivolato nell’oblio a causa di una “reticenza” storica su cui ha indagato, con il rigore dello storico e l’occhio analitico del giurista, un magistrato: Giuseppe Chiaula (Pres. On. della Corte dei Conti), illustre modicano ma residente da tempo nell’Urbe dove ha esercitato varie funzioni giuridiche. Chiaula, autore, fra gli altri, de “Il mistero dei nove” e “Addizioni a Il mistero dei nove” (due volumi, pubblicati a Modica, per la Setim, tra il 1998 ed il 2001, che ripercorrono il “processo dei nove”), per amore del natio loco, della sua Modica, si è posto dinanzi ad un problema cui la cronaca e la storia non hanno prestato la dovuta attenzione.

   Tutto ha inizio nella notte tra il 2 e 3 settembre 1860 quando nove persone - 5 di professione “contadino”, 2 “murifabbro”, 1 “crivellatore” ed 1 “industrioso” - assaltano la masseria Vicari, in contrada Zappulla, commettendo una rapina anche attraverso una fucilata senza ferimento ad alcuna delle quattro persone ivi presenti. Magro il bottino. Con la testimonianza fondamentale di un ex milite “deviato” della Guardia Nazionale di Modica, il governo modicano, rappresentato dalla elite politica in connivenza con i giudici della Commissione Speciale, espressione locale della dittatura garibaldina, in 21 giorni arresta, processa, giudica e condanna alla estrema pena i malcapitati eseguendo la sentenza.

   Triste l’epilogo della vicenda che si può cogliere attraverso la testimonianza dei PP. Cappuccini incaricati, all’epoca, di accompagnare, assistendoli “a ben morire”, i condannati a morte. Allontanatisi i frati, dopo le ultime preghiere, viene dato il segnale. Si ode, fulmineo, il tremendo fragore delle fucilate ed il grido dei condannati rimasti feriti. Si prosegue a fucilarli senza pietà. Si consuma così, nelle prime ore pomeridiane del 24 settembre 1860, una oscura pagina di storia iblea, nel mentre si svolge nel Continente, essendo stata portata a termine la fase siciliana, l’impresa bellica di Garibaldi. A trovare la morte sono nove modicani in esecuzione di sentenza capitale pronunciata, due giorni prima, dalla locale Commissione Speciale Penale (‘na Curti Subitanea), organo giudiziario straordinario istituito dal governo dittatoriale garibaldino per giudicare dei “reati comuni dei semplici cittadini”. Tutto ciò malgrado fossero in vigore delle norme “frenanti” per limitare le eccedenze sanzionatorie (per ogni processo non si sarebbero potute avere più di tre condanne capitali). Il governo di Palermo riceve l’informativa a cose fatte.

   Ma perché una vicenda di tale portata rimane ignorata impedendo ad alcuno di tramandarne il ricordo che, tuttavia, rimane vivo nel cuore del popolino (di qui il detto popolare “aucisu comu ê novi”)? E perché non è registrato alcun atto di pietà nei riguardi di quei nove (la cui età oscillava tra i 20 e i 40 anni)? A tali domande ha cercato di rispondere il giudice Chiaula non solo con i citati volumi ma anche attraverso un momento di analisi giuridica e riflessione storica che si è tenuto presso l’oratorio salesiano Don Bosco di Modica alla presenza del sindaco, Antonello Buscema. L’incontro culturale è stato preceduto dalla cerimonia di scopertura di una lapide commemorativa, promossa dal Comune di Modica, posta sulla cinta muraria del vecchio cimitero, nei cui pressi avvenne l’esecuzione capitale.

   Dall’otto ottobre scorso quella lapide ricorda lo strappo, il dolore, la paura e la morte di quei nove malcapitati i cui nomi, già incisi nel libro del cielo, si trovano adesso scolpiti nel cuore di ciascuno a imperitura memoria.

 

 

 

 

 

 

Ambita manifestazione culturale dell’estate pozzallese

Il “Marranzano d’Argento” al giornalista e scrittore Salvatore Scalia

 

   Cultura, spettacolo e gastronomia. Sono questi i tre punti cardine attorno a cui è ruotata l’estate pozzallese. Unico comune marittimo della provincia di Ragusa, l’importanza di Pozzallo si perpetua nel tempo quando, con la costruzione di un “Caricatore”, che consente l’imbarco di merce sui velieri, diventa uno degli scali più attivi già dal XV secolo unitamente alla “Torre Cabrera”; quest’ultima di grande rilievo militare per l’avvistamento preventivo di imbarcazioni pirata, teatro di rievocazioni medievali che, nell’edizione 2009, hanno affascinato non pochi visitatori.

