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2010

 

Gennaio 2010

Antonello Buscema nella vita di tutti i giorni

 

Febbraio 2010

Risposte dell’Assessore al centro storico ad un modicano a buon motivo diffidente.

 

marzo 2010

La malapolitica è il nostro destino di modicani?

 

Aprile 2010

I sicani lontani parenti degli Atzechi?

(In margine al convegno sullo sviluppo di Modica alta)

 

Maggio 2010

Chiudo la rubrica ma mantengo l’arma al piede

 

Giugno

A colloquio con la tastiera del mio computer

 

Ottobre

Monserrato:la cultura imbrigliata nel filo spinato della malapolitica

 

Novembre

Alla cerca dei pupari modicani: Chioserò i professori Pisana e Terranova.

 

Dicembre

Cultura e “disinformatia” modicana!

 

 

 

Antonello Buscema nella vita di tutti i giorni

Se il politico, prendendo nota della richiesta della vecchietta residente nel quartiere, diciamo, di S. Teodoro, di far sostituire la lampadina fulminata, avesse preteso dalla Giunta proletaria, di cui faceva parte, la punizione del super dirigente dell’ufficio manutenzione per non aver né monitorato né eliminato autonomamente il disservizio; se l’addetto al patronato avesse fornito, sempre alla stessa vecchietta, tutti i ragguagli per la sua pensione sociale, accontentandosi dei soldi che lo Stato, quindi anche io, gli da per tale servizio; se tutto questo fosse avvenuto noi avremmo avuto un Politico serio, un addetto al patronato coscienzioso ed una vecchietta contenta ed orgogliosa cittadina di un Comune in cui è rimosso ogni ostacolo al suo efficiente funzionamento.

Se, invece, il politico dopo aver fatto sostituire in via “amichevole” dall’impiegato comunale “riconoscente”, la lampadina chiede alla vecchietta, per riconoscenza dovuta, il voto per essere eletto; se l’addetto al patronato, peggio se proletario, per il servizio reso, chiede alla vecchietta  il voto per il boss politico che lo tiene in quel posto; se avviene tutto questo noi abbiamo non un politico ma un politicante, non un coscienzioso impiegato di patronato ma il servo di un boss politico, non un servizio manutenzione efficiente del quale essere orgogliosi, ma l’insieme di una massa di impiegati comunali senza dignità, non una vecchietta cittadina orgogliosa, ma una vecchietta strumento inconsapevole di delinquenti politici.

Si, ripeto, delinquenti politici, perché il politicante utilizza il disservizio istituzionalizzato per creare riconoscenza e clientelismo; l’impiegato del patronato trasforma un atto dovuto in strumento di clientelismo; l’impiegato amico favorisce il politicante al quale è riconoscente per l’assunzione, per qualche ora di straordinario, per un incarico comodo e perché “una mano lava l’altra e tutte due lavano il viso e piacere fatto non va perduto”.

Questa è l’immagine forse anche la metafora di un sistema culturalmente corrotto e corruttore, impraticabile per chi volesse seguire la logica e la normalità. Un sistema che manifesta, nella vita di tutti i giorni, tutta intera la sua degradazione attraverso una struttura burocratica scassatissima.

L’inefficienza non è voluta ma è pur vero che la malapolitica, d’istinto ne sfrutta l’utilità, perché avverte che l’inefficienza costringe il cittadino non a pretendere un diritto ma ad elemosinare un piacere che poi “pagherà” con il voto al politico del quale è divenuto cliente.

Ha delle colpe Antonello Buscema? E’ un problema che viene da lontano. Antonello Buscema sta maturando però, anche lui, le colpe dei suoi predecessori. Perché se è vero che cominciò la Democrazia Cristiana è pur vero che sono seguiti, inutilmente in tutti i sensi, ben 17 anni di social-comunismo prima dell’”Era petruzzana”, madre di tutti gli sfasci.

Adesso seguirà, inutilmente anche quella di Antonello Buscema. Infatti, non esiste un solo provvedimento di Antonello Buscema che indichi segni di discontinuità rispetto al passato.

Non vi è dubbio che certa sinistra solo adesso per la prima volta si sente perfettamente rappresentata da Antonello Buscema.

Una nuova sinistra per la quale prevedo, alla fine dell’esperienza Buscema, un bilancio deludente e nettamente non corrispondente alle arie di supponenza che si dava, un giorno si e l’altro pure, nei confronti della giunta Torchi.

Già sappiamo quale vocabolario utilizzerà questa nuova sinistra per evidenziare il tenace lavoro svolto e gli splenditi “salvataggi e risultati realizzati sulle macerie lasciate dagli altri”. Non occorre essere oracoli: i primi segni si avvertono negli scritti degli intellettuali che sostengono Antonello Buscema che sembrano evocare climi di “santo subito” nei suoi confronti, cantando le lodi di un modo di essere della città che nessuno, tranne loro, vede rivoluzionato rispetto al passato come i toni trionfalistici vorrebbero propagandare. Di diverso, allo stato attuale, sono solo le cartelle di pagamento dei rifiuti solidi urbani.

La misura della qualità politica è la vita di tutti i giorni.

Il normale è normale: per eccellere occorre stupire. Nell’attuale situazione ciò che stupisce è la incredibile sicumera con la quale viene rappresentata la realtà dai giullari di regime.

E’ vero che nei momenti di decadenza il normale viene percepito come clamoroso, ma chi vuole vendere la normalissima attività amministrativa (necessitata si, ma sempre normalissima), come stupore o ci marcia oppure è egli stesso irrecuperabile espressione dello scadimento.

Solo vivere questa condizione culturale non fa apprezzare che l’attuale amministrazione sta facendo l’unica cosa che era possibile fare senza parlare di eccezionalità.

Esisteva la possibilità di fare una politica economica diversa da quella che sta facendo questa amministrazione? Io credo che la stessa allegra brigata di Torchi non avrebbe potuto fare cose diverse.

Una famiglia si può indebitare fino a quando non viene sputtanata, poi non troverà nessuno disposto a farle credito di un solo centesimo.

Ed allora perché questa Giunta non dice che non sta applicando una ricetta politica magica ma semplicemente ciò che doveva essere fatto e che si sta muovendo nell’ambito della normalità?

Perché non fare riferimento al giusto al bello alla normalità anziché sollecitare  l’applauso non appena può esibire un risultato appena migliore di quello conseguito da Torchi che ha eletto ad unità di misura e riferimento, correndo il pericolo di sentirsi dire da persone normali come me che  fare meglio di Torchi è la cosa più semplice del mondo?

Il bene è un valore assoluto oppure un essere migliore del male? Il ruolo di Buscema è quello che i tempi richiedono e così dopo la forzata opera di risanamento economico torneranno i figli di Terranova, di Ruta,  di Torchi, di Minardo, di Scivoletto, di Drago, di Carpentieri ed infine i figli di Buscema, per riconcludere un ciclo che è l’unico conosciuto di una casta politica incapace di andare oltre la propaganda.

La cosa gravissima è che questa situazione degradata non è l’esito voluto di un’azione politica; ne potremmo essere felici, perché sarebbe determinata con la consapevolezza di perseguire il male e, quindi, esisterebbero da qualche parte i riferimenti culturali per virare il timone verso mari di buon governo lasciandoci, così, la speranza di un futuro degno. (carta bianca gennaio 2010)

 

 

 

 

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Risposte dell’Assessore al centro storico ad un modicano a buon motivo diffidente.

