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Nicastro Luciano, Filippo Pennavaria e Ragusa prima e durante il fascismo. Presentazione di Carmelo Modica. Formato 14x20, Rilegatura a quaderno, pp. 64, Modica 2008, 978-88-89211-25-0.

(Dalla presentazione di Carmelo modica)

Sarei un ipocrita se non dichiarassi subito che il personaggio Pennavaria mi è antipatico per due motivi.

Il primo è un (ri)sentimento dovuto alla mia modicanità che mi impedisce di accettare lo “scippo fascista” operato da Ragusa nei confronti della mia Modica grazie all’opera decisiva del Pennavaria.

Il secondo perchè Pennavaria rappresenta, con il suo comportamento, l’archetipo dell’opportunista privo di un sistema di pensiero coerente: tanto violento, fascista e deciso negli anni ’20 quanto accomodante ed attendista dal 26 luglio 1943, quando il Fascismo iniziò l’inesorabile tramonto, e fino ai suoi impegni politici (o politicanti?) nell’Italia repubblicana.

Ho comunque accolto, davvero volentieri, l’invito del professore Luciano Nicastro a pubblicare il suo “Filippo Pennavaria e Ragusa (prima e durante il fascismo)”, perchè è scritto davvero bene ed in una forma godibilissima.

Il personaggio le sue vicissitudini ed i suoi atteggiamenti mentali e politici vengono utilizzati dall’autore fuori dagli schemi consueti del Fascismo e dell’antifascismo in intelligente aderenza a certi canoni che sembrano caratterizzare lo spirito dei tempi che ad iniziare da Renzo De Felice sembra voler consegnare alla Storia, alla vera Storia, i singoli fatti del periodo fascista interpretati fin ora in maniera faziosa per obiettivi di lotta politica.

Lo studio del prof. Nicastro  non nasce solo dall’”inquietudine dello storico” del filosofo Melchiorre da egli invocata, ma anche dall’ansia di porre ordine nella storiografia iblea ponendo mano ad “Una grande storia di Ragusa” per definire le coordinate di una identità collettiva della città.

Io credo che questa ricerca per essere più efficace deve fare riferimento alla storia delle popolazioni dell’intera provincia, e tentare di ricucire alcuni strappi che ancora rimangono nella memoria, direi ancestrale, delle nostre Comunità.

Un lavoro di ricerca, quindi, che secondo me deve essere elaborato con la consapevolezza di avere i politici quali attori inquinanti, poichè non riescono, per pigrizia mentale, a prendere atto che la verità storica si imporrà oltre i luoghi comuni imposti dalla faziosità e dal tornaconto partitico.

E’ in questa ottica che secondo me dovrebbe essere ulteriormente indagato anche lo scenario generale in cui il Prof. Nicastro inquadra la sua biografia di Pennavaria.

Mi riferisco alla violenza fascista, che precedette la marcia su Roma. Essa certamente fu determinata, ampia e senza limiti, e non poteva essere diversamente, avendo avuto come “attori” gli ex combattenti che dalla trincea avevano acquisito  quella carica di violenza che solo la guerra vissuta riesce a dare e che non è valutabile da chi vorrebbe farlo in pantofole davanti alla tastiera di una macchina da scrivere; ebbene, rappresentarla come una violenza gratuita e non anche come una reazione ad una violenza di matrice socialista è decisamente riduttivo.

Esistono studi seri sul cosiddetto “biennio rosso”che evidenziano che subito dopo la rivoluzione leninista del 1917, in Italia scoppiarono tafferugli e scontri, voluti proprio dai socialisti che aspiravano a fare diventare la nostra Italia un Soviet sul modello dell’URSS.

Dal 1919 al 1922, i socialisti trucidarono più di 850 persone in nome della loro tentata rivoluzione, la maggior parte delle quali simpatizzanti per il neonato Fascismo! E tale numero supera i duemila, se si considera anche l’anno 1918, ovvero quando il Fascismo non era ancora nato.

Altrettanto riduttiva ci sembra l'assenza di ogni collegamento tra la violenza fascista ed i modi, gli atteggiamenti, i comportamenti, gli slogans, i riti, i miti e le violenze dei bolscevichi russi che i socialisti italiani, nel loro agire, imitarono "in differita di due anni" per cercare di realizzare in Italia, ciò che era avvenuto in Russia, il socialismo sovietico.

Da questo punto di vista le analisi del Prof. Uccio Barone, Ordinario di storia moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Catania, citato dal Nicastro, diventano poco illuminanti quando individuano una analogia e similitudine tra il fascismo ibleo e quello padano, “squadrista e violento che si scontra, così come nella pianura padana, con le forze del movimento operaio e contadino.” Queste analisi secondo me appaiono più un desiderio di originalità che l'esito di una ricerca seria; ed illuminano pochissimo quando saltano a piè pari la violenza socialista che è posta in buona evidenza anche nel rapporto Lutrario che indagò sul conflitto di Modica del 29 maggio 1921 che provocò la morte di nove socialisti.

D’altra parte coloro che parlano di squadrismo gratuito appartengono a quella genia culturale che il 29 novembre 2005, impedirono a Marcello Veneziani di ricordare Giovanni Gentile all'università di Pisa ed il 17 gennaio 2008 a Sua Santità Benedetto XVI di tenere la sua  lectio magistralis presso la Sapienza di Roma dove era stato invitato dal Magnifico Rettore.

Per quanto abbiamo scritto all’inizio, pur non essendo questo il tema principale del lavoro del Nicastro, di certo è un elemento estremamente importante nell’obiettivo di fondo della biografia del Pennavaria che mi sembra essere quello di voler costruire una storia condivisa.

 

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