   La stagione estiva pozzallese quest’anno è stata impreziosita dalla presenza di illustri personalità, distintesi nelle arti e nel giornalismo, presenti in occasione dell’ambita kermesse letteraria itinerante “Trebbio 2009” per la consegna del “Marranzano d’Argento”. La serata, tenutasi al Blue Heaven, presso la Villa Comunale di Pozzallo, organizzata dal gruppo “A lume di poesia” della redazione della Rassegna di Letteratura Lunarionuovo, è stata caratterizzata da letture, canti e proiezioni che hanno appassionato gli spettatori. Sullo schermo “La femmina, l’amore, il niente…” del regista Vladimir Di Prima; alta espressione musicale con “Il Canto delle Sirene” tratto da Concabala di Mario Grasso (fondatore del gruppo “A lume di poesia” nonché responsabile della casa editrice “Prova d’Autore”), poi l’esibizione del cantautore Francesco Foti con “L’uomo nero” ed i recital dei poeti Maristella Bonomo, Grazia Dormiente e Daniele Floridia.

   L’attore Miko Magistro ha letto alcuni brani del libro “La Risacca” di Michele Giardina, giornalista e scrittore, premiato in quanto “nei suoi reportages documenta il divenire della vita quotidiana della sua Pozzallo”. Lodi e riconoscimenti per la loro arte anche a Grazia Dormiente e Miko Magistro.

   Il clou della serata è stato caratterizzato dalla cerimonia di consegna del prestigioso premio “Marranzano d’Argento”, evento culturale istituito nel lontano 1974 dal poeta Mario Grasso, assegnato ogni due anni a una personalità siciliana che si è distinta nell’ambito delle arti, del giornalismo, delle scienze. Dal 1974 al 2008, toccando diverse località dell’Isola, è stato conferito, tra gli altri, a Leonardo Sciascia, Salvatore Fiume, Gesualdo Bufalino, Mario Ciancio, Giuseppe Giarrizzo, Rosa Quasimodo, Stefano D’Arrigo. Il “Marranzano d’Argento” è rappresentato da un marranzano, del tutto identico al noto strumento musicale a bocca con corda vibrante, realizzato in puro argento presso la fonderia artigianale di Pietro Longo a Catania, sul modello originario creato nel 1974 dallo scultore Giuseppe Mazzullo.

   Il prestigioso riconoscimento, edizione 2009, è stato assegnato allo scrittore e giornalista “etneo di Mascalucia” Salvatore Scalia per la sua recente fatica letteraria “Fuori gioco. Vita bruciata di un calciatore di provincia” (Marsilio Editori, 2009, pp. 127). Col suo “procedimento stilistico di rara efficacia espressiva” (Gazzetta di Parma, 13.05.2009, p. 5) l’autore tratteggia, attraverso un romanzo dalle connotazioni forti e dure, “pieno di asprezze e lucide rabbie” (La Repubblica, Palermo, 31.05.2009, pp. 18-19), la storia di Paolo “una sorta di personaggio clinico sul quale punta i riflettori di una inchiesta socio-morale necessaria per capire il giovane uomo che sognava gli stadi esaltanti, che amò soggiogato dall’amore, che vive marchiato dalla vita” (L’Eco di Bergamo, 20.04.2009, p. 23). L’intreccio narrativo è filtrato attraverso la memoria del protagonista colto in due momenti fondamentali della sua esistenza: da ragazzo alla vigilia della partenza per Milano per un provino con una squadra nazionale; e da adulto che passeggia sui sentieri dell’Etna, presenza al tempo stesso mirabilmente maestosa e minacciosa, dopo l’ultima partita, in attesa di “mettersi fuori gioco, scomparendo nelle origini della propria esistenza” (Il Riformista, 29.05.2009, p. 19).

   Il volume ha già fatto il suo primo scalo, lo scorso aprile, in territorio ibleo riscuotendo notevole successo. In tale occasione la presentazione, affidata alle cure di Carmelo Arezzo e Gino Carbonaro, nell’ambito dell’iniziativa culturale promossa ed organizzata dall’Associazione Teatro Club “Salvy D’Albergo”, si è tenuta presso l’auditorium “Giambattista Cartia“ della Camera di Commercio di Ragusa.