 

In queste ultime settimane corre voce nella nostra città che l’Amministrazione vorrebbe riprendere alcune idee contenute nel “Progetto per la mobilità” redatto dall’ing. Ciuffini nell’ultima giunta Ruta. Il progetto prevede la realizzazione di scale mobili, ascensori e metropolitane di superficie ed è a me molto caro perché evoca la qualità politica molto rara di pensarla alla grande. Questa Amministrazione non ha simili qualità culturali, basti pensare all’obbrobrio della  progettata risistemazione di viale Medaglie d’oro e all’idea di trasformare, nel pieno centro storico, un luogo di cultura quale la scuola di S. Marta in una “cento vetrine modicana”.

Nonostante queste mie convinzioni, ma forse con la segreta speranza di essere smentito,  ho incontrato l’ing. Elio Scifo Assessore all’Urbanistica - Sportello Unico - Centro Storico - Protezione Civile - Innovazioni-Patrimonio, al quale ho rivolto alcune domande. Riconosco ad Elio Scifo un’ansia in questa direzione anche se alcune volte è stato oggetto negli anni passati di qualche mia critica.

 

Assessore lei ha la delega anche al “Centro Storico” quale sono le opere indicate dall’ing. Ciuffini nel suo progetto che vorreste privilegiare?

 

L’amministrazione, considerato che a giorni usciranno i bandi per l’assegnazione dei fondi Europei, vuole riprendere il progetto per la mobilità alternativa redatto dall’ing. Ciuffini nell’ultima Amministrazione Ruta. In particolare vuole realizzare il collegamento tra Modica Bassa e Modica Alta, mediante l’utilizzo di un ascensore, realizzato in parte in galleria ed in parte all’esterno, che dovrebbe collegare Viale Quasimodo con la Via N. Barone. Ciò eviterebbe agli abitanti di Modica Alta, utilizzando un bus navetta, di utilizzare l’auto per recarsi nella parte bassa della Città.

Un’altra opera importante per la mobilità è la realizzazione di una funivia che dovrebbe collegare il piazzale della Madonna delle grazie con la “Vetta” di Monserrato, dove verrà realizzato un parcheggio per auto, da qui  partirebbe una metropolitana di superficie fino al piazzale Baden Powell. Questo sistema consentirebbe agli abitanti del quartiere S. Cuore di raggiungere il corso Umberto senza l’utilizzo della macchina.

Come è facilmente intuire, questi  sistemi sopra descritti, decongestionerebbero il centro storico dalla presenza di auto, e si potrebbe più facilmente realizzare l’isola pedonale.

 

Assessore, converrà con me che esiste un fortissimo contrasto tra questo suo volare alto,  che condivido in maniera entusiastica, ed un’Amministrazione che, per quanto fa nella vita di tutti giorni, sembra decisamente inadeguata a realizzare simili progetti.

 

Per risolvere i problemi quotidiani della città (manutenzione rete idrica, fognaria, immobili comunali, strade ed altro), occorrono risorse finanziarie che possono essere attinte solo dal bilancio comunale, cosa che come è ben noto sono difficili da reperire. Per realizzare, invece, le opere viarie sopra descritte dobbiamo attingere ai fondi europei, con la speranza che arrivino!

 

Assessore corre voce che questi progetti servirebbero per dare laute parcelle a professionisti più o meno amici ed a null’altro. Converrà che è difficile eliminare questo pregiudizio considerato che esso trova riscontro nel nostro passato.

 

Il progetto dell’ascensore è stato già redatto e va solo modificato; per le restanti opere occorrono preventivamente solo progetti preliminari, con bassissimi costi di realizzazione. I successivi progetti esecutivi, da affidare a professionisti esterni con un bando europeo pubblico, saranno remunerati con i finanziamenti.

 

Dalle colonne del “Corriere di Modica” Arturo Belluardo, quel grande modicano che trasudava amore per la nostra Modica in ogni suo atteggiamento, parola e scritto, lanciò l’idea di una strada sotterranea sotto Corso Umberto. Nel 1982 offrì agli abbonati del suo “Corriere…” un libretto di 50 pagine intitolato “Per una strada sotterranea a Modica” Editrice "Corriere di Modica"

 

 

Si ho quel libro di Arturo Belluardo. Proprio partendo da quella idea ed utilizzando le nuove tecnologie ci stiamo muovendo. In atto l‘alveo esistente sotto il Corso Umberto, per la sua ampiezza ed altezza, può consentire il passaggio di autovetture, detto alveo quindi può essere utilizzato per collegare la parte finale del Viale Medaglie D‘oro con S. Francesco alla Cava, e quindi di bay passare il Corso Umberto per poterlo trasformare in isola pedonale. La difficoltà della realizzazione dell’opera sta nel fare coesistere il passaggio dell’acqua con i mezzi meccanici. Questo problema, come ci ha spiegato l’ing. Ciuffi , è stato già affrontato e risolto a Kuala Lumbur per una galleria di diversi chilometri, quindi per noi, data la lunghezza del percorso, e la piccola portata dei torrenti, la risoluzione del problema è più facile. Basta crederci e volerlo. Io ed il Sindaco ci crediamo.

L’utilizzo dell’alveo e la realizzazione delle due opere sopra descritte, nonché la realizzanda strada alternativa al Corso Umberto, che inizia dal ponte S. Giuliano, passa dalla Giacanta, collegando Corso Mazzini e sbocca alla Mista, consentirebbe di realizzare, nel Corso Umberto, una vera isola pedonale, anzi diventerebbe tutta una piazza e sarebbe utilizzato solo in caso di troppa precipitazione di acqua ,che comporterebbe la chiusura del transito sotterraneo.

Per la realizzazione dell’opera, abbiamo contattato l’esperto prof. Ing. Ciuffi e abbiamo iniziato una serie di incontri con gli Enti preposti alle varie autorizzazioni, il percorso è già iniziato.  

 

In fondo a via Quasimodo pare che sia stato approvato un progetto che seppure di pochi piani, andrebbe ad “inquinare” il paesaggio della nostra cara città. Ci vuole dire cosa ha fatto l’Amministrazione per opporsi e quale è la situazione in diritto?

 

Questa area ricade in zona B del PRG con destinazione edificabile. Il cittadino ha ottenuto tutti i pareri necessari (Genio Civile, per la presenza del torrente ed il flusso delle acque; Soprintendenza che ha imposto alcuni vincoli ed ufficio Urbanistica). Sia il Sindaco che il sottoscritto abbiamo verificato ed accertato con un sopralluogo nei luoghi oggetto di costruzione, alla presenza della Soprintendenza e del Dirigente dell’ufficio tecnico, la regolarità dell’intero procedimento amministrativo.

L’unica possibilità per non realizzare la costruzione è quella di predisporre, per quel sito, un progetto di pubblica utilità, espropriando e pagando il terreno, cosa in atto impossibile per le casse comunali.

 

 

Approfitto della sua disponibilità e del suo alto tasso di modicanità per chiederle: perché non affianca all’idea della strada sotterranea quella di intitolarla ad Arturo Belluardo, magari ripubblicando il suo libretto ed organizzandoci attorno un convegno. Le assicuro che se lo farà io verrò per porre in relazione il grande amore di Arturo Belluardo per la nostra Modica con la idiozia politica di chi vorrebbe distruggere la natura di Polis della nostra città dividendola in due.

 

Prendo atto della sua proposta presentandola al Sindaco e cercheremo di realizzare la sua iniziativa.

 

Assessore l’argomento è molto interessante. Considero questo solo un primo approccio, anche perché il parlare di urbanistica è divenuto l’unico modo per parlare di politica e di visione del mondo. Mi farò sentire… buon lavoro. (carta bianca febbraio 2010)

 

 

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La malapolitica è il nostro destino di modicani?

 

Recentemente per dare il mio contributo alla definizione di un evento culturale che si sta tentando di organizzare, sono stato costretto, per un atto di stima nei confronti dell’autore a rileggere, questa volta in maniera molto più approfondita, due libretti con i quali il dott. Chiaula ha ricostruito la vicenda del “Mistero dei nove”, un episodio accaduto e definito in 21 giorni nel settembre del 1860.

Verso le tre del mattino del tre settembre 1860, certo Giuseppe Vicari, mentre si trovava coricato nella “mandra”, uno dei fabbricati dei tanti che costituivano la sua masseria, in contrada Zappulla, venne “assaltato” da nove persone che minacciandolo con una pistola ed uno coltello gli imposero di far aprire la porta di casa dalla moglie e dai due figli che si trovavano dentro il fabbricato destinato all’abitazione, perché fosse loro consegnato tutto il denaro posseduto.

Mentre gli assalitori si davano da fare per scassinare le imposte della casa i familiari praticavano una fenditura nel tetto e fuoriusciti da esso invocarono aiuto gridando, il che attirava loro una fucilata a vuoto dagli assalitori.

Gli assalitori forzati gli infissi entrarono e si impossessarono di  “onze sedici e rotti” ed un paio di “pendaglie” d’oro del prezzo di onze 1,6.

Le “voci” dei familiari del Vicari dal tetto furono sentite da persone delle campagne vicine, che cominciarono  a sparare fucilate che indussero la comitiva a lasciare il Vicari e ad allontanarsi. In 21 giorni i nove venivano arrestati, processati, condannati a morte e fucilati nei pressi del cimitero di Modica Alta di Via Loreto Gallinara.

La mia riflessione sul fatto è andata oltre l’analisi del dott. Chiaula che da magistrato ha analizzato la vicenda relazionandola al sistema giuridico in vigore in quel momento storico ed in particolare ai decreti del dittatore Garibaldi.

Partendo dalla banale constatazione della irragionevole  sproporzione tra reato e condanna, che mi è apparsa in verità subito criminale, ho cercato di ricostruire la identità culturale e politica della congrega che aveva posto in essere tale crimine.

Più meditavo sull’evento più mi rendevo conto di come l’episodio dovesse essere collegato a quei momenti in cui l’uomo si abbrutisce al punto da fargli commettere delle vere e proprie atrocità, tanto animalesche da non poter trovare spiegazione alcuna.

Ne è venuto fuori un racconto, che pubblicherò in libello,  che si svolge nell’arco di cinque mesi che ho definito “Dittatura De Leva” in cui sono presenti tutti gli elementi di un thriller politico.

E’ presente una struttura di potere senza  scrupoli, un Don Calogero ed un oppositore interno che dispone anche di “militi deviati”. La struttura si completa e si sostiene con una serie di personaggi minori, capi o rampolli delle famiglie nobiliari che costituivano, attraverso imparentamenti fra loro (al limite dell’incesto) la più grande “famiglia” della nobiltà tout court; famiglie che avevano imposto il modello che misurava la nobiltà nella quantità di ville in campagna, case signorili in città, salme di terreno e nel diritto e dovere di nobile, di toccare il sedere alla prosperosa criata di famiglia.

In tale ambiente l’episodio dei nove supera la sua intrinseca bestialità per divenire chiaro strumento di misura di qualità politica.

Alla fine del racconto non appaiono possibili spiegazioni ma solo gli scenari in cui si mossero i De Leva, i Giardina, i Papa, i Vernuccio che oltre a scrivere in maniera nefasta la storia locale di quel tempo sembra abbiano tracciato un immodificabile canovaccio del vivere dei potenti.

Infatti un elemento che emerge è la sconvolgente somiglianza di quel sistema con il clima politico dei tempi attuali, tanto che ho individuato in Tommaso  Rizzone il padre della genia dei voltagabbana che avrebbe appestato ed infetta la politica modicana perché in meno di 27 giorni da Sindaco Borbone è divenuto presidente del comitato di Annona nel nuovo sistema liberale. Non mancano neanche episodi di nepotismo che, quando si potrà leggere il libello, faranno fischiare le orecchie ai nostri Drago Minardo, Scivoletto e Carpentieri. E’ presente anche la delinquenza politica anche se, invece, di assassinare fisicamente uomini ha scelto la via del peculare, realizzare falsi ideologici, querelare e minacciare di querela, farsi indagare per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro, realizzare società di comodo, gestione clientelare delle autostrade siciliane,  associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata in danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ed estorsione.

I nostri attuali delinquenti politici non hanno assassinato come i colleghi del 1860 nove umili appartenenti al popolo modicano ma hanno ucciso la coerenza, la sobrietà, la competenza, l’impegno, l’onestà intellettuale, l’umiltà, il disinteresse, il bene della Comunità, il senso del dovere: nove qualità politiche, culturali e caratteriali essenziali.

Per il resto sto cercando di capire chi nello scenario modicano del 2010 sta svolgendo il ruolo che nella “dittatura De Leva” hanno svolto i “militi deviati” di Francesco Giardina.

 

 

Pillole antitotalitarie

Gli uomini dalla razza sfuggente (Evola) esaltano la scomparsa delle ideologie attribuendogli anche il merito di esemplificare la politica che favorisce l’efficienza e la stabilità di governo. L’efficienza e la stabilità di governo la stiamo ancora aspettando mentre il disimpegno dal dovere di dare un senso alle cose, di obbedire a principi di coerenza e di onestà intellettuale e di essere portatori di un sistema di pensiero organico è cosa fatta per la nostra casta politica.

Per i nostri politicanti far scaturire da tutto ciò anche uno sbrigativo dissolvimento della destra e della sinistra diviene consequenziale ed estremamente utile perché consente di creare un clima culturale di un condivisibile spirito dei tempi immunizzante per chi vuole voltagabbanare per meschini interessi personali.

Destra e sinistra sono scomparsi, è il nuovo grido di battaglia.

Poi ti capita di leggere che lo scrittore di sinistra Vincenzo Consolo ritira la presentazione al nuovo dvd di Roberto Saviano, perché ha definito suoi Maestri gli autori di destra Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Céline, Carl Schmitt, Julius Evola e pensi che ciò sia dovuto ai suoi 77 anni.

Poi, però, succede che Andrea Cortellessa critico letterario, storico della letteratura e ricercatore all'Università Roma Tre all’età di appena 42 anni  ha mosso obiezioni allo compagno-scrittore Paolo Nori  solo perché ha deciso di scrivere sul quotidiano “Libero” giornale di destra e ti chiedi cos’altro pretenderà costui all’eta di 77 anni.

Dopo queste due notizie trascuri le critiche mosse a la “La Stampa” per aver ospitato lo scritto di  Piero Buscaroli “Dalla parte dei vinti”, cioè dei fascisti. Meno importante ritieni anche l’Appello a Saviano, firmato da vari intellettuali di sinistra perché lasci la Mondadori del fascista Berlusconi. Ci fai quasi l’abitudine quando leggi che i giovani del Pdci fanno volantinaggio perché i lettori non comprino i libri di Gianpaolo Pansa.

Diviene però inevitabile pensare al rogo dei libri di hitleriana memoria, ma il tutto ti rincuora perché, tutto sommato, ti sembra meno probabile il ritorno a quei metodi, certamente più efficaci, in cui il confronto culturale veniva risolto dai comunisti con due colpi di pistola a distanza di un metro (Giovanni Gentile).

Alla fine prendi atto che nessuno si rifà alla destra o alla sinistra ma ti accorgi sulla tua pelle che esistono DNA incancellabili.