 

 

 

Le Giornate Europee del Patrimonio ci aiutano a riscoprire esperienze

di vita vissuta

Il lavoro delle donne, la nostra storia

 

Le Giornate Europee del Patrimonio, promosse nel lontano 1991 dal Consiglio d’Europa, nascono per favorire il dialogo e lo scambio culturale in ambito continentale. “Italia: tesoro d’Europa” è lo slogan scelto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per sottolineare l’importanza di tali iniziative attraverso una serie di appuntamenti programmati in ogni regione allo scopo di coinvolgere, con ogni tipologia di evento, tutti i cittadini e promuovere la fruizione dei beni architettonici, archivistici e museali.

E’ sulla scia di tali iniziative che anche quest’anno l’Archivio di Stato di Ragusa, sotto l’egida della direttrice, Anna Maria Iozzia, e dell’archivista Liliana Scribano, in sinergia con l’Associazione culturale “L’Isola” di Scicli, ha intrapreso un viaggio documentario attraverso una mostra avente per tema “Lavori al femminile: documenti, strumenti e manufatti” (Scicli dal 26 settembre al 31 ottobre).

Il percorso espositivo, arricchito da documenti e materiali di rilevanza storica e culturale, ha messo in rilievo non poche testimonianze dell’attività lavorativa delle donne con particolare riferimento al settore artigianale in epoche quando ancora lontana era la richiesta di pari opportunità.

“Si tratta di esperienze di vita vissuta raccolte nel territorio ibleo e che fanno non solo da supporto impalpabile all’impianto documentario” – spiega Giovanni Portelli, presidente dell'associazione – “ma costituiscono frammenti di storie che, sebbene filtrate da un’intensa emotività, aiutano a ricomporre il quadro storico e culturale dell’area geografica a cui è fatto riferimento”. In questo contesto, l’oggetto esposto acquista un particolare significato e valore che va oltre la sua materialità. “E in questo ci aiuta anche il materiale archivistico – ha precisato la dott.ssa Iozzia – “che documenta la storia della società in cui la donna è vissuta”.

Fanno parte integrante dell’esposizione anche fotografie d’epoca, riviste femminili e di moda, vari strumenti e, ovviamente, alcuni dei manufatti che hanno caratterizzato il tipico corredo delle donne e delle famiglie iblee.

 

 

 

 

Visite ed esami si potranno prenotare in farmacia

 

Con decreto legislativo del 2 ottobre scorso il Consiglio dei ministri ha stabilito l’individuazione di nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria che potranno essere erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio sanitario nazionale.

Sono stati, pertanto, specificati nuovi compiti e servizi: partecipazione al servizio di assistenza domiciliare; collaborazione ai programmi di educazione sanitaria della popolazione; realizzazione o partecipazione a campagne di prevenzione di patologie a forte impatto sociale, anche effettuando analisi di laboratorio; prenotazione in farmacia di visite ed esami specialistici presso le strutture pubbliche e private convenzionate, compreso il pagamento dei relativi oneri ed il ritiro dei referti. Tutto ciò nel rispetto di quanto previsto dai Piani socio sanitari regionali e previa adesione del titolare della farmacia.

Il provvedimento, che stabilisce, tra l’altro, nuovi criteri per la definizione di farmacia rurale (cioè per quelle strutture ubicate in Comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti), risponde all’esigenza, largamente sentita da non pochi cittadini, di far erogare alle farmacie servizi di secondo livello coerenti con i percorsi diagnostici degli assistiti, anche al fine di consentire un maggiore snellimento dei servizi prestati dalle strutture sanitarie apportando semplificazione delle procedure nonché risparmio di tempo all’utenza.

Proprio nelle realtà rurali, in carenza delle strutture pubbliche, il cittadino trova nel farmacista il sanitario in grado di assicurargli senza ritardo non solo tutti i medicinali di cui ha necessità, ma anche gli eventuali interventi di prima assistenza.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOVEMBRE 2009

 

 

Quinta edizione del Premio Nazionale “Salvy D’Albergo”

Il territorio ibleo tra arte e cultura

 

   “Non si farà mai abbastanza per tributare un riconoscente omaggio ad una donna che ha dedicato risorse, tempo, intelligenza, cultura ed entusiasmo al disegno di svegliare da un certo torpore… questa nostra città… alla quale ha dedicato le proprie energie e la propria missione nella scuola e nel teatro”. Inizia con queste riflessioni il secondo appuntamento del Premio Nazionale “Salvy D’Albergo”, che quest’anno giunge alla quinta edizione.