Esistono situazioni simili, molto simili anche a Modica che speriamo crescano e possano far maturare la nascita e l’affermazione di “Proscritti” rigeneratori. Ritorneremo sull’argomento.(carta bianca marzo 2010)

 

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I sicani lontani parenti degli Atzechi?

In margine al convegno sullo sviluppo di Modica alta

 

Io mi chiedo da quale virus è colpito il politico di Modica se con grandissima perseveranza organizza convegni su certi argomenti ripetendo sistematicamente le stesse cose.

Giorni fa, in una trasmissione nazionale, Filippo Facci giornalista di “Libero” (si… quel giornalaccio fascista) dimostrò, virgolettando le dichiarazioni dei leader politici dei due contrapposti schieramenti relative alle due programmate e contrapposte manifestazioni, che poi si sono svolte nel mese di marzo, che i contrapposti schieramenti avevano utilizzato, non contrapposti messaggi di mobilitazione, ma messaggi perfettamente identici, tanto da suggerire loro che forse, per risparmiare avrebbero potuto organizzare contestualmente le due contrapposte manifestazioni nella stessa piazza.

A questo pensavo dopo aver sentito i principali interventi del convegno organizzato dal Partito Democratico modicano il giorno 13 marzo scorso presso la saletta delle conferenze dell’albergo Failla sul tema “Lo sviluppo di Modica Alta”, perché non più tardi di sei anni addietro le medesime identiche cose le avevo sentite, nello stesso locale, in un convegno organizzato dal partito del peggior sindaco che Modica abbia mai avuto, presieduto dal segretario del partito più inquisito d’Italia.

Ciò mi induce a raccontarvi la cronaca di quanto è avvenuto in tale convegno nell’ottica della definizione del convegno sul turismo standardizzato. Possiamo dire che esso si è svolto nel pieno rispetto di un copione già conosciuto che ha l’obiettivo di guadagnare politicamente dal convegno, dalla parata, non dal turismo vero e proprio.

In linea di massima il copione prevede l’invito, con manifesto rivolto a tutti, in una sala con 36 posti seduti, compresi gli oratori e gli addetti ai lavori, in modo che con qualche decina di persone in piedi la sala diviene “gremita” e la buona riuscita della manifestazione è assicurata perché si può sempre cominciare col dire che “la sala era strabocchevole, segno di grande partecipazione popolare e sensibilità democratica al problema”.

Come secondo punto il cerimoniale prevede che l’onorevole chieda di parlare prima perché un altro oneroso impegno lo chiama altrove. E’ un passaggio che dà un tono all’importanza dell’onorevole che ha necessità personali e di partito di proiettare nell’immaginario collettivo l’idea che gli onorevoli non “salvano” solo il luogo in cui vi è la manifestazione, nel nostro caso Modica Alta, ma anche tutto il resto.

Non avveniva ma adesso, visti i risultati, è stata inserita stabilmente nel cerimoniale,  -  la disse il segretario cittadino  dell’UDC alcuni anni fa l’ha ripetuta identica quello del PD questa volta  -  questa frase: “questo è un convegno molto ristretto in cui abbiamo invitato gli operatori del settore, infatti, noi miriamo a risultati concreti perché nessuno  possa dire che dopo i convegni non succede nulla”.

Io penso che voi che mi state leggendo state apprezzando questo mio tentativo di descrivere lo “Stampone del convegno sul turismo” perché così non avrete bisogno di andare ad altri convegni sul turismo: vi basterà leggere questo canovaccio per sapere almeno il 90% di qualsiasi futuro convegno sul turismo.

Anche  gli argomenti sono standardizzati: i parcheggi, il traffico, l’accoglienza del turista, i prezzi alti degli esercenti, mercatini di antiquariato, strade dei mestieri, il restauro e primo fra tutti il parcheggio di San Giovanni.

Qui per essere sinceri se non si va al convegno pur non perdendo nulla sul contenuto si perdono delle sfumature che io non posso materializzare in uno standard, perché il rito prevede che l’oratore sciorini ogni cosa con la retorica delle grandi occasioni con esclusive scoperte e con paralleli con il turismo delle grandi nazioni progredite e civili fino ad arrivare anche alla possibilità di dire che  gli abitanti di Modica alta erano parenti degli Atzechi, e tutto, questo rendetevene conto, non può essere standardizzato perché ogni oratore ha la sua postura, le sue passioni, le sue espressioni, la sua r moscia… la sua mimica, il suo occhio intelligente.

Diviene facile, invece, immaginare il commosso e riconoscente applauso degli astanti salvo a capire per ciascuno di loro se l’applauso è motivato dall’ignoranza di una effettiva parentela tra gli abitanti di Modica alta e gli Atzechi oppure è un giusto riconoscimento alla genialità dell’oratore nel prendere per il culo la platea; non escludendo chi applaude  solo per dovere specie se l’oratore ricopre l’incarico di assessore per il quale esiste “la competenza per diritto di funzione” nel senso che non può essere ignorante anche se non capisce nulla di nulla.

In ogni convegno vi è sempre qualche fattore di sviluppo, magari ripetuto per anni che comincia a scomparire. Questa volta è toccato all’università San Martino. Una scomparsa soft  che  sarà diluita nel tempo a piccole dosi per evitare che si capisca che essa fu concepita come carrozzone e che la balla del suo contributo allo sviluppo non poteva reggere molto.

Ma vedete nella descrizione di questo standard io non voglio limitarmi solo ai riti, stanza piccola, onorevole che ha impegni ecc. oppure gli stessi singoli argomenti che sono sempre gli stessi, voglio anche inserire uno spassoso o tragico, fate voi, atteggiamento mentale e caratteriale.

La cosa che si gusta in maniera particolare è la incredibile distanza che esiste tra visioni strategiche che vanno dagli ascensori, dalla peculiarità della nostra città, dall’aeroporto di Comiso dalle metropolitane di superficie che si propongono di realizzare ed il nulla  assoluto e l’assenza di senso del bello che la loro azione materializza nel traffico da terzo mondo, in un lunghissimo striscione pubblicitario che ha imbrattato la facciata del Palazzo Comunale per eventi di Natale 2009, brutto ed inutile e tenuto, comunque, per disorganizzazione per più di due mesi. Per non parlare dell’albergo diurno, delle buche in mezzo alle strade, pacchianeria delle insegne, sciatta segnaletica orizzontale, aiuole non curate macchine sui marciapiedi.

Per seguire questo convegno ho aggiunto solo pochissime annotazioni agli appunti che avevo preso nell’analogo convegno di Torchi. Sono gli stessi… no, veramente gli ex comunisti hanno aggiunto le case abbandonate da trasformare in miniparcheggi (bello il termine) e poi l’orto  di via Filarota che da privato si deve rendere pubblico (il proprietario stia tranquillo perché prima che questi trovano i soldi campa cavallo) ed il vecchio serbatoio dell’acqua che per rispetto del paesaggio manterrà la sagoma attuale ma sarà almeno a tre piani a significare che se l’attuale altezza del serbatoio sarà divisa per tre per ricavarci tre piani vuol dire che pensano anche al parcheggio delle automobiline dei nostri nipotini.

Altro elemento standard è la immancabile presenza in ogni convegno  sul turismo di un personaggio, di solito ha un abbigliamento trasandato come se fosse appena sceso da una gip che, in maniera molto discreta, quasi sottovoce, vi dirà che lui è un cittadino del mondo e che è andato in Francia, Spagna, Grecia ed a Manhattan e che immancabilmente utilizzerà quel cazzo del nostro essere una città al centro del Mediterraneo, al centro dei grandi flussi turistici e cerniera fondamentale tra Europa ed Africa che da una parte vi farà sembrare un provinciale piccolo piccolo e, dall’altro, responsabile di tanta idiozia politica.

Volevo solo aggiungere che è stato annunciato che altri simili convegni saranno organizzati in ogni quartiere della città: io per sapere cosa diranno mi rileggerò quest’articolo voi fate quello  che vi pare.(carta bianca aprile 2010)

 

 

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Chiudo la rubrica ma mantengo l’arma al piede

Carta bianca maggio 2010

 

Dopo alcuni anni che curo questa rubrica, ho deciso di chiuderla. Sono stanco.

Io non sono un giornalista professionista capace di scrivere a comando. Per scrivere ho bisogno di essere ispirato da sentimenti forti.

Ho avuto la sfortuna di vivere tempi di decadenza politica e culturale generalizzata specialmente in questi ultimi anni e, quindi, purtroppo, sono stato sollecitato a scrivere dalla indignazione e dal disprezzo.

ll volto del voltagabbana, del delinquente politico, dell’affarista ha guidato le mie dita sulla tastiera.

Ho utilizzato un vocabolario duro perché severo, senza perifrasi e senza ammiccamenti, con disincanto e mai a difesa di interessi di parte. Ho avuto come griglia di valutazione dei miei avversari politici e culturali il buon senso, la coerenza, il senso del dovere, il senso dell’onore e della fedeltà, il senso dell’onestà intellettuale, la sobrietà: mai l’ideologia.

Sono, per natura e deformazione professionale, un operativo, e figlio di un operaio che ha votato comunista fino al 1985, quando lo costrinsi, per amor filiale, a votare, ma solo quando fui candidato io, Movimento Sociale Italiano. Nutro il massimo disprezzo nei confronti dei politicanti che sugli ingenui proletari, sulla povera gente hanno organizzato le proprie fortune ed un, ormai sentenziato, sistematico ladrocinio. Non ho mai amato la violenza e meno che mai il peloso buonismo di saccenti ed ipocrite sagrestie.

Chiudo la rubrica ma mantengo l’arma al piede. Abbandono la trincea per cercare nuove postazioni e nuovi metodi. Voglio essere più libero. Voglio scrivere senza obblighi di tempo per rendere liberi i miei scritti anche da tempistiche di stampa o altro.

Sono molto affezionato a DIALOGO per non promettere, che se il direttore vorrà pubblicarmi, sarò lieto di farlo ma senza sistematicità che sento di non potere mantenere.

Non è estraneo alla mia decisione il fatto che per esserci una “Finestra sul Consiglio comunale e… dintorni” è necessario che esista una Consiglio comunale e non una sagrestia.

Carissimi saluti

 

 

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Dopo carta bianca

 

 

 

 

 

 

 

A colloquio con la tastiera del mio computer

(Dialogo giugno 2010)

 

L’annuncio della chiusura della rubrica “Carta bianca” ha provocato sorpresa e meraviglia nei miei quattro estimatori. Alcuni si sono fermati solo al titolo “Chiudo la rubrica…” e mi hanno chiesto perché avevo deciso di smettere di scrivere; altri, i più complottisti, mi hanno detto che certamente ero stato “consigliato” in questa mia decisione, visto cosa scrivevo, da “qualcuno che vuole il mio bene”: esagerati!

Pochi avevano letto il mio “commiato” fino in fondo.

Certamente l’aver chiuso con “carissimi saluti” ha contribuito a fare confusione.

Questa diversità di interpretazioni mi suggerisce di ribadire che io chiudo la rubrica ma, Direttore permettendo, non la collaborazione al nostro DIALOGO.

Alcuni, però, sostando sulla domanda, come consiglia il filosofo Galimberti, mi hanno chiesto di chiarire meglio il perché di questa mia stanchezza, di andare oltre quel semplice “Sono stanco” cosicché mi hanno costretto a riflettere.

Subito mi sono accorto che non posso rispondere “Sono stanco e basta”. Sarebbe una risposta chiaramente liquidatoria, banalissima e bugiarda perché l’intenso lavoro di elaborazione che ho in corso su almeno tre ricerche dicono il contrario.

Ed allora mi viene il dubbio se quel “Sono stanco” l’ho scritto io come un “automatico”  ed “istintivo” luogo comune, oppure, l’ha scritto la mia tastiera andando oltre i miei pensieri. Ora, “inseguendo” la mia tastiera mi accorgo che quel mio “sono stanco” vuol dire altro.

Potrebbe essere stanchezza come rassegnazione di un’attività giornalistico-culturale incapace di provocare la benché minima reazione e riflessione?

Oppure, conseguentemente, stanchezza come istintiva consapevolezza di non voler oltrepassare il limite in cui il confronto tra visioni del mondo, deve abbandonare lo strumento, divenuto inutile,  della prassi culturale e dialogante per riprenderne altri più primitivi e spicci.?

Senza perifrasi dico che ho la sensazione che stiamo vivendo i tempi in cui, pur praticando la filosofia del dubbio sulla bontà delle proprie impostazioni culturali e politiche; dopo aver operato le più severe autocritiche a quanto si va dicendo o scrivendo, ci si accorge di essere vittime di una violenza culturale inaudita.

Ecco forse è da questa interiore situazione che la mia tastiera ha tratto lo spunto per scrivere “Sono stanco”.

Per esempio, se un luminare accademico, per tanti anni, alla mia richiesta di poter visionare gli atti del settimo centenario della Contea di Modica mi risponde che non vi erano i soldi per pubblicarli, confondendo di proposito il significato di pubblicare con quello di visionare, questa “baronata” era un concetto esoterico riservato a pochi iniziati oppure una presa per il culo?

Mentre io ancora cercavo una risposta la mia tastiera in maniera molto più sbrigativa (o più saggia?) ha scritto “Sono stanco”.

Se il 29 maggio scorso un altro nuovo virgulto accademico (1), nel commemorare l’89° anniversario dell’eccidio di “Passo Gatta” definisce, giustamente, fazioso il rapporto dell’Ispettore Generale della Pubblica Sicurezza Lutrario inviato dal Ministero dell’Interno ma ricostruisce i fatti prendendo per oro colato le veline e le tesi socialiste, altrettanto di parte, io magari non me ne accorgo ma la mia tastiera scrive “sono stanco”, non avendo più voglia di discutere del profilo dello storico e sui criteri della ricerca storica che uno studioso di storia degno deve seguire.

Ma sono io ad essere stanco oppure lo è la tastiera del mio computer?

Ho raccolto le idee per scrivere della remissione della querela da parte di Rosa e Militello contro la giornalista Bonino. Avevo goduto gli esilaranti commenti apparsi su un blog locale e riflettuto su articoli apparsi anche in questa testata: articoli da “Santo subito”. Quando ho provato a scriverne la mia tastiera in pratica si è rifiutata. Incredibilmente i tasti si sono mossi da soli e mi hanno trasferito, certamente per distrarmi dai miei propositi, sul sito della diocesi di Noto per farmi scoprire  il primo “Quaderno dell’Osservatorio” della Caritas diocesana di Noto (Il pozzo di Giacobbe Editore, Trapani 2010, pp.80). Il quaderno merita più dei quasi nove euri necessari per acquistarlo, nel quale giganteggiano in particolare due bellissimi articoli di Giovanni Salonia e di Marcella Fragapane che riconciliano con la cultura tout court, la riflessione profonda, il cristianesimo inverabile; che mi hanno fatto ricordare il profumo della sagrestia nella quale percorsi tutti i livelli della Gioventù cattolica da Aspirante a Juniores in quel di S. Teodoro. Ricordo e nostalgia di luoghi ora trasformati in “case del popolo”.