   A condurre l’ambita manifestazione, tenutasi presso la sala “Lumiere” di Ragusa, alla presenza di un numerosissimo ed attento pubblico, è Carmelo Arezzo, nella qualità di Presidente dell’Associazione Teatro Club “Salvy D’Albergo” di Ragusa. “E’ con questa edizione che la nostra associazione – spiega Carmelo Arezzo, con voce ferma ma piena di emozione - intitolata alla indimenticabile Salvy che ne fu, fino alla prematura scomparsa, instancabile e inimitabile presidente, celebra il quarantennale della sua costituzione avvenuta nel marzo del 1969”. Sono anni di intensa attività culturale e di incontri teatrali sinteticamente tratteggiati da un video proiettato in sala come prologo alla serata ed avente come sfondo le viuzze di una Ragusa Ibla gravida di storia ed impreziosita dalla impaginazione barocca di impianti chiesastici e vetusti palazzi nobiliari.

   Dopo il primo appuntamento, dedicato alla premiazione del regista Giuseppe Tornatore, si è dato vita al secondo incontro nello spirito e nella logica del “premio che vuole segnalare quelle personalità che hanno provato a dare della Sicilia una immagine ed una testimonianza estranee agli stereotipi ed ai luoghi comuni” celebrando “quella della sua anima” come testimoniato dalla motivazione incisa su ciascuna targa consegnata a tre personaggi iblei che si sono contraddistinti nell’arte e nella cultura. Per il comparto arte e spettacolo è stato scelto l’attore modicano Andrea Tidona, presenza importante nel cast non solo di tante fiction televisive di successo (tra cui “La Piovra”, “Il commissario Montalbano”, “Il Capo dei Capi”), ma anche cinematografiche (tra gli altri “La vita è bella” di R. Benigni, “I cento passi” di M. T. Giordana) e, recentemente, “Butta la luna 2” e “Una sera d’ottobre” (per la regia di V. Sindoni). Tidona si è contraddistinto sia per “la duttilità con la quale affronta i monologhi”, sia per lo “sguardo che incanta” e che racconta, “con la mobilità di occhi volitivi”, l’essenza della sua “sicilitudine” gravida dei valori e dei sogni della terra iblea.

   Per la sezione dedicata all’impegno nella scuola per il cinema ed il teatro è stata premiata la ragusana Daniela Iurato, che vive a Chiaramonte Gulfi. Docente di discipline giuridico-economiche, arricchisce tale attività, oltre allo svolgimento della professione forense, collaborando a quotidiani e riviste. Nell’ambito scolastico ha avviato numerose iniziative e progetti attraverso la produzione di diversi audiovisivi e cortometraggi, di cui è regista, girati con i suoi studenti. Tale percorso, oggetto di premi e segnalazioni in concorsi a carattere nazionale, è stato evidenziato in sala con la proiezione del suo corto “Nati sbagliati”, imperniato su una vicenda che trae spunto dal contesto sociale in cui vivono realmente i due giovani protagonisti, Jessica e Vittoriano, diversamente abili e dai leali sentimenti, contro cui si scaglia una ventata di emarginazione e violenza.

   Premio speciale per il settore letterario è stato assegnato allo scrittore, poeta e critico letterario Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei. Circa quarant’anni di poesia, contraddistinguono l’esperienza letteraria di Occhipinti, fondatore di riviste letterarie (la più recente è “Trasmigrazioni”, rassegna semestrale di civiltà letteraria globale, diretta congiuntamente a Giorgio Bàrberi Squarotti e Nunzio Zago, edita dal Centro Studi “F. Rossitto”). Occhipinti è finissimo narratore e saggista letterario. La sua lunga avventura di poesia gli ha dato la possibilità di essere parte attiva in quel “frastagliato e contraddittorio panorama letterario del secondo Novecento”. Lo ha fatto cogliendo fermenti nuovi e inquadrando criticamente quelli effimeri o superficiali con la passione della sua scrittura “ardente e dolente allo stesso tempo”. Nella sua poesia emerge una “forte tensione etica ed esistenziale”, “un incontro tra carne e spirito, in un andamento ora fortemente lirico, ora divagante e quasi discorsivo, e in cui le due linee di sentimento e di pensiero si intrecciano e si rincorrono fino a gettare affascinanti bagliori l’una sull’altra”.

   A consegnare i premi è stata la sig.ra Maria D’Albergo Moncada, la quale, con viva emozione, ha sottolineato l’impegno profuso dalla sorella Salvy “per la cultura e nella cultura”. Testimonianza di ciò è stata data nel corso della serata attraverso la distribuzione, tra gli altri, del volume “Novecento” in cui è pubblicata una breve raccolta di scritti, redatta da Salvy D’Albergo, riguardanti autori del ‘900, prodotti in occasione di incontri o di conferenze scolastiche.

   La serata si è conclusa con la bellissima ed articolata performance, avente per tema “Caro Novecento. Ricordi e accordi del secolo breve”, proposta dalla poliedrica attrice Patrizia La Fonte con il Trio Chitarristico di Roma (Marco Cianchi, Fabio Renato d’Ettorre e Fernando Lepri), i quali, tra musica, parole, danza e gestualità, hanno raccontato la lunga storia del Novecento.

   Uno scrosciante e lunghissimo applauso finale ha testimoniato il calore del pubblico per l’intera manifestazione e un omaggio alla memoria.

 

 

 

 

 

Il centro studi “Feliciano Rossitto” pubblica il semestrale “Trasmigrazioni”

Il cammino dei popoli in una rivista

 

Si chiama “Trasmigrazioni” ed è la nuova rivista letteraria ragusana che verrà presentata a breve. Edita dal centro studi “Feliciano Rossitto”, ha una cadenza semestrale. Ad illustrare l’iniziativa è il promotore del progetto, Giovanni Occhipinti, scrittore, poeta e critico letterario, figlio degli iblei, nella qualità di condirettore della rivista insieme a Nunzio Zago (docente di Letteratura italiana all’Università di Catania) ed al torinese Giorgio Bàrberi Squarotti, profondo conoscitore della letteratura italiana del Novecento.

Trasmigrazione rappresenta il movimento, il cammino dei popoli che, per motivi politici, economici e di disagio, si muovono lasciando la patria d’origine alla ricerca di una patria che dia di più. Una grande spinta che mette in contatto le diverse geografie del pianeta e, quindi, le diverse culture e linguaggi. In tale movimento c’è una compenetrazione dei temi esistenziali (quelli della speranza, del progresso, della pace che appartengono all’umanità). Tutto ciò in campo poetico ed artistico favorisce, appunto, la trasmigrazione, ovvero il flusso delle poetiche. Di qui il riferimento al titolo. La rivista nasce per proporre interventi tematici da condividere con lettori attenti, cercando di raggiungere non solo quel target costituito dagli amanti della letteratura, ma di rappresentare il trait d’union con scrittori stranieri. Si tratta di una rassegna semestrale a cui hanno già aderito non pochi autori di grande spessore, tra i quali Corrado Calabrò, Dante Maffia, Aldo Gerbino. La copertina è del noto artista Piero Guccione, “Le linee del mare” (pastello, 2008), ed accompagnerà la rivista nel suo viaggio letterario.

Attraverso il centro studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa si è trovato un canale di distribuzione nazionale, a cui ha aderito la Fondazione Rubbettino di Cosenza, che si spera possa rendere la rivista un punto di riferimento nel suo genere varcando i confini nazionali attraverso la collaborazione di scrittori e poeti d’occidente e d’oriente. Si cerca di instaurare così una sorta di “comunione globale” che può realizzarsi attraverso la poesia, l’arte, la letteratura, la scienza, scommettendo su “soggettività” creative, diverse e complementari, che sognano un mondo attorno a un verso.