Ma è solo la mia tastiera ad essere stanca oppure è la mia età che mi suggerisce “ri cògghiri i stigghi”?

Forse inconsciamente voglio cominciare a trarre le conclusioni per chiedermi quali sono le mie responsabilità sul fatto che sto consegnando a mio nipote una Modica peggiore di quella che mio padre consegnò a me.

Sono certo di avere anche io delle responsabilità sul disastro che è avvenuto sul piano culturale.

Ovviamente mi illudo che le mie idee non siano le uniche responsabili, non potendo ad esempio attribuire ad esse alcuna responsabilità sulla creazione di questo Stato di diritto che è talmente di diritto che se dovessi fare uno studio accurato sulla definizione dello Stato sociale e sul governo che nella storia più degli altri ha realizzato uno stato sociale potrei essere incriminato per apologia del Fascismo.

Quindi meno male che siamo in uno stato di diritto in cui, per fortuna, le leggi non vengono applicate, perché questo mi mette al sicuro dall’essere incriminato per apologia del Fascismo anche se, pazienza, consente qualche Don Calogero in più in giro e, tanti, ma davvero tanti speculatori e delinquenti politici al governo del paese.

 

Carmelo Modica

 

(1) Grandissima promessa e futuro presidente della Fondazione Culturale “Ente Autonomo Liceo Convitto”, quando, dopo Giorgio Colombo, la Fondazione dovrà essere culturalmente distrutta asservendola ad una “cultura di parte”. E’ il destino della nostra Comunità che conosce o la “non cultura! del “Sindaco peggiore”, oppure la cultura faziosa ed arrogante delle sagrestie progressiste.

(Dialogo giugno 2010)

 

 

 

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Monserrato:la cultura imbrigliata nel filo spinato della malapolitica

(Dialogo ottobre 2010)

 

La mia biblioteca, circa 2000 volumi e migliaia di ritagli di pagine culturali accumulate in almeno 40 anni, si trova sparsa in piccoli mucchi nelle varie “postazioni di lettura” che in un dato momento, il mio umore, interesse culturale o spunto da sviluppare per l’articolo su DIALOGO, mi ispira.

A volte mi viene la voglia di mettere ordine; concentro tutto il mio impegno e volontà per applicare le più collaudate tecniche di catalogazione e gestione delle biblioteche. Ma poi, al primo libro che devo sistemare, succede che la volontà cede al ricordo di quando lo comprai, chi fu a donarmelo o a quale barbiere chiesi di poter strappare dal suo giornale quell’articolo su Adriano Sofri. Le cose si complicano quando esso mi offre spunti per esempio per dimostrare la inutilità della facoltà di Scienze dell’Amministrazione a Modica oppure del come i comunisti svolgono nella scuola il compito di formatori. In questo caso i ricordi indicano temi collaterali, e per bisogno di organicità, comincio a cercare altro: ed i mucchietti di libri si moltiplicano.

La cerca del libro che mi serve diviene così complicata; complicata ma… piacevole perché in questo vagabondare da un mucchietto di libri all’altro accade che mentre cerco Giovanni Gentile, incontro un ritaglio dell’Unità del 1970 che riporta una frase di Mario Capanna, capo nel sessantotto, insieme al contrapposto ritaglio de “Il Borghese”.

In questo girovagare spesso dimentico il motivo iniziale della cerca e vado a finire su temi completamente diversi. In questo delizioso bighellonare tra foglietti impolverati e libri ingialliti dal tempo, a volte, ho l’impressione che non sono io che opero la scelta ma sono loro, libri e ritagli, a farsi scegliere in armonia con interessi culturali che forse a livello subconscio ho l’ansia di indagare.

Questa estate ho fatto, diciamo, una rimpatriata con “La meditazione delle vette” di Julius Evola, che avevo letto negli ultimi anni ’70, e “Le parità e le storie morali dei nostri villani” di Serafino Amabile Guastella che mi fu donato nel 1980 da quel “cuore modicano” che risponde al nome di Arturo Belluardo indimenticabile direttore del Corriere di Modica.

Lo stesso libro ad ogni rilettura ad una certa distanza di tempo dalla precedente, comunica e fornisce stimoli e messaggi sempre diversi: ovviamente siamo noi che abbiamo mutato sensibilità e/o punto di osservazione culturale.

Così “La meditazione delle vette” che allora poteva sollecitarmi a prendere zaino, scarponi e piccozza oggi per ragioni fisiche, non mi ha portato più in alto, ed in macchina, di Monserrato da dove tra il groviglio di fili di acciaio e malefiche antenne, (fili spinati della malapolitica) è possibile vedere la mia Modica, la mia bellissima Modica; ma anche quel Palazzo San Domenico dove il mio sindaco, miope come Mr. Magoo, è spiaccicato sulla visione del presente, incapace di raggiungere postazioni di vetta dalla quale traguardare grandi orizzonti, osservare il contesto generale ed assaporare l’ebbrezza dei grandi progetti. Solo da tale postazione il mio sindaco potrebbe valutare se la zavorra al buon governo della città è un Partito democratico fallimentare oppure l’alleanza con un partito devastante oppure, umilmente e serenamente assumere consapevolezza di una intrinseca e personale incapacità attitudinale a fare il Sindaco.

La rilettura de “Le parità e le storie morali dei nostri villani”, invece, mi ha svelato uno stupendo affresco della vita quotidiana e della condizione umana della Modica dell’800. In esso è descritto lo scenario in cui nel settembre del 1860 nove delinquentelli, villani modicani, condannati a morte per rapina a mano armata vennero “criminalmente giustiziati” da una Dittatura modicana di debolissima caratura morale: una vergogna!.

La diversa godibilità culturale di questa rilettura di Guastella, a 30 anni di distanza dalla prima, è data dal fatto che nel frattempo ho scoperto e mi sono “innamorato” di quei nove umili villani, ma anche a causa di una mia vicenda personale e privata che sta accompagnando la redazione di un mio libello su “Aucisu comu ê novi” e della quale darò conto in appendice al libello stesso perché essa fornisce spunti rivelatori del come la “nubiltà re cappedda” dell’ottocento si manifesta nei tempi attuali.

E’ sempre questa seconda lettura di Guastella che fa nascere in me il dovere, e lo attuerò con questo libello, di ripagare con “piombo di parole” chi, in quel primissimo pomeriggio del 24 settembre 1860, “giustiziò” i nove villani modicani con piombo vero nei pressi del cimitero vecchio di Modica Alta.

Guastella trae da favole e leggende diffuse nel popolo modicano riflessioni morali e sociali che disegnano, attraverso la descrizione della vita familiare, delle malattie, del concetto di furto e di proprietà nonché delle miserie della vecchiaia e della solidarietà contadina, un profilo culturale preciso del villano modicano. Un profilo che si completa anche con il ricorso del villano ad astuzie quotidiane e, persino a libere interpretazioni del vangelo per piegare anche gli insegnamenti e la vita dei Santi alla necessità di giustificare comportamenti criticabili e piccole violenze che divenivano essenziali per superare le durezze di un avverso destino e sbarcare il lunario giorno dopo giorno.

Nel costruire il profilo del popolo villano Guastella indaga, ovviamente, anche il pensiero che i villani hanno dei nobili, ma non in maniera tale da poterne ricavare un profilo. Sarebbe interessante una ricerca sociologica sulla genealogia della nobiltà modicana così tanto ostentata: cosa pensavano i nobili dei villani, quali fossero i loro atteggiamenti e comportamenti concreti nei confronti della servitù, dei villani e delle loro mogli, quale il loro concetto di matrimonio e di patrimonio, il concetto di lavoro, di giusto e di dovere, quale il rapporto con la religione e come tutto questo si manifestava nei loro incontri conviviali e nei rapporti tra famiglie signorili.