 

 

 

 

Storia e fantasia con la fondazione “Carlo Terron”

 

La fondazione “Teatro Carlo Terron”, ormai operativa anche nella provincia iblea, in collaborazione con la Provincia, ha promosso ed organizzato un’iniziativa culturale avente per oggetto il teatro attraverso la storia ed il suo rapporto con il potere. L’evento scenico si basa su due elementi principali: l’attore e lo spettatore e più precisamente sulla relazione che li lega. Mentre l’attore rappresenta un corpo in movimento, in cui si intrecciano parola e gestualità, con precise finalità espressive e narrative, lo spettatore è il fruitore attivo e partecipe dell’avvenimento, che ne condiziona l’andamento e decodifica l’espressività dell’evento artistico. E’ sulla scia di tali riflessioni che la sala convegni della Provincia ha visto la proiezione di un video, andato in onda su Rai International, sulla commedia dell’arte nel mondo, per la regia di Mario Mattia Giorgetti che ha curato l’introduzione dei lavori - dopo il saluto del presidente della Provincia Franco Antoci - proponendo un ampio ed articolato profilo storico del teatro con particolare riferimento al contesto storico, sociale, culturale in cui si è mosso nei secoli. La seconda parte della serata, presentata da Rosanna Bocchieri, coordinatrice regionale della fondazione Carlo Terron, ha visto come protagonista lo scrittore e drammaturgo siciliano Claudio Forti attraverso la lettura di stralci della sua recente opera teatrale, “Le donne delle notti di luna”, che andrà in scena il prossimo anno e che prende spunto dalla reale e triste vicenda di una donna vissuta nella Scicli del XVII secolo e ingiustamente accusata di stregoneria dal Tribunale dell’Inquisizione. Una storia amara dai risvolti umani e sociali magistralmente interpretata dall’attrice Donatella Lotta che ha affascinato e coinvolto il pubblico presente travolto anche dalla possente voce di Giorgetti.

«Abbiamo proposto questa iniziativa – spiega Rosanna Bocchieri – per valorizzare il territorio ibleo e coinvolgere il pubblico in un viaggio attraverso storie vere e immaginarie che si muovono in un eterno presente. Protagoniste emblematiche di questo viaggio sono le donne».

 

 

 

L’identità di una Sicilia terra di immigrati ed emigranti

tema di concorso fotografico

In un’immagine l’integrazione dei “San Ghgiuvannari”

 

«Un concorso fotografico che ha come finalità quello di spronare gli animi e lasciare un messaggio attraverso l’immagine fotografica». E’ sulla scia di tale riflessione che lo studente ragusano, Davide Moltisanti, immortalando con un click un fotogramma di vita quotidiana, ha conquistato il primo premio del concorso fotografico “Liberarte 2009” tenutosi nel capoluogo etneo. Giunto quest’anno alla seconda edizione, il concorso ha lo scopo di spronare gli animi e lasciare un messaggio attraverso l’immagine fotografica. Il tema assegnato, rivolto a tutti gli studenti della regione Sicilia, su cui si è brillantemente cimentato Davide Moltisanti, è stato quello su “Sicilia terra di emigranti ed immigrati, integrazione e identità. Una problematica assai delicata e di cocente attualità che Davide ha saputo interpretare dando un suo originale tocco fotografico immortalando i suoi “San Ghiuvannari” (foto tratta dal sito www.davidemoltisanti.com), inquadrati in un piccolo scorcio dello splendido scenario in cui è immersa Piazza San Giovanni di Ragusa, rendendo protagonisti alcuni anziani insieme a due ragazzi di colore che sorridono in perfetta integrazione con l’ambiente circostante.

Un linguaggio fotografico sobrio, in bianco e nero, quello di Davide, in cui il mezzo figurativo ed espressivo si fondono per dare origine ad una “riproduzione” della realtà visiva e genuina nel suo divenire.

Suddiviso in tre categorie, il concorso ha cercato di diffondere ogni informazione utile allo sviluppo culturale e sociale del territorio, stimolando la partecipazione di tanti giovani.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

DICEMBRE 2009

 

 

 

 

Appuntamenti culturali del Caffè Letterario Quasimodo

Presentato il romanzo “Fuori gioco” del giornalista Salvatore Scalia

 

 

   “…Nel romanzo di Turi Scalia intravedo tre livelli di lettura: uno socio-antropologico, l’altro etico e, non ultimo, letterario. Tre livelli che si integrano nell’unità di una narrazione molto efficace e puntuale. Nel primo ambito emerge il giornalista, nel secondo la coscienza critica dello scrittore che coglie i problemi profondi della società del nostro tempo, nel terzo, infine, affiora la tecnica letteraria dell’autore. Tre livelli che sono fortemente presenti nel testo e che si compenetrano dando un affresco di fatti ed avvenimenti sapientemente narrati”. Questo l’incipit di Domenico Pisana, Presidente del Caffè Letterario Salvatore Quasimodo di Modica, alla presentazione della recente fatica letteraria dello scrittore e giornalista etneo Salvatore Scalia, “Fuori gioco. Vita bruciata di un calciatore di provincia” (Marsilio Editori, 2009, pp. 127), tenutasi presso la sala convegni del Palazzo della Cultura. Una serata all’insegna della cultura, inserita nell’ambito degli incontri, dal titolo “Sabato letterario”, promossi e curati dalla menzionata Associazione, in sinergia con il Comune. Ad arricchire l’evento è stata la presenza di illustri relatori, Carmelo Arezzo e Gino Carbonaro (critici letterari) con Marinella Fiume (scrittrice), i cui articolati e ben calibrati interventi sono stati intervallati dalla lettura di alcuni brani tratti dal volume di Scalia, proposti dagli attori Daniele Cannata e Alessandra Pitino (Compagnia Teatrale Hobby Actor’s) e brillantemente infarciti dalle note musicali del maestro Gianluca Abbate al pianoforte.

   “Il titolo, rubato dalla regola principe del calcio - spiega Domenico Pisana, dopo i saluti del sindaco - diventa metafora della vita del protagonista, Paolo, un ragazzo disadattato che si accorgerà troppo tardi di aver vissuto in un mondo tutto suo. La vita perduta di chi ha sempre vissuto nell’attesa: prima della fama, e poi di un posto di lavoro, sognando che il suo amore sia ricambiato. Da espressione calcistica a fallimento esistenziale, sta qui la cifra di questo romanzo”. Una storia singolare con al centro una Sicilia periferica da cui si sviluppa, attraverso la brillante penna di Scalia (che vive di giornalismo e dirige le pagine culturali del quotidiano “La Sicilia”), un romanzo di formazione, alla scoperta del bene e del male, delle illusioni e della crudezza di un mondo molto spesso ostile e incomprensibile. L’architettura narrativa dell’autore, etneo di Mascalucia, è capace di rievocare con precisione il passato, la sua terra, gli odori, i colori in un mirabile assemblaggio che può essere “gustato” come un dipinto. E’ sufficiente leggere alcune righe affinché il lettore venga “rapito” dall’intensa e vibrante narrazione: “La mattina dell’ultima domenica di novembre del 1969 Mascalucia è immersa nel torpore, le casette, grigie e rosse, sono sbarrate, i negozi chiusi, i caffè vuoti e le piazze deserte”; e ancora: “Le rocce, ammassate dalle ruspe nello spazio tra i nuovi gradoni e il vecchio muro di cinta, hanno perduto maestosità e intimità. Divelte e spostate da siti che occupavano da secoli, rovesciate… Rovi, fili d’erba e ginestre… spuntano da ogni minimo varco”. E’ una superba pennellatura che l’autore dà del paesaggio ai piedi dell’Etna e che la speculazione edilizia progressivamente divora insieme alle memorie antiche. Un territorio che vive all’ombra del vulcano di cui avverte la “presenza inquietante, spaventosa e, nel contempo, affascinante”, come ha sottolineato Gino Carbonaro disquisendo sulla peculiarità dell’architettura narrativa che Scalia dà in ogni sua opera e che si nota a partire dal “Vulcano e la sua anima” (presentato a Ragusa nel lontano 1990).

   “Fuori gioco” offre una versione rovesciata del mito del calciatore, ha evidenziato Carmelo Arezzo. Il tanto desiderato successo viene solo sfiorato trasformandosi in repentina sconfitta. Il tutto mirabilmente narrato con un “procedimento stilistico di rara efficacia espressiva” e, in buona sostanza, con un lirismo efficace, dolente e con risvolti farseschi di una storia vera. Nelle sue pagine si avverte la lezione di Verga e Pirandello, di Sciascia e Brancati, come più volte messo in evidenza anche dalla scrittrice Marinella Fiume, nel corso del suo articolato ed esaustivo excursus letterario, raffrontando Scalia con grandi come Saba, Leopardi, De Filippo che hanno anch’essi trattato la tematica calcistica nelle loro opere. A conclusione della serata è stato consegnato un attestato di riconoscimento a Salvatore Scalia per aver narrato la storia di Paolo, “una sorta di personaggio clinico sul quale punta i riflettori di una inchiesta socio-morale necessaria per capire il giovane uomo che sognava gli stadi esaltanti, che amò soggiogato dall’amore, che vive marchiato dalla vita”.