In materia politica l’Abate De Leva sembra  avesse le ide chiare: ”Guai se il volgo si immischia e vuol prendere il posto e far la parte dell’Uomo pensante, allora ogni buon dritto va alla malora […] il Bene si deve attendere dall’alto, questo solo è stabile e vero bene, non mai dal basso”(1).

Ogni mio lettore è libero di sentenziare di miei “condizionamenti emotivi eccedenti o di un linguaggio di inaudita violenza , anche, di fregnacce” purché ammetta che  critica un tipo di approccio non una sostanza. Io conosco l’alto ed il basso non la destra e la sinistra; so pure che villano e nobile sono due categorie dello spirito non del censo o degli incarichi più o meno alti o altissimi svolti nella struttura dello Stato.

Ha ben scritto Gustave Thibon (2) “le anime nobili possono conoscere delle cadute, ma non commettere delle bassezze: possono cadere, ma non appartengono al basso” e la classe politica modicana dell’estate del 1860 con la vicenda dei nove ha dimostrato di essere “basso”, un “basso” del quale, purtroppo, essa non si è affrancata neanche nei tempi attuali.

 

Carmelo Modica

Ottobre 2010

 

 

 

 

(1) Archivio di stato di Modica - Archivio De Leva, Corrispondenza De Leva—Agnello, b 6/4, Lettera del 5 XII 1847.

(2)Gustave Thibon, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, Effedieffe edizioni, Vignanello di Viterbo 1998.

 

 

 

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Alla cerca dei pupari modicani: Chioserò i professori Pisana e Terranova.

(Dialogo novembre 2010)

 

Saverio Terranova e Domenico Pisana con un libro ciascuno (1) hanno segnato l’inizio per la scrittura della storia di Modica di questo dopoguerra. Se la storia è un metodo che insegna a chiedersi la ragione dei fatti, il lavoro dei due studiosi più che una ricerca storica appare una, ad essa propedeutica, sistematica cronologia dei fatti politico amministrativi che si sono succeduti nell’arco di tempo esaminato. Sono libri che non possono mancare nelle biblioteche personali dei modicani, nello scaffale delle enciclopedie dei Dizionari, dei “libri dei fatti”, degli annuari e delle rassegne stampa annotate più che accanto ai saggi storici.

Sono, infatti, pregevoli  “cronologie” che raccogliendo in maniera ordinata, risultati elettorali, composizioni dei vari consigli comunali, forze politiche e politici che si sono succeduti nel governo della città, nonché principali avvenimenti culturali, diventano fondamentali ed utilissimi strumenti che di certo stimoleranno indagini storiche ed approfondite ricerche.

Ed io sono la prima “vittima” di questa sollecitazione perché, avendo vissuto parte di questi tempi, leggendo i due libri mi è nato il fortissimo desiderio di dare il mio contributo con annotazioni ed integrazioni.

Uno stimolo più pressante comunque mi è stato provocato dall’inaccettabile invito che fa il Pisana quando scrive che “le istituzioni affidino l’incarico a storici e studiosi, affinché si cimentino in un lavoro di ricerca” (pag 17).

La migliore storia è quella che si forma percorrendo un processo storico autonomo e libero che studia tutti i contributi, nessuno escluso, confutandoli, accettandoli, dimostrandone la coerenza reciproca verificandone i rapporti di causa ed effetto non omettendo mai di indicare documenti, fatti ed episodi specie proprio quelli non in sintonia con i propri giudizi complessivi.

L’idea che la storia è sempre scritta dai vincitori è divenuto oggetto di attenta riflessione ed attenzione. Basta osservare la grande credibilità che sta assumendo l’enorme letteratura storica, revisionista, prodotta in questi ultimi decenni specie sulla seconda guerra mondiale, sul fascismo, sulla “democrazia” dei soviet e dei suoi gulag, su Mussolini e,  ultimamente, sull’unificazione d’Italia.

Nella storia umana i vincitori esistono anche in tempo di pace ecco perché l’invito del Pisana diviene un chiaro ed evidente tentativo di far scrivere la storia al Potere cioè ai vincitori: il Pisana ci propone la storia scritta con delibera comunale.

Per un uomo libero, definire disdicevole questa proposta del Pisana mi sembra il minimo. In ordine allo schema di una ipotetica delibera comunale sarebbe interessante scoprire i nomi degli autorevoli storici locali cui assegnare l’incarico e quali dovrebbero essere gli artifici intellettuali e linguistici da adottare per rendere la delibera del consiglio comunale diversa rispetto alle veline e direttive del MinCulPop fascista.

Pisana già ci dà un segno di come potrebbe essere redatta una simile delibera scrivendo che “sono loro (storici professionisti ndr) che devono scrivere una storia della città” e, come ogni buona velina che pretende di essere rispettata, aggiunge  che gli storici professionisti incaricati “devono dar vita ad un testo organico, complessivo, diviso in tomi e periodi, dove tutti i processi economici, politici, culturali, religiosi, urbanistici, sanitari siano analizzati nella loro profondità per tracciare il cammino di questa città d’arte che tutti ci invidiano” (pag 16). Quando sarà il momento ci indicherà la grammatura della carta, il titolo il sottotitolo, la quantità di pagine la irrinunciabilità alla sovra copertina, alla carta patinata e magari la dedica: “…all’on. Nino Avola , insigne democristiano ed indimenticabile Assessore alla cultura della Regione Sicilia”.

In reazione a queste considerazioni ho deciso di chiosare i libri di Terranova e Pisana andando dietro le quinte dei quadretti di famiglia da loro descritti e con una chiave di lettura che mi permetta di verificare se le scene descritte dai due studiosi modicani rendono necessario indagare su quell'altrove cui si riferiva Leonardo Sciascia quando scriveva “Il potere non è nel Consiglio comunale [...]. Il potere è sempre altrove.” Tutto ciò non perché voglio scrivere la Storia (non ne ho né il passo né la capacità) ma solo per fornire materiale al processo storico in atto: utile per indicare altri punti di osservazione e per evidenziare errori come quello scritto da Pisana a pag 399 (scusabile, ma per me orrore) quando inserisce la mia persona in una cordata politica per me insopportabile: quella di Forza Italia che a Modica contiene il peggio dei politicanti.

Annuncio che il capitolo più importante di questo mio libro sarà quello che si interesserà della politica culturale perché anche in termini gramsciani offre più spunti per osservare la politica modicana e meglio degli altri domini è capace di definire la qualità politica dei nostri politici e governanti.

Io con il Potere voglio incrociare il Gladio, ribadisco… il Gladio non il fioretto. Io preferisco analizzare i pupari non i pupi ed ho abbastanza esperienza e la pura presunzione di possedere il disincanto per distinguere il vero puparo da quel pupo che è talmente pupo da credersi puparo.

 

 

(1) Terranova Saverio, Contributo alla storia di Modica. Dal 1945 al 2006, Editore  Argo Software Ragusa 2008; Domenico Pisana, Modica in un trentennio, Genius Loci Editrice, Ragusa 2010

 

Carmelo Modica

 

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Cultura e “disinformatia” modicana!

(Dialogo dicembre 2010)

 

Assessorato alla cultura. Comunicati del pd. Concorsi di idee. Fatiscenza burocratica.