 

 

 

 

L’appuntamento della domenica

Mio caro Diario…

 

«Mio caro Diario, oggi il quindicinale INSIEME compie il suo 25° compleanno. Anche se tanto tempo è passato, è sempre giovane. Con la sua nuova veste grafica più giovanile e più snella punta l’inserimento verso un pubblico di lettori sempre più numeroso. Da quest’anno, la distribuzione gratuita in tutte le parrocchie della diocesi, ha fatto in modo di entrare in ogni famiglia. Anche mia zia Pinuccia, signorina anziana ma ancora di un bello aspetto, lo trova interessante perché la informa sui fatti della sua parrocchia. Lo segue anche mio cugino Carmelo che da un bel po’ si trova fuori Sicilia per motivi di lavoro.

In parrocchia so che è seguito, perché, a fine messa, specie la domenica, mio papà controlla il solito angolino per vedere se viene posto in bella vista per le persone che mostrano interesse. Quando non lo trova corre a dare una mano al parroco affinché lo si spacchetti.

Quest’anno per INSIEME saranno necessarie 25 candeline. Però, al posto delle candeline, sulla torta si potrebbero inserire tante bandierine di tutte le nazioni e al centro due pupazzetti che si danno la mano in senso di amicizia. Un segno, un saluto fraterno che è anche universale perché allontana la babele che è nel nostro cuore.

Adesso, caro Diario, ti lascio perché si è fatto tardi. Mi debbo recare dal mio amichetto Youssef per fargli compagnia. Sua mamma ritorna tardi dal lavoro.

Dimenticavo: “Caro Gesù Bambino, fai che per questo Natale il mio amichetto Youssef possa imparare a leggere senza difficoltà i messaggi che sua mamma lascia sui pezzettini di carta la mattina presto prima di andare a lavorare nei campi al freddo e al gelo”».

 

 

 

 

L’omaggio a Ettore Scola di Alida Pardo

 

“La delicatezza del tratto… nelle composizioni di Alida Pardo, diventa indiscussa eleganza che declina la bellezza…”. E’ questa, in estrema sintesi, la caratteristica pittorica di Alida Pardo, giovane artista palermitana, che, diplomata all’Accademia di Belle Arti, si è innamorata tanto degli iblei da mettere su radici. Assecondando la sua passione artistica ha partecipato a non poche esposizioni collettive raggiungendo dei risultati sempre più brillanti.

Dopo il successo ottenuto un anno fa con la partecipazione ad una collettiva in terra modicana, quest’anno, mettendo a frutto una ulteriore ricerca e sentire pittorico, Alida Pardo si è voluta presentare al pubblico ragusano con una mostra del tutto particolare che si colloca tra arte, visione e cinema. E non poteva essere diversamente visto che l’esposizione, posta nell’ambito del Costaiblea Filmfest, rassegna cinematografica siciliana divenuta un punto di riferimento per gli appassionati di filmografia siciliana e nazionale, presso i locali del cinema Lumière di Ragusa, ha per tema “Lo sguardo e il suo doppio. Omaggio a Ettore Scola”. Il catalogo, curato dal critico Andrea Guastella, con testi di Aldo Gerbino e Giovanni Occhipinti, si presenta con una veste grafica che richiama le opere della Pardo ispirate ai lavori del regista Ettore Scola.

Il percorso espositivo, visitabile fino al 22 dicembre, si rifà a “quei momenti speciali” che le sequenze cinematografiche offrono al pubblico. Un viaggio fantastico dentro i fotogrammi, piccole cellule di vita, che raccontano la vita anche se questa sta altrove. Il cinema è finzione che riproduce la realtà, come uno specchio in cui le immagini sono destinate a infrangersi e, infine, a dissolversi. Metafora tragica, quella dello specchio. Attraversarla significa passare dalla parola al silenzio. “Perché a dispetto dell’apparenza lo specchio ci volta costantemente le spalle, restituendoci al mistero che da sempre ci abita”. E’ questo il significato intrinseco che Alida Pardo vuole mostrare attraverso “luci e ombre memori delle storie passate… cercando di riviverne i pensieri e le emozioni”.

 

Giuseppe Nativo

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