Tutte le volte che osservo le previsioni meteorologiche mi aspetto, da un momento all’altro, che il conduttore attribuisca le cause del maltempo a…Berlusconi.

Allo stesso modo leggo i comunicati stampa dei partiti politici modicani nei confronti di Torchi; eppure mi considero al sicuro (almeno mi illudo) dall’effetto della persuasione più o meno occulta, grazie ad alcune letture giovanili che mi hanno fatto metabolizzare una sorta di diffidenza su qualunque informazione mi viene proposta.

Suggerisco questa diffidenza anche ai miei quattro lettori, anche su quanto io stesso vado proponendo, sin da adesso, sin da questo articolo.

Per consolidare le difese immunitarie mi permetto anche di indicare quattro libri fondamentali: I persuasori occulti di Packard Vance (Einaudi), Psicologia delle folle di Le Bon Gustave (TEA), “La fabbrica del consenso” e “Capire il potere” (Il Saggiatore),  entrambi diNoam Chomsky.

Segnalo anche il sito www.disinformazione.it e l’estremamente interessante prolusione del Prof. Giovanni Bechelloni per l’inaugurazione dei corsi della facoltà di scienze politiche per l’anno accademico 2007-2008 presso l’Università di Firenze dal titolo “Communication for what?, malintesi e speranze nella società della comunicazione” che sarò lieto di inviare  a chi volesse leggerla nella sua interezza.

Bechelloni partendo dalla banale contrapposizione tra "buona comunicazione" e "mala comunicazione", introduce anche l’influenza di concetti molto diffusi come il "machiavellismo" ("il fine giustifica i mezzi"), la "manipolazione" e la "propaganda" (non nel loro significato tecnico ma in quello di "fraudolenza" e "menzogna"), la "disinformazione" o la cosiddetta "controinformazione" che complessivamente possono essere incluse nell'unico concetto di "menzogna".

Bachelloni aggiunge che “La comunicazione menzognera è quella che, fraudolentemente o inconsapevolmente, attiva processi comunicativi o realizza strategie comunicative che non attivano comportamenti virtuosi. Al contrario, produce "effetti perversi", doppio legame, senso comune, politicamente corretto... La differenza tra "fraudolentemente" e "inconsapevolmente" è soggettiva; difficile da individuare empiricamente. L'ignoranza o la sottovalutazione delle conseguenze possono essere inconsapevoli, ma ciò non necessariamente assolve; soprattutto quando la mala comunicazione è attivata da professionisti, da politici, da intellettuali o, in genere, dalle élite”.

Questa diffidenza deve essere estesa anche a quella che molti definiscono disinformatia,  filosofia di sapore bolscevico che pone le sue radici dottrinarie anche in: «Un comunista deve essere pronto a compiere ogni sacrificio e se necessario a ricorrere a ogni tipo di accorgimenti e stratagemmi; a impiegare metodi illegali, a celare la verità». (Lenin,“Opera omnia”, vol. 17°, pag. 142).

Sto parlando di disinformazione come arma di contrasto che allontana l’attenzione, la curiosità, la sete del sapere e la richiesta di chiarezza, alimentando superficialità e scarsa riflessione; è quell’informazione che pur non essendo una menzogna persegue gli stessi obiettivi esibendosi come verità riuscendo, per i più sprovveduti o superficiali o più genericamente distratti, ad apparire tale solo perché non vengono forniti tutti gli elementi per una corretta valutazione dei fatti.

Un esempio lo fornisce la diversa valutazione del Partito democratico modicano in ordine alla nomina dell’assessore alla cultura.

Appare, infatti, operazione di disinformatia il fatto che a Modica abbiamo un Pd che rimprovera  Torchi perché “da quattro mesi la città non ha un assessore che si occupa di cultura.” (Giornale di Sicilia 3 ottobre 2007), ma non rivolge lo stesso rimprovero ad Antonello Buscema che ha nominato l’assessore dopo due anni dal suo insediamento. Le condizioni sembrano assolutamente identiche anche nelle forme perché entrambi i sindaci avevano nominato un consulente culturale a titolo gratuito, fermo restando che rimane il mistero sul perché un sindaco non possa trattenere per se la delega alla cultura potendo, caso mai, rivolgere ogni critica alla politica culturale realizzata piuttosto che al modo istituzionale scelto dal sindaco per attuarla.

Avrà un valore anche il fatto che non è stato rivolto alcun rimprovero ad Antonello Buscema che, nella “Relazione”, semestrale secondo il suo calendario personale ma progressista, “diciottomestrale” per il nostro antiquato e conservatore che si ostina  a far riferimento a Cristo, ha scritto che “ punta al coinvolgimento e alla vivacizzazione delle energie e delle realtà presenti sul territorio”; infatti, non risulta che il Nostro abbia mai organizzato una riunione delle associazioni culturali, oppure avviato l’attuazione dello Statuto comunale, nella parte in cui (Titolo II) oltre ai tanti “Istituti di partecipazione democratica” prevede la obbligatoria “Consulta per le iniziative culturali” (art.33), mortificando, tra l’altro l’eccezionale impegno, dibattito e lavoro di elaborazione degli anni ’90, ricordo, in particolare di Carmela Giannì ed di attivissimi esponenti della Domus S.Petri.

Alla luce di questi raffronti diviene naturale pensare che o è disinformatia quella attuale oppure fu falsa democrazia quella degli anni ’90. Vi fu ansia di creare strumenti di democrazia allora oppure è pretesa di assoluto ed incontrastato potere adesso?

Mi ha reso felice la nomina dell’archeologa Anna Maria Sammito ad assessore alla cultura; ne conosco capacità e competenza anche se non so fino a quale punto questa amministrazione consentirà di esprimere; vedremo alla fine. Ricordo che nei primi mesi in cui diedi credito al sindaco Torchi (si ho questa grandissima colpa), con il neo assessore insieme all’architetto Garofalo, proponemmo l’idea di una “Modica sotterranea” alla quale il “Peggiore” pur mostrandosi interessato (ipocrita) non diede alcun seguito.

Ritengo, però, che la signora Anna Maria Sammito dovrà tirare fuori tutto, ma davvero tutto, il suo valore per aver ragione della mediocrità politica di questo nostro governo cittadino.

Ne avrà già avuto sentore in ordine alla delibera di Giunta n.281 firmata alle ore 13,40 del 8 novembre 2010, con la quale è stata deliberata la partecipazione del Comune al “Concorso di idee per partecipare al bando regionale di sviluppo di servizi culturali al territorio e alla produzione artistica e artigianale…” in “Associazione temporanea di Scopo, pubblica – privata”. (A.T.S.), fissando alle ore 12 del 15 novembre scorso la data ultima per partecipare da parte dei privati.

Tutto normale? E’ normale che il governo Buscema non abbia utilizzato per la ricerca dell’eventuale partner privato tutto il tempo di cui disponeva sin dal 23 luglio 2010, data di pubblicazione sulla GURS del  decreto dell’Assessorato regionale (circa 120 giorni), anziché ridursi a pubblicizzare il bando negli ultimi  sette giorni?

A proposito, visto che al nostro sindaco è tornata la parola, scrivendoci, perché non ci riferisce l’esito di tale concorso visto che con la documentazione citata il Comune, rivoluzionando le normali cognizioni del tempo, il giorno 8 novembre 2010 aveva assunto l’impegno che il 15 novembre dell’anno prima avrebbe pubblicato anche nel sito “la graduatoria finale del concorso?

A parte lo scusabile errore di scrittura, tutto questo è l’esito di visione progressista, futurismo oppure normalissima fatiscenza amministrativa ed incapacità di governo, o  altro ancora?

 

 

 

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